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Di seguito un interessante testo a firma di Earth Riot sul rapporto tra multinazionali del fast food e della grande distribuzione (GDO) e i prodotti per persone umane vegane. Le preoccupazioni di Earth Riot sono del tutto condivisibili e anzi, trovano purtroppo in questi giorni una conferma proveniente dal mercato italiano. Qualcosa sta cambiando, ma nella direzione sbagliata.
Oggi vogliamo agire d’anticipo, se ancora siamo in tempo, su una questione che ci preoccupa da molto, qualcosa che è ben più di una semplice ipotesi e che presto o tardi potrebbe diventare una mossa di mercato calcolata per raggiungere anche la fetta di consumatori in teoria più attenti.
Perché – è doveroso premettere, per l’ennesima volta – per il mercato ognuno di noi non rappresenta altro che un consumatore, una pedina che può determinare la fortuna o la disgrazia di una data industria.
Ognuno di noi, suo malgrado, consuma determinati prodotti che possono avere in termini ambientali, animali e sociali maggio o minore impatto. Ed è esattamente questo il punto, la strada che vogliamo e possiamo decidere di percorrere: alimentare il sistema dall’interno accettando di finanziare presunti cambiamenti elargiti da quelle stesse multinazionali che, i problemi, li hanno creati oppure prendendo le distanze da quel sistema di sfruttamento che punta esclusivamente a reclutare nuovi schiavi, dentro e fuori dalle gabbie. Da molto tempo nutriamo preoccupazione in merito all’eventualità che mostri dello sfruttamento globalizzato come McDonald’s, Burger King, KFC e marchi della grande distribuzione come Nestlé, Ferrero, Unilever, Findus, Barilla etc., possano introdurre sul mercato linee di prodotti spacciandoli per vegan e nonviolenti.
In questi ultimi tempi sono già stati effettuati biechi tentativi da parte del mercato di insinuare consumismo e capitalismo all’interno del movimento vegan antispecista, allo scopo di ridurre il tutto a una corsa agli scaffali dei supermercati alla ricerca di quel prodotto industriale che possa “risolvere la vita”.
Ma questa non è una concezione sana del veganismo e, soprattutto, dell’antispecismo, in quanto implica allo stesso modo una dipendenza da quei canali di produzione e di distribuzione che sono alla base degli atti di violenza che si tentano di combattere.
Per questo, da tempo, sosteniamo con forza la nostra piena contrarietà alla preoccupante eventualità che McDonald’s e simili possano introdurre nei loro punti vendita un’alternativa vegan falsamente nonviolenta.
Dovrebbe bastare sentir nominare McDonald’s per giustificare la contrarietà a questa eventualità e altrettanto dovrebbe essere sufficiente perché chiunque si definisca vegan o antispecista condivida una simile posizione, ma secondo quanto constatato di recente purtroppo dobbiamo affermare che la reazione di una parte del movimento non è così scontata.
Invece di restare uniti e fare la vera rivoluzione per una vera liberazione e sferrare il decisivo colpo di grazia a un’industria della carne e dei derivati sempre più in crisi, oggi che siamo sempre più pare che alcuni preferiscano “indottrinare il mercato” quasi nel desiderio di ottenere la veganizzazione dell’industria – senza oltretutto rendersi conto di ottenere invece l’industrializzazione del veganismo. Ma non era questo lo scopo alla base della lotta.
Gli errori più grandi che possiamo commettere è ritenere la linea di latti vegetali Granarolo, il panino vegan dell’Autogrill o la possibilità di una scelta vegan da McDonald’s come vere e proprie vittorie, come segnali che la società stia veramente cambiando.
Qualcosa sta cambiando, ma nella direzione sbagliata, perché l’intenzione di queste aziende non è quella di cessare con determinate produzioni, gestioni del mercato e standard lavorativi. La sola reazione che può scaturire da un processo di questo tipo è quella di aver offerto l’ennesimo prodotto al consumatore. L’unica cosa che sta cambiando, in poche parole, è il menu.
Tutto questo ridurrà veganismo e antispecismo a mere scelte commerciali, diete, alternative settimanali all’alimentazione, soffocando e cancellando così la loro vera natura che li rende ideali in cui credere e per cui combattere.
Se McDonald’s un giorno dovesse uscire con la promozione di un panino vegan, la reazione immediata del movimento dovrà essere di dissenso, disgusto e indignazione. Dopodiché, magari, totale indifferenza, per colpirli nel loro punto debole.
E stiamo parlando di una possibilità che purtroppo potrebbe essere più vicina di quanto immaginiamo, perché il colosso dei fast-food è in crisi di vendite ormai da tempo ed è prevedibile che per risollevarsi possa puntare ad avvicinare una nuova fetta di consumatori, sulla carta ostili.
McDonald’s è il simbolo del consumismo, icona del capitalismo e di quei processi produttivi che stanno mettendo ormai da decenni in ginocchio il Pianeta. Parliamo di uno dei più grandi macellai del mondo, che in Italia viene rifornito dal più grande produttore di carne di manzo del paese e forse d’Europa, Cremonini, azienda emiliana che rifornisce anche diversi supermercati, tra cui Coop, gli Autogrill, i bar e i distributori automatici presenti nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti.
