“Sono vegana, posso indossare la pelliccia?”


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Volpe accovacciata nella neve

Qualche anno fa mi colpì un articolo pubblicato su una rivista di moda e costume in cui si intervistava una nota modella di una nota marca di intimo che asseriva di amare gli Animali, ma anche le pellicce e di non ritenersi affatto incoerente adducendo una serie di giustificazioni, ovviamente fallaci e speciste, da cui il titolo “Sono animalista, posso indossare le pellicce?”.
Sappiamo che il termine “animalista” si presta infatti alle più svariate interpretazioni e che può significare tanto un atteggiamento protezionista verso alcune specie (Cani, Gatti in primis), quanto una visione più ampia che non di rado si avvicina molto all’antispecismo, ma il tutto a discrezione di chi lo pronuncia, per cui è molto comune trovare persone umane che si dichiarano animaliste e che allo stesso tempo continuano a essere speciste e complici del sistema che sfrutta e uccide gli esseri senzienti di altre specie.
L’animalismo spesso coincide anche con il protezionismo incentrato sul benessere animale, ma sempre all’interno della visione specista che legittima e normalizza l’uso degli Animali, tipica di alcune associazioni.

Lo scopo di questo scritto è denunciare la superficialità con cui spesso anche i termini “veganismo” e “antispecismo” vengono utilizzati, venendo svuotati del loro significato e rivendicati in modo approssimativo se non completamente errato da chi evidentemente non ha le idee chiare, conosce poco la storia del veganismo, le sue origini e il suo significato e manifesta un attaccamento allo specismo ancora molto radicato e interiorizzato.
Chiariamo subito un punto: non esiste il manuale del vegano perfetto o del “vegano duro e puro” (come viene sarcasticamente appellato chi argomenta per evidenziare contraddizioni mastodontiche), perché in una società umana specista è difficile vivere con la sicurezza di non arrecare mai danno agli altri Animali e, senza fare discorsi di etica al ribasso, sappiamo che ci sono delle situazioni in cui semplicemente la coerenza è nella pratica impossibile, per esempio se dobbiamo assumere farmaci o se dobbiamo prendere un aereo (per allontanare gli Uccelli che potrebbero danneggiare i motori del veicolo – finendovi dentro e morendo – si usano Falchi addestrati, per non parlare dell’inquinamento del carburante e di tutto ciò che ne consegue); esiste però l’aderenza a un sistema di valori e di idee antispeciste che una persona umana vegana dovrebbe aver fatto propri.
Se si riconosce che tutti gli Animali, a prescindere dalla specie a cui appartengono, meritano rispetto e hanno il diritto a non essere sfruttati, usati, uccisi per i nostri scopi e interessi, quali essi siano (profitto, divertimento, tradizione, gusto, ecc.) e che bisogna respingere l’ideologia dominante secondo cui il valore dei viventi è stabilito dall’uso e importanza che siamo disposti a dare loro in base sempre ai nostri interessi, allora non serve alcun manuale, ma solo buon senso, coerenza e serietà.
Ci sono domande oziose che quindi vengono poste senza soluzione di continuità, perché semplicemente si è ancora specisti e si continua a considerare gli Animali come poco più di risorse rinnovabili sempre sacrificabili rispetto ai nostri interessi, anche quelli voluttuari; oppure perché si fa erroneamente coincidere il veganismo e addirittura l’antispecismo (il cui significato dovrebbe essere chiaro già dal termine) con altri concetti, ad esempio l’ambientalismo o la riduzione del consumismo.
Di recente mi sono trovata coinvolta in una discussione generata da un post su un social network in cui una persona umana, che fino a quel momento si era dichiarata vegana, raccontava di aver comprato una pelliccia (vera) usata, motivando la sua scelta con una serie di asserzioni in cui gli Animali in quanto individui – Animali allevati per essere uccisi – sono diventati all’interno del discorso dei referenti assenti, ossia sono scomparsi per lasciare spazio ad argomentazioni di altro genere, tra cui il fatto positivo di acquistare un indumento usato anziché uno nuovo, magari realizzato con materiali sintetici, ma inquinanti, evitando così di incentivare il consumismo, che è l’arma vincente del capitalismo (tutti discorsi peraltro oziosi, in quanto in commercio si trovano ottimi indumenti sintetici o in materiali vegetali – anche usati – realizzati prestando attenzione all’ambiente).
Se è vero che in generale è certamente preferibile, laddove possibile, acquistare indumenti usati ancora in buone condizioni o comunque ridurre gli acquisti e i consumi, è altrettanto vero che una persona vegana dovrebbe aver acquisito la semplice cognizione che gli Animali non sono prodotti, non sono risorse e che le loro pelli, il loro vello, le loro carni, i loro organi, il loro latte e le loro uova non sono indumenti, cibo, cappotti, scarpe, accessori, bevande.
Una persona umana vegana non compra indumenti di origine animale perché non vuole finanziare le industrie che traggono profitto dallo sfruttamento animale, ma anche perché sa che quell’indumento è stato il corpo di un individuo senziente che ha subito violenza e che non è mai stato rispettato in quanto tale; un individuo che è stato allevato e ucciso per diventare un cappotto o una borsetta. Indossare quel cappotto e quella borsetta, anche se di seconda mano, significa continuare a ribadire la riduzione di quegli individui senzienti a oggetti.
Comprare una pelliccia usata significa aver effettuato per due volte una transazione economica per la pelle (e sulla pelle) di un individuo, cioè averlo considerato per due volte un oggetto e aver quindi valutato la sua vita solo in termini di utilità per la soddisfazione di un nostro interesse.
C’è poi un altro punto importante: indossare una pelliccia – che venga acquistata nel mercatino dell’usato, ereditata dalla nonna o appartenente a un periodo precedente della propria vita in cui ancora non si era delle persone umane vegane – significa mandare un messaggio molto eloquente anche alla collettività e cioè che gli Animali in fondo si possono sacrificare, indossare, che i nostri interessi contano più della loro vita; che sono oggetti, prodotti, accessori. La consuetudine porta alla normalizzazione sociale, in questo caso specifico si compie un gesto, reiterato, in cui si fa tutto l’opposto di quello che una persona umana vegana dovrebbe fare, ossia un gesto che conferma, giustifica e rafforza lo specismo.
Ciò che in questa discussione mi ha sorpresa ulteriormente è che anche altre persone umane che si definiscono vegane hanno giustificato l’acquisto di una pelliccia usata scagliandosi contro le critiche dei cosiddetti “vegani duri e puri”. È triste quando avviene un fatto del genere perché ci si sposta dai soggetti del discorso, gli Animali, per focalizzarsi sulle persone umane vegane. È chiaro che queste ultime cercano di fare del proprio meglio in una società specista, come affermato all’inizio, ma è anche chiaro che andare ad acquistare una pelliccia usata è quanto di più lontano possa esistere dal fare del proprio meglio. La pratica vegana non è una pratica approssimativa in cui ognuno sposta l’asticella in base alla propria convenienza, altrimenti adducendo le stesse motivazioni si potrebbe giustificare il consumo delle uova regalate dal vicino di casa o della carne che sta scadendo al supermercato e che sarebbe uno spreco buttare.

