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Torture animali
di Adriano Fragano
«Si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno»
Isaac Bashevis Singer. Premio Nobel per la Letteratura
Per Isaac Bashevis Singer Treblinka diviene eterna a causa di quanto facciamo quotidianamente agli Animali: le torture, le vessazioni, i maltrattamenti, le violenze, le uccisioni che la nostra specie compie ogni giorno nei confronti delle altre specie animali costituiscono uno ciclopico ed eterno campo di sterminio, una Treblinka senza confini e senza tempo che ha avuto un principio con gli albori della specie umana, ma non ha una fine. Singer è riuscito nell’opera che ciascuno di noi dovrebbe fare: immedesimarsi negli altri, com-patire ed empatizzare con chi non ha diritti, non ha voce, non ha forza e possibilità di scampo.
Nelle sue parole non c’è traccia alcuna di pietà: un sentimento tipico del più forte, del dominatore e del vincitore nei confronti di chi ha perso, ma c’è compassione. Un sentimento molto più alto e soprattutto egualitario, che pone sullo stesso piano esseri senzienti apparentemente lontani ed alieni; la compassione diviene quindi strumento necessario per la rielaborazione critica del ruolo della specie umana sulla Terra. La nostra specie si è arrogata il diritto di disporre a suo piacimento, in ogni modo e con ogni mezzo, dei corpi e delle vite altrui. Questo è il fondamento primo della tortura: possiamo torturare e uccidere chi vogliamo, come vogliamo e quando vogliamo. Una volontà di dominio assoluta ed assolutizzante ci pervade e ci guida nella nostra esistenza. Da questo Singer parte nella sua opera di scrittore per la descrizione di come lo sfruttamento e l’uccisione, sia degli Animali che degli Umani, si siano trasformati in un processo razionale e industrializzato nel corso del XX secolo, con la creazione dei macelli e delle camere a gas.
La banalità del male1 descritta da Hannah Arendt nella realtà va molto oltre l’immaginazione, e ha origini ben più ampie di quelle intraspecifiche umane. La nostra visione del mondo si basa ancora oggi sul criterio di divisione, di separazione della specie umana dagli altri viventi, e ciò ha creato una barriera non solo fisica ma culturale che permette il verificarsi di uno sterminio infinito avallato dal concetto stesso di umanità.
Per comprendere appieno la violenza nella nostra specie è assolutamente necessario riscoprirne le origini, ed esse conducono inevitabilmente alla violenza sugli Animali. Massimo Filippi nella sua introduzione ad un libro fondamentale sull’argomento scrive:
Un’eterna Treblinka di Charles Patterson porta alla nostra attenzione la banalità del male a cui inevitabilmente conduce il dogma metafisico della separazione artificiale tra animali umani e non umani, dogma che rende giustificabile non solo l’attuale misera condizione animale, ma anche l’altrettanto misera condizione umana. Tramite un paragone serrato e documentatissimo tra l’odierno trattamento degli animali e la tragedia dell’Olocausto, al termine della lettura di questo libro non solo si constata amaramente che la presunta linea divisoria tra «noi» e «loro» è altrettanto labile e ignobile delle decine di linee divisorie che sono state erette dalla nostra specie nel corso della sua storia (uomo/donna, bianchi/neri, liberi/schiavi, greci/barbari, cristiani-islamici-ebrei/pagani, europeinordamericani/ migranti, ecc.), ma anche che la divisione uomo/animali è indispensabile al mantenimento dell’attuale ordine imposto dal dominio assoluto della ragione strumentale, che divide l’esistente in merce (tutto l’esistente, compresi gli animali e la gran parte dell’umanità) e consumatori (gli individui umani che provvisoriamente sono titolari di un potere economico). La sottigliezza raffinata e letale di questa nuova barriera è quella di prevedere, a differenza di quanto è sempre accaduto nelle attualizzazioni storiche del binomio «noi/loro», la possibilità per alcuni componenti della nostra specie (per i non umani non esiste altra possibilità che essere merce) di poter passare dall’uno all’altro dei due termini in gioco. (…) La principale lezione di Un’eterna Treblinka è dimostrarci che l’Olocausto non è stato un evento unico e, quindi, irripetibile. Come dice Adorno e come ci ricorda Patterson, «Auschwitz inizia quando si guarda a un mattatoio e si pensa: sono soltanto animali».
