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Abbiamo rivolto una serie di domande a Enrico Manicardi, noto esponente e divulgatore del pensiero e della pratica anarchica di anticivilizzazione e primitivista in Italia.
Enrico, puoi fornire al nostro pubblico una tua definizione di “anticivilizzazione” e di “primitivismo” per permetterci di comprendere nel migliore dei modi le specificità di tali lotte?
Fermo restando che sintetizzare concetti così complessi non è mai facile, quando si parla di Primitivismo o di Primitivismo Anarchico o di Critica Radicale alla Civilizzazione o di Movimento Anti-civ (che sono tutte definizioni riguardanti la medesima pratica) ci si riferisce a ciò che, con un approccio irriducibile all’ordine dominante, mira alla messa in discussione di tutto quel che fonda il mondo artificiale (e cioè innaturale) in cui viviamo oggi, e che chiamiamo civiltà: a cominciare dalla sua strutturazione in forma di Sistema (e al suo assetto istituzionale) fino al contesto di valori, categorie e modi di vedere le cose che ne definiscono l’adattamento politico e sociale di tutte le sue parti funzionali, umane e non-umane.
Parli di “parti funzionali” invece che di soggetti viventi. Perché?
Perché da quando il Sistema esiste, ogni essere vivente non è più tale: è stato trasformato in qualcosa di utile al Sistema. Vive cioè non più per se stesso (e i propri cari), ma per garantire l’esistenza del Sistema. Prendiamo gli Umani, ad esempio. Nel mondo di oggi tutto quel che gratifica la nostra esistenza passa in secondo piano di fronte a quel che siamo invece chiamati a fare per consentire alla Megamacchina di funzionare. Quel che conta, oggi, non è l’amore, non è l’amicizia, non è la solidarietà e nemmeno la capacità di immedesimarci negli altri; quel che conta è la produzione economica, la concorrenza del mercato, lo sviluppo, il progresso, l’innovazione tecnologica… Conta cioè tutto quel che serve per far vivere il Sistema, non noi stessi. Vale la stessa regola anche per gli altri esseri viventi: gli Animali non vivono più per loro stessi ma per far funzionare il Sistema, infatti vengono allevati, e cioè sradicati dagli affetti di una vita libera e selvatica per essere destinati allo sfruttamento a scopo produttivo, riproduttivo, consumistico, ricreativo o di compagnia; le Piante vengono abbattute a un ritmo sempre più forsennato per farne cose utili da smerciare, oppure sono costrette in serre o persino in ambienti del tutto artificiali privi di suolo organico e sole allo stesso fine; le Acque del Pianeta, usate per tutti gli scopi industriali possibili, sono costantemente deviate dai loro corsi naturali, costrette in dighe, canali artificiali, bacini innaturali e riempite di inquinanti perché è così che servono al Sistema; per i Minerali, stessa storia: strappati dalle viscere della Terra attraverso miniere, cave e giacimenti sono indirizzati anch’essi a obiettivi produttivi. È la medesima sorte che tocca anche ai Venti, alle Nuvole, al Sole, ai Moti Ondosi, alle Lagune, alle Paludi, alle Sabbie perfino… Nel mondo di oggi, insomma, tutto serve solo per far funzionare il Sistema. Siamo diventati tutti nient’altro che carburante del Sistema!
Quella che descrivi è una situazione desolante…
Proprio così. Accorgersi di questa condizione, dunque, è fondamentale. Anche perché siamo talmente sopraffatti da essa, e immersi nella sua logica allucinante, che non ci rendiamo conto di esserne trascinati ogni giorno di più. Veniamo progressivamente sbattuti fuori dal nostro universo naturale fatto di affetti, relazioni, gioie, desideri per essere posti in quello artificiale del Lavoro, dell’Economia, della Tecnologia e non diciamo nulla… Anzi, abbiamo cominciato a magnificare questo andazzo. Il risultato e una nostra continua auto-disumanizzazione: ormai noi individui inciviliti non ci parliamo più a voce, ci mandiamo messaggi su WhatsApp; non ci guardiamo più negli occhi, usiamo le webcam; non ci incontriamo più di persona, chattiamo o blogghiamo. Abbiamo smesso di giocare con i nostri cari e ora produciamo beni e servizi a ritmo continuo. Abbiamo smesso di amare e ora ci possediamo, ci “fottiamo” sessualmente. Abbiamo smesso di relazionarci col prossimo e ora siamo in guerra con tutti per conquistare (stima, fiducia, ricchezza) o per gestire (Umani, Animali, aziende, istituzioni). Nel mondo di oggi non ci è nemmeno più dato divertirci, perché noi inciviliti preferiamo sballarci: abbiamo cioè bisogno di sostanze dopanti per stare meglio; abbiamo bisogno di straziarci fino all’imbecillità per sentirci vivi; abbiamo bisogno di procurarci dosi sempre più abnormi di adrenalina per eccitare quei corpi svuotati di emozioni che ci portiamo addosso. Persino i contatti fisici si stanno drammaticamente esaurendo: non ci abbracciamo più, non ci accarezziamo più, non ci massaggiamo più, non ci tocchiamo più (nemmeno sensualmente). Se capita di sfiorarci per caso l’un l’altro, ci chiediamo scusa…
Come reagiamo da Umani di fronte a questo stato delle cose?
