Il Piccolo Principe: pedagogia del dominio


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Antoine de Saint-Exupery fa incontrare il Piccolo Principe con una Volpe che incredibilmente gli chiede di essere addomesticata. Una Volpe umanizzata che autolesionisticamente offre la propria libertà e la propria dignità di essere selvatico al piccolo Umano. Addomesticare vuol dire creare legami secondo l’autore, in realtà significa solo sottomettere, controllare e dominare; ma tutto ciò non compare nel dialogo tra i due: l’addomesticazione è spacciata come creazione di un legame esclusivo, importante, intimo e condiviso. Nulla di più falso.
Le favole e i racconti per bambini sono molto spesso veicolo di concetti specisti e violenti, atti a creare una vera e propria pedagogia del dominio, abituando e istruendo i più piccoli a essere ingiusti, insensibili e spietati nei confronti degli Animali: la proposta della Volpe, il suo atteggiamento bonario nei confronti dei cacciatori, la sua visione del mondo, il rito, le rose e i bruchi uccisi con noncuranza dal Piccolo Principe sono degli esempi eclatanti. Almeno le Rose “erano a disagio”.


Il Piccolo Principe

di Antoine de Saint-Exupery
Capitolo XXI

In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo… ”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “sei molto carino… ”
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, sono così triste… ”
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! scusa”, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire “addomesticare”?”
“Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe, “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe.
“Che cosa vuol dire “addomesticare?”
“Gli uomini” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “addomesticare?”
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire” disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”
“È possibile”, disse la volpe. “Capita di tutto sulla Terra… ”
“Oh! non è sulla Terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
“Su un altro pianeta?” “Si”.
“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?” “No”.
“Questo mi interessa. E delle galline?”
“No”.
“Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea:
“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano… ”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non ci conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Ci vogliono i riti”.
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “… piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi… ”
“È vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“È certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore… del grano”.
Poi soggiunse: “Và a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto”.
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente”, disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. “Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perchè è lei che ho innaffiata. Perchè è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparata col paravento. Perchè su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perchè è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perchè è la mia rosa”.
E ritornò dalla volpe.
“Addio”, disse.
“Addio”… disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripetè il piccolo principe, per ricordarselo.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa… ” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.


Testo tratto da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery, Oscar Mondadori, 2015.


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32 Commenti
  1. Good Bear ha scritto:

    Nonostante la critica che si può e si deve esprimere, “L’essenziale è invisibile agli occhi” è geniale. C’è da prendere in considerazione il fatto che il libretto è stato pubblicato per la prima volta nel 1943 e che, al tempo, di specismo ed antispecismo non se ne parlava, anche se già presenti da secoli.
    G.B.

    22 Settembre, 2015
    Rispondi
    • Cereal Killer ha scritto:

      Sicuramente è così Good Bear.
      Nessuno infatti afferma che il libro non sia bello e non contenga numerosi momenti lirici e emozionanti, il punto è che seppur si tratti di un testo destinato ad adulti, spessissimo viene fatto leggere ai bambini. Dialoghi come quello tra il Piccolo Principe e la Volpe, quindi, assumono un valore pedagogico rilevante e entrano a far parte dell’immaginario specista dei piccoli Umani.

      23 Settembre, 2015
      Rispondi
      • Valeria ha scritto:

        In questo capitolo é la volpe a spiegare al bambino i fatti della vita su questo pianeta perché venedo da altrove é inesperto.
        Si parla di legami e di amicizia, non di sopraffazione.
        Addomesticare viene qui inteso come avvicinamento l’uno all’altro, per diventare importanti l’uno per l’altro.
        E infatti il bambino dimostra di aver capito il concetto quando parla della sua rosa, un fiore, dicendo che la rosa deve averlo addomesticato.

        23 Settembre, 2015
        Rispondi
        • Cereal Killer ha scritto:

          Ciao Valeria,
          La Volpe di sicuro spiega al bambino i fatti della vita, ma non certo come intendi tu. Altrimenti non si capirebbe perché sminuisce la sua condizione dicendo che si “annoia” a essere semplicemente cacciata (quindi a dover rischiare una fine orribile tutti i giorni) o a dover cacciare, o perché chiede al bambino di incontrarsi regolarmente per fare in modo che lei perda la sua indole selvatica e si faccia addomesticare. Se l’autore intendeva parlare di legami d’amicizia lo ha fatto nel peggiore dei modi possibili, prendendo ad esempio pratiche crudeli e spietate che noi poniamo in essere nei confronti degli Animali. Il riferimento all’uccisione dei Bruchi da parte del Piccolo Principe per proteggere la “sua” Rosa, la dice lunga sul rapporto che l’autore aveva con gli Animali e la Natura, non credi?

