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Il veganismo viene spesso promosso come un’ideologia multifunzionale. Come se l’orrore degli allevamenti non fosse sufficiente ad argomentare in favore della liberazione animale, numerose associazioni animaliste scelgono di ampliare quello che dovrebbe essere un dibattito unicamente etico, portando a sostegno del veganismo preoccupazioni di tipo ecologico o salutistico (anni fa venivano chiamati argomenti indiretti).
Avere una pelle più sana e un sistema immunitario più forte, combattere contro la deforestazione e l’inquinamento degli oceani, vengono elencati tutti come buoni motivi “per passare a veg”.
Soprattutto dopo l’uscita del documentario Cowspiracy, che ha tradotto in un linguaggio accessibile al grande pubblico i dati scientifici della FAO sulla relazione tra consumo di prodotti animali e cambiamenti climatici, le motivazioni ambientali del veganismo sono diventate sempre più popolari tra gli attivisti, che frequentemente argomentano come un’alimentazione vegana sia l’unica in grado di salvare il pianeta.
Strategie comunicative di tale genere sono da intendersi come speciste. Suggerire di diventare vegani per salvare il pianeta da catastrofi ambientali sottende che l’ecatombe di Animali che si consuma quotidianamente sulle nostre tavole sia un fenomeno di secondaria importanza rispetto all’insostenibilità ambientale del ciclo della carne. Per dirla con Pierre Sigler, promuovere il veganismo con motivazioni ecologiche sarebbe come suggerire di fermare un genocidio “perché produce troppo sangue e questo inquina le acque sotterranee”.
Un altro dei problemi principali dell’utilizzare la retorica dell’ecologia antropocentrica a sostegno del veganismo multifunzionale, riguarda il modo in cui gli Animali non Umani vengono rappresentati. Se l’antispecismo vede negli Animali delle vittime che devono essere liberate dal dominio umano, l’ecologia superficiale non guarda all’Animale come a una vittima, ma come a un eco-mostro che mangia e beve troppo, emette centinaia di litri di metano e produce troppe deiezioni. In altre parole, in una comunicazione ambientalista specista, non si considera il fatto che la Mucca sia stata sfruttata, stuprata e ammazzata, ma semplicemente che sia vissuta e che lo abbia fatto in un modo non sostenibile.
Il problema che l’ambientalismo antropocentrico si pone, quindi, non è come porre fine al dominio umano sull’Animale, ma come trasformare “l’eco-mostro” in un essere vivente eco-compatibile. Questo è un problema che ha scatenato la creatività perversa di scienziati da ogni parte del mondo – canadesi e statunitensi stanno studiando vaccini contro il metano e mangimi altamente digeribili per rendere sostenibile il ciclo della carne.
In India l’Università di Veterinaria dello Stato del Kerala sta allevando le Mucche “amiche del pianeta”: Bovine nane destinate alla produzione di latte, che emettono il 90% di metano in meno di una Mucca normale.
In Argentina, invece, l’Istituto Nazionale di Tecnologia Agricola è riuscito a trasformare il metano prodotto dalle Mucche in un’opportunità economica e in una nuova forma di sfruttamento. Inserendo un tubicino all’interno dello stomaco dei ruminanti e collegandolo a un sacchetto fissato sulla loro schiena, i ricercatori sono riusciti a raccogliere il metano prodotto, trasformando le Mucche in una fonte di biocarburante. Secondo gli scienziati argentini, con i suoi gas, una Mucca potrebbe essere in grado di alimentare il motore di un frigorifero.
Se dunque il problema ambientale legato al consumo di prodotti animali pare risolvibile al di fuori di una dieta vegana (oltre alle ricerche sopra citate, ci sono anche studi su mangimi in grado di far crescere gli Animali più velocemente, in modo che questi utilizzino meno risorse), il problema etico è invece presente in tutta la sua drammaticità. Il caso delle Mucche indiane dimostra come l’ambientalismo antropocentrico percepisca gli Animali non come soggetti, ma come oggetti da manipolare e trasformare, mentre l’esempio delle Mucche argentine suggerisce la possibilità che un ambientalismo superficiale possa addirittura portare a nuove forme di dominio.
Ed è proprio di dominio e di antropocentrismo – e non di salutismo e ambientalismo – che il movimento vegano deve parlare. L’antispecismo mira a decostruire la convinzione che gli Umani godano di uno status morale superiore rispetto agli altri Animali. Come movimento di giustizia sociale, il veganismo etico non può trasformarsi in una crociata senza alcuna ideologia il cui unico scopo sia convertire quante più persone possibili ad una dieta, offrendo ad ogni “infedele” la sua buona ragione (specista) per non mangiare Animali.
Come vegani antispecisti, dunque, non stiamo combattendo una crociata, ma prendendo parte a una rivoluzione: una rivoluzione contro un sistema basato sull’oppressione, sullo sfruttamento e sulla mercificazione d’individui.
Elisa Valenti
Per approfondire:
www.telegraph.co.uk/news/2016/05/05/india-to-fight-climate-change-with-dwarf-cows-that-rarely-break
http://intainforma.inta.gov.ar/?p=19084
Fotografia in apertura: Mucca con sacca di gas collegata al suo corpo. Fonte: Inta informa
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Non sono per niente d’accordo.
1) il problema dell’efficacia della comunicazione (una comunicazione o è efficacie oppure non è: se si parla da soli o con chi è già d’accordo con noi, tanto vale tacere):
“Strategie comunicative di tale genere sono da intendersi come speciste.” Nel seguito del testo viene spiegato perché, ma vorrei far notare un altro punto: strategie comunicative di tale genere sono efficaci rivolgendosi ad un pubblico specista (la maggior parte della popolazione umana attuale lo è) . Per esperienza personale so per certo che è molto più facile sradicare dalla propria mente le convinzioni speciste che sono state seminate negli anni e che godono di ottima salute nell’atmosfera che mi circonda (quella della nostra attuale società che è eminentemente specista) dopo aver smesso di consumare prodotti animali. L’abitudine gioca un ruolo fondamentale nell’apprendimento e credo che saremo tutti d’accordo sul fatto che è difficilissimo ammettere che gli animali sono ‘soggetti’ mentre si mastica una fetta di salame, che è chiaramente un oggetto. L’intelligenza non è solo astrazione intellettuale, passa anche per l’esperienza che abbiamo delle cose: ciò che si mastica non piange, non gioca, non dorme, non si sveglia, ergo è un oggetto. Per vederlo con altri occhi in molti hanno bisogno prima di smettere di masticarlo.
Fare un’esperienza di dieta vegana inoltre, dopo aver superato le prime difficoltà ed essersi riadattati a quelle che ormai sono nuove abitudini, permette di rendersi conto che non stiamo parlando di far volare gli asini, il che è estremamente importante perché per moltissime persone ‘onnivore’ oggi rinunciare ai prodotti animali è semplicemente impensabile, ogni riflessione etica è bloccata ed impossibile perché non riescono nemmeno ad immaginare una realtà in cui non esista il parmigiano.
2) ecologia antropocentrica: che sarebbe?