Reagiamo come fanno tutti gli altri Animali quando vengono messi in gabbia: stando male, e dunque procurando sofferenza a noi stessi o agli altri. E non è solo un modo di dire: ci sottomettiamo o imponiamo sottomissione agli altri; ci facciamo imbrogliare o imbrogliamo il prossimo; ci facciamo manipolare o manipoliamo noi per primi; ci facciamo schiacciare o schiacciamo i nostri simili; ci facciamo mutilare o mutiliamo. E quando i limiti della sofferenza raggiungono la soglia massima di sopportazione, impazziamo, diventiamo autistici o ci suicidiamo. Oppure commettiamo abusi, crimini, facciamo guerre, stermini di massa, genocidi… Quando si sente dire da certi giornalisti, filosofi, psicologi, politologi e altri recuperatori sociali che la specie umana sarebbe l’unica a far guerre intraspecifiche (e cioè tra membri della stesse specie) ci si dovrebbe immediatamente sentir presi in giro. Tutti gli Animali costretti in condizioni di cattività si fanno la guerra intraspecifica: le Vacche accalcate nei box claustrofobici delle stalle della grandi multinazionali della carne s’incornano tra loro; le Orche chiuse negli spazi angusti dei circhi acquatici si suicidano o si feriscono tra loro sino alla morte; gli Scimpanzé rinchiusi in gabbia diventano dispotici e totalitari oppure sottomessi e remissivi fino alla schiavitù; i Maiali si mordono la coda fino al dissanguamento finale; i Polli si beccano lacerandosi le carni fino ad uccidersi… La vita civilizzata, e cioè la vita in cattività, è una tortura per tutti. Dobbiamo cominciare a ribellarci a questa condizione di “espropriazione esistenziale”; dobbiamo cominciare a porre l’attenzione su quel che ci sta accadendo, cercare di comprender bene le cause originarie che l’hanno determinato e far convergere la nostra azione di resistenza su quelle cause: questo è il senso della Critica Radicale alla Civilizzazione.
Come spieghi invece che si possa giungere ad accettare una vita in cattività?
Perché la civiltà, attraverso le sue istituzioni, i suoi modi ideologicamente orientati di vedere le cose e le sue false forme di opposizione (politica, morale, filosofica, artistica, ecc.) ci avvezza quotidianamente ad accettare il mondo così com’è, qualunque esso sia. Si chiama appunto domesticazione. In condizioni di selvatichezza ogni soggetto vivo si ribellerebbe al fatto di essere messo in gabbia, ma grazie a questo potente lavoro di quotidiana manipolazione (l’addomesticamento), ognuno di noi lo accetta. Il costume, l’educazione, la scuola, la religione, l’etica, l’economia, la tecnologia, la scienza, la medicina, l’arte, i miti, i riti, la politica, in una parola sola la Cultura, e in una parola ancora più omnicomprensiva la Civilizzazione, sono appunto ciò che ci reclude progressivamente in questa Grande Gabbia dalle sbarre invisibili, e ci fa persino credere di essere liberi, emancipati, evoluti.
Come fare a spezzare le inferriate di questa gabbia?
Innanzitutto rendersi conto che siamo in gabbia. Perché appunto le inferriate non si vedono: sono state elevate dentro di noi, e non saremo mai in grado di vederle se non lo vorremo per davvero. Dobbiamo cioè essere disposti a riconoscere che, da quando esiste il Sistema, non siamo più individui liberi, bensì Animali d’allevamento: tutti cioè imprigionati nei nostri box di cemento armato (che si chiamano case, uffici, supermercati, città); tutti addestrati a restare in gabbia (e a ringhiare contro chi prova a ribellarsi); tutti strappati dal nostro ambiente naturale e trasformati alla stregua di quelle povere bestiole da reddito o da circo equestre che ben conosciamo. O, per ricorrere a una metafora ancor più mesta, tutti trasformati in quei bambinetti in divisa che, schierati in riga nelle grandi parate militari dei governi totalitari, sollevano a comando la bandierina del loro Paese per mostrare quanto sono contenti di essere irreggimentati.
Il primo passo da fare per liberarsi dalla civiltà è smettere di credere nella civiltà! Il secondo è riconoscere che in questa condizione di prigionia stiamo male, sempre peggio. Non ce ne dobbiamo vergognare. Non siamo stati noi ad aver creato questo macello, né ad esserci entrati volontariamente.
Se non saremo propensi a fare questi primi passi, nessun valico potrà mai essere affrontato. Al contrario, una volta riconosciuta la nostra condizione di cattività e la sofferenza che essa ci procura (che è appunto una sofferenza dovuta alle condizioni di prigionia, non alla nostra imperfetta natura umana – così come invece vuol farci credere la Psichiatria o la Medicina in generale), occorre provare a capire cosa ci tenga imprigionati. In questo senso diventa fondamentale cominciare a comprendere che l’Educazione, la Scuola, il Lavoro, l’Economia, la Tecnologia, la Scienza, la Medicina, il Potere, il Patriarcato e tutto ciò che postula, regge e perpetua questo mondo invivibile non è un dato di fatto assoluto e nemmeno una condizione neutrale, ma un insieme di sovrastrutture ideologiche che mira a mantenerci nella condizione in cui siamo nati: e cioè appunto in cattività, alla catena del Sistema.