          23 Settembre, 2015
          Rispondi
          • Matteo Calciano ha scritto:

            Vi ringrazio per lo spunto riflessivo. Concordo sul fatto che l’autore non sia pienamente cosciente dei limiti dell’uomo.
            Tuttavia penso che la volpe dica che si annoia a venir cacciata perché accoglie con rassegnazione una routine inevitabile; dunque è stufa, ma deve accettare e alla paura si sostituisce la frustrazione, addolcita in noia. L’intero libro ha un clima trasognante e vengono usate espressioni tenui perché per bambini: come se niente fosse, nel finale il piccolo principe, per tornare dalla sua rosa, si fa uccidere. Come se niente fosse.
            Inoltre: vorreste impedire alle volpi di cacciare? Adesso pare un disegno attuabile, ma è stato detto che erano gli anni ’40.

            Ovviamente è un libro imperfetto e sui bruchi sono d’accordo con voi: è giusto spostarli su piante di cui non voler avere cura, piuttosto che ucciderli. Ma non credo sia cattiveria, bensì che la cattiveria sia sfuggita all’autore, incosciente dei divieti all’agire. Purtroppo la rosa e il principe si sono macchiati del sangue dei bruchi.

            Per la prima volta, invece, ho letto positivamente lo sbeffeggiamento alle rose: non volendo fidarsi ciecamente non hanno un padrone, non assumendo responsabilità su altri non sono padrone. Penso ad alcuni esercizi teatrali di Pina Bausch ove la fiducia è essenziale: in questi ci si lascia cadere sperando che l’altro ci sostenga all’ultimo.
            Quando vado dal medico mi fido del suo sapere.
            Non si parla di sopraffazione, ma di ad-domesticare, rendere di casa: meglio domare una tigre che venirne sbranati. Peraltro, non per questo verrà persa l’indole selvatica, che anzi si manifesterà nell’agitazione precedente gli incontri, venendo a maggior consapevolezza della volpe.

            Un buon titolo sarcastico per un opera sulla maturità del principe sarebbe “Gli assassini di bruchi”.

            23 Settembre, 2015
            Rispondi
            • Cereal Killer ha scritto:

              La rassegnazione della Volpe che tu evidenzi è una visione della vita squisitamente umana. Non si capisce perché la Volpe debba rassegnarsi a un’ingiustizia così potente e devastante e che riduca la sua legittima paura della morte a mera noia. Non si comprende inoltre perché la Volpe debba gioire dell’unico giorno on cui (bontà loro) i cacciatori fanno festa e non debba chiedersi il perché continuano a cacciarla gli altri giorni. Senza dubbio l’autore nato e cresciuto in una società violenta (vivendo in prima persona ben due guerre mondiali) non ha certo pensato al punto di vista della Volpe o del Bruco, ma è nostro compito evidenziare determinate questioni soprattutto quando si parla di un testo conosciuto e letto in tutto il mondo.
              Nessuno vuole impedire alla Volpe di cacciare, ma considerare normale un destino predeterminato da altri (nel nostro caso i cacciatori umani) è sbagliato.
              Quindi ciò che si intende fare è evidenziare le stretture speciste e violente che sussistono e che sono state utilizzate perché considerate normali dall’autore per scrivere una storia poetica e fantasiosa.
              Il concetto di rendere “domestica” la vita per non averne paura o per non subire possibili danni è chiaramente specista: la tua interpretazione è di sicuro interessante, ma non puoi negare che se si afferma che la Volpe durante il processo di domesticazione perde la sua selvaticità e in sostanza perde se stessa nel nome della costruzione di un rapporto di dipendenza che prima non aveva e che non sarà mai paritario, nemmeno nelle favole.

              23 Settembre, 2015
              Rispondi
              • Matteo Calciano ha scritto:

                Mi sembra che le nostre divergenze siano su tre punti:
                l’indifferente descrizione della violenza dei cacciatori verso la volpe;
                il dominio imposto dall’uomo insicuro sulla natura;
                lo snaturamento della volpe.