La pratica vegana è una pratica che si mette in atto oggi, ma anche guardando al futuro. Le persone umane vegane sono dei testimoni importanti: mostrano che si può vivere senza sfruttare, mangiare e consumare Animali e che è possibile avere, in quanto specie, un ruolo diverso sul pianeta, in solidarietà con le altre specie e non in un rapporto di dominio. Rispettare gli Animali significa vederli come individui e, in quanto persone umane vegane, dare l’esempio con la nostra quotidianità e coerenza. Il veganismo non è una dieta o uno stile di vita da cui ogni tanto ci si può prendere una pausa per motivi personali e non è nemmeno un’indicazione approssimativa per ridurre l’impatto ecologico dei nostri acquisti. Il veganismo è una filosofia di vita che ci cambia nel profondo, perché cambia la nostra cognizione sugli Animali svelando l’impianto ideologico dello specismo che fino a quel momento ci era parso normale, anzi, che fino a poco prima non avevamo nemmeno mai notato. Per comprendere il veganismo bisogna fare lo sforzo, concettuale ed empatico, di diventare noi quel Visone allevato per diventare uno scampolo di pelliccia (ce ne vogliono tanti per confezionare un intero cappotto), di diventare noi quel Maiale che sta andando al macello o quella Mucca che dopo aver partorito ed aver assistito impotente all’allontanamento del proprio Vitello, diventa una macchina da latte, manipolata, spremuta, sfruttata fino, letteralmente, allo sfinimento.

Nella cultura umana tutto è comunicazione, non soltanto il linguaggio verbale.
Ci sono gesti che sono molto più eloquenti di qualsiasi dichiarazione a parola e ci sono comportamenti, scelte, pratiche che schiudono prospettive inedite dello stare al mondo perché mostrano una cognizione diversa del nostro ruolo sul pianeta. Il veganismo è molto di più del semplice mangiare vegetale e del rifiutarsi di considerare gli Animali in quanto oggetti; è una rivoluzione cognitiva che coinvolge anche noi persone umane in quanto appartenenti a una specie finora dominante; il veganismo ridefinisce i significati culturali dei termini umanità e animalità con il fine di decostruire e abbattere le differenze ontologiche e ideologiche che consentono la gerarchia di valore del vivente per legittimare lo sfruttamento e oppressione di intere categorie di persone umane e di specie. Significa riposizionarsi nel mondo, riconsiderare la posizione eretta solo in quanto caratteristica tra le tante (non più importante di altre), e così il linguaggio verbale o determinate nostre peculiarità: caratteristiche che non possono più essere considerate parametri per giudicare tutte le altre al fine di poter giustificare l’oppressione di chi non ci assomiglia, ma solo differenze biologiche ed etologiche che in nessun modo devono diventare qualità morali e quindi essere strumentalizzate per decidere chi merita o meno considerazione morale.

Indossare una pelliccia (ma anche maglie di lana, accessori in pelle, in seta) significa: tu, Visone, Volpe, Zibellino, Coniglio o altro Animale che sei, conti talmente poco che rivendico il mio diritto di acquistarti e usarti semplicemente perché posso farlo. Per lo stesso motivo rivendico anche il mio diritto di manipolare il significato di animalismo, antispecismo e veganismo a seconda della mia convenienza.
Diciamolo una volta per tutte: l’antispecismo, il veganismo e la pratica quotidiana che ne consegue sono testimonianza di una società possibile, è il punto di vista degli altri Animali, sono l’idea, bellissima e prodigiosa, che anche gli altri animali sono soggetti della loro vita, hanno un valore intrinseco che va riconosciuto e rispettato.
Rifiutare di acquistare una pelliccia, anche se usata, è molto di più di un gesto: è la testimonianza di un atto costitutivo dello stare al mondo in cui la specie umana non conta più delle altre e perché non c’è alcuna ragione biologica o scientifica per cui dovrebbe farlo, ma solo ideologica, cioè specista.

Rita Ciatti


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