Latte a fiumi sulle strade di Sardegna


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Fiumi di latte di Pecora scorrono per le strade e nei canali in Sardegna ormai da molti giorni. I pastori sardi sono in rivolta a causa del prezzo troppo basso del latte e come metodo di lotta per attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, non hanno trovato di meglio che gettare sull’asfalto quello che ritengono essere il frutto del loro duro lavoro.
La diatriba è tra allevatori e filiera produttiva casearia, con lo Stato chiamato in causa dai primi a fare da mediatore. Insomma una questione squisitamente economica e commerciale per spuntare un miglior prezzo per litro dell’”oro bianco” della Sardegna, che però ha anche dei chiari risvolti culturali ed identitari.

Le considerazioni da fare sulla vicenda sarebbero molte, ma come persone umane antispeciste è opportuno concentrarsi su un unico argomento, che peraltro è il principale: il latte (si parla ormai di circa 1 milione di litri sversato o dato in pasto a sos porcos, ai Maiali), non è propriamente il frutto del lavoro e del sudore dei pastori, bensì più onestamente il risultato dello sfruttamento, del dominio e della schiavitù per motivi economici di circa 3 milioni di Animali, dato che a tanto ammonta il numero delle Pecore attualmente allevate in Sardegna.
Il latte gettato con disprezzo sulla carreggiata delle strade bloccate, tra l’ilarità generale e gli applausi, la dice lunga sul concetto che molta parte della società umana ha degli altri Animali.
Quel fiume di latte è l’alimento naturale negato a milioni di agnelli strappati dalle loro madri, è il motivo per cui milioni di Animali vengono sfruttati fino alla fine e poi macellati, subendo privazioni e sevizie. Questo i pastori lo sanno fin troppo bene, ma preferiscono ricorrere alla solita trita retorica del duro lavoro e delle tradizioni da rispettare. Tutto quel bianco che ricopre le strade e cola in ogni dove, in realtà non rappresenta la disperazione dei pastori, ma la sofferenza e il sangue versato di un numero enorme di Animali. L’unica disperazione di cui dovremmo tenere conto in questi casi, è quella di chi soffre a causa della schiavitù, non degli schiavisti che si lamentano dei loro magri guadagni.

Lasciamo che i pastori si scontrino con le logiche e gli inarrestabili ingranaggi del mercato a cui direttamente e convintamente partecipano, e lavoriamo affinché ogni tipo di allevamento, presto e definitivamente, scompaia dalla nostra società, ivi compresa la pastorizia.

Adriano Fragano


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6 Commenti
  1. Paola Re ha scritto:

    Queste scene non sono nuove: le abbiamo già viste in altre zone d’Italia col latte di mucca.
    Nonostante la Sardegna sia considerata una perla del turismo, vive per il 70% sull’industria agroalimentare, praticamente la zootecnia, soprattutto ovina.
    Non ci si rende conto che è diventata una palla al piede più che una ricchezza. Ogni anno alle numerose fiere zootecniche ovine ci sono convegni sul rilancio, sulla valorizzazione, sulle strategie da adottare per portare avanti questo baraccone.
    Adesso hanno inscenato i fiumi di latte. Difficile essere solidali con queste persone, sebbene siano poco abbienti, perdano il lavoro e siano a loro volta sfruttate da chi è più in alto.
    Il grattacielo di Horkheimer è sempre attuale e io sono solidale con chi sta nella cantina del grattacielo.

    12 Febbraio, 2019
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    • Cereal Killer ha scritto:

      Grazie Paola per le tue considerazioni che sono giuste. Nel testo si è solo voluto evidenziare che gli argomenti da affrontare riguardanti questa vicenda possono essere molti, ma è necessario partire da una base comune che dovrebbe davvero essere ovvia per tutte/i: le vere vittime di questa situazione non sono umane, lo sfruttamento specista è il medesimo sia che si parli di piccoli aguzzini che di grandi, è da esso che si è costruita la struttura sociale in cui viviamo. Il resto delle considerazioni (economiche, sociali, politiche…) seguono.

      13 Febbraio, 2019
      Rispondi
  2. Rita Rose ha scritto:

    #iostoconlepecoresarde

    14 Febbraio, 2019
    Rispondi
  3. Marcella Guidoni ha scritto:

    Sì, solo stando con le pecore sarde si può uscire dalla logica dello sfruttamento.

    28 Febbraio, 2019
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    • Cereal Killer ha scritto:

      “Uscire dalla logica dello sfruttamento” è esattamente ciò che dovremmo fare in qualità di antispeciste/i, purtroppo il comportamento di alcune persone umane che si definiscono antispeciste, non sempre pare rispecchiare una chiara visione di ciò che si dovrebbe realmente fare per uscire dalla logica dello sfruttamento. Ciò probabilmente perché non c’è ad oggi una visione comune di quel che è lo sfruttamento e ciascuna/o lo interpreta come meglio crede.
      Uno sfruttatore è pur sempre uno sfruttatore, anche se piccolo o facente parte di una categoria ( a molte/i però piace chiamarla “classe”) di persone umane che occupa un posto nei piani bassi del grattacielo di Horkheimer. Certamente la pastorizia – per quanto “artigianale” – appartiene al vasto mondo della zootecnia, un mondo crudele e spietato che sfrutta i corpi degli Animali per fini commerciali ed in modo professionale e scientifico. Certamente in pastori non possono essere considerati i peggiori tra gli aguzzini, ma è oppurtuno stilare questa classifica? Sfruttare meno equivale a non sfruttare? La libertà di cui tanto parliamo è un concetto assoluto: o vale per tutti o per nessuno. Se quindi vogliamo schierarci con chi è privo oggettivamente della libertà e chi subisce sempre e comunque, non è certo ai pastori che dobbiamo pensare.
      Scambiare una rivendicazione economica di un comparto produttivo che si basa sullo sfruttamento animale per una rivolta di popolo, è un errore tragico, lo è ancora di più se a commetterlo è chi si professa antispecista.
      Forse nemmeno noi antispecisti siamo ancora usciti nel nostro immaginario dalla logica dello sfruttamento.

      6 Marzo, 2019
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  4. Paola Re ha scritto:

    I pastori sardi sono allevatori, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi che si tramandano l’attività di generazione in generazione o che l’avviano ex novo su un territorio dove sappiamo che tale attività è radicata e guardata con grande rispetto e orgoglio. In questa vicenda i pastori figurano come persone sfruttate, quindi vittime, perché è pure vero che l’industria del latte impone prezzi a cui loro devono adeguarsi ma c’è differenza tra un pastore sardo e, per esempio, un migrante assunto come manodopera in un allevamento intensivo o magari in un mattatoio (ultimamente ne finiscono tanti proprio lì!). Se al migrante fosse offerto altro, forse accetterebbe, al contrario del pastore sardo che non vuole cambiare, attaccato alla famigerata tradizione, tetragono, granitico, conservatore. L’allevamento intensivo e il mattatoio sfruttano esseri umani e non umani; il pastore sardo sfrutta “soltanto” quelli non umani. Resta il fatto che pure lui imposta il suo lavoro sull’idea del dominio e dell’oppressione. Considerarlo meno oppressore solo perché non sfrutta gli esseri umani ma “soltanto” quelli non umani significa riservare ai non umani un’attenzione minore di quella che si riserva agli umani. Chi è antispecista non deve accettare ciò.

    8 Marzo, 2019
    Rispondi

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