                Sul primo punto: La noia non considera normale la situazione subita: è naturale che un dolore, un pericolo, se ripetuto, impressioni via via in maniera più calma, annoiata: tale, ad esempio, è l’alienazione dell’operaio. Ciò non significa abbandonare la ribellione a un’ingiustizia, bensì vivere la ribellione da un nuovo punto di vista. Credo che l’autore non solo abbia indicato la frustrazione della volpe ma anche la sua saggezza nel riconoscere la difficoltà nel migliorare la propria situazione.
                Dunque egli sarebbe d’accordo a un superamento del conflitto. Si può obiettare che chi si annoia cerca distrazioni che lo distolgono dalla corretta soluzione: questo è vero, ma non è l’unica reazione alla noia. Il problema rientra, direi, nei limiti di questa trattazione come “sospirata” del romanzo: non profonda bensì semplice come lo sguardo dei bambini.

                Sul secondo punto: l’addomesticamento che si autopropone la volpe non è direttamente specista: esso è timido, più che infantile e sappiamo che i sentimenti umani – e presumibilmente quelli extraumani – sono delicati quanto la procedura proposta dalla volpe. Un addomesticamento specista richiederebbe che la volpe stia segregata in una gabbia, maltrattata.
                Le parole hanno vari valori: dominio, se “di se stessi”, è positivo: così il fatto che il principe e la volpe imparino le reciproche movenze fisico-emotive non è pedagogicamente manipolativo.
                Certo, ci si può immaginare che tale modello riproponga ai bambini un’arrendevolezza acritica, ma questa non è che una devianza, un rischio del commovente incontro tra due solitudini. Insomma, non credo sia una debolezza, un’abitudine specista dell’autore. Ciò dal punto di vista della dipendenza.
                Da quello del “non subire possibili danni” dalla natura, credo che un compromesso tra selvatichezza e civiltà, tra natura e cultura, non solo sia vantaggioso ma perfino spontaneo, naturale. La concezione antispecista è frutto della civiltà: dunque proteggersi con misure buone e inoffensive non è un’ingiustiza verso gli animali, ma non vorrei travalicare l’oggetto della discussione: semplicemente il principe non vuole imporre la propria volontà alla volpe, bensì solo creare un legame che, come saggiamente riconosce la volpe, se rovinato provoca tristezza. Il caso da voi prospettato, il dominio spregiudicato, è un tradimento di questo legame e non il legame stesso, di per sé sostanza di tutte le relazioni umane e – presumibilmente – non.

                Dal compromesso tra selvaticità e civiltà si arriva al terzo punto: come ho già scritto nel precedente commento, la volpe non perde la sua selvatichezza. Lo stabilirsi di un rapporto ha bisogno di uno spazio compenetrato ma inequivalente all’ individualità della volpe, individualità che porrà le sue impronte nel rapporto. Menzione, nuovamente, al fatto che una “spersonalizzazione” della volpe può essere un effetto collaterale: se consapevole da parte del principe, è il tradimento di cui ho scritto poche righe sopra.

                In conclusione, ammiro la vostra capacità di strutturare una critica alla sopraffazione ma temo stiate forzandone l’applicazione su un capitolo innocente e, purtroppo, ingenuo.

                24 Settembre, 2015
  2. costanza ha scritto:

    Grazie per aver affrontato quest’argomento interessantissimo. Mi viene in mente che la pedagogia del dominio sembra molto più presente in fiabe e racconti moderni. Voglio dire, le fiabe raccolte dalla tradizione orale popolare (i Grimm, Basile, Afanasiev etc…) pur essendo a volte brutalmente speciste, riservano all’Animale un posto speciale, un forte legame con la magia, un ruolo spesso fondamentale. Mi vengono in mente l’aiutante magico o il dono magico di Propp, legati a loro volta all’Animale totemico: non il potere sugli Animali ma il potere degli Animali. Qualche volta l’eroe stesso è meno importante dell’aiutante magico: come il Gatto con gli Stivali, o il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie (quest’ultima scritta in piena età industriale ma più per divertimento che con intenti pedagogici come può essere un Pinocchio, per esempio).

    22 Settembre, 2015
    Rispondi
    • Cereal Killer ha scritto:

      Hai ragione Costanza: con il tempo è scomparsa anche la visione mistica degli Animali, per lasciare spazio solo ad un unico protagonista: l’Umano.
      L’apice è stato raggiunto con le animazioni di Walt Disney,

      23 Settembre, 2015
      Rispondi
      • costanza ha scritto:

        E’ vero! Il topino detective e la mucca Clarabella sono stati disegnati per i bambini, si sostituiscono alla vera mucchina spinta al macello e al vero topino torturato nello stabulario

        23 Settembre, 2015
        Rispondi
        • costanza ha scritto:

          E non voglio dire che il Piccolo principe e i cartoni animati di Disney siano brutti (a me piacciono ancora!). Ma sono mistificatori e funzionali al sistema di dominio. Ecco perché poi si fa tanta fatica a diventare antispecisti. Bisogna decostruire liberandosi dagli stereotipi, a partire dall’infanzia.

