Le “opere” mortifere di Damien Hirst


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Damien Hirst

Il 14 giugno 2014 è stata inaugurata ICASTICA ad Arezzo nella quale, fra le varie opere, appare il “Montone” di Damien Hirst.
Se è vero che la pressione del pensiero sull’arte non ubbidisce a leggi statiche, ma universali sì, è sempre avventato gridare alla novità del genio e dei suoi presunti capolavori, senza averne ben chiari gli scopi. Questo ce lo insegna la Storia e non qualche bancario improvvisato critico d’arte. 
Consideriamo anche la nemesi, che inesorabilmente riequilibra eventi distorti generati dalla “mente discontinua” di dawkinsiana memoria, per cui: se fatti contingenti possono conferire la luce della ribalta, altri fatti potranno toglierla per sempre.
E ora chiediamoci: quale fondamentale messaggio vorrà suggerire colui che ordina uccisioni per proseguire con manipolazioni splatter dei corpi sventrati, imbalsamati, affogati nella formaldeide, dilaniati e bizzarramente ricomposti?
“C’è una prova sola per capire l’importanza artistica di un’opera”, raccomandava Edgar Wind ai suoi lettori, “L’opera deve intensificare la nostra percezione del soggetto: se il soggetto continua a presentare lo stesso aspetto di prima, salvo il fatto che ad esso è stata aggiunta un’ingombrante sovrastruttura, quell’opera è inutile.”1
A questo punto aggiungiamo pure che si tratterebbe di un’opera alquanto mortificante, oltre che mortifera, poiché non agevola la comprensione del reale, anzi disperde nel pus e nel sangue rappreso una delle questioni morali e politiche più dibattute dalla cultura contemporanea: la Questione animale, cioè il ripensamento dei rapporti di dominio arbitrario che gli Umani hanno instaurato nei confronti degli altri Animali e a cui, purtroppo, il nostro Montone non è potuto sfuggire…

Cristina Beretta


Note:

1) Edgar Wind, Arte e anarchia, Adelphi, Milano 1997, p. 91


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6 Commenti
  1. Joe Fallisi ha scritto:

    Nient’altro che un ennesimo esempio, da orrore di appartenere all’umanità, dell'”arte” del Kali Yuga e dei suoi addetti obitoriali. QUESTI sono gli eredi di tutte le balle e i veleni e le necropose e le “rivoluzioni” e le masturbazioni impotenti e furiose degli “artisti-antiartisti” moderni, da Dada in avanti… sempre peggio, sempre più divenendo quel che sono… dall’apologia (in ogni ambito culturale: parola scritta, pittura, scultura, architettura, musica) del brutto, dello squilibrato, del cacofonico, dell’inane, dell’arbitrario, dell’informe-deforme, dell’antinatura… all’aperto voyerismo sadico, alla “situazione” da morgue e da inferno. Alla fine, tali concrezioni gelatinose, ‘sti robot dell’abiezione, consumato il loro piccolo orgasmo di vomito, tornano nelle tenebre. A incubare – e vendere – il prossimo “evento”.

    Joe

    18 Giugno, 2014
    Rispondi
  2. Rigoberto ha scritto:

    Un po’ troppi riferimenti colti per un ignorantone come me ;-)

    (p.s. Joe Fallisi! Vecchio fascista razzista, ma non sei ancora morto?! Che ci fai sulla veganzetta?)

    19 Giugno, 2014
    Rispondi
  3. Joe Fallisi ha scritto:

    Vile, gelatinoso “Rigoberto”, non so se tu sia uno zombi anziano o “giovane”, quel che è certo è il tuo fetore conforme.

    Joe Fallisi

    20 Giugno, 2014
    Rispondi
  4. Veganzetta ha scritto:

    A Thousand years, (1990) una teca in vetro con fessure che lasciano filtrare un odore nauseabondo di carogna e ammoniaca, è la prima opera che Hirst crea uscito dal college.
    Dentro la teca, le mosche svolazzano su una testa di mucca coricata in una pozza di sangue congelato.(1)
    “Il piccolo cubo fabbrica mosche, loro crescono, nascono e se sono fortunate riescono a passare dal buchino e vanno a mangiare un po’ di sangue della testa bovina in decomposizione, poi salgono in su e vengono fregate dalla macchina uccidi mosche.”(2)
    Durante la prima esposizione dell’opera, alla mostra “Gambler”, Hirst utilizzò una testa di mucca vera, ma la puzza è tale che la gente non entra. “Ho preso la testa e l’ho bruciata, c’erano larve sotto la pelle.
    Stava marcendo. Dicevo “Lasciatela! Lasciatela!”, ma la gente stava impazzendo, non riusciva a entrare”.(3)
    Così l’artista arriva ad un compromesso: la brucia e la mette annerita di nuovo nella vetrina, ma dopo una settimana la stanza puzza ancora tantissimo.
    Così la vera testa della mucca viene sostituita con una finta: coperta di ketchup, maionese, senape, cibo per cane, alimenti che possano attrarre le mosche. Ad Hirst non interessa che la mucca sia vera, è importante che la gente pensi che lo sia.

    Note:

    1) Cfr. il sito http://www.arte.rai.it/articoli/damien-hirst-il-genio-dellarte-e-del-mercato/14079/default.aspx (consultato il 5 luglio 2012).
    2) Ibidem.
    3) D. Hirst e G. Burn, Manuale per…, op. cit., p. 178.

