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Una lettera di Matteo Preabianca a Veganzetta descrive la situazione che sta vivendo attualmente il veganismo moderno nel Paese in cui è nato. Una situazione di grave perdita di valori identitari e di radicalità, ampiamente prevista, tenendo conto di ciò che è stato fatto per demolire il messaggio vegano sin dalla sua nascita. L’argomento non è certo una novità, ma la banalizzazione e la deriva commerciale del messaggio vegano originale, pare non abbiano ormai più alcun freno e questo continuo rilancio al ribasso nel tentativo puerile di ottenere i favori della società umana specista, probabilmente arrecherà in breve tempo danni ancora più gravi alla causa della liberazione animale.
Vivendo in uno dei Paesi europei (il Regno Unito) con il tasso più alto di persone vegetariane e vegane1, mi sono reso conto che vi è una sconcertante trasformazione nel modo in cui l’animalismo è interpretato e praticato.
Entrando nei supermercati, non posso fare a meno di notare la vasta gamma di prodotti adatti ai vegani che ora riempiono gli scaffali. È diventato quasi inevitabile attraversare i corridoi senza imbattersi in alternative vegetali alla carne e ai latticini. In un primo momento, questa varietà sembrava indicare un cambiamento positivo verso uno stile di vita più etico, sano e sostenibile. Tuttavia, con il tempo, ho iniziato a percepire un’assenza palpabile di una vera consapevolezza etica dietro questa tendenza.
Anche nei miei incontri con amici e conoscenti, ho notato una strana discrepanza tra la comprensione del veganismo come scelta dietetica e la sua associazione con i diritti degli Animali. Mentre molti sembrano comprendere perfettamente le ragioni dietro una dieta a base vegetale, raramente la collegano a un impegno più ampio per il rispetto e la protezione degli Animali. Invece, la conversazione spesso si concentra sugli aspetti ambientali del veganismo, come la riduzione delle emissioni di gas serra e la lotta al riscaldamento globale. Quando va bene.
Un esempio lampante di questa tendenza è rappresentato da movimenti come Extinction Rebellion e Animal Rebellion. Mentre entrambi promuovono una dieta a base vegetale come parte della soluzione per affrontare la crisi climatica, l’accento sui diritti degli Animali è spesso secondario, se non del tutto assente. La dieta vegana viene incoraggiata principalmente come un modo per ridurre l’impatto ambientale personale, anziché come un atto di compassione e giustizia verso gli Animali.
Sembra che il messaggio banale sia: ‘Che problema c’è se tu non mangi carne, lui mangia halal, lui gluten free? Ognuno fa ciò che vuole’, e quindi la missione animalista viene ridotta a una conversazione per bourgeoisie.
Questo fenomeno mi ha spinto a riflettere sul concetto di assimilazione2, così eloquentemente descritto da Michel Foucault. Quando osservo il modo in cui il veganismo è stato incorporato nella cultura mainstream britannica, non posso fare a meno di vedere la sua neutralizzazione come parte di un processo più ampio di normalizzazione del potere. Il potere mainstream ha trasformato il movimento animalista da una sfida radicale alla società a una comoda opzione di consumo, riducendo il suo impatto etico e sociale.
Questo cambiamento mi preoccupa profondamente, poiché mina l’integrità stessa del movimento animalista. Mentre sono apprezzabili gli sforzi per promuovere una dieta più sana e sostenibile, non si può permettere che la questione dei diritti degli animali venga relegata in secondo piano.
Bisogna spingere oltre la narrazione limitata del veganismo come semplice scelta alimentare e far emergere la sua vera essenza come atto di resistenza contro lo sfruttamento e l’oppressione degli Animali.
In conclusione, mentre vivo in un Paese dove il veganismo è diventato parte integrante della cultura alimentare mainstream, mi preoccupa la perdita di valore etico e sociale all’interno del movimento animalista britannico.
Matteo Preabianca
Note:
1) www.vegansociety.com/news/media/statistics/worldwide
2) www.ragionidistato.it/2020/11/25/michel-foucault-governamentalita-e-ragion-di-stato
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ritengo che ciò sia legato al fatto che vogliamo lasciare traccia di noi stessi, qualcuno vorrebbe il proprio nome associato a un evento di successo. Non mi preoccupo di cosa gli altri pensano di me, il nome e la fama non mi interessano, ancora meno i soldi. Sembra una contraddizione, i pensieri devono essere soft per stare in armonia con gli altri, per poter lavorare nell’attuale sistema. Oltre alla regolarità, serve collaborazione.