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Fonte Laboratorio antispecista
Scegliamo il periodo natalizio per affrontare un tema a noi caro e che pensiamo sia di massimo interesse ovvero quello della diffusione capillare del veganismo a partire da premesse non strettamente etico politiche.
Etico politiche.
Esattamente.
Proprio da queste due parole crediamo sia necessario partire per ribadire quelle sono le premesse, gli ambiti di sviluppo e gli obiettivi del veganismo o meglio, quelli che dovrebbero essere viste le derive odierne.
Ma andiamo con ordine.
“Il popolo dei vegetariani e soprattutto dei vegani aumenta e lo fa a vista d’occhio: non c’è quasi ormai più un ristorante che non proponga un menù ad hoc e pressoché tutti i programmi tv dedicati alla cucina offrono consigli per preparare piatti a base vegetale. “, parola di Panorama.
“Il marketing animalista ha pensato a innumerevoli surrogati di tutti gli alimenti di origine animale. E così, sui banchi vegan troviamo “affettato, salame, wurstel, pancetta, porchetta, macinato per ripieni e ragu’, filetto, arrosto, maionese, latte”, tutti rigorosamente vegetali.”, leggiamo su un altro noto quotidiano on line.
E così potremmo andare avanti per ore tra link di sedicenti VeganCoach ovvero “professionisti” che guidano gli apprendisti vegani nel loro percorso, farmacie vegan e menu appositi inseriti fra quelli onnivorissimi di ristoranti che per puro business hanno deciso di strizzare l’occhio a chi preferisce il seitan alla costoletta.
Evviva!
Diranno molti di voi pensando che questa diffusione numerica corrisponda a una maggiore diffusione dei contenuti profondi legati al veganismo.
Noi la pensiamo diversamente.
Sarà perché ci muoviamo da anni in questo ambito, sarà perché vegani lo siamo da quasi 20 anni per ragioni etico politiche appunto, ma questo è per noi un momento tutt’altro che semplice.
Continuiamo fra ostacoli dei più vari a cercare con iniziative di contenuto e con ogni mezzo di comunicazione possibile compreso il presente articolo a ribadire quelle che sono le ragioni etiche di una posizione di rottura con l’attuale sistema capitalista che si manifesta anche con il nostro approccio verso i consumi e quindi si concretizza nel non consumo di prodotti derivati dalla sofferenza e dallo sfruttamento degli animali e ci scontriamo ogni giorno con le più svariate posizioni, sicuramente non etiche, derivanti invece da un approccio assolutamente individuale, salutista, a tratti egoista e che nulla ha a che fare con il resto del mondo al di là del proprio ambito personale.
E’ un periodo duro, fatto di studi di settore pienamente volti a rafforzare l’ormai avviatissimo ambito del marketing dedicato ai consumatori vegani e fatto di domande, quelle che ci vengono continuamente rivolte quando abbiamo a che fare con chi segue le nostre iniziative, prevalentemente orientate alla salute, al miglioramento del proprio benessere e che mirano all’ottenimento di consigli, ricette, trucchi e indicazioni.
Nulla che abbia a che fare con l’etica, con la critica di questo attuale sistema economico e sociale, che leghi il veganismo a un movimento di lotta, critica e opposizione a tutto questo e che lo riduce invece a una scelta fra uno scaffale e l’altro di questo grande supermercato che è il pianeta terra, visto in questa chiave.
Che fare?
Ce lo chiediamo ogni giorno. Insistiamo continuamente con le nostre iniziative, con i nostri scritti, con la nostra voce e continuiamo a cercare di fare in modo che tutto quello in cui crediamo venga fuori, oggi come era un tempo, in modo chiaro e facilmente individuabile.
Rimpiangiamo epoche che sembrano ormai lontane anni luce?
Epoche in cui quando affermavi di essere vegan non correvi il rischio che ti si chiedesse immediatamente se mangi la farina bianca?
Forse sì. Forse un po’ sì.
Perché effettivamente fino a qualche tempo fa nessuno avrebbe avuto dubbi, come invece è oggi, che la nostra posizione in quanto vegani fosse una posizione di rottura, di rivolta, una posizione nettamente contraria alle basi stesse dell’attuale sistema di sfruttamento degli animali, degli uomini e delle risorse della terra.
Ci interroghiamo per questo continuamente e cerchiamo soluzioni comunicative consone alla diffusione di questi contenuti ma, oggi, lottiamo contro dei giganti che la comunicazione la studiano e la tagliano sul presunto “consumatore vegano”, abbiamo a che fare non più con un nemico, volendo semplificare “onnivoro” , ma anche con un altro – che non stentiamo a definire egualmente nemico – vegano tanto quanto noi ma che ignora totalmente le nostre mozioni e rema in una direzione ostinatamente contraria alla nostra: il vegano consumista, appunto.