L’ecologia è per definizione il contrario del ‘-centrismo’ di qualsiasi tipo. L’ecologia è l’analisi scientifica delle relazioni che intercorrono tra tutti gli elementi del sistema Terra, alcuni dei quali sono organismi viventi. Può non farci piacere pensarlo mentre guardiamo un vitellino in fila per essere abattuto, ma esiste qualcosa oltre quel vitellino come esiste qualcosa oltre ogni individuo, e non si tratta di qualcosa che esclude quel vitellino, al contrario sto parlando di ciò di cui quel vitellino FA PARTE: l’ecosistema. Oltre al vitellino, per inciso, dell’ecosistema fanno parte anche i cervi, le rondini, le formiche, i topi, i gabbiani, e via dicendo. Tutti questi animali non ci capiterà di vederli piangere e tremare dalla paura in fila in un mattatoio in alcun video di Youtube, eppure la loro esistenza è minacciata dal consumo di carne ogni giorno. Ergo, parlare di ecologia e del problema ecologico posto dagli allevamenti animali è in realtà quanto di meno ‘-centrico’ si possa fare, perché è un modo di non escludere dall’elenco delle vittime quegli animali che soffrono ‘solo’ indirettamente a causa delle nostre abitudini alimentari.
3) gli eco-mostri: ebbene sì, le vacche lo sono. Senza una storia millenaria di allevamenti animali le mucche come le conosciamo oggi non esisterebbero, esse sono un mostro à la Frankenstein: l’uomo le ha create con un taglia e cuci lentissimo durato millenni.
4) il problema ambientale legato al consumo di prodotti animali pare risolvibile al di fuori di una dieta vegana:
4a: e anche fosse? smette di essere un problema connesso con il tema del veganesimo perché ci sarebbero anche altre possibili soluzioni?
4b: le nostre competenze tecnico-scientifiche possono permetterci di ovviare ad alcuni dei problemi ambientali posti dall’allevamento animale (io lo spero), ma gli esempi di applicazione citati non hanno per il momento nessuna diffusione e dovrebbe essere nostro compito, parlo dei vegani ecologisti (sì, giuro che le due cose sono conciliabili!), quello di far capire che si tratta solo di pezze temporanee appiccicate in modo posticcio su un carrozzone che fa acqua da tutte le parti e comporta molti altri problemi.
5)”una crociata senza alcuna ideologia il cui unico scopo sia convertire quante più persone possibili ad una dieta” VS “una rivoluzione contro un sistema basato sull’oppressione, sullo sfruttamento e sulla mercificazione d’individui”
Beh certo, le crociate sono brutte, le rivoluzioni sono belle.
Un bel giorno una percentuale inferiore al 10% della popolazione umana terrestre sovvertirà l’ordine costituito in maniera più o meno violenta, prenderà nelle propri mani il potere e guiderà il resto dell’umanità, dopo aver organizzato campi di rieducazione per miliardi di persone, verso un futuro senza più sfruttamento animale e vivremo tutti in un mondo migliore. Mentre aspettiamo il giorno della Rivoluzione Vegana, tuttavia, gli animali continuano ad essere torturati e ammazzati. Si tratta di individui senza la facoltà di parola, come sappiamo, quindi saremo costretti tutti a usare la fantasia e ad immaginarci cosa risponderebbe il vitellino in fila nel mattatoio se gli potessimo chiedere “cucciolo, i tizi che vogliono mangiare la tua carne potrebbero passare proprio ora alla dieta vegana e la tua vita sarebbe salva, tuttavia non accetterebbero anche l’ideologia antispecista perché lo fanno principalmente per salvare il Pianeta e tutti gli essere viventi che lo popolano, quindi non so, magari preferisci il macello, piuttosto che campare sapendo che al mondo esiste tale aberrante argomentazione. Scegli tu.”
Grazie, ottima argomentazione
grazie per questo articolo molto interessante… non sorprende che in un sistema di pensiero come quello attuale, dove gli animali allevati sono considerati pure e semplice macchine produttive, se questi creano un problema per l’ambiente, la soluzione più semplice non è smettere di allevare animali, ma modificarli… va detto però che ci sono anche ricerche, che sembrano dare risultati sempre più concreti, sulla cosiddetta carne sintetica… il problema è capire come si evolverà la situazione in futuro… probabilmente, almeno in un futuro prossimo, le diverse strade saranno tutte presenti… ci saranno allevamenti biologici per i consumatori elitari, come già avviene oggi, e cibi animali a buon prezzo per la restante massa, prodotti in laboratorio per i consumatori più all’avanguardia e prodotti con metodi simili a quelli qui esposti per i consumatori più tradizionali… chi sostiene gli argomenti indiretti afferma che un cambiamento di abitudini porterà ad un cambiamento di pensiero, ma non è così scontato che ci sia un cambiamento di abitudini radicale e il problema di fondo potrebbe rimanere invariato, ovvero gli animali continueranno ad essere sempre considerati macchine produttive e più in generale oggetti o comunque esseri privi di valore e diritti…
Ludovico, gli Stati americani del Nord hanno combattuto una guerra civile contro quelli del sud per liberare gli schiavi neri. Cosa li ha messi nella posizione di assumersi l’onere di battersi per questa nobile causa? Il fatto che non avevano campi di cotone da raccogliere. L’abolizionismo esisteva dal 1500, ma solo quando è iniziata la rivluzione industriale nel nord degli Stati Uniti l’ipotesi di fare a meno dello schiavismo è diventata una realtà concreta. Quindi sì, una delle mie argomentazioni a favore di un veganismo ecologico è anche la convinzione che cambiare abitudini porta a cambiare modo di pensare. Può darsi che per te non sia stato così, ma non dobbiamo arrivarci tutti per la stessa via, non ti pare?
E qui arrivo ad un altro punto: come mai i vegani ‘puri’ che smettono di consumare i prodotti animali per motivazioni anti-speciste non possono sentir parlare di vegani che difendono la propria scelta davanti agli ‘onnivori’ con altre motivazioni? Perché a me non è mai capitato di senire un vegano ‘multifunzionale’ (per usare il gergo di questo articolo) dire che mai e poi mai si dovrebbe fare la scelta vegana per motivazioni speciste? Perché avviene sempre il contrario? Ci rendiamo conto che, alla faccia degli animali stessi, i vegani ‘puramente antispecisti’ stanno dicendo che non ha senso diventare vegani per motivazioni diverse dalle loro? Cioè preferiscono che la gente continui a mangiare animali piuttosto che scegliersi le motivazioni che preferisce per fare la scelta giusta. Perché? L’antispecismo è una idea bellissima, vederla trasformata in un modo per distinguere tra vegani superiori e inferiori è veramente triste.
Anna, sono d’accordo con te sul fatto che un cambiamento di abitudini può portare, anche se non necessariamente, ad un cambiamento di pensiero. Il dubbio che ho voluto sollevare riguarda il fatto che nessuno può dire con certezza che parlare della questione ambientale connessa agli allevamenti si possa tradurre in un approccio al veganismo (dietetico). Come ho fatto notare sopra, ci sono diverse strade alternative ad una dieta vegana per risolvere o quantomeno alleggerire il problema ambientale della zootecnia, ovvero l’allevamento biologico su piccola scala e l’allevamento intensivo modificato su larga scala. Se a questo si aggiunge che l’essere umano è un animale molto consuetudinario, sembra forse più probabile che la scelta vegana possa diventare un’opzione secondaria rispetto ad altre più legate alla millenaria tradizione dell’allevamento. Comunque, come ha ben evidenziato Roberto, il discorso è molto complesso e io non ho certo la soluzione magica in mano.
