Veganismo un tanto al chilo


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Molti grandi geni pensavano “veggie” anche Leonardo da Vinci

Questa è la scritta che campeggia a caratteri cubitali in una nuova pubblicità su megacartelloni che si può incontrare percorrendo le strade di alcune città del Veneto in questi giorni.
La pubblicità commerciale – a cura di Despar, Eurospar e Interspar, marchi del gruppo internazionale austriaco SPAR – si presenta così al pubblico per proporre una nuova linea di prodotti vegetariani e vegani (come se si trattasse della stessa cosa) che prende il nome di “Despar veggie“.
Un’idea geniale, il veggie che piace a tutti“, così recita il testo introduttivo alla linea sulle pagine del sito web Despar.it: in particolare con riferimento al bollino che ne contraddistingue i prodotti, si afferma che “Despar garantisce che in questo prodotto viene rispettata una filosofia e uno stile di vita bene preciso, improntato al massimo rispetto etico verso il mondo animale“. Gran bella frase ad effetto, perlomeno Despar dimostra di aver ben compreso, al contrario di molte persone umane vegane, che c’è differenza tra una filosofia e uno stile di vita.
Che Leonardo da Vinci fosse un genio è chiaramente fuori di discussione, che avesse grande rispetto, empatia e compassione per gli Animali è altresì noto, che quindi la sua figura sia stata usata – insieme a quella di altre figure illustri come il Mahatma Gandhi, Richard Wagner e Albert Einstein – per pubblicizzare una linea commerciale di prodotti vegetariani e vegan da un importante gruppo della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), non è certo geniale, ma sicuramente furbo.
Se alcuni grandi geni dell’umanità pensavano “veggie” (neologismo orribile utile però ad accomunare vegetariani, vegani e le mille altre varianti con più o meno senso, per creare una nuova categoria sociale e di consumatori), perché non dovremmo farlo anche noi semplici mortali, magari comprando i prodotti suggeriti?
Despar attua un’operazione semplice in sé, ma di indubbia efficacia: utilizza un’istanza etica – parla chiaramente di un’idea – come quella vegana, per trasformarla in un’esigenza consumistica alla quale risponde con un’offerta commerciale. Un’idea rivoluzionaria come quella vegana che prevede – mediante una coerente pratica quotidiana – il rifiuto palese di sfruttare gli Animali, diviene oggetto di marketing: si trasforma da denuncia, in una richiesta di beni e servizi di un ben determinata e caratterizzata tipologia di consumatori (definiti etici), che hanno il diritto di essere riconosciuti, rispettati e accontentati dalla Grande Distribuzione Organizzata (ma più in generale dal comparto produttivo, terziario e commerciale) mediante l’offerta sempre più specializzata e ricca di prodotti adatti alle loro necessità.
In questo modo la persona umana vegana che acquista prodotti vegani appositamente creati per lei, in estrema sintesi baratta (o svende?) un’ideologia per acquistare un ruolo consumistico riconosciuto e accettato – perché funzionale – dalla società: quello del cliente esigente, informato e esclusivo, disposto a spendere di più per ottenere dei prodotti di nicchia.
Molti affermeranno che non c’è nulla di male in tutto ciò, che finalmente la società specista si sta accorgendo delle nostre istanze e che le sta riconoscendo anche – e soprattutto – a livello commerciale: un passo necessario verso una società umana meno ingiusta e crudele, un passo verso la comprensione e l’accettazione.
L’idea che i prodotti vegani negli esercizi commerciali siano in constante aumento e che ciò significhi la diminuzione dello sfruttamento degli Animali può risultare in prima battuta affascinante; di sicuro per chi – come il sottoscritto – ha abbracciato la filosofia vegana da molti anni, non essere più considerato uno squilibrato o un alieno è egoisticamente perlomeno confortante, ma ai fini pratici il concetto di “riduzione della crudeltà” è tragicamente sbagliato e fuorviante: la schiavitù animale è paradigmatica e sistemica, è dentro la nostra cultura, la nostra educazione, la visione del mondo che ci viene insegnata e la nostra società; non possono esistere pertanto prodotti veramente “etici” e men che meno cruelty free, perché a riempire gli scaffali dei negozi di prodotti vegani non è la convinzione che ciò sia giusto, etico e compassionevole, ma che sia vantaggioso economicamente, di conseguenza il concetto di sfruttamento e dominio che sottende al processo di produzione di detti prodotti rimane del tutto intatto e anzi si rafforza.