Quello a cui interessa solo di trovare tofu o seitan dovunque vada, anche nella peggiore delle catene di fast food e non si interroga affatto sul fatto che quel marchio sia pessimo, da mille altri punti di vista e lo rimarrà nonostante venda prodotti vegan.
Il fronte di lotta si è allargato ed è oggi che le nostre forze, nostre dei vegani etici intendiamo, devono essere maggiori e spese in una direzione precisa.
In un momento in cui dirci vegani comporta in noi qualche difficoltà, in un momento in cui sappiamo che dovremo affrontare interviste e domande mirate a classificarci, inglobarci e comprarci a partire dal fatto che facciamo gola a un sistema economico che tutto fagocita e tutto sfrutta, dobbiamo insistere e continuamente ribadire che la nostra posizione non è una posa, una moda, un’opzione o uno “stile di vita” ma è parte di una riflessione etica e politica – per quanto questa parola oggi faccia più paura che mai – di rottura e ribellione costante a un sistema che reprime, sfrutta e uccide animali, uomini e risorse.
Parlare di autoproduzione, diffondere contenuti, tornare “brutti e cattivi” come un tempo – chiaramente è un paradosso – un tempo in cui però in quanto tali eravamo riconosciuti immediatamente come latori di contenuti “pericolosi”, rivoluzionari e insurrezionali.
Ci siamo interrogati più volte sul motivo per cui questi contenuti siano stati fagocitati dal resto, da un’immagine verdina e bucolica fatta di campi biologici e vacche allegre, e l’abbiamo fatto con spirito decisamente autocritico chiedendoci se anche noi non avessimo contribuito a decostruire i contenuti rivoluzionari del veganismo magari mirando a una sua più larga diffusione.
Può darsi.
Può darsi anche che il sistema ci abbia fagocitati proprio perché “pericolosi”, perché un’idea tanto ampia di liberazione lo avrebbe distrutto e allora tanto valeva impegnarsi a fermarla il prima possibile con il classico schema da sistema immunitario.
Fatto sta che oggi dobbiamo reagire.
A partire dal linguaggio, sicuramente, tornando come dicevamo a parlare di Liberazione, quella con la L maiuscola, continuando caparbiamente a parlare con chi oggi forse in numero maggiore può ascoltare e facendogli suonare nelle orecchie concetti pieni, senza paura di sconvolgere e piuttosto – forse- con l’obiettivo di farlo.
E’ possibile, lo crediamo ancora, e sappiamo che sono in tanti a pensarla come noi, a credere che ancora oggi sia possibile parlare di Liberazione animale, umana e della terra.
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Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.
Far parte di un movimento rivoluzionario non è estremismo…è coerenza e responsabilità verso un cambiamento etico rigoroso.
Chi pensa che rompere le tradizioni sia doveroso per attuare una svolta nelle nostre abitudini giornaliere…è una persona coraggiosa ed intelligente.
Decidere di accettare il compromesso duro e difficile che per forza dobbiamo affrontare ogni santo giorno…è una sfida ardua e complicata non priva di ostacoli e tentazioni.
Per quanto tempo ancora, noi che abbiamo capito il difetto di questo meccanismo…potremmo alzarci la mattina ed avere l’impegno e la volontà di continuare a lottare? Io spero per sempre!
La sfida della vita moderna è molto più complicata se decidiamo di rompere gli schemi indotti e perseguiti da chi vuole imporci una direzione prefissata solo per uno scopo puramente speculativo.
Io ho scelto di cambiare…e come me tante persone ogni giorno sacrificano le loro voglie superficiali per una causa giusta e sincera. Cadere nella truffa di un lusso sanguinario è molto semplice e comodo…ma soprattutto costoso.
Oggi essere Vegan è una scelta molto importante.
Oggi il movimento Vegan può considerarsi molto più di una dieta alimentare.
Essere Vegan oggi è un cambiamento dettato da una presa di coscienza.
Essere Vegan oggi significa libertà, pace, sostenibilità, salvezza e tante
altre belle parole che non basterebbe una pagina intera per elencarle tutte.
Esserlo con la consapevolezza e non con la violenza di imporlo è altrettanto
giusto.
Essere Vegan oggi significa essere consapevole che il mondo per vivere ha
bisogno di vita, una vita giusta, pacifica non violenta.
