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Luana Martucci affida a Veganzetta una serie di considerazioni sullo svolgimento (e sulle posizioni giuridiche) del processo contro la liberazione di Cani Beagle durante l’azione del 28 aprile 2012 dal lager di Green Hill. Nel testo viene evidenziato che quanto hanno affermato in questo periodo da giornali e siti web a riguardo del processo (non è reato “rubare” Animali), non corrisponde a ciò che è stato dichiarato nella sentenza di Cassazione. Anzi è vero il contrario.
L’udienza di appello è fissata per il 17 gennaio 2020 alle ore 12 presso il Palazzo di Giustizia di Brescia. Buona lettura.
La liberazione non è reato?
Molti articoli di giornali e commenti di alcune associazioni animaliste, hanno sintetizzato il significato di questa sentenza nei termini “la liberazione non è reato”.
Eppure la Cassazione non ha mai utilizzato il termine liberazione, la liberazione non può essere contemplata all’interno di un ordinamento giuridico che altro non fa che regolare le possibilità di utilizzo che l’Umano come essere superiore può fare di un essere considerato inferiore.
Tutto l’iter processuale è stato teso a cercare di far rientrare l’azione del 28 aprile 2012 in qualche fattispecie di reato, con tutte le difficoltà che sono emerse.
A una volontà di punire atti che mettono in discussione le fondamenta della nostra società, ovvero la visione dell’Umano come essere che sfrutta e domina ogni altro essere vivente e la Natura stessa, l’ordinamento fa fatica ad inquadrare la fattispecie di reato.
Con questo articolo si vogliono ripercorrere sinteticamente le fasi processuali che hanno coinvolto, e continuano a coinvolgere, i 12 attivisti nel caso Green Hill.
In particolare si vuole evidenziare come la Cassazione arrivi a sancire l’Animale come “cosa mobile” non titolare di alcun diritto.
Sentenza di Primo Grado
La Sentenza di Primo Grado aveva riconosciuto i 12 attivisti responsabili del delitto di furto in abitazione in concorso pluriaggravato (art. 624 bis C. P.).
Aveva concesse le circostanze attenuanti (art.62 n.1 C. P.) : «dell’essere stato l’agire dei colpevoli ispirato da motivi di particolare valore morale e sociale».
Tali circostanze attenuanti sono state ritenute prevalenti sulle aggravanti, ad eccezione del caso della scrivente, dove vige un principio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e aggravanti, così motivato in primo grado: «suddetto giudizio di prevalenza non può essere riconosciuto in favore dell’imputata Martucci la quale in sede di dichiarazioni spontanee si è resa responsabile di affermazioni offensive nei confronti delle Istituzioni in generale, e di questo Tribunale in particolare, disconoscendone l’autorità».
Sentenza di Appello
La Sentenza di Appello conferma la Sentenza di Primo Grado, concedendo però agli imputati il beneficio della non menzione sul certificato del casellario giudiziario.
Cassazione
Annulla la Sentenza di Appello e rinvia per un nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia, sede che dovrà colmare i vizi e le lacune motivazionali presenti, e ridefinire i reati conformandosi alle direttive impartite dalla Cassazione.
Motivi per cui la sentenza di appello viene annullata
1) deficit motivazionale (art. 125 C. P.): «la sentenza di appello nulla dice sui motivi delle aggravanti che riguardano Martucci Luana, né sulle ragioni di tale decisione. […] tanto determina l’annullamento della sentenza».
2) non ricorrono gli estremi per il reato di furto in abitazione (art. 624 bis), in quanto lo stabulario Green Hill non può essere ricondotto a destinazione abitativa/privata dimora.
Riqualifica quindi il delitto contestato in furto con le relative aggravanti (artt. 110, 112 n.4, 624, 625 n.2 e 5 C. P.), chiedendo alla nuova Corte d’Appello che sia essa a valutare se il fatto può rientrare nella fattispecie del furto.
3) art. 624 Furto: «Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri».
Perché si possa applicare il reato di furto, la Cassazione richiede che siano soddisfatte due condizioni:
– l’oggetto materiale del reato deve essere una “cosa mobile”.
– deve essere individuato il dolo specifico: ovvero l’elemento soggettivo di vantaggio (profitto) per colui che compie l’azione.
