Si legge in circa: 5 minuti
Una bella fiaba animalista scritta dall’amico Yuri Bautta per Veganzetta, buona lettura.
Gigi e la Mosca
C’era una volta una bambina strana. Si chiamava Gigi.
Parlava poco, e i suoi genitori le dicevano: “Sei proprio strana, Gigi!”
Un giorno Gigi aprì il libro di storia. Ma dopo dieci minuti si stancò di leggere tutte quelle date, e le lettere stampate le sembrarono tante zampe di mosca spappolate sul foglio. In più c’era una mosca, una vera, che ronzava e ronzava. Gigi era tanto infastidita dalla mosca che scrisse a matita sul libro di storia: “A cosa serve una mosca?”
Già: a cosa servono le mosche? Non tirano i calessi, non fanno la guardia, non acchiappano i topi, hanno poca ciccia, non ruggiscono e non hanno la gobba.
La mosca si posò sul libro: sembrava proprio una grossa A scritta con l’inchiostro. Poi la mosca cominciò a camminare e le lettere la seguirono. Prima si mosse la f, poi la m, poi la r, la o, la d, e tutte le altre in ordine sparso. Gigi credette di sognare e spalancò gli occhi. Le lettere, in fila indiana dietro la mosca, si misero a marciare verso destra, avanti marsch, poi a sinistra, dietrofront e, infine, si infilarono nella piega centrale del libro e sparirono.
Oibò.
Gigi si guardò intorno, poi guardò il libro, che adesso era bianco bianco. Il numero della pagina stampato in fondo, come se si fosse svegliato all’improvviso, diede uno scossone e gridò con la sua vocina “Aspettatemi!” poi sparì anche lui nella piega centrale.
Senza starci a pensare troppo, Gigi si lanciò all’inseguimento delle lettere portate via dalla mosca. Si mise a camminare anche lei sulla pagina e, quando fu giunta alla rilegatura, entrò nella piega.
All’interno della rilegatura c’era una specie di corridoio bianco, e una luce in fondo indicava l’uscita. Gigi si avviò verso la luce, uscì per una porticina che pareva costruita per le lumache e sbucò ai piedi di un albero.
Sembrava di essere in un bosco. Davanti a Gigi sorgeva un castagno; più in là c’erano molti faggi, e abeti, e altri alberi di cui Gigi non sapeva nulla se non che erano molto grossi.
Gigi si voltò, ma la porta dalla quale era sbucata non si vedeva più, così cominciò a camminare attraverso il bosco.
A un certo punto, dalla penombra, si sentì: “Pista! Largo! Fate largo! Pista!” Gigi strizzò gli occhi per vedere chi strillava, ma vide solo un prato fiorito tra gli alberi. Solo che il prato si muoveva, con tutti i fiori, venendo di gran carriera verso lei. “Fermati!” disse Gigi. Il prato fiorito giunse davanti a Gigi e si fermò. Era davvero molto grande, pieno di margherite, nasturzi, rose, parlinfofoli, tarubassi, pirolilli e tutti i fiori che si possano immaginare.
“Dove vai, prato?” chiese Gigi, “non s’è mai visto un prato fiorito che cammina!”
“Per forza,” rispose il prato, “per forza! Devi sapere che sono tre anni che aspetto la signora Calabrone. Ma ora ne ho proprio bisogno, mi serve! Pista! Largo!”
Detto ciò, girando intorno a Gigi, i fiori ripresero a correre nel bosco e in breve non si videro più.
Ma che posto era quello? Gigi si rimise in cammino. Non aveva ancora fatto dieci passi, che udì una voce: “Tu devi essere la signora Luna. Sì?”
“No,” rispose lei, “sono Gigi. Chi è che parla?”
Un omino col nasone uscì da sotto un grande fungo a pallini. “Credevo che tu fossi la signora Luna. Così, ti chiami Gigi. Che ci fai, qui?”
“Non so, signore,” disse Gigi, “sono qui per caso.”
“Per caso? Per caso?” gridò l’omino. “Presto, accorrete! Tutti qui, omini, ometti, omuncoli, accorrete!”
In breve, il bosco risuonò di mille passi piccini di mille ometti col nasone, chi con la giubba verde lucertola, chi col cappello bordò, chi con le braghe lillà, chi con le babbucce a punta con un fiore ricamato, chi con un’ortica nei capelli, chi con un sacco di noci, chi sbadigliando e dicendo: “Ma che c’è?”