Il Veganismo racchiude in un solo gesto tante azioni quasi inconsapevoli ma dirette e geniali. Una sorta di nuovo pacifismo globale, altro che: ”Fate l’amore non fate la guerra!”…“Siate Vegan!”
Mi vengono in mente i movimenti pacifisti anni ’60/’70…“i Figli dei fiori”, il pacifismo assoluto, le manifestazioni che vedevo da piccolo in tv su “No alla guerra!”. Tante azioni fatte in passato, ora sembrano perse in un contesto socio-politico devastante, quasi psicotico.
Diceva Tonino Guerra: “C’è chi non sa dove andare e sta correndo per andarci subito!”. Ecco forse bisogna per un attimo fermarsi e riflettere, capire bene dove
veramente stiamo andando, cosa stiamo diventando.
Per usare un termine pesante ed aggressivo, forse…siamo schiavi di un sistema economico che ci sta trascinando. Dove?
L’attuale sistema economico capitalista mondiale desidera probabilmente che si
attui al più presto una rivoluzione nei consumi. Forse verso movimenti più
prettamente definiti alternativi? Il Veganismo può essere un punto di
partenza verso un nuovo sbocco consumatore speculativo? Chi ha voluto, creato,
definito ed infine perfezionato un movimento rivoluzionario, etico e
consapevole…è a conoscenza dei rischi indotti dalle corporazioni?
Sotto la spinta dei consumatori, sempre più attenti all’alimentazione e ai
consumi, le food corporations si trovano di fronte ad una scelta: cambiare o
mistificare. Sembra che la seconda sia la più breve e facile in termini
economici e semplicisti.
Ammiccamento, induzione, fidelizzazione, ed infine consumismo. Queste sono
solo alcune delle regole principali del marketing moderno che insieme (o
figlio) del più esperto merchandising è attorno ad ognuno di noi, carnisti o
Vegan.
Cosa vuol dire? Il risultato tradotto in prodotto commerciale.
Che esso sia “McCarne o McVeggie” poco cambia, per un semplice motivo assoluto: il capitalismo attuale è sfruttamento. Sfruttamento di animali, esseri umani, risorse naturali. Già, è vero il primo è stato fabbricato sullo sfruttamento degli animali mentre il secondo no? Purtroppo è vero solo in parte. Una coltivazione di
massa globale utile a fabbricare “bigmac vegetariani” non credo che cambierebbe di molto le cose. Probabilmente non esisterebbero più gli allevamenti intensivi come quelli odierni, ma esisterebbero altre catene di montaggio con altri
sistemi produttivi deliranti creati solo ed esclusivamente per un unico scopo:
profitto! E chi produce profitto non ha nulla di etico e responsabile per l’
ecosistema terrestre. Nulla! Altrimenti non sarebbe una corporazione, ma una
onlus, o un associazione noprofit, umanitaria ecc.
Se accadesse questo in un prossimo futuro non lontano (e la cosa potrebbe davvero essere alle porte…diciamo 20 o 30 anni) nulla cambierebbe in termini di produzione alimentare sostenibile. Le regole del mercato globale attuale impongono rigide direttive in termini di costi produttivi, margini di guadagno e consuntivi di fatturato.
Le multinazionali del cibo non sono un congregazione benefica. Sfatiamo questo
mito da “fondazione corporativa”! Ci sono in ballo interessi mondiali con
fatturati da capogiro che nessuno realmente conosce e percepisce.
So da dove provengo e conosco le mie origini, e sono anche consapevole di essere figlio di tutto questo. Ma sono altrettanto cosciente che esiste un problema, un problema serio ed importante!
Non si può fermare la volontà delle persone, che per quanto siano incoscienti o irresponsabili hanno comunque un cervello che pensa ed agisce.
Quello che si può fare di contro è condizionarle, indurle ad effettuare una
determinata scelta. E purtroppo il movimento vegan sta andando in questa
direzione: scelta costretta!
“C’è chi non sa dove andare e sta correndo per andarci subito”.
Il tempo ci darà torto o ragione, ma confondere l’etica del pensiero
antispecista…è molto pericoloso!
“Essere Vegan oggi è un cambiamento dettato da una presa di coscienza”
“Ammiccamento, induzione, fidelizzazione, ed infine consumismo. Queste sono
solo alcune delle regole principali del marketing moderno”
“C’è chi non sa dove andare e sta correndo per andarci subito”
Roberto: questi tre passaggi del tuo commento sono probabilmente riassuntivi della situazione che stiamo vivendo.