          23 Settembre, 2015
          Rispondi
  3. Lorenzo Bresciani ha scritto:

    Interessante spunto di riflessione. Grazie.

    22 Settembre, 2015
    Rispondi
  4. Fred ha scritto:

    Personalmente interpreto l’addomesticamento di questo brano come il creare un legame di affetto. “Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!” La finalità di questo rapporto di addomesticamento non è lo sfruttamento dell’animale non umano, cosa che contraddistingue l’addomesticamento reale.

    23 Settembre, 2015
    Rispondi
    • costanza ha scritto:

      Ma allora non avrebbe usato il termine “addomesticamento”. In un certo senso anche gli Animali chiamati “da compagnia” vengono sfruttati e tenuti in gabbie dorate. Non voglio escludere l’amicizia tra Animali e Umani: l’amico però va preso per com’è. Io la vedo così. Fred, tu “addomesticheresti” un Umano per fartelo amico? Piccolo Principe, se non ti va bene la volpe per com’è, fatti un amico della tua specie. Il bello di essere bambini forse è proprio il saper accettare gli animali per come sono. Le fiabe in qualche modo creano un filtro

      23 Settembre, 2015
      Rispondi
      • Cereal Killer ha scritto:

        Mi hanno fatto notare che in francese il termine usato dall’autore non è in italiano letteralmente “addomesticamento”, ma un sinonimo che può prevedere altre interpretazioni, ad ogni modo gli esempi portati (la Volpe, il rapporto con il bambini, i cacciatori, i bruchi e le rose) palesano l’accettazione del rapporto di dominio come mezzo di comunicazione con “l’altro”. Di sicuro le fiabe creano filtri, ma il problema è considerare chi le legge.

        23 Settembre, 2015
        Rispondi
  5. azza ha scritto:

    Dovremmo anche stare in ansia per le vicende pilota che cade nel deserto e deve riparare il motore tra la sabbia senza acqua: questa circostanza non ci angoscia per via del tono lieve e simbolico del libro, ma non per questo siamo cresciuti pensando che gli incidenti aerei fossero una bazzeccola o che smarrirsi nel deserto fosse un’avventura senza conseguenze.

    Vedo allo stesso modo la questione della caccia, anzi : quello che personalmente mi ha comunicato questo libro a riguardo è che l’allevamento delle galline e la caccia sono due insensatezze tipiche umane; che l’amore tra specie e regni diversi è naturale; che ciò che conta “non si conta” (l’uomo che conta i denari sul suo pianeta), e l’essenziale è invisibile agli occhi.

    Il fatto che esempi ed episodi specisti occorrano in un libro non antispecista (e parliamo degli anni ’40), non sminuisce l’enorme valore del suo messaggio, che anzi secondo me veicola proprio quel tipo di sensibilità necessaria ad un percorso antispecista. è sufficiente contestualizzare.

    23 Settembre, 2015
    Rispondi
    • Cereal Killer ha scritto:

      azza la tua visione delle cose è comprensibile, ma forse è opportuno ricordare che questo libro è uno dei testi più letti dai bambini e parte integrante del programma delle scuole elementari. Le sfumature che tu cogli nella lettura e nell’interpretazione del testo di sicuro non sono alla portata della mente di un bambino e nemmeno di molti adulti.

      23 Settembre, 2015
      Rispondi
      • azza ha scritto:

        Io lessi questo libro da bambina, e ne ricavai le impressioni che ho riportato ora. A differenza di cappuccetto rosso che mi faceva stare in pena per il lupo, tanto per fare un esempio, pur essendo in fin dei conti il lupo una metafora.

        Sicuramente ai bambini va insegnato l’amore per la lettura, e la capacità di comprendere un testo criticamente si insegna solo se si legge con loro: un’ottima occasione per spiegare loro che certe cose sono sbagliate, certe altre sono giuste, e certe sono simboliche. Non mi sentirei di auspicarmi una rimozione del Piccolo Principe dai grandi classici per l’infanzia, anche se è un libro che si può leggere a tutte le età; letto da bambini getta semi di pura poesia e riflessioni importanti di una profondità e delicatezza rara. La mia cultura in fatto di opere antispeciste per bambini è misera, ma personalmente tutte quelle che ho visto fin’ora esposte a banchetti o in librerie e negozi specializzati sono sature di morale e povere di poesia…

        23 Settembre, 2015
        Rispondi
        • Cereal Killer ha scritto:

          azza sei fortunata.
          Ad ogni modo le fiabe hanno sempre una morale, che piaccia o no, non sempre hanno poesia, questo è vero. Nessuno ha mai auspicato che “Il Piccolo Principe” venga rimosso dalla lista dei grandi classici per l’infanzia, ma una lettura critica è possibile ed è auspicabile sempre farla.

