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Alcune riflessioni in occasione del Giorno della Memoria
« (…) Eichmann non capì mai quello che stava facendo. E non era uno stupido, era semplicemente senza idee, una cosa molto diversa dalla stupidità. E proprio quella mancanza di idee lo predisponeva a diventare uno dei maggiori criminali del suo tempo, perché la mancanza di idee, la lontananza dalla realtà, possono essere molto più pericolose di tutti quegli istinti malvagi che si crede siano innati nell’uomo. È stata questa la lezione del processo di Gerusalemme.»
Hannah Arendt, La banalità del male
Così scriveva Hannah Arendt e da queste illuminanti considerazioni si potrebbe tentare di comprendere il perché dei nostri spietati comportamenti non solo nei confronti dei nostri simili, ma soprattutto degli Animali. Consideriamo la tragedia del nazismo (che ha coinvolto non solo le persone umane ebree, ma questo pare lo si dimentichi molto spesso) e della soluzione finale come mostruosità del passato, ma la quotidianità dei nostri gesti è profondamente intrisa di crudeltà, di violenza e di ingiustizia perpetrate nei confronti degli altri Animali che divengono schiavi, cibo, indumenti, oggetti, profitto, vittime senza che chi beneficia di tutto questo strazio si renda conto della reale gravità di ciò che commette.
Il nazista Eichmann che organizzo la “soluzione finale” non era un mostro, non era uno psicopatico, era una persona umana “normale”, un individuo qualsiasi che, coinvolto nel potente ingranaggio di sistematico annientamento programmato enormemente più grande di lui, ha eseguito con solerzia e disciplina delle direttive, ha tenuto dei comportamenti che la società nazista gli aveva insegnato essere giusti, normali. Normali, banali come mangiare un pezzo di carne, o indossare un maglione di lana, o calzare delle scarpe di cuoio. Normali come acquistare dei farmaci. Non è necessario sconfinare nella profonda malvagità che la nostra specie è capace di esprimere, non serve spingersi al sadismo della caccia, o alla crudeltà di chi si diverte a torturare gli Animali, basta semplicemente considerare la superficialità con cui svolgiamo i nostri compiti assegnatici dal sistema in cui viviamo, alle consuetudini, alle abitudini e tradizioni che accettiamo acriticamente e perpetuiamo, senza pensare nemmeno per un attimo che esse significano la sofferenza e la morte di milioni di esseri senzienti innocenti che esistono al di fuori della nostra sfera di interesse, della nostra vita e che non vediamo se non a pezzi, o sotto forma di oggetti o di estranei.
La banalità del male così ben descritta da Arendt non è un evento storico e storicizzato, è presente e insita nella nostra quotidianità: con essa si ripete e si perpetua senza soluzione di continuità e ciò perché supinamente accettiamo che sia così, perché è fin troppo lieve e semplice adeguarsi senza sentire sulla nostra pelle la sofferenza altrui. Siamo persone umane “normali” e compiamo crimini efferati in circostanze che ci sollevano dal dovere morale di percepire che agiamo facendo del male, ma ciò non può divenire né un alibi, né una scusa, è solo una nostra terribile colpa.
Così facendo ci trasformiamo in un esercito di Eichmann pronte/i a obbedire e a eseguire, scaricando le nostre responsabilità su qualcosa che è più grande di noi e contro il quale non possiamo né vogliamo combattere. Senza vergogna e senza rimorsi: siamo tutti Eichmann.
Adriano Fragano
Hannah Arendt (1906 – 1975), filosofa, allieva di Heidegger e Jaspers, emigrata nel 1933 dalla Germania alla Francia, e da qui in America nel 1940, a causa delle persecuzioni razziali, dal 1941 ha insegnato nelle più prestigiose università americane, pubblicando alcuni tra i più importanti testi del Novecento sul rapporto tra etica e politica. Nel 1961 segue, come inviata del The New Yorker, il processo Eichmann a Gerusalemme: il resoconto esce prima sulle colonne del giornale nel 1963, quindi, sempre nello stesso anno, in volume. Esso susciterà una grande ondata di proteste e una accesa polemica soprattutto da parte della comunità ebraica internazionale, a causa della particolare lettura che la Arendt, ebrea e tedesca, dà al fenomeno dell’Olocausto e dell’antisemitismo in Germania.
Otto Adolf Eichmann (1906 – 1962) fu colui che, nei quadri organizzativi della Germania hitleriana, ebbe il ruolo di realizzare logisticamente la “soluzione finale”, cioè lo sterminio degli ebrei al fine di rendere i territori tedeschi judenrein. Sfuggito al processo di Norimberga, rifugiato in Argentina, venne catturato dal servizio segreto israeliano, processato a Gerusalemme e condannato a morte.