Quello di oggi è il nostro personale appello al movimento antispecista che si comporta come tale, ovvero che si dedica in maniera ugualitaria alla liberazione della Terra, animale e umana, affinché questi colossi dello sfruttamento non vengano fortificati nel loro finto processo di presunta sostenibilità, bensì combattuti affinché i loro crimini possano essere conosciuti da sempre più persone. Per privarli di consumatori, e non offrirgliene di nuovi.
Il momento è delicato e sta a ognuno di noi decidere se accettare di essere assorbito dal meccanismo del mercato restando pedina del sistema o se invece offrire valore e nuova linfa al concetto più puro di antispecismo, che fa della nonviolenza e del rispetto gli aspetti cardine verso la costruzione di una società svincolata da quei processi industriali che generano atti di violenza, e basata invece sulla parità di ogni specie, partendo da quello nei confronti dell’organismo vivente che tutti ospita: la Terra.
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Il cambiamento in atto all’interno del sistema consumista tradizionale carnista è già una realtà, solo apparente e silenziosa…ma in continua crescita.
Personalmente non condivido l’appello in questione, non perchè non sia giusto o etico, ma in una misura forse estrema ed inefficace.
Rifiutare articoli e proposte commerciali alternative alla carne o al latte vaccino può essere doveroso da parte di chi si batte ogni giorno per una tanta attesa liberazione animale, ma è assolutamente inutile e privo di speranza per una sincera e concreta causa antispecista. Oggi è già difficile e complicato far capire alle persone comuni quanta crudeltà ci sia in un panino “bigmac”…figuriamoci in un tramezzino veganizzato! I poteri forti dell’industria alimentare faranno il possibile per attuare una rivoluzione drastica ed efficace che possa portare nelle loro casse consuntivi miliardari da capogiro. Questo è solo un filone commerciale che si affiancherà a breve ad un altro già consolidato e proficuo che da anni cresce in egual misura e senza sosta. La crisi dei consumi in atto in questi ultimi anni è solo un apparente illusione che coinvolge tutto l’assortimento referenziato della distribuzione alimentare organizzata. Non esiste un reale e concreto abbassamento nelle richieste carniste, tutt’altro!
E’ necessario attuare un informazione forte e reale su cosa oggi rappresenta lo sfruttamento animale, e quali effetti collaterali implica nel reale benessere della vita terrestre. Una concreta diffusione antispecista che possa spezzare la cultura antropocentrica che perdura da secoli. Questo naturalmente non si attua e non si ottiene in breve tempo, non con campagne denigratorie e diffamanti. In questo modo si rischia di ottenere un reale effetto contrario che spinge e confina il movimento vegan verso un angolo ristretto ed antipatico. All’interno della presa di coscienza esistono già dei gruppi valorosi che hanno intrapreso un cammino salutista e responsabile diretto ad una consapevolezza cruda e vegetale dell’alimentazione umana. La lotta per la liberazione animale è un altra cosa. Dobbiamo distinguere i due fronti in termini forti e concreti. Si rischia così di perseguire strade già contorte ed insidiose.
Oggi all’interno di una società sempre più consumista e radicalizzata in soddisfacimento di bisogni materiali, primari o non primari in egual misura, è praticamente impossibile indurre nelle persone comuni un rifiuto all’acquisto di beni. Ogni singola abitudine quotidiana è dettata da uno stimolo commerciale che per quanto ognuno possa rifiutarlo coscientemente esso appartiene all’Umano moderno fin dalla nascita. Si può assumere un atteggiamento ostile e di indignazione nei confronti di brand famosi ed eclatanti in sfruttamento, ma non ci si può ritrarre facilmente da un sistema economico che basa la sua essenza sul consumo materiale. Non oggi, e non con mezzi diffamatori. Il capitalismo ha creato nelle popolazioni occidentali, e recentemente in quelle orientali, un induzione pesantemente schiavizzata al consumismo. Decenni di politiche commerciali e sociali hanno incrementato e fomentato il potere delle multinazionali, fondamenta stesse di un regime occulto all’apparenza benefico e pacifista. Come non pensare alla moltitudine di denaro generato dall’industria bellica o farmacologica, non indice pertanto di un reale benessere delle persone. Il prodotto interno lordo delle nazioni è fondato principalmente da produzioni non etiche ed assolutamente sanguinarie nella sua ideologia moderna di consumo. Gli allevamenti intensivi rappresentano la spina dorsale di un organismo artificiale basato sulla meccanizzazione della vita terrestre. Come non prevedere in un futuro non lontano una sterilizzazione delle coscienze umane talmente micidiale da far rabbrividire anche la mente più insensibile?
Tutto ciò che ne consegue è dettato semplicemente da una pura presa di coscienza personale umana che può invertire o meno la politica suicida e sanguinaria intrapresa in secoli di predominio antropocentrico.