          23 Settembre, 2015
          Rispondi
  6. Api ha scritto:

    Le fiabe sono talmente importanti che meritano una riflessione come questa. Sono d’accordo che l’interpretazione deve essere sempre critica e la fiaba può essere usata come spunto di parallelismo e analisi del mondo circostante. La scelta della fiaba da leggere ai bambini dipende da molte cose e il Piccolo Principe può arrivare proprio nel momento in cui si voglia trattare il tema difficile dell’addomesticamento. Chiaro è che le parole usate nel testo non sono le stesse che intendiamo noi e che la delicatezza e la poesia che si percepiscono ne valgono la lettura.

    23 Settembre, 2015
    Rispondi
    • Cereal Killer ha scritto:

      Sicuramente un testo del genere va letto e ricordato, ma il vero problema è proprio la visione critica – o meglio la lettura critica – che spesso non c’è. Un testo come questo adottato da insegnanti di scuole elementari che lo propongono in modo acritico e superficiale (come quasi sempre accade), può solo veicolare messaggi sbagliati. E’ probabile che le fiabe siano anche più importanti di tanti saggi e testi filosofici, proprio perché rimangono nella nostra mente per molto tempo – se non per sempre – e ci aiutano a costruire la visione che abbiamo nel mondo.

      23 Settembre, 2015
      Rispondi
  7. Flavia ha scritto:

    … anche il cane, divenuto da tempo immemore, miglio “amico” dell’uomo un tempo viveva libero e felice, poi è stato “addomesticato” … forse il racconto si riferisce a un legame di questo tipo ?!

    25 Settembre, 2015
    Rispondi
  8. Cereal Killer ha scritto:

    Il racconto non parla di questo, ma per parlare d’altro si serve anche di questo tipo di rapporto non egualitario tra Umano e Non Umano, questo è il reale problema.

    25 Settembre, 2015
    Rispondi
  9. Cereal Killer ha scritto:

    Ciao Matteo,

    Grazie mille per la tua interessante analisi. Di seguito la risposta ai tuoi tre punti.

    Primo punto: i pilastri dell’antispecismo sono la giustizia, il rispetto, l’empatia e la compassione. Affermare che una Volpe vittima di una persecuzione continua da parte di cacciatori umani – che le condizionano la vita a tal punto da costringerla a passarla fuggendo – giunga ad annoiarsi, non è certo una dimostrazione di empatia. Un Animale braccato vive nella paura, gli Animali erbivori – che notoriamente sono preda di altri Animali – sono cauti, guardinghi, paurosi e sempre all’erta. La Volpe potrebbe arrivare probabilmente ad uno stato di rassegnazione, di apatia o di alienazione, ma mai alla noia: l’unica cosa che ha è la sua vita, la sua libertà che di colpo potrebbe perdere per mano di un cacciatore, per quale recondito motivo dovrebbe annoiarsi? Inoltre è palese l’atteggiamento bonario che la Volpe ha nei confronti dei suoi cacciatori: ne parla con serenità e quasi con amicizia, pare siano dei compagni di vita un po’ molesti ma in fin dei conti buoni, più che i suoi persecutori. La visione della Volpe è chiaramente la trasposizione della visione dell’autore che forse non essendo mai stato vittima di persecuzioni – come la Volpe del racconto – si può permettere di conferirle emozioni e atteggiamenti benevoli nei confronti di Umani che desiderano solo ammazzarla. Dal testo traspare quasi gratitudine quando lei parla del giorno in cui i cacciatori fanno festa e lei può scorazzare libera… E’ vero che siamo in una favola ed è tutto possibile, ma ciò dovrebbe far riflettere.

    C’è da dire che molto spesso il mondo delle fiabe è stato più che indulgente con i cacciatori: un cacciatore uccide il Lupo e salva Cappuccetto Rosso, un altro porta Biancaneve nel bosco per ucciderla su ordine della principessa, salvo poi averne pietà liberandola e via discorrendo… Il Piccolo Principe pare non fare eccezione: la Volpe non vive in un modo diverso il suo stato e l’ingiustizia di cui è vittima, semplicemente li accetta e li considera parte integrante della sua vita (cacciare ed essere cacciata), come se si trattasse di eventi ineluttabili e ineliminabili, si potrebbe dire “naturali”, in lei non c’è alcuna volontà di ribellione, ma una rassegnazione quasi karmica.
    La trattazione del racconto non è affatto semplice come pare, ma poggia su solidi concetti di base che l’autore spalma in tutto il testo.