In passato chi combatteva il sistema combatteva lo Stato, la Chiesa, la guerra. Oggi è cambiato qualcosa?
È cambiata la prospettiva di riferimento, oggi arricchita dalla capacità di contestualizzare tutte queste lotte in un ambito più generale e originario. In fondo, lo Stato, la Chiesa, la guerra non cadono dal cielo; esattamente come il Patriarcato, come la Scienza, la Tecnologia o lo Sfruttamento umano e non-umano, essi sono figli del processo di civilizzazione. E la civilizzazione non si fermerà da sola. Siamo noi che abbiamo la necessità di prendere coscienza del fatto che il modello di vita artificiale che è stato millantato come superiore a quello naturale (nel quale noi Umani abbiamo vissuto in perfetto equilibrio armonico col Pianeta per oltre 2 milioni di anni) si è in realtà mostrato essere una sciagura, un flagello. Infatti, tale modello artificiale (che chiamiamo appunto civiltà) in soli diecimila anni ci ha traghettato tutti fin sull’orlo di un precipizio: il Sistema è al collasso, e siccome esso si nutre di tutto ciò che esiste (Umani, Animali, Vegetali, Minerali, Elementi ed Energie della Terra), anche il Pianeta è giunto al collasso, e noi Umani con Lui. L’eco-socio-disastro, insomma, avanza a grandi falcate, e i sintomi esteriori di questa patologia (inquinamento, sfruttamento, straniamento, malessere esistenziale, mercificazione, consumismo, livore distruttivo e autodistruttivo, maschilizzazione del mondo, stupro, medicalizzazione della vita, sua macchinizzazione, ecc.) possono essere rimossi solo a patto che si rimuova la causa che li genera: e cioè la civiltà. È per questo che porsi con un approccio critico verso la civilizzazione significa riuscire a comprendere quanto essa si trovi a monte di ogni singola lotta specifica in cui ci si voglia impegnare per resistere a questo sfacelo.
Quali sono a tuo avviso i punti di contatto e quelli che invece separano concettualmente l’approccio antispecista da quello primitivista?
Anche la lotta antispecista è una di queste tante lotte specifiche che ci coinvolgono sul fronte della Resistenza a questo universo insopportabile, perché la classificazione del vivente in specie è funzionale solo al controllo del Vivente da parte del Sistema, non alla vita libera. Nessun Umano primitivo ha mai considerato gli altri esseri viventi come “altro” da sé, e questo perché ogni Umano sa che tutti siamo parti del Tutto, non elementi separati e classificabili, non specie. Ma occorre che la critica antispecista metta in discussione, in maniera sempre più chiara ed inequivocabile, anche la domesticazione in generale (non solo quella degli Animali), la reificazione di tutto il Vivente, l’alienazione umana, ogni possibile rigurgito antropocentrico di ritorno e, conseguentemente, la stessa nostra indotta attitudine a culturizzare sempre tutto ciò che è naturale (credendoci superiori alla Natura), altrimenti anche la più generosa disponibilità a cambiare le cose potrebbe facilmente ridursi all’affermazione di una nuova ideologia alternativa, spenta sul piano della sua capacità di stravolgere la nostra mentalità civilizzata e funzionale anzi alla perpetuazione del mondo così com’è.
Tu consideri la civiltà umana come “insanabile”: quali sono a tuo avviso le soluzioni alternative o sostitutive proposte dalla lotta anticivilizzatrice e primitivista?
Il Primitivismo non è un movimento alternativo, perché non si limita ad accettare la sostanza del mondo in cui viviamo proponendo solo di perfezionarlo un po’. Esso non ha nel cuore un mondo migliore, ma un mondo diverso! E cioè il mondo naturale e selvaggio che è sempre esistito prima dell’avvento della civiltà. Lottare invece per una economia sostenibile, per una tecnologia a basso impatto ambientale, per una energia pulita o per un potere buono, come fanno tutti gli alternativi, significa continuare a perpetuare un mondo artificiale (e cioè innaturale) fondato sull’Economia, sulla Tecnologia, sull’Energia, sul Potere, ecc.. Non saranno gli ossimori a salvarci. Credere che una banca etica sia diversa da ogni altra banca è una pia illusione che ci terrà avvinghiati alla logica del denaro, dello scambio equivalente, del ricatto economico e dell’usura (che sono l’anima di ogni Istituto di Credito, anche se targato “cooperativa finanziaria mutualistica”).
La civiltà è insanabile perché il suo sviluppo non è soltanto ciò che la crea e la sostiene ma, insieme, è anche ciò che la trasporta verso la distruzione di tutto e di tutti. E da questo cerchio chiuso se ne può uscire solo liberandoci dalla civiltà. Il Primitivismo non ha soluzioni ideologiche da proporre in sostituzione alla civiltà perché il Primitivismo non è una nuova ideologia. Esso è la critica di ogni ideologia. Quel che occorre fare è appunto cominciare a liberarci da tutte quelle sovrastrutture ideologiche che determinano il nostro agire culturizzato, così da poter ritrovare un’esistenza naturale, e cioè il più possibile in sintonia con la Natura e con la nostra natura di Umani. Se l’idea di riabilitare la nostra naturale condizione primitiva di Animali umani non ci risuonasse più nel profondo del cuore vorrebbe dire che avremmo già superato il punto di non-ritorno, e non sarebbero certo altre nuove balle ideologiche, altri nuovi messia da inventare o altri nuovi liberatori di professione da venerare a fare ciò che solo ognuno di noi può già cominciare a fare per se stesso e per gli altri per affrancarsi dalla morsa di domesticazione che ci sta uccidendo.