La Cassazione boccia l’individuazione del dolo specifico tracciata in Primo Grado e in Appello che vedeva il profitto in una soddisfazione morale di vedere realizzato: «l’interesse alla concretizzazione della manifestazione e all’affermazione dei propri principi», e indica un’interpretazione restrittiva del profitto derivante dall’impossessamento della “cosa mobile” che deve essere diretto e non mediato. Rimanda quindi alla nuova Corte d’Appello tale compito in base alle direttive tracciate dalla Cassazione stessa.
Percorso tracciato dalla cassazione in merito alla possibilità di far rientrare il fatto nel reato di furto
a) oggetto materiale del delitto di furto: “bene mobile”
La Cassazione riconduce l’Animale all’interno della categoria “beni mobili” in base a:
1) art. 625, comma 1, n. 8 Cod. Pen.: annovera espressamente gli Animali tra le cose mobili altrui sulle quali può essere commesso il reato di furto.
2) argomentazioni sviluppate dalla giurisprudenza civile della stessa Corte in ordine alla inclusione anche degli Animali tra le cose mobili suscettibili di divenire oggetto di diritti soggettivi:
– «vanno considerati come ‘cose’ anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo».
– «L’uomo ha sempre manifestato verso gli animali, in quanto esseri senzienti, un senso di pietà e di protezione, quando non anche di affetto».
– «Da qui l’esistenza, in tutte le epoche storiche, di precetti giuridici, essenzialmente di natura pubblicistica, posti a salvaguardia e a tutela degli animali».
– «il crescente ruolo che negli ultimi decenni hanno assunto gli animali da compagnia nella società contemporanea ha indotto uno speciale rafforzamento della loro tutela giuridica».
– «Va tuttavia precisato che la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi ultimi titolari di diritti».
– «L’animale, per quanto sia un essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c. d. “capacità giuridica” (capacità di essere soggetti di diritti e di obblighi); capacità che l’ordinamento riserva alle persone fisiche e a quelle giuridiche».
– «L’animale, perciò, è solo il beneficiario della tutela apprestata dal diritto e non il titolare di un diritto alla tutela giuridica. In questo senso, la comune espressione “diritti degli animali” va intesa in senso a-tecnico, a-giuridico, con essa intendendosi riferire, non già alla (inconfigurabile) titolarità di diritti soggettivi da parte degli animali, ma al complesso della tutela giuridica che il diritto pubblico appresta in difesa di quegli esseri viventi».
– Da qui la conclusione, art. 810 Cod. Civ., che definisce i beni come «le cose che possono formare oggetto di diritti», gli Animali, anche quelli d’affezione o da compagnia, devono essere considerati come: «”cose mobili”, beni giuridici che possono costituire “oggetto” di diritti reali ovvero di rapporti negoziali».
– tale approdo interpretativo non si pone affatto in contrasto con l’articolo 13 del Trattato di Lisbona, nello stabilire che: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti», fa salve le: «disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale delle quali prevede il rispetto».
b) dolo specifico: il profitto
La Cassazione indica nell’interpretazione restrittiva la via per definire il dolo specifico del furto.
Secondo l’interpretazione restrittiva della Cassazione il dolo specifico deve identificarsi nel fine di profitto che deve perseguire il soggetto agente, e coincide, di regola, nella possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità economico/patrimoniale e, quindi, consiste in un’attività ulteriore rispetto all’impossessamento.
Rintraccia nella sentenza di primo grado e appello un’errata definizione dell’utilità che non consente di riportare alla categoria furto.
Tale mancanza di definizione del dolo specifico comporta l’annullamento della sentenza impugnata perché il giudice del rinvio provveda all’accertamento del suddetto requisito.
L’annullamento come tecnicismo
La Sentenza di Appello è quindi annullata per mancanza di motivazioni sulle aggravanti applicate ad una degli imputati e per mancanza di elementi che riportino il fatto ad una precisa fattispecie di reato.
La liberazione e’ un atto rivoluzionario
Se il diritto è un’emanazione di una cultura dominante condivisa che impregna modi di pensarsi e di vivere, allora la Liberazione Animale è ciò che rompe e mette in discussione le basi del nostro vivere.
Un’intenzione o un atto legati all’idea di fare qualcosa disinteressatamente per un Animale, per tutelarlo, per rispettarlo e per trattarlo con la dignità che merita, per lasciarlo vivere nella sua libertà, non è contemplata dal diritto perché non fa parte dei valori morali della nostra società.