Sarei una sciocca se volessi sostenere che la motivazione ambientalista conduce sicuramente alla scelta vegana. Non è questo che voglio sostenere. Voglio sostenere che la motivazione ecologista non è il demonio tentatore che cerca di distrarti dall’antispecismo. Numero uno, perché le due cose sono strettamente connesse (rispetto per l’ecosistema + consapevolezza di esserne parte e rispetto per gli animali). Numero due, perché lo specismo ha radici profondissime e attaccarlo in modo diretto è controproducente nel 99% dei casi (NB dato inventato al fine di fare un’iperbole, nessuno studio ha dimostrato che l’argomentazione antispecista funziona solo 1 volta su 100). Numero tre, perché dividerci tra vegani di serie B e vegani di serie A è il modo migliore per scoraggiare gli altri ad ascoltarci ed ad interessarsi alla scelta vegana (dieta e tutto il resto). E se si hanno a cuore gli animali, e veramente si vuole aiutarli, non ci si può permettere di trattare come merda gli esseri umani, perché le mucche la rivoluzione non la faranno da sole. Per ora.
Anna, sono d’accordo con te che parlare della motivazione ambientalista non distrae dall’antispecismo, ma credo che dipende da come viene fatto. Io non sono del tutto contrario all’uso degli argomenti indiretti, ma li considero argomenti accessori a quello etico, ovvero: mangiare carne è sbagliato per motivi etici, poi può magari interessare all’altro la questione salute e ambiente e posso anche parlargliene, ma non ci perdo tempo, non insisto su queste cose, non mi addentro in sterili dibattiti su teorie e ipotesi salutistiche o ambientaliste, non sono questi i motivi per cui l’altro deve capire cosa c’è di sbagliato nel mangiare carne ovvero uccidere animali. In questo senso, usati in questo modo, penso che gli argomenti indiretti possono essere utili. Ma discorsi incentrati solo o soprattutto sulle questioni salute e/o ambiente, sì, credo che facciano perdere la bussola e allontanino di molto dalla questione antispecista, nel migliore dei casi la pongono su un piano secondario. Che i due argomenti, come ben dici, sono connessi, non significa però che siano intercambiabili o che abbiano lo stesso valore. Il fatto che poi parlare di antispecismo non dà risultati immediati non è un motivo per scoraggiarci: come ben dici tu stessa, lo specismo ha radici profondissime e non possiamo aspettarci che con una campagna animalista di un mese possiamo cambiare il mondo. Ci vorranno anni, decenni, affinchè la società umana possa elaborare e fare propria una mentalità a-specista, se mai ciò avverrà. Poi, per come la vedo io, non ci sono vegani di serie A e vegani di serie B, ci sono solo attivisti con diversi metodi e strategie ed è ovvio che un movimento così giovane e confuso come quello animalista sia così frammentato.
https://www.youtube.com/watch?v=6JD6Btt3eHo
L’argomentazione inoppugnabile dell’Inglese di Queimada, abolizionista che sa scegliere gli argomenti a seconda del pubblico.
Parlare e discutere di liberazione Animale non solo è precoce, ma azzardato ed assolutamente complesso in un sistema che mercifica le vite. L’approccio salutistico, ambientalista o quant’altro di simile è la mossa più semplice e risolutiva per far capire alle persone quanto sia sbagliato mangiare carne ed affini (sbagliato in termini personali appunto). Anche perchè ciò accade ogni giorno in dibattiti di ogni genere, tra diete varie e strategie commerciali. Ovviamente non è la strada giusta per ottenere una concreta svolta o un radicale cambiamento. Sono necessari decenni, o forse più, di studio e condivisioni. L’attuale empatia non è matura abbastanza per concepire la vita altrui. Il progresso morale non è sufficientemente adeguato, essendo propriamente erede di un passato egoista e prettamente egocentrico. Da qui nasce la considerazione dell’antropocentrismo legato ad ogni pensiero ed azione. Il salutismo vegano non è altro che una direttiva commerciale appositivamente inserita dentro la speculazione, la quale ha poco da condividere con il benessere degli Animali. Lo dimostrano i casi di marketing spregiudicato a cui stiamo assistendo. Nel frattempo mangiando bio e comprando dal contadino otteniamo sicuramente un alternativa ad un mercato spregiudicato e schiacciante, ma questo c’entra ben poco con l’altruismo. Si può essere seguaci di un alimentazione 100% vegetale…e poi praticare di fatto tendenze da serial killer, o seguire un alimentazione con carne e derivati…ed essere attivi in opere solidali e benefiche. Ecco perchè il concetto salutista non sta in piedi, perchè impone a se stessi un considerazione prettamente personale ed egoista, e cioè: lo faccio per me stesso in primis, e poi di riflesso sugli altri. Ma non è così scontato, magari fosse ovvio…gli Animali da reddito vivrebbero già liberi e sani per conto loro. E poi lo stesso concetto salutista lo praticano i difensori delle proteine nobili…quindi serve a ben poco nutrirsi con consapevolezza se poi i risultati sono controversi. Abbattere un sistema capitalista che sperpera ed uccide non è cosa da poco, e certamente non tramite spot veganizzati. Basta osservare ciò che sta accadendo in tv o sui media: dibattiti squallidi e vergognosi. Ognuno difende le proprie parti ed ognuno si impone con astuzia e caparbietà…non è questa la strada giusta. Molti dicono che ogni iniziativa è utile al cambiamento, tutto fa brodo come già menzionato, ma i risultati purtroppo non sono per niente soddisfacenti. Sono aumentati i vegani e i vegetariani…ma gli Animali? Come se la passano? E’ come se si cercasse di combattere l’inquinamento con le auto a batterie, senza considerare che le stesse inquinano egualmente perchè costituite da materiali altrettanto dannosi e tossici. E’ un girare intorno senza risvolti considerevoli ed utili ad una giusta ed equa introspezione. Sostanzialmente nessuno conosce il giusto metedo e nessuno può meglio approcciarsi al cambiamento, è piuttosto una questione di equilibrio e compromesso, questo perchè si rischia di scendere in oscuri ed ipocriti radicalismi che produrrebbero un nulla di fatto. Il salutismo ed ogni pratica cosiddetta funzionale al veganismo si avvicina alla massa proprio perchè intacca il bisogno personale ed individualista di un soggetto. E’ utile ma altrettanto rischioso per gli eventuali risvolti negativi, purtroppo consequenziali perchè appartenenti ad un sistema mercificante che non risparmia nessuno…neppure i vegani.
“E’ come se si cercasse di combattere l’inquinamento con le auto a batterie, senza considerare che le stesse inquinano egualmente perchè costituite da materiali altrettanto dannosi e tossici.”