Il primo passaggio ci parla di una “presa di coscienza”, è fondamentale cercare di comprendere se di presa di coscienza si tratta realmente e in tal caso, di che presa di coscienza si sta parlando.
Il reale problema del veganismo contemporaneo è forse la mancanza di una presa di coscienza, o una presa di coscienza parziale e/o distorta.
Non tutte le persone vegane lo sono per etica, ciò significa che non è avvenuta alcuna presa di coscienza della condizione degli Animali e di ciò che la nostra società ci impone (in definitiva ciò che ci propone il veganismo etico), chi è vegan per motivi di mera sostenibilità o per salute, ha considerato solo in minima parte le questioni sollevate dal veganismo e le ha interpretare a proprio esclusivo uso e consumo: ciò forse è ancora più grave della mancanza totale di una presa di coscienza.
Il secondo passaggio ci parla delle modalità mediante le quali il sistema socio-economico capitalistico ci avvolge e ci convince all’adesione quotidiana a un modello sociale ben preciso: parlare di consumatori e consumatrici vegan, significa ancora una volta reiterare il modello di sfruttamento vigente. Il fulcro della questione non è la tipologia di prodotti da consumare, è il concetto di consumo stesso.
Il terzo passaggio dipinge lo stato delle cose: l’euforia vegan generata dal successo mediatico e popolare che sta avendo il veganismo, spinge molte persone vegan a non considerare che esso è indice del fatto che il sistema sta “sdoganando” il concetto di veganismo, edulcorandolo, svuotandolo di significato, annullandone la portata rivoluzionaria e rendendolo “appetibile” per la massa e a tutto vantaggio del comparto produttivo che continuerà a prosperare.
Io sono Vegan ormai da quasi 5 anni e da un paio lo è mia moglie, mia figlia piccola 8 anni lo sta diventando piano piano e progressivamente, sono in parte in linea con quel che si afferma nell’articolo, ovvero l’esasperata ricerca di portare il prodotto vegan dappertutto o di trovare ristoranti che abbiano scelte vegan dove affianco al tuo commensale che mangia una bistecca al sangue tu mangi una fettina di seitan fa riflettere, molte volte ho detto ai miei amici che se un ristorante propone piatti vegan ma fa anche altri tipi di cucina non è vegan e mi son sentito dire : ma tu sei un estremista allora !!! Diciamo che pero’ per diffondere la nostra filosofia di vita (ed è questo che molta gente non capisce e non comprende NON E’ UNA DIETA ALIMENTARE ma un modo diverso di vedere le cose) lo dobbiamo fare in modo che le persone capiscano che fare il collegamento è NECESSARIO e INDISPENSABILE, io sono del parere che non esistano gradualità nel diventare VEGAN, io lo sono diventato dall’oggi al domani, ma so che molte persone non sarebbero in grado di farlo, come molti dicono e si chiedono perchè replichiamo prodotti onnivori veganizzandoli e ci accusano di pressapochismo e fesseria, in realtà io veganizzo anche i wurstell ma li faccio (ma mia figlia mangia già da tempo i wurstelle di farro e soia), come faccio molti altri prodotti sapendo che è nell’autoproduzione e nella ricerca del prodotto locale e integrale che la filosofia vegan trova il suo massimo apice !!! Pero’ per far avvicinare le persone a noi a volte dobbiamo anche “proporre” delle cose a loro conosciute, mia moglie prima di diventare Vegan non ne voleva sapere di funghi shitake o di topinambur ora è lei che li cerca (e se i primi ancora non ho provato a coltivarli, i secondi li coltivo e li faccio coltivare e mangiare sia a mia madre che ai miei suoceri !!! che prima ne ignoravano l’esistenza e non sono Vegan !!!)
Diciamo che concettualmente avete ragione ma nell’attuale società non si puo’ essere duri e puri e sperare che gli altri facciano il collegamento senza indorare la pillola in qualche modo poi sono sicuro che una volta che avranno fatto il passo si puo’ lavorare sulla parte vera pura e dura dell’essere vegan e quindi sulla reale valenza ETICA ed EMPATICA che fa della nostra scelta l’unica vera e che puo’ preservare il genere umano dall’estinzione, perchè di questo si tratta, se non cambiamo velocemente (ed è per questo che non me la sento di condannare a spada tratta il supermercato che solo per esigente di mercato o per accaparrarsi una nuova fetta di consumatori !!! si riempe gli scaffali di prodotti vegan ovviamente devono pero’ essere per lo meno con un minimo di “attenzione” alla cosa !!!) rischiamo di creare i presupposti di un futuro alquanto nefasto ed infausto nell’arco di 20-30 anni, stiamo trasformando il mondo in qualche cosa di orrendo.