Sarebbe interessante comprendere quali siano le posizioni – tue e del movimento a cui fai riferimento – rispetto alla filosofia vegana.
Essere vegani è senza dubbio una scelta radicale, di giusta resistenza al mondo dello sfruttamento industriale della vita animale; tuttavia, io non parlo mai di “filosofia vegana”, perché penso che in questo modo si ponga l’accento sull’aspetto ideologico del fenomeno. Penso cioè che ridurre la scelta vegana ad una filosofia smorzi gran parte del suo potenziale “rivoluzionario”, perché ogni filosofia, in quanto ideologia, ci espone alla “competizione” con altre filosofie e all’affermazione di questa o di quell’altra in modo impositivo. Tanto è vero che oggi, il veganismo, perfettamente recuperato dal Sistema come movimento filosofico e di tendenza, è ormai diventato un fenomeno che anche McDonald’s riesce a sfruttare. Per non parlare poi dei nuovi alimenti veg che provengono dal mercato foodie americano. Ormai c’è una vera e propria invasione di startup veg che producono quelli che sono addirittura definiti “i cibi del futuro”: carne vegetale, gamberetti senza Gamberi, uova senza Uova, latte vaccino in provetta, ecc. (La multinazionale Hampton Creek, per esempio, sta combattendo una causa giudiziaria miliardaria negli Stati Uniti per l’uso del termine “maionese” alla sua salsa fredda composta con le sue “uova veg”, finanziate anche da Bill Gates).
Quel che penso io del veganismo, dunque, è che dovremmo avere il coraggio di andare ancora oltre. Tenerne nel cuore l’aspetto di “resistenza” al mondo fondato sullo sfruttamento animale, ma cominciare allo stesso tempo ad opporci anche a quello dello sfruttamento vegetale, minerale, delle Energie della Terra. Se siamo contrari all’allevamento degli Animali, come possiamo essere favorevoli all’agricoltura che è l’allevamento delle Piante? Solo perché i Vegetali ci assomigliano meno di quanto ci somigli un Maialino? Se così fosse mostreremmo un antropocentrismo e uno specismo di ritorno ancora più deleterio di quelli portati dalla cultura prevalente, perché saremmo proprio noi a propagandarli. In fondo, ciò che giustifica la nostra idea antropocentrica di allevamento animale o di allevamento vegetale (agricoltura) o di allevamento umano (educazione) è quel delirio di onnipotenza che ci fa credere di saper far meglio della Natura. È per questo che la pieghiamo continuamente al nostro potere. Fin tanto che questa perniciosa convinzione permeerà la nostra visione del mondo, essa continuerà ad accompagnare le nostre azioni di sfruttamento, degli Animali come di tutto il resto del Vivente (compresi noi stessi).
Puoi darci delle anticipazioni sulle tue attività future?
Attualmente sto lavorando alla preparazione del mio prossimo libro, che sarà scritto a quattro mani, insieme a John Zerzan. Poi, restano sempre vive le mie attività con le quali ho cominciato io stesso a percorrere la via di una progressiva liberazione dalla civiltà, cominciando appunto da quella che alberga dentro di me. Assieme ad un gruppo di persone molto motivate sull’argomento abbiamo creato a Modena un Collettivo Anti-civ, e ci stiamo occupando appunto di de-civilizzazione. Chi avesse interesse a saperne di più, o fosse intenzionato o intenzionata a collaborare, può scrivermi (il mio indirizzo mail è riportato sul mio sito web: www.enricomanicardi.it). Perché ogni collaborazione di resistenza che nasce e diventa possibile è un piccolo/grande colpo inferto alla stabilità di questo universo marcescente che corre verso la distruzione generalizzata.
Immagine in apertura: fotomontaggio di Enrico Manicardi dal titolo “NATURA MORTA… CIVILIZZATA” tratto dal retro di copertina del suo libro Liberi dalla civiltà (Mimesis, 2010).
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Trovo il tutto molto interessante e giusto. Iniziero’ ad approfondire. Grazie dell’informazione
Sarebbe interessante sapere una cosa: se secondo il primitivismo – che non ha nulla a che vedere con il veganismo o l’antispecismo tant’è che molti di loro mangiano animali – si possa davvero soddisfare la richiesta vegana senza nemmeno piccole agricolture sostenibili e naturali che pure esistono (vedi l’agricoltura sinergica ad esempio). O pensano, quei pochi primitivisti vegani, che tutti possano campare di radici, bacche e foglie, senza mai toccare un altro animale (cosa inoltre mai esistita storicamente).
ottima domanda, anche io me lo stavo chiedendo.
In pratica dovremmo tornare a vivere nelle caverne?
Grazie per i commenti che verranno girati all’autore dell’articolo per una eventuale risposta.