    Secondo punto: L’addomesticamento a cui tu fai riferimento nella realtà è quello cruento degli Animali “da reddito”, “da lavoro”… L’addomesticamento a cui fa riferimento l’autore nel testo è quello di un Animale “da compagnia”, la cosa è ben diversa. E’ un tipo di rapporto molto più subdolo e pericoloso, proprio perché apparentemente privo della componente violenta del primo tipo di addomesticamento. Un Cane o un Gatto “domestici” (nati e vissuti con l’Umano e addomesticati) sono del tutto dipendenti dalle nostre attività, dalla nostra presenza, dalle nostre decisioni. In effetti – come dice lo stesso autore – si creano dei legami che però sono vincoli di dipendenza dell’Animale nei confronti dell’Umano. Altra cosa è la reciprocità che può scaturire dall’incontro volontario tra Umani e altri Animali in piena libertà: incontri non programmati, studiati o concordati, ma fortuiti e temporanei. In tali incontri entrambe le parti conservano le proprie caratteristiche identitarie e la propria dignità, cosa che non avviene durante un processo – seppur dolce e progressivo – di domesticazione, dove uno dei due (l’Animale) deve rinunciare alla sua natura selvatica perché deve andare incontro alle esigenze umane.
    Il dominio non è mai positivo, nemmeno il dominio “di se stessi”, altra questione è l’autocontrollo che però ha anch’esso grandi limiti. Il nostro autocontrollo e il nostro dominio ci ha portati così lontano dalla naturalità, da stravolgere i nostri comportamenti specifici – che non sono solo mera “bestialità” ma sono molto spesso positivi e pacifici – e ciò ci permette ad oggi di considerarci un’eccezione rispetto al resto dell’animalità.
    Ciò che è pedagogicamente manipolativo è il messaggio del testo che se letto superficialmente – come avviene nella stragrande maggioranza dei casi anche a scuola – veicola l’idea che addomesticare, cacciare e piegare alle nostre necessità gli altri sia giusto e naturale e che in tutto ciò non vi sia violenza. Questo è il fulcro della critica antispecista avanzata da Veganzetta.
    Nel testo non è il Principe a proporre un rapporto di condizionamento e dipendenza, ma paradossalmente la Volpe: è lei la portatrice di un messaggio specista.

    Terzo punto: La Volpe, invece, decide volontariamente di perdere la propria selvaticità e lo fa ben prima di proporre il suo addomesticamento al Principe: lo fa nel momento in cui accetta acriticamente la sua persecuzione da parte dei cacciatori. Inoltre l’autore compie un secondo atto discutibile, ossia fa pensare alla Volpe che vi siano delle “categorie” di Umani e con tale atto costruisce ulteriori gerarchizzazioni del vivente: gli Animali selvatici che sono solo degli sconosciuti, Animali addomesticati che assumono un valore maggiore proprio in virtù della loro domesticazione, gli Umani cacciatori da subire acriticamente e gli Umani come il Piccolo Principe da conoscere e da cui dipendere. Una Volpe perseguitata avrebbe paura – logicamente – di tutti gli Umani. Siamo in una fiaba e spesso la logica manca – è giusto che sia così – il messaggio però rimane.
    Il rapporto amicale tra specie senzienti diverse è una cosa bellissima se portato avanti in modo spontaneo, non premeditato, organizzato e mediato. Tale tipo di rapporto non è quello paventato dalla favola. Ma con questo non si vuole colpevolizzare nessuno e la lirica e poeticità del racconto non sono in discussione, ma – come già detto – essendo “Il Piccolo Principe” un libro enormemente diffuso e conosciuto, consapevoli del fatto che viene letto soprattutto da bambini, è importante suggerire a chi ne propone la lettura, una visione critica e nuova.

    26 Settembre, 2015
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    • Brunella ha scritto:

      Reciprocita:”incontri non programmati, studiati o concordati, ma fortuiti e temporanei”. E poi : “Il rapporto amicale tra specie senzienti diverse è una cosa bellissima se portato avanti in modo spontaneo, non premeditato, organizzato e mediato”.
      Più che altro sembra una descrizione della folgorazione mistica.