L’attuale condizione animale ci richiama, pertanto, a una forte presa di coscienza non solo per la sua stessa infamia e brutalità, ma anche perché «palestra» formativa di una nuova Treblinka universale. E tutto questo è tutt’altro che un problema secondario a fronte del progressivo incedere della biotecnologia.2
L’affermazione di Theodor Adorno, ebreo tedesco costretto all’esilio per sfuggire alle persecuzioni naziste, è sintomatica di uno stato di alienazione sociale che genera una linea rossa continua tra violenza sugli Animali e violenza sugli Umani. Già gli antichi avevano ben compreso che la pratica violenta e la sopraffazione degli Animali in qualità di soggetti indifesi, costituiva una sorta di “palestra” in cui l’Umano si allenava per poi ripetere gli stessi atti sui suoi simili.3 Ma il punto non è utilitaristicamente l’evitare la crudeltà verso gli Animali per prevenirla sugli Umani, ma piuttosto il combattere il concetto antropocentrico che prevede la nostra specie al centro dell’universo, e, in quanto tale, in diritto di assoggettare ogni essere vivente, e non solo, al proprio volere. Diritto esercitato mediante la violenza.
L’urgenza di una nuova visione ecocentrica in cui la specie umana ritorni nell’alveo di quell’enorme fiume che è la vita sulla Terra, e che ritorni a ricoprire il ruolo naturale in armonia con le altre specie viventi, è tanto più evidente quando si analizza nel dettaglio una tragedia immane come l’Olocausto degli ebrei.
Esseri umani maltrattati, torturati, rinchiusi, marchiati ed eliminati mediante tipiche pratiche di sfruttamento degli altri animali. Il parallelo tra l’Olocausto degli ebrei e quello degli Animali ci insegna che questa tragedia non sono non è irripetibile, ma è seriale e continua, e che ripetendosi di continuo tra l’indifferenza generale per gli Animali, potrà avvenire di nuovo anche tra gli Umani.
La Treblinka universale di cui ci rendiamo responsabili con le nostre azioni è un buco nero nella coscienza collettiva che va assolutamente tappato, e questo non perché esiste una indubitabile continuità tra la “palestra” del male offerta dal modo in cui trattiamo gli Animali, e la brutalità che molti Umani usano contro i propri simili, ma perché è essa rappresenta un tragico concetto di volontà di dominio che forse l’Umano ha sin dalla sua comparsa su questo pianeta. Una volontà che tutto avvolge e distrugge, che ci ha permesso, e ci permette, di obnubilare la nostra coscienza e di farla tacere anche di fronte agli atti più crudeli e strazianti, facendoci divenire semplicemente dei mostri, semplicemente degli esseri contro natura che operano in base a concetti discriminatori fondati sulla guerra alla diversità considerata come inferiorità e pericolo.
Da questi presupposti è nata l’eugenetica che ha avuto grande influenza sui massacri perpetrati dai nazisti il secolo scorso. L’eugenetica nasce venendo applicata sugli Animali, e lo è tutt’oggi. Il salto tra animale non umano ed animale umano è stato quindi facile da compiere. Stefano Cagno parlando del libro di Patterson scrive:
Un altro concetto che emerge in maniera chiara in “Un’eterna Treblinka” è l’importanza delle teorie eugenetiche per comprendere come sia stato possibile arrivare all’Olocausto. Eugenetico è qualsiasi tipo di intervento volto a migliorare le caratteristiche ereditarie degli esseri viventi.
L’assunto è che l’ambiente sociale influenzi molto poco il risultato finale, ma che quasi tutto sia determinato da rigidi modelli genetici. Quanti sposano le tesi eugenetiche classificano gli esseri umani in base all’intelligenza e alla cultura, creando così una disuguaglianza tra i “superiori” e gli “inferiori” in quanto ritenuti ritardati, criminali, depravati o comunque pericolosi. Tutti sappiamo che fu proprio Hitler a portare l’eugenetica alle sue più estreme conseguenze, arrivando a sterminare 6 milioni di ebrei proprio perché considerati razza “inferiore”. Pochissimi sanno che Hitler fu ispirato da Henry Ford e che proprio negli Stati Uniti d’America, negli anni venti, si compirono i primi interventi eugenetici mediante campagne di sterilizzazione obbligatoria.