NO.
E’ come se si cercasse di combattere l’inquinamento andando in biciletta ma non solo perché fa bene all’ambiente, ma anche perché fa bene al corpo muoversi, può essere un anti-stress, ti viene un bel culo e risparmi sulla benzina e sul bollo.
Ti spiego perché: diventare vegani per rispetto dell’ecosistema (la salute è un by-product di un ecosistema sano) è esattamente, nel concreto, uguale a essere vegani per qualsiasi altro motivo: non si mangiano prodotti animali e non sostiene la domanda di quei beni per cui gli animali non vengono torturati e uccisi. Ripiegare su un auto elettrica che inquina meno ma comunque inquina non è una buona metafora perché in quel caso NON si fa la stessa cosa di chi propone di spostarsi in bicicletta.
Anzi.
Casomai sono i vegani “ecologici” che possono dire agli amanti degli animali vegani e incoerenti (sì, esistono anche gli anti-specisti incoerenti) che l’argomentazione ecologica COMPRENDE quella antispecista: se io non mangio carne per rispetto di ecosistema e animali, mentre tu piangi quando muore il tuo barboncino e poi mangi la soia coltivata nel Sud America e trasportata in Europa da navi che inquinano il mare, chi è meno vegano?
Sono d’accordo con te sul rischio del movente puramente ‘salutista’ perché in sé ha insita una traccia di egocentrismo e antropocerntrismo, cosa che non si può assolutamente dire della motivazione ecologista (quella attaccata maggiormente nell’articolo), tuttavia resto dell’opinione che non sia necessario e anzi sia deleterio voler stabilire a tutti i costi quale sia il Motivo Giusto. Non si possono motivare tutte le persone nello stesso modo, come hai detto tu non tutti hanno la stessa ‘empatia matura’ e non ne faccio una colpa a nessuno, visto che il percorso di crescita e di formazione della personalità è specifico di ognuno e nessuno può sapere cosa penserebbe oggi se avesse vissuto la vita di un altro nel corpo di un altro.
Cara Anna ti invito a riflettere su questo paragrafo, il quale molto facilmente lascia comprendere il nocciolo della questione:
“Il problema che l’ambientalismo antropocentrico si pone, quindi, non è come porre fine al dominio umano sull’Animale, ma come trasformare “l’eco-mostro” in un essere vivente eco-compatibile. Questo è un problema che ha scatenato la creatività perversa di scienziati da ogni parte del mondo – canadesi e statunitensi stanno studiando vaccini contro il metano e mangimi altamente digeribili per rendere sostenibile il ciclo della carne.”
Ho fatto l’esempio delle auto a batterie proprio perchè di fronte ad un problema esistente e sempre più patito dall’opinione pubblica le aziende reagiscono con “l’alternativa”…la quale ovviamente non giustifica il danno che potrebbe ugualmente generarsi, ovvero è solo mistificato. Stessa cosa dicasi per l’inquinamento generato dagli allevamenti intensivi, un problema risolvibile sfruttando comunque gli Animali ma senza emissioni dannose (presumibilmente). Apparentemente non è facile comprendere l’inghippo, ma la carne fabbricata in laboratorio potrebbe essere già una realtà. Poi sono tante le associazioni animaliste o ambientaliste che perseguono ideali alquanto dubbiosi o poco rilevanti sull’aspetto concreto. Piuttosto sembrano dei paraventi dietro a grosse corporazioni, con alle spalle interessi enormi. Bisogna riflettere a lungo prima di affermare che salutismo, ecologia, ambientalismo o altre forme di divulgazione di massa possano essere veramente utili alla liberazione Animale, soprattutto all’interno di un meccanismo dominante capace di creare dal nulla ogni escamotage possibile al suo successo, personale ovviamente.
Ho capito benissimo l’ “inghippo”. Il problema è che ne esistono anche altri di inghippi, che non sono ideologici, ma concreti e vanno posti sul piatto opposto della bilancia. Quali sono l’ho scritto nel mio primo commento in modo schematico con dei punti numerati.
Per quanto riguarda il fatto che “dietro all’ecologismo e altre forme di divulgazione di massa” ci sia o ci possano essere loschi interessi, ti dico due cose.
La prima è “e allora?”. Stiamo appunto discutendo del fatto che un’azienda che produce seitan o tofu cercherà di promuovere la dieta vegana per tutti non unicamente per amore degli animali, ma, essendo un’azienda anche per profitto. Quindi sì, dietro o davanti alle idee ci sono le organizzazioni e le persone e i loro interessi, veganesimo compreso.
La seconda è questa: il fatto che tu metta salutismo, ambientalismo ed ecologia tutte nel grande insieme della ‘divulgazione di massa’ (come la chiami tu) è molto significativo ai miei occhi. Mi colpisce il disprezzo sottinteso per tutto ciò che possa essere di interesse generale e che grandi numeri di persone potrebbero già oggi sentire abbastanza vicino ai propri ideali da voler passare all’azione. Tale è la priorità che dai a questo disprezzo che finisci per accomunare salutismo (che ha come obiettivo la salvaguardia della salute individuale) ed ecologismo (l’idea che TUTTI gli esseri viventi siano parte dello stesso sistema e che è necessario per il bene di TUTTI mantenerlo in equilibrio). Quindi che posso dirti? Anche secondo me bisognerebbe essere molto attenti e riflettere a lungo sulle proprie motivazioni, prima di voler decidere perché gli altri devono diventare vegani e giudicare chi diventa vegano per il motivo ‘sbagliato’.
Ieri per caso, ho letto due bei articoli che in qualche modo per me sono collegati indirettamente con questa discussione, ti passo i link. Quello sul Guardian si conclude con queste parole: “Deep empathy with gun owners isn’t a distraction from gun control. It’s a prerequisite for implementing it successfully.”
Che ci piaccia o no, capire cosa muove i mangiatori di animali ci aiuterebbe a farli smettere di mangiare animali, ma per capirli dovremmo essere in grado di provare empatia per loro, invece qui stiamo a dividere tra vegani meglio e vegani peggio. Evidentemente nello stabilire gerarchie c’è qualcosa di molto più attraente della causa per la liberazione animale.
https://www.theguardian.com/us-news/2016/sep/22/when-i-was-scared-my-gun-owning-neighbors-helped-me-feel-safe
http://www.nytimes.com/2016/09/22/opinion/when-it-comes-to-baskets-were-all-deplorable.html?smid=tw-nytopinion&smtyp=cur&_r=0
A proposito di veganismo e ambientalismo di massa, ovvero due aspetti diversi di concepire la consapevolezza ma costituiti entrambi da un identica matrice fuorviante.
Questa è la proposta di Greenpeace:
“DOBBIAMO IMPARARE A CONSUMARE MENO E MEGLIO. COMPRA IN MODO RESPONSABILE! Ti piacerebbe mangiare pesce senza renderti complice dell’impoverimento del mare? Molte specie ittiche (come tonno, pesce spada e merluzzo) comunemente consumate in Italia, sono pescate con metodi distruttivi che danneggiano e svuotano il mare. La buona notizia è che le alternative esistono: basta conoscerle. SCOPRI LA NOSTRA GUIDA! Con le TUE SCELTE, ogni volta che fai la spesa, puoi contribuire a cambiare il mercato del pesce e premiare chi pesca in modo sostenibile: ad esempio i pescatori artigianali, che usano attrezzi con un basso impatto sull’ambiente. Inoltre, controlla che i rivenditori inseriscano in etichetta le informazioni previste dalle nuove leggi europee: provenienza, stagionalità, taglia minima e metodi di pesca.”
