Processo contro Green Hill: comunicato Coordinamento Fermare Green Hill / Vitadacani


Si legge in circa:
3 minuti

Cuccioli di beagle liberati

Si riceve e si pubblica il comunicato del Coordinamento Fermare Green Hill.

Ma prima, una breve considerazione sulla questione del processo.
Sicuramente il Coordinamento Fermare Green Hill e Vitadacani hanno svolto nel tempo un lavoro encomiabile, e sono tra i maggiori protagonisti del successo ottenuto: il merito di quanto accaduto va loro riconosciuto. E’ legittimo che ci siano associazioni che si costituiscano parte civile al processo, nel tentativo di ottenere un risarcimento economico che danneggi ulteriormente gli aguzzini di Green Hill. Allo stesso modo è legittimo che chi ha lottato per la liberazione dei Cani imprigionati, segua lo processo in questione e vigili sul suo andamento. Il problema di fondo rimane però sempre lo stesso: il fatto che ci si affidi a un processo celebrato da istituzioni speciste, secondo leggi speciste (quindi legittimandole, così come l’idea che sottendono). Leggi che normano e permettono lo sfruttamento degli Animali, e che puniscono comportamenti errati o colpevoli nelle modalità di sfruttamento di esseri senzienti, che in ogni caso sarebbero finiti sotto i ferri dei vivisettori.
Il processo contro Green Hill è indubbiamente importante, ma è e rimane un processo contro specifici maltrattamenti, e non certo contro la vivisezione in quanto tale. Per abbattere e sconfiggere definitivamente la tortura sugli Animali non servono processi, ma capovolgimenti culturali e consapevolezze individuali e collettive. La vera giustizia per le vittime non umane della vivisezione non è da ricercarsi nei tribunali.


Lo scorso lunedì 23 giugno si è tenuta la prima udienza del processo contro Green Hill srl.

Sono imputati Bernard Gotti, consulente della Marshall Bioresources e responsabile delle procedure interne dell’allevamento di Montichiari, Ghislane Rondot, che gestiva di fatto Green Hill insieme a Gotti, Roberto Bravi, direttore dell’allevamento, e Renzo Graziosi, il veterinario.  
Sono tutti imputati di maltrattamento, per il calore insopportabile mantenuto nei capannoni, per il frastuono, provocato dai continui latrati, in cui i cani sono stati costretti a vivere, per aver privato i cani della luce naturale del sole, per aver fatto vivere gli animali in ambienti privi di stimoli, e a volte in mezzo alle loro feci e al loro sangue; per aver costretto le fattrici a continui parti, fino a consumarne la vita, fino a ridurle allo stremo, per aver separato i cuccioli dalle loro mamme troppo presto, sbattendoli in gabbie senza alcun gioco, in mezzo a segatura che ne ha troppo spesso provocato la morte per soffocamento, spesso privati di acqua e cibo.

Per aver utilizzato il tatuaggio invece del microchip, con il solo motivo di abbattere i costi, senza tener conto della grave sofferenza inflitta.
Per aver causato la morte di 104 cani.

Quelli di cui la magistratura ha trovato traccia.
Quelli per i quali si è indagato.
Oltre a tutti gli altri, migliaia, morti là dentro o nei laboratori.

Vitadacani Onlus, che di queste atrocità è venuta a conoscenza già dal 2007, e già da allora ha denunciato, chiesto di intervenire, bussando ad ogni porta, dai funzionari locali ai politici seduti sugli scranni del Pirellone o della Regione Lombardia, su fino al Ministero, ha presentato istanza di costituzione di parte civile.

Il Coordinamento Fermare Green Hill è al suo fianco, come sempre stato negli anni della campagna per la chiusura di Green Hill.
Come è stato quando si è trattato di ritirare e sistemare nelle nuove case i più di cinquecento cani usciti da quell’incubo nel luglio del 2012 ed a noi affidati.
Per un vizio procedurale il dibattimento è stato sospeso.

Il processo inizierà il 29 ottobre.
Noi saremo lì.
A guardare negli occhi i responsabili di tanto orrore.
Coloro che tante volte abbiamo incontrato.
Che ogni volta, tronfi nella loro incrollabile sicurezza, hanno affermato che mai saremmo riusciti a chiudere Green Hill.
Che mai avremmo vinto.