      6 Ottobre, 2015
      Rispondi
    • Matteo Calciano ha scritto:

      Ora noto 4 punti principali: su 1 di essi sono d’accordo: la noia e la frustrazione non sono la stessa cosa e un animale prova più la seconda che la prima. Credo che Exupery abbia commesso una leggerezza nel mostrare la volpe meno danneggiata dai cacciatori.
      Sul fatto che l’addomesticamento che molti miei amici mettono in pratica verso gli animali, accogliendoli a casa e chiudendoli in essa, non conosco abbastanza lo specismo e l’antispecismo per valutare se effettivamente sia un danno per gli animali non crescere allo stato brado. Tuttavia questo è un problema che ha bisogno di cercare la via di mezzo tra l’animalità e la meccanicità.
      La volpe, a mio modo di vedere, non tocca direttamente questo problema, ma anzi concerne il 3° punto: voi dite che ella è ingiustamente utilizzata come messaggera della propria costrizione: io noto il contrario, ovvero che lei sta cercando proprio quel rapporto spontaneo che voi definite come gioioso per animali e uomini; il fatto che lei soffrirà per il distacco è ascrivibile a un concetto del buddhismo: l’attaccamento che nasce, oltre che dal desiderio, dalla soddisfazione del desiderio: in termini moderni, la “dipendenza”. Ma tra ciò è un ingiusto addomesticamento, secondo me, c’è molta differenza.
      “Ingiusto addomesticamento” mi permette di collegarmi al 4° punto: dite che il dominio è sempre negativo: credo sia un problema lessicale, cioè che attribuiate a una parola esclusivamente l’esperienze negativa che di essa sono state fatte. Se io conosco bene ciò di cui sto parlando, un argomento, oppure se conosco bene me stesso, non perderò il filo del discorso o il controllo (e qua c’è un legame forte con l’autocontrollo) e gestirò la situazione al meglio. Il dominio è una forma superiore di controllo: si instaura quando il controllo è tale da assicurare i suoi effetti e non richiede continui accertamenti. Forse l’esempio più calzante è nello sport: quando una squadra è notevolmente superiore a un’altra, essa domina non solo gli avversari, ma la partita, nel senso che l’ha così facilmente sotto controllo, da rendere riduttiva l’espressione “controllo”. Certo tale esempio è una disparita: nei confronti di un argomento culturale, invece, il dominio appare maggiormente come una questione pari, poiché la cultura è una sfida anche per un dotto. Tuttavia, nel caso dello sport, pure la squadra più debole uscirà appagata dal confronto con squadre più forti; evitando in quest’analisi rapporti estremi dove, si dice, è privo di senso instaurare una competizione o un confronto.

      Son d’accordo quindi sul dover definire frustrata la volpe, mentre sugli animali domestici non so esprimermi che in base di ciò che molti sostengono: non bisogna soffocare la nostra naturalezza, compresa quella degli animali; non sono d’accordo sul giudizio negativo sulla proposta della volpe, vista anzi concordemente al rapporto spontaneo da voi auspicato; e neppure sulla negatività del concetto neutro di “Dominio”.

      Grazie.

      16 Ottobre, 2015
      Rispondi
      • Paola Re ha scritto:

        Matteo, non sono affatto d’accordo su ciò che scrivi a proposito del dominio; se può esserci un senso quando parli del filo del discorso o dello sport, mi pare che questo ragionamento non si debba applicare al rapporto tra esseri umani e non umani. Dominare un animale è sbagliato. Non vedo la domesticazione come un dominio perché molti animali addomesticati sono sereni, felici e rispettati nelle loro esigenze etologiche, cosa che non mi sembrano affatto gli animali di circo, zoo, acquario, delfinario, allevamento e tutto gli altri lager animali di cui siamo circondati. Tu scrivi “nel caso dello sport, pure la squadra più debole uscirà appagata dal confronto con squadre più forti”. Ti pare che nel confronto domatore (squadra forte) –leone (squadra debole), pure il leone ne esca appagato?