Tutti correvano e si accalcavano intorno ai ginocchi di Gigi, la metà di loro incespicava e ruzzolava, l’altra metà prima ruzzolava e poi incespicava, uno perfino cadde da un ramo di quercia e si ruppe i lacci delle scarpe. Il primo omino gridò: “Arriva la Regina!”
In un frastuono da non credere, arrivò al galoppo una donnina col naso più grosso degli altri, vestita di due babbucce, tre gilè, quattro giubbe e due berretti uno sopra l’altro. Era la Regina degli omini. Aveva un bitorzolo sul naso, e un riccio di castagna le era rimasto appiccicato al fondo delle braghe color ciliegia.
“Chi osa,” gridò la Regina, “disturbarmi mentre sbuccio le nocciole?”
“Ecco, Maestà, questa bambina si chiama Gigi; dice di essere qui per caso,” rispose un omino, e fece un inchino così profondo che dovette poi levarsi dal naso molti spini di riccio.
La Regina fece una smorfia. “Come sarebbe, per caso?” disse guardando torva la povera Gigi. “Sappi, o bambina, che qui nulla accade per caso! Il sole splende forse per caso?”
“Ma io…” cominciò Gigi al colmo della confusione.
“Lasciami finire, per tutte le cortecce!” sbottò la Regina. “La luna fa forse crescere i funghi per caso? Il signor Puzzola si degna di profumare il bosco per caso? Le foglie cadono per caso? Le fragole son buone per caso? La nebbia scende per caso? E la notte? La notte, dimmi, viene forse per caso?”
E, ad ogni per caso, tutti gli omini da sotto il nasone borbottavano “Nooo!”
Gigi, che non sapeva cosa rispondere, disse: “Io, io…”
“Tu, tu!” disse la Regina. “Tu, a cosa servi, tu? Illumini il giorno? (e gli omini: nooo!) Impollini i fiori? (nooo!) Porti il cibo ai piccoli caprioli quando hanno fame? (nooo!) Insegni la rotta alle mosche distratte? (nooo!) Concimi la terra sotto i pini? (nooo!) Ti occupi dell’avvenire dei giovani pescigatto del fiume? (nooo!) Vaghi nel cielo di notte per rischiarare il nostro cammino? (nooo!) Allora, bambina, se non sei lepre di bosco, né nube, né lago ghiacciato, né luce del mattino, né vento che sa di neve, né impronta di orso, né foglia di salice, né terra calda, né spirito dei nostri antenati, si può sapere a cosa servi?”
Calò un grande silenzio sul bosco, su Gigi che non sapeva cosa rispondere e sugli omini. Uno di loro prese fiato e disse: “Vieni, bambina, è ora che tu torni da dove sei venuta.”
Le prese un dito con la sua manina e la accompagnò attraverso un sentiero che si vedeva appena tra le felci del sottobosco. Comparve una volpe, e l’omino le chiese: “Dove si trova, Madama, l’entrata per il Mondo Che Non Serve?”
“Proprio qui, sotto questo cespuglio di more,” disse la volpe, rivelando con il muso una porticina che pareva costruita per i bruchi.
Gigi guardò per l’ultima volta l’omino e la volpe. Quest’ultima le disse: “O bambina, tu servi a rendere felice te stessa e le persone che ti sono care; e questo vale per tutti, anche per una mosca.”
Poi l’omino, che aveva premura, la spinse nel buco e Gigi si ritrovò nel corridoio bianco. Lo percorse al contrario, uscì dal libro e si rimise a sedere sulla sua sedia. Dietro di lei arrivarono, trafelate e sudate, le lettere dell’alfabeto. Chissà dov’erano state!
Una vocina disse: “Lo sai adesso, Gigi, a cosa serve una mosca?” Poi un’ombra piccina sparì dietro un mobile, e a Gigi parve che avesse un nasone grosso così.
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Bella fiaba.
Complimenti.
Grazie Danilo.
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che bella, che belle immagini!! Sembra di essere lì…
E’ vero Simona: sembra di essere lì
Io l’ho trovata meravigliosa e commovente.
Ed anche molto utile per riflettere!