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La possibilità di nutrirsi dei cadaveri di Animali uccisi (necrofagia) in questo mondo multiforme appare anche come un esercizio della libertà individuale. Ma non lo è. In verità è solo un esercizio di potere e sopraffazione, anzi, nella moderna società dei consumi, è solo un esercizio di complicità, più o meno consapevole. Dunque neppure chi sulle orme di Nietzsche asserisse che l’essenza della vita è sopraffazione come espressione della volontà di potenza (e con ciò giustifica la violenza, con buona pace di Nietzsche, in maniera piuttosto superficiale) potrebbe dare tale importanza alla necrofagia consumistica che è solo complicità e sottomissione ad un modello imposto. Paradossalmente l’esistenza di persone vegane pare giustificare tale ipotetica libertà individuale: “come voi siete liberi di non mangiare “carne”, così noi dobbiamo essere liberi di mangiare “carne””. Dovrebbe essere palese a chiunque che non si tratta della stessa cosa. Eppure la realtà ci urla che non a tutti è così palese, a meno che non si ammetta che il novantanove percento della popolazione umana è consapevolmente crudele. Invece il punto saliente della questione sta nella “distanza”: nella distanza dalla percezione della sofferenza delle vittime Animali. Nella distanza dalle vittime stesse, percepite non come “esseri” ma come “cose”, facenti parte di un ordine costituito, condiviso e immutabile. E’ tutto qui (per così dire): chi pratica la necrofagia non è consapevole (o non vuole esserlo) della morte e della sofferenza che causa con la sua azione oppure, se ne ha consapevolezza, si convince che la sofferenza di un Animale sia diversa da quella di sua madre.
Non è libero, bensì schiavo della falsità di cui è complice e spesso co-autore per mettere a tacere la coscienza e continuare la sua “tranquilla” esistenza, fatta di supermercati luccicanti e allegri ristoranti. Un sogno collettivo autoindotto da cui ogni Umano dotato di coraggio e sincerità si dovrebbe svegliare alle orrende e veridiche urla di sofferenza delle moltitudini delle vittime.
Andrea Furlan
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno II / n° 2 del 15 Aprile 2008, p. 1
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Condivido la tua analisi.
le mie banali cosiderazioni.
…nella distanza dalla percezione della sofferenza delle vittime animali….
(Forse per i consumatori e’ tutto qui)
in pratica e’ la distanza dei macelli dai supermercati dove gli animali arrivano a pezzi,la fisionomia dell’essere vivente e’ distrutta ma ancora riconoscibile.Nonostante i macabri reperti siano esposti ed emanino un insopportabile puzza di carne,essi non suscitano compassione e nausea bensi’ un “normalissimo”desiderio di placare la gola che prevale di diritto sulle capacita’di elaborazione del cervello.
Il cervello ha in memoria tutti i “profumi”della carne cucinata in mille modi,in automatico da’ il consenso incondizionato agli stimoli del gusto e dello stomaco.
La necrofagia e’ un modello piacevolmente imposto,accettato incosapevolmente da gran parte della popolazione fin dalla nascita,non reputata tale da chi l’alimenta e trae da essa enorme ricchezza.
Chi consuma non crede di compiere un atto violento al pari del macellaio,seglie con gli occhi e vede solo cibo.
Grazie delle tue considerazioni sull’articolo.
Hai ragione nel sottolineare che i resti di cadavere (bistecche, costicine, ecc) dovrebbero comunque apparire tali agli occhi di chi compra.
Io personalmente credo ciò avvenga per pochi (ha livello di sensibilità , di emozione…).
In ogni caso rimangono coloro che pur essendo pienamente consapevoli di stare acquistando un pezzo del cadavere di un Animale ucciso, lo fanno e lo fanno volentieri.
Sorgono due riflessioni:
a) non dobbiamo negare che il cibarci di carne possa darci piacere, sarebbe ipocrita farlo. Ci sono delle persone che pongono dei limiti alla ricerca del piacere, altre che non lo fanno.
b) non dimentichiamo mai la “banalità del male”, ovvero che anche gli atti più crudeli e l’uccisione stessa di un essere vivente possono diventare azioni “normali” per alcuni individui in determinate condizioni. Considerando questo non dobbiamo stupirci che vi siano persone che non hanno problemi a comprare pezzi di cadavere ben riconoscibili.
“Non uccidere” non è un tabù o un valore assoluto, ma una scelta individuale che dipende dalla psiche, dall’ambiente, dalla necessità , dalla volontà, dalla cultura, dalla ignoranza o meno, ecc.
Per questo è importante indagare quali siano le origini della violenza (e per un’analisi da un punto di vista culturale e antropologico rimando senz’altro al fondamentale “Un Mondo Sbagliato” di J. Mason. Da tenere presente però che il saggio non indaga sulle possibili radici biologiche, comportamentali e prettamente legate all’individualità).