Cosa sarebbe questo sistema di cui parla tanto?quando nasce?e la civiltà? e che, le società primitive non erano forse esse pure una civiltà?Manicardi, come Zerzan, fondano le loro teorie sulla conoscenza errata della storia. Non è affatto vero che l’uomo ha smesso di vivere in armonia con la natura nel momento in cui ha scoperto l’agricoltura (queste sono le cose che si trovano nei libri sin dalle scuole elementari), perchè è ormai storicamente appurato che per diversi millenni, nel neolitico e anche prima, sono sopravvissute le cosiddette società gilaniche. Esse fondavano la propria esistenza sul culto della dea madre ed erano società che vivevano in armonia con la natura (natura e dea madre sono la stessa cosa), senza peraltro aver bisogno di autorità, gerarchie e discriminazioni varie.
Credo che nè il movimento anticapitalisto nè quello antispecista debba andare dietro questi tizi che onestamente possono solamente far ci deragliare con le loro assurde e insensate tesi pseudo-radicali.
Il superamento dell’agricoltura è un problema serio, fondamentale, considerando che le pratiche agricole usuali devastano miliardi di piccoli esseri che vivono nel suolo, devitalizzando pericolosamente il terreno… ma siccome sono esseri non blasonati e per nulla appariscenti, nessuno se ne cura, nemmeno gli animalisti: si preferisce mettersi la coscienza a posto immaginando erroneamente che chi mangia verdure non uccide, e invece, se la fonte è l’agricoltura che frantuma il suolo, non è proprio così (a maggior ragione se si usano tecnologie meccaniche e chimiche molto aggressive)… superare l’agricoltura significa ridurre il più possibile la frantumazione del suolo e l’aggressione alla sua innumerevole microfauna. Sul punto, alcuni primitivisti o simpatizzanti tali sostengono che la permacoltura (in versione veg, aggiungo io) potrebbe essere la direzione in cui lavorare per superare il paradigma violento dell’agricoltura: questo potrebbe diventare un ottimo terreno di confronto e di discussione, in modo costruttivo e non contrappositivo. Un’osservazione per quanto riguarda l’agricoltura nell’antichità: i libri di storia raggruppano sotto il termine “agricoltura” pratiche talvolta molto diverse; in certi casi, alcune pratiche premoderne in realtà erano molto più vicine alla permacoltura che all’agricoltura .
I microrganismi del suolo non appartengono al regno animale, descriverli come esseri senzienti è veramente assurdo.
Assurdo ugualmente è il tentativo di superare l’agricoltura, come dici tu e come dicono i primitivisti…ma dico scherziamo?indirizzarle verso degli ambiti più in sintonia con la natura, come per esempio appunto la permacultura (che è vera e propria agricoltura…. per esempio, per quanto non legata alla permacultura, la tecnica di lavorazione su terreno sodo è una tecnica appartenente anche all’agricoltura classica) è un conto, ma parlare di superamento vero e proprio è una vera e propria stupidaggine (come definirla in altro modo) che non fa altro che ridicolizzare l’intero movimento ecologista e antispecista.
oltre ai microrganismi ci sono anche molti animali, insetti ma anche mammiferi, che vivono nel suolo. e di certo non bisogna mancare di rispetto a piante e batteri solo perchè non sono animali… per il resto concordo, la permacultura (in chiave vegan) è un ambito estremamente interessante che va esplorato e sperimentato su piccola, media e larga scala.
A rigore, un antispecismo coerente dovrebbe prendersi cura, almeno idealmente, di tutte le specie, e non solo di alcune: forse che il regno animale, o gli esseri considerati senzienti, sono enti raccomandati rispetto ad altri? Magari perché più simili a noi? Questo significherebbe ricadere in prospettive antropocentriche! Quanto alla permacoltura, essa dovrebbe privilegiare un’ampia varietà di piante perenni, o che comunque tendono a riprodursi spontaneamente, riducendo al minimo la lavorazione del terreno e quindi l’aggressione alla “microfauna”: l’agricoltura invece si è mossa nella direzione opposta, privilegiando pochissime piante annuali e incrementando la lavorazione del terreno con mezzi sempre più potenti; tra l’una e l’altra non c’è continuità, ma una sostanziale discontinuità. Non occorre essere anarcoprimitivisti, per auspicare il superamento dell’agricoltura, cioè di pratiche agricole molto aggressive verso gli abitatori del suolo, e oggi sempre più antiecologiche, antieconomiche ed “inefficienti” in termini energetici, quindi dispendiose.
Veramente, qui si cade nel ridicolo…siamo antispecisti e non antiregnisti, ovvero riteniamo tutte le specie animali portatrici di diritti naturali (diritto a vivere come indica la loro natura appunto..diritto a cercare il piacere e rifiutare il dolore e la sofferenza…). Tutte le specie animali e non tutti gli esseri viventi, altrimenti dovremmo anche rifiutarci di mangiare verdure e persino la frutta. Equiparare la vita di un microrganismo del terreno ad un agnello sgozzato a pasqua serve solamente a ridicolizzare le lotte di chi si batte in favore di quest’ultimo.