In questo l’atto di Liberazione crea nel nostro modo di vivere una rottura di un pensiero di dominio assoluto (garantito dal diritto), e introduce una visione etica e un concetto di giustizia differente.
La liberazione dimostra la sua portata rivoluzionaria perché sovverte i valori morali del nostro modo di pensarci, di vivere, di agire.
Riporta a un’idea di un Umano a cui nulla deve appartenere, ma lo sogna come un essere tra i tanti in rapporto con una Natura da proteggere e tutelare, in un rapporto di rispetto e sostegno con tutti gli esseri.
La Liberazione non vuole chiedere dei miglioramenti nel nostro rapporto con gli altri Animali e con il pianeta, ma apre la gabbia che imprigiona un Animale.
Non vuole discutere con un ordinamento giuridico per “umanizzarlo” (ancora di più), la liberazione intende solo distruggere quel pensiero umano unico e totalizzante e tutti i dispositivi che lo rendono possibile, proprio nell’atto in cui permette ad un Animale di poter tornare a disporre della propria esistenza nel modo più pieno possibile.
La Liberazione Animale parla di dominio, quando una Corte parla di norme e diritto.
La liberazione Animale parla di anticapitalismo, quando una Corte parla di “beni mobili”, “leggi a difesa del patrimonio”, o quando la società tutta costruisce la sua possibilità di esistenza sul profitto derivante dallo sfruttamento di ogni essere vivente e della Natura.
La Liberazione parla di indisponibilità dei corpi, quando il nostro sistema parla di utilità, necessità, sacrificio.
Luana Martucci
Note:
Testo integrale della Sentenza di Cassazione n° 4873 del 9/11/2015 (formato .pdf, peso: 2,9 Mb)
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Cari amici, vorrei porre l’attenzione sulla giustificazione portata dalla Cassazione della definizione di animali come ”cose mobili”; si fa riferimento a termini come capacità giuridica, persona fisica, persona giuridica a fondamento della tesi. Questi termini in filosofia del diritto sono tutt‘altro che univoci; le definizioni sono spesso nebulose, a volte si riferiscono a caratteristiche descrittive, a volte prescrittive; i problemi sollevati dalla bioetica medica hanno complicato ulteriormente la situazione. Gli embrioni, i feti sono persone? Le persone in stato vegetativo persistente, o in stato di minima coscienza, i neonati idroencefalici non hanno sicuramente capacita’ giuridica, pero’ sono da considerarsi persone fisiche? Sono comunque soggetti? Perché la personalita’ giuridica può essere attribuita a non-persone fisiche come enti e fondazioni? La giustificazione data dalla sentenza sul fatto che gli animali siano “cose mobili” è antiquata e dogmatica. Suggerisco di porre l’attenzione sul concetto di SOGGETTIVITA’ che è il fulcro su cui ruota ed è informato tutto il diritto positivo: quali sono le caratteristiche che trasformano “qualcosa” in “qualcuno“, una “cosa” in un “soggetto”? I sistemi giuridici occidentali si basano su una serie di ipotesi filosofiche antropocentriche, e la nozione di “soggettivita’ è un artefatto giuridico carico di storicita’, fissata attraverso la categorizzazione operata da un ceto di tecnici… è percio’ facile comprendere come sulla scia di questo “Juridical Humanism” l’uomo sia posto al centro del fenomeno del diritto come unico a possedere “soggettivita’”; ma il progresso delle conoscenze sulle menti animali da una parte, l’evoluzione giuridica contemporanea con la revisione dei vecchi paradigmi della filosofia del diritto dall’altra, hanno messo in crisi il tradizionale concetto di “soggettivita’” imperniato solo sull’essere umano. Non voglio dilungarmi, mi limito a suggerire due saggi che possono illuminare sull’ambiguita’ dei fondamenti dei termini “ soggetto” , “persona fisica”, “capacita’ di agire”, “persona giuridica”: “Le persone fisiche“ di Raffaele Caterina; “Le avventure del soggetto” di Rodrigo Miguez Nunez. Spero possano risultare utili in sede di udienza di appello.
Un caro saluto
Dott Bodrero Fabio Valerio
Grazie Fabio Valerio per il tuo commento, per le tue indicazioni e i tuoi suggerimenti che saranno riferiti alla diretta interessata.
Un caro saluto a te.