Contemporaneamente le maggiori fondazioni americane, tra le quali la stessa Rockfeller Foundation, sostennero i principali eugenetisti tedeschi, i quali pochi anni dopo divennero i maggiori teorici della selezione razziale.
Anche di quest’altra imbarazzante verità, Patterson offre ampie e inoppugnabili prove.
All’interno di un libro interessantissimo, in cui ogni pagina è ricca di documentazione e spunti di riflessione, ritengo che la parte dedicata alle testimonianze dei molti sopravvissuti ai campi di sterminio, successivamente diventati attivisti animalisti, è la più originale e la migliore per dimostrare come il paragone tra i lager nazisti e gli attuali allevamenti degli animali non sia affatto offensivo per chi queste esperienze le ha vissute sulla propria pelle.
Le inoppugnabili prove di questo assunto sono numerose. Si potrebbe semplicemente dire che Henry Ford nell’ideare la catena di montaggio per le sue automobili, trovò ispirazione visitando i macelli di Chicago dove gli Animali sfruttati come semplici “cose” venivano smontati pezzo per pezzo per divenire cibo (esattamente come continua ad avvenire oggi lontano dai nostri occhi e dalle nostre orecchie e grazie al nostro colpevole silenzio). Si potrebbe poi citare una lunga lista di aguzzini nazisti che prima di divenire tali erano attivi dell’allevamento e nello sfruttamento degli Animali. Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, possedeva un macello e un negozio di macelleria; Willi Mentz, uno dei più feroci guardiani a Treblinka, era stato mungitore di vacche; Kurt Franz, ultimo comandante di Treblinka, era stato macellaio come anche Karl Frenzel, fuochista prima a Hadamar poi a Sobibor. Heinrich Himmler, il pianificatore della Shoah, fece le prove generali eugenetiche della “soluzione finale” nel suo allevamento di polli.
Quanto riportato può essere interpretato semplicemente come una testimonianza del fatto che il destino stesso della specie umana è legato indissolubilmente ai rapporti che abbiamo con gli altri esseri senzienti e viventi: nulla realmente potrà cambiare se non sarà ridiscusso tale rapporto sin dalle sue fondamenta. Il nostro compito è cominciare questo indispensabile cambiamento sin dalle nostre abitudini quotidiane per eliminare la sofferenza altrui. Solo in questo modo ogni tipo di tortura finalmente cesserà.
«Sono convinto che gli uomini arriveranno veramente a non uccidersi tra di loro, quando arriveranno a non uccidere più gli animali»
Aldo Capitini
Note:
1) Hannah Arendt, La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, collana Universale economica, traduzione di Piero Bernardini, Feltrinelli, 2003.
2) Introduzione di Massimo Filippi in Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, Editori Riuniti, 2003.
3) «Coloro che uccidono gli animali per cibarsene saranno più inclini a torturare ed uccidere i loro simili» Pitagora, «La crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini» Publio Ovidio Nasone.
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Sono riflessioni che non fanno una grinza eppure questo genere di riflessioni trova spesso un ostacolo insuperabile perché quando si propone l’accostamento tra la violenza sugli umani e sui non umani, soprattutto riferita al caso dell’Olocausto, pare si vogliano offendere le vittime umane, dimenticandosi che proprio alcune di loro evidenziano questa relazione. E quando si parla di certe professioni come il vivisettore, l’allevatore, il macellaio, il cacciatore, il pescatore, il domatore…e qualunque altra che sottometta gli animali a sofferenza, spesso ci si trova davanti a persone serenamente “normali”, affettuose con la famiglia e gli amici. E nel vederle sono proprio così perché fa parte della loro vita essere istrionici, gestire le due vite separatamente. Per un macellaio, smontare un maiale è un lavoro e finito quello, torna a casa a coccolare cane e bambini. Coloro che uccidono certi animali, spesso ne amano altri. Il loro non è odio verso gli animali ma specismo. Vale così anche nei confronti degli umani. Il loro non è odio verso il genere umano ma razzismo. La differenza è che il razzismo è perseguito dalla legge ma lo specismo no, anzi, è parecchio incoraggiato.