Nella realtà quindi un passo c’è ma è verso l’omologazione. Il mercato ci osserva, ci analizza, ci classifica e reagisce con una gamma di prodotti e servizi adeguati alle nostre esigenze. Noi dal canto nostro siamo chiamati a rispondere, ad assumere il ruolo conferitoci e a divenire parte attiva del ciclo produttivo e consumistico: a entrare nella nostra casella. Potrebbe essere una sorta di pacifica integrazione, se non fosse per il fatto che si tratta di una fagocitosi: il sistema capitalistico iperconsumista ha ben compreso la potenzialità economica che l’idea vegana – privata di ogni caratteristica eversiva e culturalmente destabilizzante – rappresenta e ha operato uno slittamento ideologico dalla questione animale al diritto del consumatore vegano. Le proposte commerciali come quella della Despar, non sono altro che offerte per il soddisfacimento di un’esigenza consumistica che è solo nostra (in quanto vegani), ma il veganismo nel suo pensiero originale – non edulcorato o stravolto come lo si può conoscere ai nostri giorni – si cura dei diritti fondamentali degli Animali e del rispetto del Pianeta tutto, non certo delle persone vegane in quanto consumatrici capaci di far girare meglio l’economia. Aderire alla filosofia vegana significa lottare per il diritto fondamentale alla vita altrui, non per un nostro interesse o il soddisfacimento di nostre voglie.
Un veganismo consumista è solamente autoreferenzialità e in definitiva ricade di nuovo nella visione antropocentrica della società umana: non siamo noi ad aver diritto di trovare prodotti vegani sugli scaffali dei negozi (e non dovremmo chiedere a nessuno tali diritti), ma gli Animali a vivere liberi dalla crudeltà e dalla schiavitù. Bisogna evidenziare, inoltre, che un veganismo ridotto a mero fenomeno consumista o di costume, abbandona ogni velleità politica e si riduce a una delle varianti comportamentali previste e accettate – perché non conflittuali e problematiche – dalla società contemporanea che di sicuro in un prossimo futuro ne riconoscerà i diritti, proprio per concludere il lavoro d’istituzionalizzazione che è già in corso. Insomma essere vegan significa già, e lo significherà sempre più, divenire una delle numerose minoranze parte integrante della società globalizzata e chiunque di noi avrà il diritto di mangiare cibo vegano o di vivere secondo lo stile di vita vegano, a patto che gli altri siano liberi di continuare a vivere come desiderano. Ciò ci permetterà di avere una coscienza più leggera, ma accettare l’idea che ciascuno sia libero – in quanto Umano – di causare sofferenza e morte agli Animali a causa delle proprie abitudini, come noi siamo liberi di decidere (bontà nostra) di non sfruttarli, è già di per se una sconfitta totale e definitiva.
Accettare e – peggio – avallare entusiasticamente queste iniziative commerciali equivale al non aver compreso minimamente che la pratica vegana può solo essere un’obiezione di coscienza tesa a criticare fortemente un sistema sociale, economico e politico che fonda la propria sopravvivenza sullo sfruttamento e sul dominio dei più deboli, a partire dai non umani.
Riempire il carrello della spesa di prodotti vegani è un abdicare alle lusinghe del mercato, rinunciare alla caratteristica rivendicativa della pratica vegana, abbandonare il suo messaggio antisistema in favore di una placida collaborazione e adesione nella speranza che la massa – acritica e per questo innocua – delle persone umane vegane aumenti a dismisura. Ciò, però, non aiuterà di certo gli Animali, perché il nostro ruolo sarà né più né meno quello di nutrire lo stesso sistema che li schiavizza e che continuerà a farlo anche grazie al nostro apporto e al nostro denaro convertendo una visione rivoluzionaria in un’opzione culinaria o in uno stile di vita di tendenza che fa gola al mercato e che vale ad oggi ben 320 milioni di euro, così perlomeno afferma Il Corriere della Sera in un articolo dal titolo che la dice lunga sulla questione: “Quanto valgono vegetariani e vegani?
Nello stesso tra l’altro si legge:

