Animalismo e doppio pensiero orwelliano


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Fonte: Il Cambiamento


Animalismo e doppio pensiero orwelliano

Dall’antropocentrismo all’antispecismo, dal veganesimo alla cultura della carne. Il rapporto dell’uomo con gli altri animali è spesso caratterizzato da profonde contraddizioni: come può un ‘amante degli animali’ essere allo stesso tempo un mangiatore di carne? Probabilmente si tratta di un controsenso, riconducibile a quel fenomeno che George Orwell definì ‘doppio pensiero’.

di Andrea Romeo – 20 Febbraio 2012

Che l’Occidente sia antropocentrico non vi è dubbio alcuno. L’antropocentrismo è una forma di pensiero che si ripercuote nella realtà determinando un’incessante recinzione e cementificazione della Natura, con l’obiettivo di creare habitat artificiali prevalentemente umani: la prima forma di Matrix in cui viviamo è la città. Tuttavia rimane il fatto che l’uomo, volente o nolente, deve convivere con altre creature che popolano il pianeta e, che ci piaccia o no, la Terra non è solo degli uomini, e guai se non fosse così, pena l’estinzione!

Se da un lato il concetto di antispecismo risulta molto arduo da definire – data la complessa struttura dell’ecosistema in cui siamo immersi, ideologia in cui coesistono ambigui controsensi, paradossi e circoli viziosi dovuti alle molte sfaccettature che caratterizzano e regolano i rapporti tra gli esseri viventi – allo stesso tempo va detto che anche il concetto di ‘specismo’ risulta molto vago, proprio per il fatto che nonostante a livello ideologico l’Occidente sia (almeno così sbandierano i media) human-right-oriented o antropocentrico, in pratica è impossibile dividere l’uomo dall’ecosistema, in quanto nella realtà condividiamo il pianeta con altre specie dai tempi dei tempi, con le quali interagiamo quotidianamente da sempre.

È inoltre difficile valutare se un uomo ha di fatto sempre e comunque più diritti degli animali: che dire dei civili bombardati nelle guerre umane? Sostenere che per istinto si pensi prima ai propri simili risulta molto elusivo e superficiale, poiché l’uomo è capace di orribili mattanze anche nei confronti dei suoi stessi simili, e viceversa non mancano esempi stupefacenti di uomini e animali che salvano individui di altre specie, rischiando sovente le proprie vite. Per fare un esempio, si pensi alle migliaia di mummie di gatti ritrovate nelle tombe dell’antico Egitto, indice che quest’animale, per i nostri antenati egiziani, era degno di una sepoltura faraonica mentre agli schiavi umani non era riservato lo stesso ‘nobile’ trattamento.

In breve, non esiste una sfera umana completamente emancipata dal resto della Natura se non a livello teorico, perché nella pratica siamo e restiamo creature biotiche, e la cultura è influenzata da fenomeni sia di antropomorfismo che di cosmomorfismo, determinando una continua interazione tra uomo e cosmo: da tali interazioni extra-specie nascono spesso arcaici e profondi rapporti di rispetto e di pura amicizia, anche quando l’umano non si definisce animalista o ecologista.

L’antropocentrismo è dunque una forma di pensiero artificiosa, un falso feticcio, e lo specismo risulta essere un’ideologia alquanto bizzarra. Abbiamo dunque due ideologie profondamente diverse, che risultano avere anche approcci opposti nel loro relazionarsi alla vita in senso lato. Entrambe sono intrappolate nelle folli regole della biosfera, maestoso essere vivente che si nutre di se stesso.

I vegani più intransigenti, con passo felpato ed estatica visione, cercano di far sì che il mondo animale si gestisca da sé, tentando di limitare al massimo i danni nei confronti dell’ecosistema. Talora alcuni provano a ‘veganizzare’ il più possibile il mondo circostante, ad esempio ‘costringendo’ il proprio animale domestico a seguire una dieta a base vegetale, allo scopo di rendere la vita a tutti un po’ più lieve.

Sembrerebbe una forzatura a prima vista, dato che il senso comune ci sussurra che non si può obbligare qualcun altro a vivere secondo un’ideologia non scelta, ma anche questo pensiero è contraddittorio, perché anche il nutrirsi di carne, ad esempio, è de facto un fattore culturale obbligato sin dalla tenera età: il bambino non ‘sceglie’ di nutrirsi di maiale o di parlare italiano anziché l’esperanto, e il cane non sceglie di vivere in un recinto o di mangiare crocchette industriali, siano esse vegetali o di vacca.