Per cui ribadisco daccordo con VOI su tutto il discorso ma non sara’ meglio fare in modo che molte persone prima si avvicinino a noi e poi gli si spieghi per bene e in modo piu’ approfondito perchè ditte come la buit*** o la b**illa o altre non sono vegane anche se non fanno prodotti a base di animali o loro derivati, oppure perchè un olio di palma (che alla fine è estratto da una pianta e quindi concettualmente VEGAN) non puo’ essere considerato un prodotto etico (noi ovviamente lo sappiamo benissimo il perchè )?!?!?!
Caro Fernando,
Grazie per la tua bella testimonianza.
Dici bene quando parli di “filosofia di vita”, ma la questione è che una filosofia di vita non la si può vendere, una dieta alimentare diviene subito utilizzabile, quindi è chiaro che questa banalizzazione del messaggio vegano è funzionale a un suo sfruttamento commerciale.
L’autoproduzione è una pratica indispensabile per il percorso etico vegano di una persona, affrancarsi dall’idea dell’acquisto è importantissimo. Nel tuo commento parli di “indorare la pillola”, ma in una società superficiale e egocentrica come la nostra, pensi davvero che la patina luccicante dell’ipotetica pillola possa rimanere tale, oppure si corre il rischio che si dimentichi il contenuto della pillola per accontentarsi solo dell’indoratura?
In linea teorica: se il veganismo è una filosofia etica che propone il rispetto dell’alterità mediante una pratica personale di autocontrollo e se la società in cui viviamo non considera affatto il rispetto delle altrui esigenze, ma solo il soddisfacimento delle proprie individuali mediante una visione egoistica dell’esistenza, le due cose non dovrebbero essere compatibili.
Sono vegan da qualche anno e lo sono diventato a seguito di considerazioni etiche, sono da poco un vostro lettore e sono rimasto piacevolmente sorpreso dai vostri articoli e dai commenti dei vostri lettori. Interessante, tutto davvero interessante e istruttivo. Il collegamento è assolutamente necessario per una scelta consapevole e duratura. Bravi.
Caro Angelo,
Grazie di cuore per il tuo commento e per i tuoi complimenti che sono graditissimi.
Pur condividendo in toto il senso dell’articolo, mi preme però enunciare alcune considerazioni.
In primis: dati concreti.
Pensiamo ai diagrammi di flusso che si usavano a scuola o che ancora servono alle aziende a gestire graficamente i bivi decisionali e immaginatevene uno con scritto semplicemente: uccide qualcuno? Due diramazioni: Sì; no. Bene, anche i “consumatori vegani” contribuiscono a rafforzare il flusso NO, pertanto, già solo per questo, dovremo gioire che sempre più persone per moda, per dieta, per qualunque motivazione inconsistente scelgano comunque di non uccidere e anzi rafforzare il “fronte del no”. Nel loro piccolo avranno comunque salvato delle vite.
Inoltre se appunto persone che non si sono mai poste alcun problema riguardo allo specismo, all’antropocentrismo, allo sfruttamento umano ed animale cominciano, seppure per nuove ricette, cibi e corsi di cucina a frequentare negozi, bar, ristoranti vegani c’è una grande probabilità che entreranno in contatto anche con i “veri vegani”, quelli che lo fanno per etica e che potranno mostrar loro il quadro completo di perché si sceglie di lottare per la liberazione e i diritti di ogni essere vivente.
Che probabilità avrebbero queste persone di incontrare un attivista vegano in macelleria? Dal lattaio? Per caso per strada? 0. ZERO.
Vogliamo forse tornar ad essere un movimento di nicchia, autoreferenziale o siamo disposti a lottare davvero per tutti, anche per chi ancora non è completamente “sveglio”, ma lo potrebbe diventare? Se davvero vogliamo essere un movimento eversivo, rivoluzionario dalle fondamenta stesse della realtà in cui siamo calati, possiamo forse lamentarci della crescita e dell’evidente successo che si sta sviluppando?
Dobbiamo forse augurarci di “convertire” tutti e subito? Possiamo forse sperare che tutte le persone del pianeta siano immediatamente disponibili a riconoscere parità di diritti anche solo alle donne, ai neri, agli omosessuali? (Altri movimenti sicuramente vittoriosi nel lungo termine, ma che ancora non son riusciti ad estirpare tutti i pregiudizi e le dinamiche create da millenni di cultura).
Per non parlare poi della situazione degli animali, gli ultimi fra gli ultimi.