Allora, proprio ieri parlavo con Aijt un uomo shrilankese che lavora (da schiavo) qui in Italia da 10 anni, sulle abitudini almentari di quel PAESE.
Stessi problemi a causa di McDonald’s & Companies. I giovani hanno stampato in testa quella pubblicità. Io con i miei nipoti (ho 65 anni) sono riuscito a convincerli che
un panino con la mortadella è molto meno tossico di un hamburger.
Con Aijt abbiamo convenuto che in occidente il problema è molto più difficile da eradicare a causa dei danni fatti dai manipolatori ufficiali, ovvero la pubblicità, e che in Shri Lanka, forse qualcosa ancora si può fare con il mangiare.
Usano la farina bianca proveniente dagli stati uniti a rispetto di accordi
sottoscritti con gli yenkee per il libero mercato.
Alchè ho chiesto se loro avessero lo spazio e la capacità produttiva per farsela la farina, ma sembra che producano di più il riso perche è la principale fonte della loro dieta.ma il 60 % lo importano dall’India.
Qualcuno con la scusa degli scambi commerciali obbliga paesi come lo Shri Lanka
ad importare prodotti che potrebbero benissimo averli in loco.
Con la farina prodotta potrebbero mangiarsi i spaghetti al ragu piuttosto di un hamburger (americano). hanno tutto ciò che serve. Terra, sole e acqua.
non sono un vegano, ma mangio i prodotti della mia terra (Trentino) anche se pochi (patate carote verze cavolocapuccio zucchine ecc) formaggio e uova dei contadini, minestrone e canederli. Come i miei genitori.
Altro che macDonald
saluti
Giuliano
Caro Giuliano,
Grazie per la tua testimonianza.
Sei sicuro che un panino alla mortadella sia molto meno tossico di un hamburger? Se vedessi come fanno la mortadella forse ti ricrederesti.
A parte questo la questione è molto più ampia e complessa di quella descritta dal tuo amico (che è uno schiavo) e coinvolge esseri senzienti che non sono umani, ma che rientrano le ciclo produttivo del cibo, rendono ricche le multinazionali, e diventano vittime delle vittime: schiavi non umani.
Ciò che con questo si vuole dire è che fino a quando saremo abituati a sfruttare gli altri – chiunque siano – non potremo mai ottenere giustizia nemmeno per noi stessi.
Tu fai bene a nutrirti di prodotti della tua terra, ma formaggio e uova sono sinonimo di sfruttamento e dominio di esseri senzienti: trattati come oggetti, macchine o semplicemente esseri inferiori da spremere: con questa visione fondata sull’ingiustizia e sulla violenza in quale futuro potremo sperare per noi e per gli altri?
Non pretendiamo di insegnarti cosa dire ai tuoi nipoti, ma loro avranno l’arduo compito di porre fine al macello quotidiano (umano e non) di cui ci rendiamo responsabili.
Il messaggio da voi lanciato è concreto: ma come comportarsi? L’appello a salvare animali e umani (se ben interpreto l’articolo) é di fatto un messaggio al movimento perché, come concretamente risponde Roberto, genera molto probabilmente confusione sul consumatore che si avvicina in cerca di spiegazioni e allontana ancor di più “l’umano” poco convincibile. Detto questo credo che l’articolo/il dibattito, giustamente attuale adesso o tra brevissimo, andrà ampliato con maggiori considerazioni e magari possibili proiezioni di futuri antispecisti privi di multinazionali e d’interessi industriali affiancati anche da possibilità diverse e promiscue. Comunque sarebbe da domandarsi: quando si deve aspettare? Quanta sofferenza animale deve ancora essere accettata? In ultimo: è possibile rispondere concretamente con una misurazione in termini di peso di quanta sofferenza c’è nel mondo redigendo una scala di valori ordinata in termini di diritti/individui viventi lesi?
La questione è complessa e va affrontata seriamente e per esteso.
Non si deve aspettare: non bisogna cadere nell’errore di pensare che se non ci si adegua al mercato capitalistico e specista non si potrà fare nulla nell’immediato, ci sono molte pratiche che se portate avanti con coerenza e consapevolezza, possono dare risultati anche immediati.
Si pensi all’autoproduzione (a ogni livello, anche sul balcone di casa), al riciclo, riuso, all’utilizzo di cibi semplici, locali e non elaborati, alla microeconomia locale, ai g.a.s. e molto altro.
Pensare che avallando il sistema si lenirà la sofferenza animale è un’illusione: come sarà mai possibile che appoggiando, sostenendo e finanziando chi sfrutta effettivamente e sistematicamente gli Animali (non umani e umani), si arrivi alla liberazione animale?
Non è accettabile redigere una scala di valori: viviamo già in una società che ci costringe quotidianamente ad aderire a scale di valori che nulla hanno a che fare con concetti di giustizia e uguaglianza. La sofferenza è assoluta (per ciascun indivisuo la propria sofferenza è assoluta) e non va soppesata, ma solo combattuta con i mezzi che ciascuno di noi ha: anche pochi gesti quotidiani possono essere preziosi.