Fonte http://fishfinder.greenpeace.it
Veramente molto discutibile!
Perdonami ma, che c’entra?
Io non ho detto che tutto l’ambientalismo è vegano. Ho detto che i vegani motivati da motivazioni ambientaliste non si meritano l’articolo qui sopra.
Riassumendo: alcuni ambientalisti non sono vegani (vedere esempio Greenpeace), ma questo non vuol dire che non si possa essere vegani per motivi ambientalisti. Al limite significa che tra gli ambientalisti c’è qualcuno, non tutti, che porta fino in fondo la logica ambientalista ed è disposto a fare delle modifiche leggermente più radicali del proprio stile di vita, diventando anche vegano, poiché la dieta vegana, anche se non è 100% ecologica in modo automatico (vedi soia), è sicuramente più sostenibile della dieta onnivora.
Anna, Greenpeace era l’esempio di ecologia antropocentrica. L’articolo comunque NON era una critica agli ambientalisti vegani, ma al contrario ai vegani etici che pur di avere la più grande varietà possibile di argomentazioni a favore del veganismo utilizzano anche motivazioni speciste. Nell’incipit del mio articolo specificavo che la critica fosse alle “numerose associazioni animaliste”.
“Anna, Greenpeace era l’esempio di ecologia antropocentrica.”
ESATTAMENTE.
Cara Anna ti ostini a difendere la tesi salutista-ambientalista o che dir si voglia ma, pur ammirando la tua caparbietà che denota attenzione e sensibilità, ti sfugge il fulcro della discussione in corso ovvero l’accentramento della presa di coscienza verso obiettivi personali che sono alla base dell’antropocentrismo, e cioè tutto ciò che è contrario alla liberazione Animale. Stessa cosa dicasi per altre discipline come l’ecologia, l’etologia, la biologia, la genetica, la zoologia ecc. ovvero tutte sperimentazioni teoriche pratiche eseguite dall’essere Umano a scopo esclusivamente personale e non propriamente a difesa dell’Animale. Studiare gli Animali e l’ambiente non significa tutelarli e proteggerli…spesso e volentieri tutto l’opposto. Per esempio l’olandese Nikolaas Tinbergen, nobel 1973 per la medicina, propose una sua interpretazione di una malattia psichiatrica che colpisce i bambini, l’autismo, partendo dallo studio del comportamento conflittuale di Uccelli e Pesci. Quindi? Perseguire una teoria antropocentrica tramite pratiche individualiste. Poi se vogliamo parlare di ricette, moda, tendenze e quant’altro inerente all’essere vegani allora dobbiamo trasferirci in un altro luogo che non sia questo. Niente di personale, ma qui non si tratta di fare una gara tra chi è più vegano o meno. Qui si tratta di prendere posizione e distanze su chi o cosa sta snaturando il concetto principale del veganismo che non è sicuramente quello di Greenpeace, nè Ciwf, nè Wwf…solo per fare alcuni nomi. Qui non si tratta di fare una battaglia contro chi segue degli ideali sicuramente particolari, quali sono quelli della tutela ambientale, qui si tratta di fare chiarezza ed affermare quali e cosa siano determinate convinzioni o scelte e a cosa portano. Solo per farti un esempio: in Germania le guardie forestali periodicamente uccidono i Cervi per mantenere costante il loro numero e salvaguardare le foreste, la Norvegia che tanto si dichiara ambientalista ha appena autorizzato la mattanza dei Lupi per salvaguardare le Pecore, in Danimarca la Giraffa Marius di appena 18 mesi e di sana costituzione fu abbattuta nello zoo di Copenaghen perché considerata in sovrannumero, episodio precedente al Leone di appena un anno sezionato in pubblico a scopo scientifico perchè nello zoo c’erano già troppi felini, i Conigli selvatici nei parchi di Stoccolma se troppi vengono fucilati, congelati e poi mandati fuori regione ad una centrale di biogas. E questo avviene in tutto il mondo su vasta scala, spiegando perfettamente come la tesi ambientalista-scientifica-salutista o simile viaggi di pari passo con tutto ciò che non è a favore degli Animali. All’apparenza potrebbe sembrare valida, ma di fatto non porta benefici concreti, almeno per gli Animali. Per capirci, quando la maggior parte delle persone viene a conoscenza che sei vegano-vegetariano…ti chiedono: “E allora cosa mangi?” Non ti domandano perchè lo sei, cioè il concetto e che è alla base della scelta etica, no…si interessano di bisogni personali, ovvero di necessità private e quindi lontane dall’empatia altrui, ovvero il motivo principale che dovrebbe istituire il veganismo come ideologia pacifista collettiva. Questo non avviene perchè si pongono al primo posto i propri bisogni, e con ciò non si ottiene di fatto un cambiamento nelle abitudini e soprattutto nelle consapevolezze, ovvero gli Animali continuano a soffrire e a morire nonostante nei supermercati, nei ristoranti e nelle strade si parli e si mangi vegano. In questo articolo si vuole puntualizzare come il veganismo stia prendendo un altra strada e di come, purtroppo, si stia snaturando il concetto fondamentale che era alla base iniziale: creare empatia, e non egoismo.
La psicosi consumista odierna è in realtà una giustificazione alle proprie malefatte perseguendo interessi personali: i cacciatori che dicono di amare la natura utilizzando lo sport come mezzo di distruzione, i vivisettori che squartano cavie da laboratorio per ricercare una propria scoperta illuminante, gli etologi che studiano il comportamento Animale per rifletterlo su se stessi…ecc.ecc.ecc.
Anna, io problematizzerei la questione in questo modo: “è possibile che la soluzione di un problema si possa cercare nella stessa mentalità che ha creato questo tipo di problema?”. Contestualizzando: è possibile diffondere l’antispecismo appellandoci all’individualismo e all’antropocentrismo delle persone, che poi sono le cause dell’antispecismo? Pare ci siano due scuole di pensiero: quelli che come me pensano che non sia possibile e quelli che come te pensano che “tutto fa brodo”, quindi ben venga che ci siano persone che sono vegane perché giova alla loro salute, forse un giorno diventeranno anche antispeciste.
Io penso che la strategia delle motivazioni indirette sia efficace a breve termine, forse, ma che crei un “gigante dai piedi di argilla” e che quindi a lungo termine non sia affatto utile alla causa della liberazione animale. In realtà, utilizzare le motivazioni indirette sposta l’attenzione dall’Animale, oppresso da un sistema specista, all’umano e a tutto ciò che ruota attorno all’uomo (la sua alimentazione, la sua salute e così via).
Con ordine comunque rispondo ai tuoi punti.