Allora ben vengano le ricette veg e pure gli inutili tofu e seitan nei supermercati, serviranno comunque ad indicare e costruire un’alternativa.
Più paura dovrebbero fare le certificazioni veg, le farmacie veg, i vegani famosi che sponsorizzano la sperimentazione animale. Non i singoli “finti vegani” che scelgono di consumare prodotti veg.
Il “nemico” è uno solo: chi agisce unicamente per profitto, chi non ha come valore guida il rispetto della vita.
Ma spetta a noi, uno per uno, mostrare con tutto noi stessi che un’altra via è possibile.
Caro Pepe…concordo con alcune tue affermazioni e in particolare proprio sul quesito: diffondere sì-diffondere no. Tu opti sul sì, ma nessuno qui sta dicendo che non ci debba esistere condivisione, nessuno qui sta affermando che il tofu sia sbagliato…piuttosto lo è lo strumento marketizzato che la corporazione usa e probabilmente userà in un prossimo futuro. Questo è sbagliato! Che ci siano ristoranti veg o farmacie veg è sicuramente un buon segno in quanto testimonia che la presa di coscienza in alcune persone sta prendendo piede. Ma il vero nemico da combattere è la speculazione. Essa è già padrona dei consumi borghesi odierni, è ovunque! Basti pensare per esempio che per acquistare un litro di bevanda vegetale a base di soia o riso bisogna spendere più di due euro! E’ un vero furto! Senza scendere in argomentazioni burocratiche-fiscali circa la tassazione relativa a questi alimenti ben oltre il 20% rispetto a beni primari di derivazione animale al 4 o 10%. Questo la dice lunga sulla situazione attuale. Il latte di mucca è considerato alimento essenziale…la soia no! Per cui le aziende alimentari, che ben sanno e conoscono la realtà dei fatti, non si lasceranno sfuggire l’occasione per aumentare margini di guadagno a fronte di fatturati in crescita. L’etica del pensiero non è questa, e non è ciò che si vuole raggiungere.
Tutto questo ragionamento ci porta a qualcos’altro e purtroppo la confusione in merito è molto alta. Ecco perchè urge un informazione, o meglio una presa di posizione, molto forte e chiara. E’ indispensabile che ciò avvenga, perchè non è assolutamente possibile trovarsi di fronte a prodotti sponsorizzati da grossi brand e mistificati con nomignoli veg o presunti tali…soprattutto quando di etica non hanno assolutamente nulla! Questo è il risultato che stiamo intravedendo all’orizzonte, ed è sotto gli occhi e le orecchie di chiunque. Oggi tutti o quasi sanno cosa significhi la parola vegan, anche mia madre che ha 70 anni radicata nelle sue tradizioni carniste capisce e reagisce di fronte ad un cambiamento. Ma la vera essenza da costruire non è il brand Vegan…bensì è il pensiero antispecista racchiuso in sè! Quelli che vogliono incentivare e promuovere griffe cruelty-free, merchandising di magliette con la V slanciata ecc.ecc. che lo facciano! Sicuramente smuoveranno qualcosa nelle menti assopite. Ma aprire un ristorante che cucini piatti vegetali invitando clienti incuriositi con abbigliamento di pellame piumato o peggio non immagino…è inutile, anzi dannoso! Tanto vale creare tavoli misti con vegani e carnisti mischiati insieme…è la stessa cosa, nulla cambierebbe nell’etica delle persone. Una persona che non vuole più festeggiare con la morte nel piatto…non aspetta che un vegano gli si compaia davanti…è lui stesso che lo va a cercare, e sicuramente non in una macelleria. Se io che faccio per mestiere lo sgozzatore di maiali, a meno che non mi venga all’improvviso un illuminazione spirituale poco probabile, se voglio smettere di uccidere…smetto eccome! Non certamente perchè l’ho visto in Tv! Questa è una presa di coscienza personale, non uno spot di massa. E’ ovvio pensare che il tempo darà i suoi frutti, è naturale. Il razzismo è ancora oggi vivo e reale pur nascosto tra le righe dell’omertà pubblica che non vuole ammettere l’insofferenza di alcuni verso gli immigrati. Il veganismo può essere solo ed esclusivamente un mezzo, uno strumento per ottenere una vera, reale, sincera coscienza antispecista futura. Utopia? Forse un ideale…ma non un illusione. Purtroppo chi vorrebbe “aprofittare” del treno in corsa…è già salito! Il vero inganno psicotico è il consumismo moderno, meglio definito in: epoca carnista. Anche gli antichi Romani mangiavano carne…ma la “bestia” era visibile, si era consapevoli di ciò che si commetteva. Oggi tutto ciò è mistificato…troppo per essere ben visibile e condiviso come uccisione legale.