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L’ignoranza provoca più vittime della cattiveria.
Assolutamente vero
Purtroppo è la verità: siamo tutti degli Eichmann, ma che dire di quelli che hanno istruito Eichmann (e con lui milioni di altri tedeschi), che hanno ordito il piano “soluzione finale”? A cosa pensavano, o meglio, è possibile ipotizzare che fossero schizofrenici?
Certo noi abbiamo la colpa, terribile, di essere superficiali, di non voler comprendere neppure ascoltando o vedendo il risultato del nostro stile di vita, di voltare con comodità la testa dall’altra parte; ma il corso degli eventi, la desensibilizzazione dei cervelli, non è studiata a tavolino per scopi subdoli come il profitto? E se sì, queste persone che perpetrano piani di conquista dei mercati infischiandosene di tutto e tutti, non sono forse più responsabili delle masse che si adeguano, si svuotano di spirito critico, di idee e fanno il lavoro sporco?
Io penso di sì, ed allo stesso modo, gli artefici della “soluzione finale del Terzo Reich”, sono da considerare il male estremo che diramandosi creò Eichmann.
Purtroppo non rimane che una tristezza infinita in queste considerazioni, nella “banalità del male”, nel constatare che è praticamente impossibile snidare l’empatia, se ve n’è rimasta, insita in ognuno di noi, ove ancora non si è manifestata, nonostante le nostre insistenze, le argomentazioni accurate.
Non che si debba mollare, certo che no! Ma la trovo una cosa molto triste e desolante.
Proseguendo la riflessione di Roberto, dove origina il male che Eichmann ha messo in atto per mancanza di spirito critico, per la sua banalità? Nel libro della Arendt arriva da Hitler, una sorta di fonte di malvagità. Una fonte che però non è individuabile nello specismo e in quelle altre ingiustizie che permeano le nostre società. Qui siamo marionette nelle mani delle consuetudini sociali e non nelle mani di hitler o dei suoi gerarchi.
Il lavoro che ognuno deve fare su stesso è continuo ed impegnativo, non basta leggere un libro se pur interessante come quello di Hannah, non basta avere una vita sociale piena, avere un buon lavoro o essere altruista. Bisogna tenere in considerazione tutti gli aspetti, da quello psicologico, tecnico professionale, socio culturale, spirituale o religioso… e non ultimo il nostro rapporto con la natura, gli animali e il nostro corpo. E’ richiesta la massima consapevolezza e una purificazione continua dalle “scorie” che ci appesantiscono le quali ci rendono acritici, amorali, apatici, paurosi, manovrabili o violenti carichi di odio e di rabbia, in sostanza quelle persone “normali” che Hannah menzionava, che pensano di non dover mettere mano alle loro abitudini, forme pensiero, di chiedersi cosa stanno facendo o chi sono, non se lo chiedono proprio, perchè per loro è normale quello che sono e quello che fanno e perchè costa una fatica enorme occuparsi degli aspetti suddetti e intanto gli orrori nel mondo abbondano!
Hanna Arendt è stata sicuramente uno spartiacque nella vicenda della Shoa e la lettura delle sue opere è imprescindibile per chi si voglia occupare di questo problema. Purtroppo ha ragione ma viene criticata perché costa fatica ammettere che anche la persona apparemente generosa, caritatevole, mite, quando si siede a tavola o si veste è Eichmann. Nessuna persona accetta di essere accusata di un delitto, se non lo ha commesso, ma trascurare di esserne il mandante tutti i giorni della propria vita è proprio “banale”.
Giuste considerazioni! “Siamo tutti Eichmann”.
Ogni giorno accettiamo determinate regole, uno status sociale indotto da un sistema politico-economico-finanziario-capitalista e corporativo a cui noi tutti, uomini e donne borghesi, siamo indistintamente legati fin dalla nascita, e che ci accompagna per tutta la vita, fino alla morte. Condizionamento e schiavitù inconsapevole.