Saremo lì per tutti i cani deportati e torturati.
Per i cani dimenticati nel furgone a morire soffocati.
Per quelli uccisi perché difettosi.
Per quelli che non ce l’hanno fatta.
Per la liberazione animale.

Coordinamento Fermare Green Hill / Vitadacani Onlus 


Fotografia in apertura: archivio del Coordinamento Fermare Green Hill


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2 Commenti
  1. Veganzetta ha scritto:

    http://www.bresciaoggi.it/stories/Home/765411_processo_green_hill_caso_internazionale

    Lo hanno ribattezzato il processo alla vivisezione, o meglio, al business che riduce gli animali a merce e condanna a morte tra indicibili sofferenze milioni di cani, gatti, scimmie e roditori. Ecco perchè, anche se gli imputati rischiano pene «soft», da lunedì mattina il Palazzo di giustizia di Brescia sarà idealmente sotto lo sguardo di milioni di persone che in tutto il mondo si battono contro la sperimentazione sugli animali. Davanti ai giudici compariranno i vertici aziendali di Green Hill, l’allevamento di beagle destinati alla vivisezione di Montichiari, ma anche uno dei manager di riferimento della multinazionale che rifornisce di cavie i laboratori di mezzo pianeta. È una delle prime volte in senso assoluto che un processo arriva ai piani alti delle holding.
    Ghislane Randot, rappresentante legale dell’allevamento sul colle di San Zeno, il direttore di Green Hill Roberto Bravi, il veterinazio aziendale Renzo Graziosi e Bernard Gotti della Farms group devono rispondere, a vario titolo, di uccisione di cani senza necessità e maltrattamenti di animali in concorso.
    L’inchiesta coordinata dal pm Ambrogio Cassiani è partita con il clamoroso sequestro dell’allevamento e dei cani, scattato 18 luglio 2012. Pochi mesi prima la struttura era stata assaltata dai manifestanti, che avevano liberato una sessantina di beagle. Nell’occasione erano scattati tredici arresti: e paradossalmente, proprio dalle indagini difensive degli avvocati di alcuni animalisti erano emerse anomalie che avevano spinto la procura ad aprire un fascicolo. Da allora è iniziata una battaglia di carte bollate sul destino dei beagle strappati a una fine scandita da dolorosi test e operazioni chirurgiche senza anestesia nei laboratori di ricerca. Sotto l’egida della procura, i 2.639 segugi sequestrati sono stati affidati ad altrettante famiglie grazie all’infaticabile opera dei volontari di Lav e Legambiente.
    I RIPETUTI TENTATIVI giudiziari di rientrare in possesso dei cani da parte della Green Hill sono andati a vuoto. E, a prescindere dall’esito del processo, sarà impossibile che i cuccioli vengano strappati alle loro famiglie adottive. La procura ha infatti «venduto» i beagle come se fossero corpi del reato: versando cento euro, i custodi giudiziari sono diventati proprietari del beagle. È stato così costituito un fondo che, in caso di condanna degli imputati, finirà nelle casse dello Stato. Ma che, se il verdetto sarà di assoluzione, tornerà nella disponibilità della multinazionale, una sorta di «risarcimento» per la perdita dei beagle. L’accusa sostiene che la soppressione dei cuccioli non conformi agli standard richiesti dai laboratori di ricerca e i maltrattamenti ai cani non fossero episodi sporadici, ma frutto di una politica aziendale addirittura codificata in un manuale scritto da Gotti, che dispensava consigli utili su come compiere gli abusi e violare le regole eludendo i controlli. Dalle indagini sono emersi dettagli atroci: oltre cento cuccioli sono morti per la rottura dei vasi sanguigni connessi alle radici delle unghie tagliate senza precauzioni o per infezioni contratte durante l’applicazione del tatuaggio identificativo, pratica fra l’altro vietata. Cinquantaquattro beagle sarebbero stati uccisi, fuori da ogni regola deontologica e veterinaria, con un’iniezione letale, solo perchè con lievi difetti o perchè affetti da malattie banali che richiedevano però cure costose.
    N.S.

    28 Giugno, 2014
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