Sicuramente sono questioni molto delicate e importanti, ma è proprio quello che tu dici che evidenzia i continui paralleli e richiami alla discriminazione che travalica la specie. I macellai nazisti dei lager compivano il loro “dovere” con convinzione e puntualità e poi tornavano a casa a esercitare il loro ruolo di padre affettuoso e marito irreprensibile, lo stesso può benissimo fare un macellaio di Animali (come evidenzi tu), è proprio questa banalità che deve essere combattuta e annientata per aprire uno squarcio sulla crudeltà assurta a sistema. Non è possibile fare distinzione (anche se non è facile) tra i carnefici (chi è più crudele o meno) e tra le vittime (chi è più innocente o meno), perché se così fosse ricadremmo nella stessa spirale di discriminazione e differenziazione di ambiti che ha causato tutto questo scempio.
Questo è fare centro su CHI è veramente questa orribile creatura chiamata Uomo:
“un tragico concetto di volontà di dominio che forse l’Uomo ha sin dalla sua comparsa su questo pianeta. Una volontà che tutto avvolge e distrugge, che ci ha permesso, e ci permette, di obnubilare la nostra coscienza e di farla tacere anche di fronte agli atti più crudeli e strazianti, facendoci divenire semplicemente dei mostri, semplicemente degli esseri contro natura che operano in base a concetti discriminatori fondati sulla guerra alla diversità considerata come inferiorità e pericolo”
Questa creatura è un’anomalia nel sistema Terra, ne è un cancro mortale.
Salvo pochissimi rappresentanti di questa specie, che definisco “alieni” dotati di un alto livello evolutivo, guardandomi intorno vedo solo esseri indifferenti ad ogni altrui sofferenza, dediti al più assoluto piacere egoistico, impermeabili ad emozioni, privi di qualsiasi coscienza collettiva (figuriamoci poi non specista), incapaci di gestire la rabbia e l’aggressività in ogni ambito sociale.
Credo in singoli individui che nascono diversi e credono profondamente nell’uguaglianza e nel diritto, non credo affatto in un’umanità futura che si evolva in questa direzione: non fa parte della storia umana, non fa parte dei geni umani.
La questione non è valutare se l’Umano in quanto specie sia un’anomalia, un cancro o semplicemente una specie dominatrice, ma è capire quanto le eccezioni di cui tu parli (e se permetti ce ne sono molte di queste singolarità tra gli Umani) , possano rappresentare un possibile futuro umano. L’antispecismo in quanto teoria rivoluzionaria deve per forza avere una visione positiva del problema, questo per intravvedere una soluzione per cui lottare, altrimenti non servirebbe parlarne, non servirebbe soffrirne e lottare. Che tu creda nei singoli individui è un bene, ma alla fine si dovrà sempre e comunque fare i conti con la società, e sarà quella la sfida più grande. Il discorso genetico non ha alcuna attinenza con quanto trattato. La specie umana ha generato mostri orribili e menti compassionevoli, a prescindere dalla predisposizione (che ha di sicuro una grande influenza) è la società che plasma l’individuo e lo indirizza.
Sono d’accordo con te Cintia, su tutto o quasi perché nonostante il pessimismo che irrora ogni mia singola cellula credo che questa umanità cambierà, col tempo cambierà e si evolverà e non perché i mostri si ravvederanno ma perché saranno costretti ad adattarsi al cambiamento che NOI è i figli dei nostri figli porteremo silenziosamente in atto, cambieranno si, opporranno resistenza ma cederanno ai figli e ai figli dei loro figli che gli rimprovereranno di essere stati tali, accamperanno puerili scuse e marciranno silenziosamente nella vergogna della loro coscienza.
Ci vorrà tempo, forse io sarò morta e forse lo sarai anche tu ma accidenti solo il pensiero di questo mi fa respirare a pieni polmoni sorridendo un po’.
“Singer è riuscito nell’opera che ciascuno di noi dovrebbe fare: immedesimarsi negli altri, com-patire ed empatizzare con chi non ha diritti, non ha voce, non ha forza e possibilità di scampo”.
Davvero Adriano pensi che gli Animali non abbiano voce e forza? Non è un atteggiamento un po’ paternalista nei loro confronti?
Ciao Lorenzo,
Nella nostra società gli Animali non hanno voce e forza. Non si tratta di una presa di posizione, semplicemente è una constatazione dei fatti.
Se avessero voce e forza non sarebbero gli schiavi che invece sono. La voce e la forza di cui si parla non derivano solo dall’intenzionalità degli schiavi, ma anche dal fatto che non ci sono – o sono pochissimi – coloro che volenti o nolenti, fanno parte degli sfruttatori e concepiscono la voce e la forza degli sfruttati.