La maggior parte delle persone non agisce per proprio conto, in autonomia, ma con stimoli esterni. Dogmi religiosi, ricorrenze e tradizioni sociali, falsi miti, marketing…un insieme di induzioni che nel corso del tempo hanno radicalizzato un intera società perbenista, a tratti insofferente ai cambiamenti, soprattutto se rivoluzionari. Una politica conservatrice molto forte ha costituito menti sempre più soggiogate da punti di riferimento corrotti e collusi. Il denaro, in quanto mezzo di scambio utile per ottenere beni materiali, è stato istituzionalizzato come unica ricchezza necessaria a soddisfare bisogni definiti “primari” da un industria speculatrice. Essi hanno contribuito a costituzionalizzare un consumismo sfrenato di massa. Educati e ben istruiti, per vivere condizionati in uno stato di libertà collettiva apparente. Il singolo individuo, oggi…non ha più importanza. A livello globale l’indicatore ufficiale di benessere è diventato il prodotto interno lordo delle nazioni. Poco importa se esso è costituito in gran parte da produzioni non etiche, o comunque non efficienti a determinare la reale felicità e soddisfazione delle persone. Industria bellica, medica, farmaceutica, chimica…insieme a forze di polizia urbana e militare, sistemi di sorveglianza ecc. ecc…fanno parte di un settore non strettamente legato al benessere degli individui. Eppure tutte queste produzioni sono molto remunerative a livello globale. Gli Stati Uniti sono i principali detentori di tali attività. Non a caso le varie guerre sparse per il mondo, sono appunto una fonte particolarmente ghiotta per il capitalismo moderno. Molte di queste guerre sono finanziate in maniera illecita da banche criminali o comunque appartenenti ad un sistema monetario internazionale. E che dire della produzione di oppiacei generatrice di un indotto senza precedenti. O addirittura come non sottavalutare i finanziamenti generati da ricostruzioni cittadine in zone di conflitto? Tutto genera profitto, e tutto genera capitalizzazione di denaro, che crea altro denaro in un vortice infinito di interessi più o meno legittimi.
C’è chi afferma che il male umano non sia genetico, ma derivante dall’ambiente in cui un individuo nasce, cresce ed opera. Questo concetto è prettamente umano (ma non si può escludere un coinvolgimento anche in altre specie viventi, infatti un Animale percosso ripetutamente tende ad uccidere il suo seviziatore) e stabilisce appunto che un killer o uno sfruttatore non sia nato malefico, ma lo sia diventato in base ad un influenza esterna dannosa, come può essere per esempio una violenza fisica o psicologica, peggio se infantile, o un induzione molto forte legata a concetti radicali a volte anche estremisti, come è appunto il fanatismo religioso o ideologico.
Stessa cosa dicasi a questo punto per chi effettua materialmente l’uccisione legale degli Animali. Non lo fa perchè è nato violento, bensì perchè è circuìto da un sistema-ambiente-capitalista che lo costringe indirettamente a farlo. Uccidere per ottenere profitto.
Le considerazioni fatte nei vostri commenti sono molto importanti e complesse.
Un elemento che si dovrebbe affrontare è non solo il fatto che la non consapevolezza, l’egoismo, la banalità e la normalità a cui ci abitua la società umana in cui nasciamo, cresciamo e viviamo ci trasforma in potenziali Eichmann; ma anche l’idea che la nostra indifferenza e lontananza dalle esigenze altrui, dalla vita altrui, ci rende facili prede per chi coltiva consapevolmente e criminalmente stragi come quelle naziste, o come quelle che compiamo contro gli Animali. E’ vero: siamo tutte/i Eichmann, la colpa è nostra, il lavoro di consapevolezza da fare è enorme, ma c’è sempre (e sempre ci sarà) un Hitler pronto ad approfittare della mediocrità delle nostre posizioni per perseguire i suoi scopi. Gli Hitler sono umani, come noi, sono persone capaci di concepire e attuare progetti mostruosi e capaci di sfruttare l’acriticità altrui per influenzare, convincere e ottenere legittimazione. Sicuramente “il male” di cui parliamo ha radici sociologiche, storiche, culturali, ma non dobbiamo mai dimenticare che la situazione in cui viviamo siamo noi che l’abbiamo creata. L’idea di civiltà che oggi abbiamo, è il risultato di un lunghissimo e lento processo storico che ha da qualche parte avuto origine e quella origine è parte di noi. Questo “male” che condanniamo è in estrema sintesi parte di noi come specie e come individui, rappresenta una componente antropologica da non sottovalutare, perché tutte/i siamo potenzialmente capaci di atti mostruosi.
L’antidoto al nostro “male” può essere la creazione di un ambiente sociale e culturale lontano dalla violenza, dalla volontà di dominio e di sopraffazione in cui le giovani generazioni umane possano crescere coltivando ciò che abbiamo di positivo, insomma coltivando l’animalità nella sua unica accezione possibile: quella positiva.