Sulla permacultura scadi ugualmente nel ridicolo…bisogna privilegiare le piante perenni che si riproducono spontaneamente? moriremo tutti di fame se la nostra economia dovesse basarsi su questo; inoltre la permacultura non rifiuta certo la coltivazione delle piante erbacee, mentre le piante arboree sono comunque piante innestate..che necessitano quindi un minimo di gestione per esempio con la potatura…mi spiace, il mondo che hai in testa esiste solo nella tua fantasia e se pure fosse fattibile non credo ti piacerebbe molto…
innanzitutto, danneggiare il terreno con l’agricoltura equivale a danneggiare la casa di animali che dovremmo rispettare… quindi anche in un’ottica prettamente antispecista va ricercata una forma di agricoltura più sostenibile.
seconda cosa, anche le piante – a modo loro – sono senzienti. non vuol dire che sentono COME gli agnelli, ma di certo in modo diverso hanno una senzienza. è anche dimostrato scientificamente. significa che bisogna smettere di mangiare qualunque cosa? certo che no. anche noi siamo animali e abbiamo diritto alla vita. la vita si ottiene solo a scapito di altre vite – animali o vegetali -, siccome siamo eterotrofi e non autotrofi (e anche le piante uccidono altre piante se non altri animali nella copetizione per le risorse, comunque). diventando vegani scegliamo semplicemente di praticare uno stile di vita che abbia un impatto minore possibile sulla vita degli altri salvaguardando comunque il nostro diritto a vivere – e in salute. mi sembra lineare. non ci vedo particolari problemi, né mi trovo costretta a fare finta che piante, batteri o funghi non abbiano alcun diritto per convivere col fatto che la mia esistenza causi a loro dei danni (come la loro esistenza causa a me dei danni). se vuoi perseguire l’impatto zero hai due strade: o ti illudi che solo gli animali possano subire un impatto e abbiano dei diritti, oppure ti suicidi. molto meglio comprendere che l’impatto zero non esiste e fare comunque del nostro meglio.
Stamattina ho falciato un pò d’erba; nelle settimane precedenti ho potato qualche albero…dovrei sentirmi in colpa per non aver rispettato quelle piante o per aver danneggiato l’habitat di diversi microbatteri o insettini (di cui peraltro si vanno a nutrire immediatamente gli uccelli)?povero microbatterio morto ammazzato….
… vabbè, diventiamo respiriani e non se ne parla più!:)
vedi tu se sentirti in colpa o no, ciascuno di noi ha le proprie uniche ed individuali reazioni emotive. ma mi sembra il minimo conoscere e riconoscere gli altri per ciò che sono, senza sminuirli solo perchè vivono in un ordine di grandezza più piccolo del nostro.
Io non sminuisco la vita delle piante, ma non possiamo equipararle a quella degli animali dotati di sistema nervoso, a meno che non si voglia scadere nel ridicolo…
Certamente, se volessimo rimanere attaccati alla linguistica del termine “antispecismo”, dovremmo considerare questa filosofia e pratica come volte alla salvaguardia di tutte le specie, quindi anche quelle non senzienti (a ancora tali in base alle conoscenze), e a quelle vegetali. Inoltre questo sarebbe auspicabile anche oltre l’aspetto prettamente antispecista. Però, d’altro canto, il termine “specismo” è stato coniato da Ryder dando ad esso un’accezione ben precisa; di contro, dunque, anche l’antispecismo dovrebbe avere, seguendo l’idea originaria, un aspetto circoscritto: la pari considerazione di tutte le specie animali.
Sicuramente l’ampliamento delle prospettive è molto importante, magari destrutturando e allargando gli scopi dell’impostazione originaria dell’antispecismo. Ad ogni modo non va assolutamente considerato un essere senziente al pari di un essere non senziente: non lotterò mai per la salvaguardia di una montagna in quanto sé stessa, a differenza invece di quanto farò per qualsiasi altro essere senziente. Lotterò per la tutela della montagna perché in quell’habitat ci sono popolazioni da salvaguardare e per amore dell’ecologia e degli ambienti naturali. Voglio dire che distruggere una pietra non è aberrante per la pietra, se questa non fosse un habitat per delle specie animali (ad esempio i granchi); ma sfruttare animali senzienti è sempre aberrante a prescindere. Questa è la differenza tra la tutela incondizionata degli esseri senzienti da quella per i non senzienti.
Paragonare tutte le vite solo per essere vive, perché non paragonare un embrione ad un adulto, e dunque battersi contro l’aborto?
Io mi batto incondizionatamente per la tutela ecologica in quanto questa è necessaria per la vita mi milioni di esseri senzienti. Una piattaforma petrolifera in mare è distruttiva per milioni di specie animali, non per l’acqua in sé che è un elemento passivo (anche se attivo in rapporto e funzione di milioni di specie). In questo senso, togliere strappare una pianta non è la stessa cosa di sfruttare qualsiasi altro essere senziente.
Abbattere un albero è così distruttivo perché inevitabilmente, da quano esiste vita sulla Terra, distrugge l’habitat di specie senzienti, ma se per assurdo (cosa impossibile) quell’albero non fosse l’habitat per degli esseri senzienti, la distruzione di quell’albero non rappresenterebbe una minaccia. Così, staccare una pietra da un altra, è in sé qualcosa di non distruttivo.