1. Il tuo primo punto (sintetizzato) sostiene che sia più efficace “adescare” l’onnivoro con motivazioni speciste. Io penso che questo modo di fare sia ciò che ha trasformato un dibattito rivoluzionario come quello del veganismo ad una questione da salotto televisivo di ultima classe. Come dicevo prima, non siamo più la voce di Animali che vengono perseguitati ogni giorno, ma i vegani ora sono rappresentanti di corpi umani in salute, con la pelle liscia e il colesterolo basso, Io penso che questo atteggiamento abbia spostato il dibattito da “è giusto torturare Animali?” a “mangiare carne fa bene?”
Tu sostieni che sia poi frequente il passaggio da salutista ad antispecista. Sono sicura che esistano esemplari da te conosciuti che si sono illuminati e abbiano compreso la componente antispecista del veganismo, ritengo anche però che sia più probabile fermarsi prima, e che quindi si veda esclusivamente il risvolto salutistico di quello che doveva essere un messaggio di cambiamento radicale.
2. Il tuo secondo punto sostiene che l’ecologia antropocentrica non esista. Roberto, citando Greenpeace, ha esemplificato quella che nel mio articolo chiamo “ecologia antropocentrica” o “ecologia superficiale”. L’ecologia superficiale è definita in contrapposizione alla “deep ecology” o “ecologia profonda” di Arne Naess, il quale sosteneva appunto (sintetizzando) che l’ecologia dovesse abbandonare i suoi tratti antropocentrici.
Nell’esempio di Roberto, i pesci vengono visti nella loro funzione utilitaristica di giovare all’essere umano. Questo è esattamente ciò che io chiamo “ecologia antropocentrica”. Nel mio articolo, l’esempio più evidente di ecologia antropocentrica credo fosse la possibilità di creare energie rinnovabili dalle mucche.
3. Il tuo terzo punto: “le mucche sono di fatto eco-mostri”. Contestualizzato al mio articolo, venivano così chiamate per evidenziare come non vengano più viste come vittime, ma paradossalmente come dei colpevoli di un sistema che – tra l’altro – abbiamo creato noi. E se le vittime devono essere salvate, gli ecomostri invece sono dei nemici da trasformare e piegare in modo che possano di nuovo essere utili. Io penso che i due tipi di narrativa portino ad azioni e mentalità estremamente differenti.
4. Nel tuo quarto punto, dopo aver ribadito che non dovremmo rinunciare a motivazioni indirette (punto 4A), praticamente sostieni di essere fiduciosa che il progresso tecnico non riuscirà mai ad ovviare a tutti gli inconvenienti che gli allevamenti comportano (punto 4B). La tua, fondamentalmente, è una scommessa. Io non ho nessuna competenza scientifica di rilievo per valutare i progressi della scienza, ma soprattutto non mi interessa farlo, perché non ho intenzione di ridurre il veganismo ad un dibattito scientifico. Immagino però che una persona a cui piaccia mangiare carne e ritenga sia giusto farlo applaudirà a progetti che creano mucche in miniatura che inquinino di meno. Se parliamo di antispecismo, apriamo il dibattito su quanto sia ingiusto torturare altri Animali sulla base del fatto che non sono umani. Se parliamo di ambientalismo e argomentiamo che si debba diventare vegani perché le mucche producono troppo metano, allora stiamo cercando una soluzione al troppo metano che possibilmente non comprometta il nostro piacere di mangiare carne. Quindi ben venga “la mucca da metano”. Del resto, da un punto di vista specista, non sarebbe bello poter ridurre la nostra dipendenza da petrolio e poterci affidare alle “nostre” mucche? Tra l’altro, per aggiungere nuovi utilizzi ai molteplici usi che possiamo fare delle mucche, recentemente è stata diffusa la notizia che in un paio di anni sarà possibile produrre plastica dalle proteine del latte ( https://goo.gl/gvQBTC ). Questo è solo l’ennesimo esempio che cito per ribadire quanto sia urgente parlare di Animali e non di noi e dei nostri bisogni.
5. Il tuo punto cinque: “Il vitellino al macello vorrebbe che tutti smettessero ora di mangiare carne, qualunque sia la motivazione”. Questa mentalità, quella del “tutto fa brodo”, è quella che sta trasformando il veganismo in un gigante dai piedi di argilla. Io penso che per la liberazione animale serva adottare una strategia di lungo termine, e che questa non possa prescindere dall’antispecismo.
6. Nel tuo commento successivo, secondo te nell’articolo distinguerei tra “vegani superiori” e “vegani inferiori”. Nulla di più sbagliato. Nell’articolo distinguo tra antispecisti e specisti.
> non siamo più la voce di Animali che vengono perseguitati ogni giorno, ma i vegani ora sono rappresentanti di corpi umani in salute, con la pelle liscia e il colesterolo basso, Io penso che questo atteggiamento abbia spostato il dibattito da “è giusto torturare Animali?” a “mangiare carne fa bene?”
Un commento al volo: i vegani oggi sono diventati i vegetariani 2.0, i vegetariani del terzo millennio, ancora più in salute, ancora più meditativi, ancora più new age. Basta guardare la pagina di presentazione della linea “veg” del Conad:
http://www.conad.it/versonatura/veg
Notare l’immagine di apertura: praticamente il “tipo veg” è un moderno discepolo new age, ben curato ed evidentemente benestante (notare lo sfondo: non è un bosco, ma un parco immerso tra i grattacieli). Al di là delle esigenze pubblicitarie e commerciali, questa immagine è paradigmatica di come sono visti oggi i vegani. Credo che, come attivisti per gli animali, dovremmo forse chiederci come siamo finiti in questa situazione, cosa stiamo sbagliando nella comunicazione con il pubblico, riconoscere gli eventuali errori ed apportare correzioni se necessarie.
Cara Anna,
Grazie per le tue argomentazioni che sono senza dubbio interessanti ma che però dimostrano tutta la loro vulnerabilità sia dal punto di vista ideologico, sia attuativo proprio attraverso l’esempio che tu hai portato sull’antischiavismo nella storia degli USA.
Le risposte fornire da Elisa Valenti – autrice dell’articolo – sono perfettamente in linea con il pensiero di Veganzetta, per completezza possiamo aggiungere che il film Queimada in effetti rappresenta alcuni aspetti di ciò che tu dici, ma che rivela soluzioni ben diverse da ciò che tu speri.
William Walker (Marlon Brando) è un agente segreto inglese inviato nell’isola di fantasia di Queimada (“bruciata” in portoghese) per appoggiare la rivolta delle popolazioni locali contro il dominio portoghese. Walker agisce astutamente per rendere indipendenti i ricchi borghesi dell’isola e spingerli ad avviare affari con l’Inghilterra. La rivolta delle popolazioni locali – guidata da uno dei tanti diseredati: José Dolores – è seguita e assecondata da Walker fino alla vittoria, il tutto in nome di interessi personali, commerciali, profitti e influenze politiche. Il discorso che tu hai evidenziato – che Walker fa ai ricchi possidenti locali – è da inserirsi in tale ottica: cambiare tutto per non cambiare nulla ottenendo il massimo vantaggio da una situazione di rivoluzione sociale che in realtà finisce con l’assecondare e nutrire il sistema che desidera abbattere. Il film Queimada, infatti, è palesemente un manifesto contro il colonialismo e le guerre neo coloniali.