Non c’è quindi assolutamente nulla di paternalistico in tutto ciò, del resto causare un danno e poi chiamare chi lo ha subito a partecipare al risarcimento sarebbe del tutto irresponsabile.
Boh a me sembra che loro una voce ce l’abbiano eccome, siamo noi che non la sentiamo, forse perché non ci sforziamo abbastanza o forse perché li consideriamo meno di quello che sono. Vengono sempre descritti come vittime passive quando in realtà episodi di ribellione/evasione sono all’ordine del giorno. Conoscerai sicuramente questo sito http://resistenzanimale.noblogs.org/ che consiglierei a tutti in quanto, secondo me, molto interessante.
Un conto è che gli Animali abbiano una voce – o una loro specifica modalità espressiva che noi non siamo in grado di ascoltare – un altro è che la società umana e i singoli Umani vogliamo ascoltarla. E’ questo il punto che non è né paternalistico, né autoreferenziale. Pensare che gli schiavi della nostra società debbano avere posizioni e visioni assimilabili alle nostre è ancora una volta pretendere da loro qualcosa che non dovrebbero o vorrebbero fare, quindi ancora una volta significa chiedere a chi schiavizziamo di assumere un ruolo che noi decidiamo.
Gli Animali sono vittime, questo è un dato di fatto. Vittime consapevoli o inconsapevoli poco importa, sono però vittime e di fronte alla macchina dello sfruttamento umano non possono nulla o quasi. Se potessero ribellarsi in massa, di sicuro noi schiavisti saremmo tutti morti, nella realtà ciò non accade se non in sporadici casi documentati anche dal sito web che tu proponi. Sono eccezioni magnifiche, che però confermano una regola drammatica: gli Animali non riescono a sottrarsi al nostro dominio.
Ogni giorno muoiono a miliardi, di questi miliardi qualcuno trova la forza di ribellarsi, di fuggire, forse di vendicarsi, ma la quasi totalità non può farlo perché è il loro stesso concetto di esistenza che noi dominiamo: chi parla di ribellione animale – o peggio ancora di resistenza animale – è evidente che non conosce la realtà, non ha mai vissuto in campagna, non sa come funziona la zootecnia e non conosce i metodi utilizzati per sfruttare gli Animali. Loro vengono fatti nascere forzatamente, sono allevati, cresciuti, controllati, gestiti da noi e sviluppano un concetto di esistenza che noi decidiamo per loro. Gli Animali negli allevamenti conoscono solo la misera vita di quei luoghi tristi, non hanno mai visto altro e escono dalla loro realtà di incubo solo per arrivare al macello. Gli Animali che noi gestiamo nella maggior parte dei casi si fidano di noi, lo fanno fino a quando non tagliamo loro il collo, questo perché non sono in grado di proiettare loro stessi al di fuori da una logica preordinata. Questo non perché non abbiano le capacità di farlo, ma perché non conoscono altro che il mondo che noi abbiamo costruito per controllarli.
Parlare di resistenza animale è stupido e specista: nuovamente decidiamo per loro che è nelle loro corde la ribellione, la voglia di resistenza, mentre la loro è voglia di vivere, di esistere, la stessa voglia che abbiamo noi, ma che neghiamo agli altri.
Quanto detto è indipendente dalle capacità mentali dei soggetti in questione: anche degli Umani nati, cresciuti, sfruttati e controllati all’interno di un lager si comporterebbero così: non sanno che esiste un “fuori”, non percepiscono il loro stato come un “dentro”, questo perché nella loro intera esistenza non hanno visto altro che il lager e questa è l’unica vita che conoscono e che immaginano. Per meglio comprendere quanto detto ti basterà pensare alla nostra condizione umana: la maggior parte di noi pensa di essere libera, di poter fare ciò che vuole e come vuole, eppure i pochi che sono riusciti a svincolarsi da questo stato soporifero sanno che non è vero. Ancora una volta si può parlare di eccezioni che confermano una allucinante regola, solo che nel nostro caso ci siamo autoreclusi nelle gabbie, gli Animali invece subiscono anche questo.
Va beh, grazie comunque.
Grazie a te per il confronto.
PS: la teoria di sicuro è interessante, bisogna però sempre confrontarsi con la realtà dei fatti per evitare di idealizzare problemi e questioni che ci conducano a conclusioni che poco hanno a che fare con la vita quotidiana dei soggetti in questione.