Per quanto riguarda l’agricoltura, a quanto pare, siamo un po’ tutti d’accordo su un fatto: quella massiva, estensiva, intensiva e chimica non è la strada giusta. Virare verso metodi di coltivazione di piccole dimensioni, prevalentemente per l’autosufficienza personale e famigliare, come le coltivazioni naturali, non solo possono rappresentare il giusto compromesso, ma anche dare un aspetto creativo del rapporto tra noi animali umani con il resto della natura. Non va infatti dimenticato che anche noi siamo parte di questa natura, di questa Terra e di questo mondo: non essendo in grado di vivere di fotosintetizzarci, dobbiamo necessariamente vivere di vegetali. Posto che il primitivismo non può essere la soluzione (non si riuscirebbe a vivere senza sfruttare altri animali con la sola vita di raccolta), la coltivazione, ripeto naturale e di piccole dimensioni (permacultura e sinergica fra tutte), rappresenta, a miomodo di vedere, la giusta strada da perseguire.
attenzione: gli animali sono considerati senzienti perchè la scienza umana ha deciso così – su parametri totalmente antropocentrici. le piante, i batteri, tutto ciò che è vivo deve per forza essere senziente… perchè se non avesse alcuna coscienza di sé e del mondo che lo circonda, non potrebbe sopravvivere. le piante sentono il sole, l’acqua, la consistenza e il pH del suolo, l’attacco di altre piante o di animali, e reagiscono a queste sensazioni in modo piuttosto evidente. se per “senziente” invece intendi capace di provare dolore propriamente detto, ok, allora solo gli animali forse sono capaci – e forse nemmeno tutti. ma questa prospettiva painista personalmente non mi trova per nulla d’accordo.
Le piante non hanno sistema nervoso, gli animali sì. Questo è un fatto incontrovertibile, non si può quindi equiparare la vita di una cicoria a quella di un agnello. Le tue argomentazioni, oltre che risibili, sono un tremendo assist allo specismo!
senziente vuol dire dotato di sensi. vuoi dirmi che l’unico senso è quello del dolore? ho fatto esempi molto specifici: percezione di luce, calore, umidità, pH, danni, altre piante… non ho equiparato una lattuga ad un’aragosta, se hai capito quello o non hai letto bene, o hai deciso che per te è più comodo capire così. magari pensare che le piante siano una sorta di macchina cartesiana ti fa sentire meglio? bè, non lo sono. sono organismi senzienti. che noi mangiamo. perchè siamo animali eterotrofi che hanno bisogno di nutrirsi. dove sta il problema scusa?
Vabbè, diventiamo respiriani così non avremo sulla nostra coscienza la morte di centinaia di microbatteri…
dire “bisogna avere rispetto per tutti, anche per gli altri viventi che non appartengono al regno animale o non sono mammiferi, fermo restando che l’impatto zero non è perseguibile e che quindi una certa forma di sfruttamento agricolo è necessario con tanto di involontarie uccisioni animali annesse e connesse” è proprio uguale a dire “anche le carote soffronoooohhh”. mi sembra chiaro. vai pure avanti a fare il sarcastico, io non ho più voglia di ripetermi oltre.
Chi ha mai detto il contrario? deve’essere però ben chiaro che la vita dei vegetali e degli animali non hanno lo stesso valore (es. sono contrario alla TAP del Salento, tuttavia non avrei nulla da ridire se un ulivicoltore decidesse di estirpare un proprio ulivo).
eh.. io invece, qualunque sia la ragione, provo un enorme senso di orrore a veder abbattere una creatura centenaria come un ulivo… o una quercia… ecco, non penso che si possa reclamare la proprietà di un essere vivente nato ai tempi di carlo magno :)
ma in generale, la proprietà di un altro essere vivente è un concetto che mi disturba.
” Le tue argomentazioni, oltre che risibili, sono un tremendo assist allo specismo!”
se vuoi combattere lo specismo con una graduatoria di esseri viventi meritevoli o meno di sfruttamento – sulla base di un parametro prettamente antropocentrico (percepisce il mondo in modo simile a noi? ha un sistema nervoso simile al nostro?) fai pure. secondo me è un clamoroso errore di valutazione.
e comunque meno male che gli antispecismi non sono tutti uguali. se c’è una forza in questo movimento, è proprio la sua vitalità e le differenze che lo animano. l’omologazione è la morte di ogni pensiero.
Se io sfalcio un pò d’erba oppure zappetto il terreno per metterci due pomodori non sto sfruttando niente e nessuno. Io sono antispecista, tu vai oltre verso una sorta di ridicolo antiregnismo….contenta tu…
Gli specisti cercano di farci cadere in contraddizione proprio equiparando provocatoriamente tutti gli esseri viventi, siano essi animali o vegetali…poichè noi ci nutriamo di vegetali, a cui evidentemente togliamo la vita, loro si sentono in diritto di toglierla ai bovini, maiali o altri animali…
Ecco perchè fornisci loro un incredibile assist…
Ma allora non potremo mangiarci nemmeno una carota che è pur sempre un essere vivente…
Capisci che è insensato?vabbè, finiamola qui.
mi sembra di aver spiegato il mio punto di vista più di una volta, e di certo non parlo di non mangiare carote.