    23 Giugno, 2014
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  5. Veganzetta ha scritto:

    Carne umana e genetica: i confini tra arte e morale

    Morte, sesso, violenza, ribrezzo. Fino a dove può spingersi l’arte? Ci siamo affacciati sul confine tra etica e espressione artistica.
    Nel 2004 le luccicanti bolle di sapone dell’artista messicana Teresa Margolles, volteggiavano all’interno del museo di arte moderna di Francoforte, per finire in faccia agli spettatori incuriositi. Ma non si trattava di banali bolle di sapone. Erano fatte a partire dall’acqua con cui si lavano i cadaveri nella camera mortuaria. Chi sapeva si stupiva e si infiammavano le polemiche: etica patetica, sconcertante!
    Il connubio tra arte e patologia si scontra con uno dei tabù più recenti della produzione artistica: la morte. Ribrezzo e fascino vengono sperimentati sul proprio corpo.
    Nell’ottobre del 2007 il costaricano Guillermo Vargas ha lasciato morire di fame un cane, semplicemente lasciandolo legato all’interno di una galleria. Voleva dimostrare che il cane può diventare, nella mente dello spettatore, un oggetto artistico. Se fosse successa una cosa simile in strada, nessuno l’avrebbe notato. Oggi – questa l’idea di Vargas – quel cane, è più vivo di prima, poiché esiste nelle menti delle persone. E gli animalisti si sono messi sul piede di guerra.

    Anatomia, pornografia, patologia
    Nell’arte del Ventesimo secolo, e soprattutto nel nuovo millennio si urina, ci si masturba davanti ad una telecamera, si lavora con il sangue, e si mostrano la morte e i suoi limiti. La moderna produzione artistica si muove sul confine labile con l’anatomia, la pornografia, o la patologia. Spesso questi confini vengono cancellati o superati in nome dell’arte. I nuovi media, inoltre, permettono nuove forme di espressione artistica. La parola magica è “straniamento”.
    Chi crede che il superamento di questi tabù sia sempre stato legato al concetto di arte, si sbaglia di grosso. Carole Talon-Hugon, professoressa di Estetica all’Università di Nizza e autrice del libro Goût et dégoût: L’art peut-il tout montrer? (“Gusto e disgusto: l’arte può mostrare tutto?”, 2003), smentisce: «Il fatto che l’arte sia sempre stata “contro” è un pregiudizio. All’inizio si sono dovuti superare i confini delle tecniche di disegno e di rappresentazione, ma il superamento dei limiti imposti dalla morale si è intrapreso solo all’inizio del Ventesimo secolo».
    Hermann Nitsch, Günter Brus e Otto Muehl, i cosiddetti Azionisti Viennesi, intrapresero questa strada all’inizio degli anni Sessanta: tra il 1965 e il 1968 scioccarono l’opinione pubblica mostrando fluidi corporei o escrementi, il tutto accompagnato da grande violenza.
    Ormai il pescecane sotto formalina (soluzione acquosa utlizzata come conservante, in maniera particolare nelle tecniche di imbalsamazione, ndr) nelledell’inglese Damien Hirst (1991) non è più fonte di scandalo. Oggi gli uomini vengono imbalsamati e messi in mostra; in nome dell’arte bambini appena nati vengono esposti nelle gallerie, oppure mucche morte vengono gettate da elicotteri in volo. L’arte deve superare tutti questi confini, e provare ogni volta nuove esperienze, per riuscire a trovare la propria identità.

    Bistecche d’uomo
    «Quello che trovo estremamente interessante», continua Talon-Hugon, «è la reazione che hanno gli artisti che vengono contestati dalla critica in nome di un’etica». Alcuni ribattono con la tipica frase retorica «l’arte non ha vincoli o confini»; altri si giustificano: «Quello che sto facendo ha molta più moralità di quanto potete immaginare».
    In questa corrente si muove un nuovo tipo di arte: la cosidetta “Bio-Art”, che utilizza cellule dal corpo umano, che poi alleverà fino a far diventare bistecche. Pronte da mangiare.
    L’artista brasiliano Eduardo Kac ha impiantato in un coniglio cellule prese da una medusa. Il risultato: in Francia è nato un nuovo animale verde fosforescente. Con questa azione, l’artista ha voluto mostrare che «dobbiamo imparare a convivere con gli altri», spiega Talon-Hugon. «Io la chiamo “vocazione che va al di là della morale”: superare l’accusa di immoralità, chiamando in causa un concetto prettamente morale».
    Lo spirito dell’arte risiede oggi nella radicalità: si è obbligati a superare ogni volta un nuovo confine. «L’arte ha conquistato un impero. Mai prima d’ora ha conosciuto una tale autonomia: la libertà di esplorare qualsiasi possibilità», afferma Talon-Hugon.
    Joseph Beuys, uno dei primi artisti che ha lavorato con il grasso animale, sostiene che «ogni essere umano è un artista».
    Il musicista Karlheinz Stockhausen ritiene che gli attentati dell’11 settembre siano una forma di arte.
    È forse il caso di smettere di cercare i confini e chiederci cosa sia l’arte?

    Katha Kloss

    traduzione di Alessandra Buono

    Cfr. il sito http://www.cafebabel.it/cultura/articolo/carne-umana-e-genetica-i-confini-tra-arte-e-morale.html

    23 Giugno, 2014
    Rispondi

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