Infatti nel momento in cui Dolores si rende conto di essere passato da un padrone ad un altro, avvia una lotta contro la nuova dominazione inglese e viene schiacciato proprio da Walker con l’intervento dei soldati inglesi.
Morale adattata ai giorni nostri: una vera rivoluzione ha bisogno in primis di un cambio di prospettiva paradigmatico, serve che chi la porta avanti concepisca e aspiri a un futuro totalmente diverso da quello che combatte. Per fare ciò non è possibile adottare criteri e metodologie che portino vantaggi al sistema che si intende combattere e secondo logiche e prassi che sono distintive di tale sistema.Non è possibile, insomma, proporre soluzioni – ancorché temporanee – che non vadano nel senso della visione rivoluzionaria proposta, perché il rischio che tali soluzioni pro tempore divengano definitive è altissimo.
Walker convince i possidenti locali adducendo motivazioni economiche, lui stesso, nell’estratto che proponi, afferma che i sentimenti non riguardano l’economia (non è una merce spendibile). Egli parla dell’amore fisico, del “prodotto amore” che si può ottenere attraverso una donna-moglie o una donna-schiava o prostituta. La sua logica è ferrea e tipica di un esponente scaltro dell’economia di mercato: massimo profitto con il minimo sforzo, un vero e proprio esempio lampante di edonismo capitalista. La lotta che propone non riguarda un ideale, ma la convenienza che si può trarre dalla situazione che tale ideale se messo in pratica apporterebbe.
Lo stesso dicasi – tornando a noi – per i cosiddetti “argomenti indiretti” apportati in campo animalista. L’esempio di Walker è l’esatta materializzazione cinematografica del fallimento di tale approccio: non è possibile considerare da un punto di vista egoistico (seppur con buone intenzioni come nel tuo caso) una lotta che rappresenta un punto di vista altruistico o che si rifà a concetti ideali universali. Tu parlavi della lotta contro la schiavitù negli USA e di come sia stata condotta, i risultati sono sotto gli occhi di tutti (specialmente in questo periodo): la discriminazione razziale negli USA non solo non è morta ma è più forte che mai. Il sistema sociale, politico ed economico statunitense, inoltre, non ammette formalmente la schiavitù e la segregazione, ma nella pratica le produce. Ciò perché la lotta per i diritti civili degli Umani ridotti in schiavitù non ha seguito i binari che doveva seguire.
Come dice Brando/Walker “i sentimenti non fanno parte dell’economia”. E’ questo il fulcro dell’enorme errore strategico di cui stiamo parlando.
La lotta per la liberazione animale ci parla di diritti fondamentali universali, di rispetto degli altri, di empatia, di compassione: l’altruismo e i sentimenti fanno a pieno titolo parte di tale visione. Parlare di ciò che tale lotta può apportare di positivo per noi, significa ancora una volta riconsiderare e nutrire le visioni, gli atteggiamenti, i comportamenti che sono la causa stessa del problema che intendiamo combattere.
Nell’enorme Queimada che è il nostro Pianeta ci sono già moltissimi soggetti che hanno subodorato l’affare che il veganismo consumista, superficiale e egoista rappresenta, e sono pronti a spingerlo e supportarlo perché divenga un nuove enorme volano per far girare i loro affari e per sostenere i loro interessi.Walker non è né buono né cattivo, incarna solo la logica di un sistema che non considera i diritti fondamentali individuali, ma il profitto, egli stesso rimane vittima di ciò che ha contribuito a creare subendo un conflitto interiore e giungendo alla morte.
L’atteggiamento umano di fronte a ogni tipo di cambiamento è sempre stato quello di ridurre l’impatto sulle consuetudini e di cambiare il meno possibile, insomma di scegliere la via più indolore. Nel nostro caso la via meno indolore è esattamente quella di considerare – ancora una volta – i nostri interessi nel garantire l’interesse degli altri, ma tale concetto sottende una visione che è pericolosissima, perché sposta l’asse dell’attenzione dall’Animale nuovamente all’Umano, dagli interessi dello schiavo a quelli dello schiavista e ai diritti di chi si definisce vegan a vedersi riconoscere un ruolo nella società umana.
Siamo tutte/i consapevoli che gli Animali soffrono e muoiono anche in questo momento, proprio per questo non dovremmo mai spostare la nostra attenzione da loro per dedicarla ai possibili benefici che la fine della loro sofferenza potrebbe apportare a noi. E’ offensivo, specista e ingiusto nei loro confronti, è meschino come lo sarebbe parlare del problema dell’eventuale inquinamento dei mari causato dai naufragi di barconi carichi di migranti. Ciò anche se lo si fa con le migliori intenzioni e a fin di bene pensando che qualsiasi mezzo sia buono per perseguire un fine, contribuendo così a inquinare sia l’idea originale, sia il fine stesso.
chiedo scusa, vorrei solo aggiungere una nota a proposito del preferire o accettare risultati “parziali” (se così li si vuol definire, che poi più che parziali sono fittizi, a tutti gli effetti). Credo che questo non sia qualcosa di superficiale, ma abbia radici profonde nella “forma di pensiero” che sta alla base del nostro ragionamento. Una forma di pensiero che permea ciò che assimiliamo costantemente tramite – e a partire da – la scuola, l’informazione, i media, che viene gridato a gran voce da ogni direzione, sibilato in quasi ogni ambiente e contesto. Qualcosa che fa oramai parte di noi e viene costantemente confermato e nutrito – un flusso univoco, assordante. Così insediato e forzatamente radicato regge e governa ogni nostro pensiero, inconsapevolmente, indica la via, quella “giusta”, quella “sensata”, diventa il nostro metro di giudizio del mondo. L’utile, il vantaggio (personale o meno).
Induce ad agire solo se debitamente ricompensati e – quel che è peggio – si applica anche a contesti apparentementi distanti, si applica ad ogni cosa. Distorce la visione fino a rendere credibile ciò che prende la forma di una ricompensa immediata. Ne siamo appagati, ne abbiamo bisogno. In questo contesto equivale al bisogno di un riscontro oggettivo e rapido per il nostro impegno, qualunque esso sia, anche se di poco conto, anche se illusorio. Non è altro che un’altra invisibile gabbia che ci priva dell’agire incondizionato, perseguendo solo ciò che è giusto…
Grazie simona per la tua riflessione assolutamente condivisibile.
grazie a Veganzetta, per mantenere viva l’attenzione su questo argomento, ancora piuttosto mal digerito o addirittura schivato, che invece necessita di essere osservato per quello che è.
Concordo sostanzialmente con Anna. Vorrei aggiungere però qualche elemento di riflessione:
1) Il dibattito non dovrebbe essere “solo etico”: se stiamo prendendo parte ad una rivoluzione (ed è vero) “contro un sistema basato sull’oppressione, sullo sfruttamento e sulla mercificazione d’individui” stiamo combattendo una battaglia anche politica. O qualcuno pensa veramente che sia possibile una liberazione animale nelle odierne società turbo-capitaliste? Eppure anche questo aspetto è tralasciato o trascurato da un certo veganismo etico che poi pretenderebbe di impartire lezioni sugli argomenti indiretti. Che si fa? Buttiamo fuori anche loro dal clan dei duri e puri?