Il concetto è questo. L’antispecismo è attuabile solo ora, oggi.
Grazie Pepe per la tua analisi interessante e chiara.
Con altrettanta chiarezza si può rispondere nel seguente modo: Ogni idea – dalla più semplice alla più impegnativa e rivoluzionaria – ha sempre subito il medesimo percorso nella sua divulgazione: ha subito una semplificazione e una riduzione in termini minimi, per poter essere compresa e condivisa dalla massa e divenire “senso comune”. Il veganismo etico (e con lui l’antispecismo) subiranno la stessa sorte. Ciò non è negativo, è normale. Ci si dovrà pertanto attendere una banalizzazione delle argomentazioni vegane (ma ciò già avviene da tempo), per poterle far divenire di “pubblico dominio” e quindi di pubblica fruizione.
Un primo problema nasce nel momento in cui l’idea subisce uno stravolgimento tale, o una banalizzazione e una semplificazione tali, da essere snaturata, perdendo di significato. Nel momento in cui si parla di consumatore e consumatrice vegan, si pensa, si realizza, si commercia per chi consuma prodotti vegan, per assecondare le esigenze di chi è vegan e per riconoscere i diritti di chi è vegan (non perché se ne rispettano i principi, ma perché chi è vegan paga e consuma), si snatura il fondamento dell’idea vegana che è scaturita dalla volontà di rispettare gli altri, gli ultimi, gli Animali: è a loro che devono essere riconosciuti dei diritti fondamentali e inalienabili, è a loro che si dovrebbe pensare, non a chi cresce numericamente e assume una rilevanza commerciale e quindi va seguita/o con attenzione. Ciò porterà a un’indubbia espansione del veganismo, come fenomeno commerciale, o “di costume” (veganismo consumistico), ma ne causerà la morte come filosofia come è accaduto al biologico anch’esso snaturato, svuotato e trasformato in mero fenomeno di consumo di massa.
Si salveranno più Animali? Si è vero. Si arriverà a un cambio paradigmatico della società nei rapporti Umano-Animale giungendo alla liberazione animale? No di sicuro. Ciò non può essere possibile per via del fatto che il fulcro dell’attenzione per il sistema è chi consuma (l’Umano), non chi viene consumato (l’Animale).
Non sarà possibile anche perché chi è vegan ed esige il diritto di essere riconosciuto dalla società umana attuale, la riconosce a sua volta, la condivide e ne è partecipe tanto quanto chi mangia carne e sfrutta gli Animali. Pertanto il veganismo sarà destinato – se le cose continueranno in questo modo – a divenire un fenomeno sociale con una rilevanza commerciale che verrà riconosciuto e tutelato tanto quanto le altre nicchie di consumatori che desiderano continuare a cibarsi di carne: a ciascuno la libertà di essere ciò che vuole senza criticare le altrui “scelte”. Non si scappa dalla trappola antropocentrica e dalla logica del dominio.
Ma torniamo ai dati: tu hai citato l’esempio del diagramma di flusso, molto utile, ma si potrebbe anche parlare di valutazione di impatto sugli Animali e l’ambiente: un prodotto vegan proveniente da una multinazionale che si occupa di OGM, di zootecnologia, di agrobusiness e altro – come quasi sempre avviene – che cosa può significare per la Terra e gli Animali? Non conterrà ingredienti di origine animale, ma le logiche produttive non cambieranno di una virgola: non conterrà Animali, ma contribuirà a deforestare, inquinare, avvelenare, uccidere altri Animali con sostanze chimiche, affamare popolazioni locali, sfruttare Umani e via discorrendo, ma avrà dalla sua una nuova arma potentissima: una nuova reputazione come azienda “green”, sostenibile o addirittura etica.
Tutto ciò è accettabile? E’ quello che vogliamo? Questo è un secondo problema.
Di più: chi consumerà vegan sarà indotta/o a pensare che sia la scelta migliore possibile, o la meno impattante e – come sempre accade – saranno davvero poche le persone che si spingeranno oltre per capire il significato profondo del veganismo etico e agire di conseguenza cambiando la propria esistenza. Inoltre se il veganismo diviene un’opzione, una scelta, esso perde del tutto la sua portata rivoluzionaria, la sua valenza di protesta sociale: perché protestare quando chiunque è disposto ad accontentarci vendendoci prodotti e servizi? Questo è un terzo problema.