Vivere significa esercitare comunque un qualche impatto sugli altri esseri: quello che possiamo fare, è cercare di ridurlo il più possibile, come dice “azza”, invece di moltiplicarlo a dismisura. Chiaramente, questa etica del rispetto deve rivolgersi non solo verso gli animali, ma anche nelle altre direzioni, montagne e pietre comprese: perché nessun ente può essere considerato un semplice mezzo, a disposizione dell’ente privilegiato, in genere l’uomo, che avrebbe chissà quale diritto di manipolazione illimitata! La logica antropocentrica del dominio funziona proprio così: taglia il mondo in 2, da una parte il soggetto dominatore, dall’altra l’ampio e variegato mondo dei dominati, ridotti a semplici strumenti a disposizione; per giustificare tutto questo, il soggetto dominatore, invece di autolimitarsi nel suo agire, inventa delle fabulazioni che hanno lo scopo di legittimare a buon mercato la sua pressione sugli altri esseri. La differenza tra le varie forme del dominio sta nel modo di tracciare la linea divisoria tra gli enti raccomandati e quelli considerati inferiori, sulla base di motivazioni inevitabilmente pretestuose.
Povera pietra oppressa dalla cultura antropocentrica, d’ora in poi starò attento a calpestarle…
Comunque Manicardi o chi per lui dovrebbero spiegarci cosa intendono per civiltà, civilizzazione e Sistema. Grazie.
“la fauna del suolo costituisce una componente essenziale per mantenere i delicati equilibri del suolo e la sua fertilità”.
“Alle radici dell’agricoltura” di Gigi Manenti e Cristina Sala. (Libreria editrice Fiorentina).
La permacoltura và di moda, ma c’è di meglio.
A proposito di carote, pietre, lombrichi e animali…
Il mondo, da un certo punto di vista, è un posto terribile: per vivere, dobbiamo comunque esercitare un impatto sugli altri esseri! Questo problema ha tormentato notevolmente le coscienze di molti saggi dell’antichità, molto meno dei moderni, che credono di essere più furbi, ma sono solo spregiudicati e privi di compassione. Siccome il mondo è un abisso di dolore, la cosa più sensata che possiamo fare, è cercare di ridurlo il più possibile; veganesimo e antispecismo, ma non solo, cercano di andare, giustamente, in questa direzione (anche se gli argomenti che usano non sempre sono i migliori): benissimo, ma la cosa non finisce qui, cioè nel confine delle specie animali più blasonate, perché resta comunque un impatto devastante su moltissimi piccoli esseri e moltissime specie non considerate. Di fronte a queste evidenze, molti fanno spallucce, oppure inventano argomentazioni ad hoc per cercare di giustificare il fatto che i lombrichi si possono uccidere (mica lo facciamo apposta!), le carote si possono mangiare senza alcuna remora e le pietre si possono frantumare… Le uscite peggiori sono quelle di coloro che pretendono che tutti questi esseri siano originariamente destinati ad essere semplici strumenti finalizzati a noi… per cui va bene così!! [Antropocentrismo di ritorno, e neanche tanto forbito]. Meglio evitare l’ipocrisia, ammettere gli aspetti tragici e dolorosi dell’esistenza cosmica, e porre seriamente e costruttivamente il problema di ridurre il dolore cosmico, di ridurre l’incidenza sugli infiniti esseri: per es. tramite modi meno aggressivi di procurarsi il cibo (ogni progresso è il benvenuto, permacoltura veg o altro), mangiando in modo moderato ed “efficiente” (cioè in basso lungo la catena alimentare, perché comunque si impatta molto meno), contenendo l’antropizzazione (ci siamo già appropriati di troppa natura)… Ciò nonostante, è evidente che restiamo in forte debito nei riguardi della vita cosmica e dei suoi innumerevoli abitatori (grandi, piccoli, invisibili): per questo gli antichi, o meglio le saggezze cosmocentriche, onoravano la natura nel suo insieme, così da richiamare l’attenzione su questo complesso intreccio, per certi versi meraviglioso, e per altri intriso di dolore. La consapevolezza così raggiunta e costantemente evocata induce all’umiltà, al riconoscimento dei nostri limiti intrinseci e della nostra perenne dipendenza da innumerevoli fattori, verso i quali abbiamo un obbligo di riconoscenza, di cura e di rispetto, senza facili alibi e per quanto ne siamo capaci. Alcuni l’hanno chiamata “etica della compassione cosmica”.
Che dire?
Ho letto solo ora l’articolo (che mi era sfuggito ahimè) e pure tutti i commenti con relative )ed ovvie) giuste polemiche.
Addentrarsi troppo nel tema in discussione non mi pare molto producente, anche perchè affronta approcci alquanto poco coerenti con l’attuale presente. Tipo: non sono assolutamente daccordo sulla critica all’allevamento Umano alias educazione, equiparata quindi all’allevamento intensivo o all’agricoltura. C’è una bella differenza tra civilizzazione ed apprendimento culturale. Se siamo qui a discutere di questi argomenti, compreso il sig. Manicardi, bè…lo dobbiamo certamente all’evoluzione che ci ha permesso di parlare e dialogare tramite scritture e fonemi.
Che poi il capitalismo recente abbia creato un apocalisse annunciata mi sembra piuttosto evidente anche senza ideologie primitiviste.
Lo sfruttamento del suolo, dell’acqua, dell’aria, delle rocce e minerali è direttamente consequenziale dell’evoluzione della tecnica, anche se già gli antichi egiziani spostano enormi blocchi di massi per costruire piramidi con conseguente predazione di terra e relativi microorganismi (Animali compresi). Quindi non certamente con la civilizzazione moderna siamo diventati violenti o assassini, lo eravamo già in passato. Piuttosto il consumismo ci ha reso sicuramente psicotici e deliranti, ma il difetto è intrinseco non derivato da marketing.