Dall’altro lato, lo ‘specista’ che si nutre di carne e crede sia naturale ogni intervento umano nei confronti dell’ambiente per il benessere della propria specie, solo apparentemente sembra risultare coerente alla propria ideologia di fondo, quella antropocentrica per l’appunto, ma in realtà la sua abitudine detrae cibo ai suoi stessi simili a causa di semplici regole biologiche che vogliono che una vacca consumi quantità industriali di foraggio e di acqua che potrebbero essere utilizzati direttamente dagli umani, senza usare il corpo dell’animale come intermediario, determinando una contraddizione in termini a causa della ‘fame’ del famoso Terzo Mondo.

Sostengono gli apologetici seguaci della ‘cultura della carne’, che loro seguono semplicemente il flusso della catena alimentare che vuole che siamo tutti cibo, fui quod es, eris quod sum; anche se questa mentalità, più che un’ideologia vera e propria, sembra un escamotage, una via di fuga attraverso un approccio relativista che in fondo giustifica qualsiasi cosa.

Ma che dire di coloro che affermano di amare gli animali pur alimentando l’industria della carne? Come spiegare i comportamenti di coloro che si emozionano dinanzi ad un pulcino o ad un vitello, ma se ne nutrono? Perché molte persone si prendono cura di animali domestici nelle proprie abitazioni da un lato, e dall’altro vestono il cappotto con il futile colletto di pelliccia di cane (scuoiato vivo) per moda? E come si spiega inoltre che molti mangiatori di carne non riescano a fare una semplice connessione tra la bistecca sul piatto e il mattatoio, tanto che impallidiscono dinanzi alle cruenti immagini della macellazione? Non sono questi comportamenti aberrazioni del cosiddetto mondo civilizzato?

Coloro che si pongono il problema del maltrattamento degli animali, siano essi animalisti o ‘persone normali’, notano tali controsensi: alcuni giustificano il tutto, altri trovano la propria soluzione nel veg(etari)anismo.

Naturalmente gli studiosi del rapporto uomo-natura, e quindi uomo-animale, hanno tutti affrontato l’enigma. Gli ‘onnivori’ più convinti rompono il nodo gordiano definendo lo sfruttamento animale e il mangiar carne ‘necessità’, cosa ovviamente molto discutibile. Tra gli antispecisti le spiegazioni date passano da un estremo all’altro. I più moderati, come Peter Singer o Paul Waldau, ci dicono che si tratta di semplice abitudine culturale. Più estreme le posizioni di attivisti come Gary Yourofsky che ci parla di tossicodipendenza (indotta) da carne, mentre Gary Francione definisce il controsenso come ‘schizofrenia’.

In psicologia questo stato cognitivo viene chiamato dissonanza cognitiva, concetto introdotto da Leon Festinger nel 1957. Attraverso questa teoria lo studioso descrive le incoerenze logiche dell’uomo quando convivono in lui due idee completamente opposte, ma date entrambe come valide. Questa è un vero e proprio ‘mentire a se stessi’ che porta le persone, pur di non mutare le proprie convinzioni, a trovare giustificazioni assolutamente in contrasto con l’evidenza dei fatti.

George Orwell, nel suo celebre 1984, definì questo fenomeno come doppio pensiero (doublethink): si prenda ad esempio chi crede che si faccia la ‘guerra’ per portare la ‘pace’. Nel caso in cui l’evidenza risulti innegabile, quelli che non vogliono rinunciare alla propria credenza tendono a piegare la novità alla propria forma mentis come modello intoccabile per dar senso al nuovo: da qui i mangiatori di carne ma ‘amanti degli animali’ chiamano in causa gli uomini primitivi, le tradizioni, i ‘canini’ o la catena alimentare per giustificare la propria dissonanza.

Ovviamente i consumatori di carne che si definiscono ‘animalisti’ sono in piena dissonanza, specie quando, pur sapendo che questo alimento è superfluo nella dieta umana, sostengono di ‘amare gli animali’. Anche la filosofia vegana non è esente da paradossi, come quando ad esempio si nutre un animale carnivoro, ma è condannabile tale ‘contraddizione’ (falsus in uno (ergo) falsus in omnibus?) o bisogna comunque apprezzare l’operato di chi almeno prova ad ammortizzare la sofferenza altrui con piena coscienza?