Non possono esserci “veri vegani” e “finti vegani”, perché i primi saranno sempre considerati esattamente come veniamo considerate/i noi ora: dei fanatici perché la società capitalistica è già pronta a inglobare e a normalizzare il veganismo per trarne vantaggi economici e d’immagine. Questo è un quarto problema.
Conclusione: come vedi non è possibile limitarsi solo ed esclusivamente a un sì o a un no come tu inizialmente proponevi, è indispensabile affrontare la questione da una prospettiva molto più ampia e slegata dall’immediato.
Per fortuna delle parole chiare ed utili per dissipare la banalità d’un mercato dove i negozi e supermercati bio invece di fare chiarezza e far maturare le menti tentano in continuazione di venderci cibi belli e pronti…, troppo simili o uguali al cibo spazzatura del restante mercato.
Vittorio
Visto che siamo piuttosto lontani dal debellare il cancro delle multinazionali alimentari…Chiediamolo ad una mucca… Preferisci vivere soffrendo e morire in un orrendo macello per mantenere pura un’ideologia (che io condivido) o preferisci vivere alimentando un veganismo qualunquista?
A voi immaginare la sua scelta!
Forse cara Loredana la risposta non è così semplice visto e considerato che magari la stessa multinazionale che risparmia la Mucca per vendere a te un prodotto vegan, poi l’ammazza per vendere un altro tipo di prodotto a chi non è vegan (i tuoi soldi sono uguali a quelli di chi mangia carne). Oppure ti vende un prodotto vegan che salva una Mucca ma che ammazza un numero imprecisato di altri Animali distruggendo il loro ambiente per produrlo.
O ancora vende a te il tuo prodotto vegan e ne ricava, oltre a un riscontro economico, un indubbio vantaggio d’immagine spacciandosi per industria etica e rispettosa degli altri, quando invece continua ad adottare le solite e ben note logiche e dinamiche di sfruttamento. Scegli tu.
Nella mia famiglia già partendo da mia mamma (che ha ottant’anni) siamo tutti vegetariani o vegani da molti anni. Mi aggiungo ai vostri commenti per chiedervi di riportare i piedi in terra, nella speranza che ai piedi non abbiate calzature in pelle, che non sosteniate i calzoni con una cinta in pelle, che non mangiate caramelle gommose a base di gelatina animale, che non usiate cosmetici contenenti derivati animali (quasi tutti contengono se non altro urea), che non… Non devo insegnarvelo io che questa scelta “etica” è molto molto costosa, molto difficile. La mia riflessione riguarda due fronti: essere vegani non significa appartenere ad una casta ristretta quindi non vedo perché le industrie o le logiche commerciali non dovrebbero vedere in noi un grandissimo bacino di utenza ed una grandissima risorsa; mica possiamo tutti coltivare il nostro orticello, no? L’altra osservazione riguarda tutti quei vegani che anziché impegnarsi in una vera ricerca alimentare, sostituiscono gli alimenti di origine animale (wursterl, bistecche, arrosti e cc..) con surrogati a base di soja: un’aberrazione. tra l’altro la soja non è che faccia poi così bene, è un fagiolo.
Cara Silvana,
Chi ti risponde non mangia carne, non indossa calzature in pelle, non usa cinture in pelle, non mangia caramelle gommose, non usa cosmetici con ingredienti animali da 28 anni; non che serva una “patente” vegana, ma speriamo che questo possa bastarti per farti capire che non stai parlando con gente sprovveduta o che vive sulla Luna. Il veganismo non è affatto costoso, è difficile, ma lo è per motivi sociali e per i rapporti interpersonali, non per altro. Sulla questione delle industrie e del consumismo si è scritto molto su Veganzetta, quindi per favore cerca nel sito e troverai molti articoli a riguardo. Non possiamo tutte/i coltivare un nostro orticello? E chi lo ha deciso? Noi dovremmo tutte/i cercare di provvedere a noi stesse/i mediante l’autoproduzione, non che si possa autoprodurre tutto, ma molte cose sì. Non si capisce come mai ci si debba per forza rivolgere alle aziende e ai negozi per comprare del cibo, quando lo si potrebbe ottenere coltivandolo. E’ scomodo? E’ faticoso? Perché lavorare e timbrare il cartellino tutti i giorni vendendo il nostro tempo e le nostre energie in cambio di denaro è per caso comodo?
Le persone vegane di cui parli tu che ricorrono ai surrogati, sono proprio quelle che aderiscono entusiasticamente a questa nuova moda vegan consumista a cui Veganzetta si oppone.
Complimenti per la tua bella famiglia e grazie per il commento.