2) Parlare di veganismo come di “un gigante dai piedi di argilla” è fuori dalla realtà. In Italia si dichiara vegan ( che non vuol dire necessariamente antispecista ) l’1% della popolazione. Persino la mera lotta al carnismo ( che personalmente considero una fase necessaria e iniziale di una battaglia più ampia) è all’anno zero.
3) Finché si tratta di richiamare l’attenzione sulla centralità dell’elemento etico (politico) del veganismo e sul suo legame necessario con l’antispecismo, posso anche concordare. Tutto il resto mi sembra il classico atteggiamento settario che ha già affondato più di una buona battaglia. Le rivoluzioni si vincono se sono di popolo e un popolo si sta accorgendo di istanze che per decenni sono state marginalissime. In questa fase giudico positivo ogni apporto e con ogni tipo di argomento: si costruisce massa critica per incidere sulla realtà. E contemporaneamente si apre una breccia nel pensiero dominante: chi sceglie un’alimentazione a base vegetale può diventare più facilmente permeabile alle argomentazioni etico-politiche che vi stanno dietro se solo si favorissero gli avanzamenti di consapevolezza anziché certi taglienti giudizi.
4) Ritengo che se il mondo cambierà nel modo da noi auspicato, a cambiarlo sarà un movimento rivoluzionario capace di operare un’intersezione delle lotte antispeciste, anticapitaliste ed ecologiste, insieme a quelle per i diritti individuali. Le contaminazioni con altre istanze quindi non mi spaventano anzi le giudico molto positivamente.
A completamento dell’argomento trattato pubblico un breve stralcio di un articolo apparso sul National Geographic, famosta rivista da sempre attiva in tematiche ambientali. Buona lettura:
“La prestigiosa rivista fotografica National Geographic, ha selezionato e pubblicato sulla sua versione on-line il reportage di Fulvio Bugani su “I pescatori di Lamalera”. Siamo orgogliosi di aver constatato che questo lavoro fotografico è stato così apprezzato da rimanere sulla Home page di NatGeo per più di una settimana!
Seppur si tratta di un reportage dai toni forti e un po’ crudi, è un’autentica testimonianza di una tradizione ancestrale che sta scomparendo. Le foto raccontano infatti la pesca di sussistenza agli animali marini fatta ancora secondo i metodi tradizionali. Il villaggio di Lamalera, arroccato sulla costa meridionale dell’isola di Lembata, in Indonesia, rimane infatti uno dei pochi luoghi al mondo dove viene ancora praticata la caccia a balene, delfini, orche, squali, marlin, mante e tartarughe utilizzando solamente arpioni di ferro montati su canne di bambù, che vengono conficcati nel corpo delle prede avvistate dalle piccole imbarcazioni a vela e a remi. Qui la pesca diventa una vera e propria lotta alla pari tra la preda e il pescatore che dà dimostrazione della propria abilità e coraggio lanciandosi sull’animale per tentare di catturarlo utilizzando solo l’arpione. Non sempre è l’animale a soccombere e a volte sono gli uomini a rimanere uccisi o gravemente feriti.
Il compito più pericoloso è quello svolto dal “Lamafa”, cioè dal ramponiere”, che deve rimanere in equilibrio a piedi nudi, sul legno bagnato, su una stretta piattaforma che si estende oltre la prua dell’imbarcazione. Da lì, una volta avvistata la preda e tenendo in mano una pesante canna di bambù che può raggiungere i 6 metri di lunghezza, alla fine della quale è inserito un arpione di ferro, si lancia cercando di conficcare l’arpione nel corpo dell’animale, sfruttando la spinta del tuffo per imprimere maggiore forza al colpo.
Questo colpo deve essere infatti ben assestato per evitare che l’animale ferito, nel tentativo di liberarsi ribalti la barca. Una volta arpionata la preda, il ramponiere deve risalire nella barca il più velocemente possibile per sfuggire ad eventuali squali attirati dall’odore del sangue che tinge di rosso il mare intorno alla piccola imbarcazione. Per poter finire la preda spesso è necessaria una seconda arpionata che lasci l’animale inerme e permetta all’equipaggio di issarlo sulla barca o trascinarlo a riva prima che giungano dal mare altri predatori.
Dato che il territorio su cui sorge il villaggio è tendenzialmente roccioso e dispone di ben pochi terreni produttivi, ancora oggi la pesca è la più importante fonte di sussistenza. Tutto ciò che viene catturato viene mangiato fresco o fatto essiccare per essere consumato durante le stagioni in cui non è possibile pescare. Questo tipo di pesca ancestrale, che ha la forma di un rituale ricco di superstizione e sacralità, rimane da secoli sostanzialmente immutato e si tramanda di generazione in generazione, di padre in figlio da quasi seicento anni.”
Fonte http://www.foto-image.it/bologna/online-su-natgeo-il-reportage-i-pescatori-di-lamalera/
Foto http://www.foto-image.it/bologna/wp-content/gallery/pescatori-lamalera/i-pescatori-indonesiani-fotoimage-18.jpg
Stiamo parlando della medesima cosa no? La nostra salute, la salute degli altri animali, la salute del pianeta. Spesso i carnisti riconoscono le atrocità ma le giustificano dietro una necessità nutrizionale FALSA. Far capire che questa necessità é falsa non solo é importante, é tutto! Questo fa scattare un meccanismo di rifiuto del male che si sta facendo agli altri animali che a volte si trasforma in scelta vegan (che é l’unica soluzione dal punto di vista etico, salutare ed ecologico).
Come vedete la motivazione salutistica é veramente molto importante… Quella ecologica e quella etica sono la medesima cosa… Esattamente come amo i maiali amo i ragni, e le alpaca, e il mare e le colline e tutto il creato. Pace a voi.
L’errore più grande, peggio se si conferma ogni volta, é credere che il veganismo ed ogni parametro consequenziale siano proprietà privata da gestire a piacimento. Abbiamo delle pesanti responsabilità ed agire in ogni modo, pur di scalfire le coscienze, puó creare più danni che benefici. L’etichetta é stata emessa, siamo stati marchiati e inglobati nel sistema, non prevedendo tutte le possibile variabili…molte delle quali hanno sollecitato lo sterminio Animale. Denunciare determinati atteggiamenti e prese di posizione crea fastidio principalmente ai sinceri sostenitori dei diritti civili. Questo perché le idee e le filosofie antispeciste non sono una proprietà autoritaria di chi le professa, ma frutto di una condivisione pacifica in continua crescita ed evoluzione. Chi si sente vincitore prima ancora di aver lottato duramente dimostra tutta la sua debolezza. Probabilmente i vegani (non tutti per fortuna) credono indiscutibilmente che la liberazione Animale sia una priorità personale da perseguire con ego e fanatismo. La condivisione e la collaborazione restano le uniche armi veramente pacifiche da implementare con forza e coerenza. Gridare al genocidio ormai non basta più.