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6 Commenti
  1. Enzo ha scritto:

    Stella, il cane che ho in preso in carico ormai già otto anni fa dal canile quando era cucciola, ha mangiato crocchette vegan fin quando ho potuto permettermelo, purtroppo non lavorando non posso acquistare 20 kili di Vecan a 60 euro a botta, e quindi ho riposto nelle crocchette da discount che costano molto ma molto meno. È una contraddizione, ma al momento non ho alternative. Conosco vegan che cucinano alla mattina interi polli per i loro cani, cosa che io non riuscirei mai a fare. Nella scelta delle crocchette cerco quelle con i bovini, per la cui produzione il numero degli individui uccisi è più basso :/.

    7 Marzo, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Caro Enzo,

      Il tuo punto di vista è assolutamente comprensibile, ma come sempre c’è una soluzione a ogni problema. La nostra soluzione si chiama autoproduzione, quindi è possibile fare delle crocchette vegane a bassissimo costo in casa per nutrire in modo cruelty free i nostri compagni Animali.

      Ci sono anche dei testi appositi sull’argomento, per esempio: http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__cani-vegetariani.php?pn=3431

      PS: Ciò che fanno le persone umane vegan che tu descrivi si chiama specismo di secondo livello: ossia considerare solo alcuni Animali a discapito degli altri.

      7 Marzo, 2015
      Rispondi
  2. Roberto Contestabile ha scritto:

    Articolo veramente interessante ed utile al dibattito perchè affronta alcuni punti fondamentali ed unici nella lotta antispecista. Focalizza bene lasciando quindi spazio alla riflessione.
    In particolare è importante qui:
    “Ma che dire di coloro che affermano di amare gli animali pur alimentando l’industria della carne? Come spiegare i comportamenti di coloro che si emozionano dinanzi ad un pulcino o ad un vitello, ma se ne nutrono? Perché molte persone si prendono cura di animali domestici nelle proprie abitazioni da un lato, e dall’altro vestono il cappotto con il futile colletto di pelliccia di cane (scuoiato vivo) per moda? E come si spiega inoltre che molti mangiatori di carne non riescano a fare una semplice connessione tra la bistecca sul piatto e il mattatoio, tanto che impallidiscono dinanzi alle cruenti immagini della macellazione? Non sono questi comportamenti aberrazioni del cosiddetto mondo civilizzato?”

    E ancora:
    “Più estreme le posizioni di attivisti come Gary Yourofsky che ci parla di tossicodipendenza (indotta) da carne, mentre Gary Francione definisce il controsenso come ‘schizofrenia’. In psicologia questo stato cognitivo viene chiamato dissonanza cognitiva, concetto introdotto da Leon Festinger nel 1957. Attraverso questa teoria lo studioso descrive le incoerenze logiche dell’uomo quando convivono in lui due idee completamente opposte, ma date entrambe come valide. Questa è un vero e proprio ‘mentire a se stessi’ che porta le persone, pur di non mutare le proprie convinzioni, a trovare giustificazioni assolutamente in contrasto con l’evidenza dei fatti.”

    Tutto questo può definirsi psicosi da vita moderna. Gli esempi si sprecano all’infinito…come non sottovalutarli?

    8 Marzo, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Si può anche affermare senza tema di smentita che oltre alle psicosi e ai comportamenti schizofrenici, l’argomento “carne”, come molti altri fondamentali e scomodi, è trattato con sufficienza e con superficialità dai più. La sufficienza e la superficialità, il non dar peso a nulla, il non scandalizzarsi e indignarsi di nulla sono comportamenti tipici della vita moderna, dell’Umano moderno investito da una quantità incredibile di notizie, ma privo di vera informazione e di riflessione critica. La velocità della vita moderna favorisce la superficialità già insita in ciascuno di noi e trattare la sofferenza, la morte altrui con superficialità è un esercizio quotidiano che un po’ alla volta ci priva della nostra umanità (animalità) necessaria per provare un minimo di empatia.

      11 Marzo, 2015
      Rispondi
      • Barbara ha scritto:

        Bellissima riflessione

        25 Settembre, 2016
        Rispondi
  3. wilma ha scritto:

    Totalmente d’accordo con te Veganzetta!

    Per quello che riguarda invece l’alimentazione dei cani hai un consiglio anche per chi fa volontariato nei canili ?
    spesso infatti sostengono di non poter far altro che utilizzare crocchette di carne perché (dicono) sarebbe impossibile autoprodurre cibo in quantità tale da sfamare tutti i cani.

    E per i gatti ?

    11 Marzo, 2015
    Rispondi

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