        16 Ottobre, 2015
        Rispondi
        • Matteo Calciano ha scritto:

          Paola,
          mi riferivo alla frase di Cereal Killer (l’utente cui ho risposto): ” […].
          Il dominio non è mai positivo, nemmeno il dominio “di se stessi”, altra questione è l’autocontrollo che però ha anch’esso grandi limiti. […].”.
          Nel caso circense – simile al gioco che si fa coi cani e la pallina -, ammettendo ovviamente che non si svolgano soprusi, la parola “domare” sostituisce “addomesticare” per la paura che il leone incute e “ammaestrare” poiché credo si tratti meno d’insegnare che di chiedere all’animale: se egli è consensuale, non vedo problemi.
          Scrivevo più del significato psicologico che della realtà circense e là dove c’è costrizione non per forza c’è dominio e viceversa. Inoltre neanche la costrizione – ad es.: “Non uccidere.” – è sempre negativa.
          Dopo di ché si può riflettere e discutere del dominio, della servitù – mistica? – per amore professata dal cristianesimo, dell’anarchia: non so se è questa la sede e trovo più impellente si critichino e impediscano soprusi come la caccia alla volpe o i lager circensi. Il mio era un appunto sul lessico di queste critiche che chioserei sulle etimologie vicine di “addomesticare” e “dominio”: nel primo caso “domus”: “casa”; nel secondo “dominus”, a indicare chi a maggior titolo possiede casa, abilità ( ad es.: certificate da un attestato) o cose: chi si impegna e acquisisce padronanza avrà poi da sostenere, dominandone gli errori, chi vorrà acquisirne nello stesso o in diverso ambito.
          Non so se il leone voglia o meno interagire, ma non posso escluderlo a priori e posso ribaltare i ruoli: l’animale che ci onora con la sua attenzione ci accoglie nella sua vita come nella casa il padrone e ci insegna la sua spontaneità.
          In particolare non si domina l’animale più che noi stessi ed egli, vedendoci sotto controllo, partecipa ai nostri giochi, senza perdere la sua individualità.
          Restando su Il piccolo principe: il capitolo sul pianeta del re può esemplificare la natura reciproca di questo rapporto in cui un re, come un analista, impara a sostenere il proprio regno.

          17 Ottobre, 2015
          Rispondi
  10. Paola Re ha scritto:

    Mi fa piacere che Veganzetta abbia proposto questo testo perché anch’io ho pensato parecchie volte, da adulta, al significato del capitolo della volpe che da ragazzina mi piaceva tanto. L’ho letto per la prima volta a 12 anni quando il cane entrò nella mia famiglia e fu addomesticato. Per me addomesticare il mio cane fu un’esperienza meravigliosa, proprio per il legame che si creò. E non stetti a riflettere se addomesticare una volpe fosse positivo o negativo perché vedevo solo il mio tornaconto: dare amore a un animale e riceverne. Crescendo ho iniziato a vedere le cose in un altro modo e quel capitolo iniziò a non piacermi più così tanto. La volpe del libro mi fa molta pena e mi fanno ancora più pena le persone adulte che, leggendo Il Piccolo Principe a bambini e bambine, non evidenziano il vulnus che quel capitolo contiene, molto probabilmente perché non arrivano a capirlo. Il libro resta un cult della letteratura (è uno dei più tradotti nel mondo) ma questo capitolo della volpe è piuttosto controverso, almeno per chi è antispecista. E’ anche vero che talvolta si vedono video di animali selvatici come volpi, cerbiatti, cinghiali, salvati dalla furia sanguinaria dei cacciatori, affezionarsi agli esseri umani come fossero cani. Io ne ho visto qualcuno dal vivo e certamente in quegli animali non c’è più nulla di selvatico ma sono casi eccezionali che meritano un discorso a parte.

    27 Settembre, 2015
    Rispondi
  11. Antonella ha scritto:

    Sbaglierò, forse per l’affetto che ho verso questa favola, ma non riesco a vedere nel personaggio della volpe la rappresentazione di un animale reale. E’ un elemento fiabesco, tanto come le rose, e la sua funzione è quella di parlare all’inconscio tramite la voce (un animale che parla, di per sé non è più un animale vero) di una componente istintuale e selvatica dell’essere umano, se non addirittura la parte primitiva dello stesso protagonista, che si propone in forma di animale, soggetto caro ai bambini e capace di veicolare messaggi più e meglio di una figura umana.
    E nel suggerimento dell’addomesticamento leggo piuttosto un invito alla comprensione e al controllo degli istinti e delle pulsioni che un bambino, crescendo, impara a riconoscere e, appunto, “addomesticare” nel proprio relazionarsi con l’altro, insieme con l’esercizio della pazienza e della costanza nel saper aspettare i tempi e i modi dell’altro.
    La stessa formula con cui la volpe si racconta, non assomiglia per niente al modo in cui un animale potrebbe descrivere la propria condizione. Proprio da questo dovremmo pensare che sia un simbolo piuttosto che un elemento realistico.
    Detto ciò, resta interessante l’analisi fin qui fatta, un bello spunto di riflessione intelligente.

    9 Ottobre, 2015
    Rispondi

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