Le aziende dell’alimentare cavalcano l’onda. Findus ha lanciato gli hamburger vegetariani. Caso sorprendente è quello di Granarolo. Il gruppo, guidato da un consorzio di un migliaio di allevatori, è sinonimo di latte. Poco dovrebbe avere a che fare con il mondo veg. Invece… «L’anno scorso abbiamo lanciato la linea Granarolo vegetale (bevande a base di soia, riso, mandorla) e in nove mesi abbiamo fatturato per 14 milioni. Molto oltre le attese», dice il presidente Gianpiero Calzolari. Gli affari hanno fatto il miracolo e gli allevatori si convertono. «A marzo lanceremo burger, polpette e piatti pronti a base 100% vegetale», annuncia Calzolari.

Quanto affermato è una delle dimostrazioni lampanti di come sia impossibile considerare un prodotto industriale cruelty free, ma gli esempi potrebbero essere numerosissimi: ciò perché è assurdo chiedere a un sistema violento di autocorreggersi rischiando di minare le proprie fondamenta, per di più chiedendolo a suon di quattrini.

Ci è rimasto un briciolo di consapevolezza e vogliamo evitare di vendere l’idea vegana un tanto al chilo?
Qualora non fosse già troppo tardi – e vi sono fondati motivi per pensarlo – per prima cosa dovremmo smettere con l’atteggiamento da “happy vegan“, felici di essere finalmente considerati interessanti ottenendo l’elargizione di uno spazio, uno scaffale o una corsia di prodotti ad hoc nei negozi: di essere considerati in buona sostanza degli stupidi.
Facile a dirsi! Si potrebbe rispondere, ma chi era vegano 10, 15 o 20 anni fa – e che continua a esserlo tutt’ora – ha potuto condurre un’esistenza dignitosa anche senza prodotti creati appositamente e anzi – forse proprio perché ignorato dalla società dei consumi – ha potuto probabilmente esercitare con maggiore facilità e efficacia la giusta attività di critica alla società del consumo e del dominio, tessendo relazioni e avviando progetti virtuosi che dovrebbero essere le vere e uniche strade percorribili da chi lotta seriamente per la liberazione animale: l’autoproduzione (a qualsiasi livello e in qualsiasi modo mediante orti privati, collettivi, pubblici o urbani), i GASV (Gruppi di Acquisto Solidale Vegani), l’acquisto in piccole realtà produttive locali vegane, mercatini solidali, il recupero di cibo “scartato” o non più considerato commerciabile (skipping o accordi con esercizi commerciali o banchi dei mercati), l’utilizzo di prodotti semplici e grezzi, freschi, di stagione, non lavorati e locali ecc..

Insomma il veganismo si propone – e deve continuare a proporsi sempre più – come idea conflittuale nei confronti del capitalismo e al contempo suggerire delle opportunità pratiche sostitutive al consumismo che sono numerose e varie, con ciò non s’intende dire che d’un tratto si debbano abbandonare in toto abitudini sedimentate da anni, ma l’intento dovrebbe essere un graduale e sicuro allontanamento. Il veganismo dovrebbe essere realmente una pratica di rottura in vista della fondazione di una nuova società umana meno crudele e non un tanto entusiastico quanto irresponsabile e rovinoso adeguamento alla società del dominio, come sta accadendo.

Adriano Fragano


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67 Commenti
  1. Costruiscono una nicchia, ti ci mettono ben bene dentro, e tu contento di starci: questa è la base del depauperamento della dignità; in questo caso della dignità Umana, mentre quella Animale non è mai stata riconosciuta. Dare il “contentino” è da sempre l’arma migliore per zittire qualsiasi fazione che possa minare la sicurezza di un sistema, quindi, in primo luogo BOICOTTAGGIO!!! Bisogna boicottare la GDO a partire da ieri, ritornare alla bottega di paese; criticare aspramente qualsiasi sfruttamento e, in primis, non aver alcuna tolleranza per chi continua imperterrito ad essere in prima linea nello sfruttamento animale, e fa dello sfruttamento del lavoro umano l’asse portante della sua politica aziendale. Questa è la GDO: parassiti della società.

    10 Febbraio, 2016
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    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Roberto,

      Di sicuro il boicottaggio è una delle soluzioni, ma ciò che davvero è necessario è trovare e proporre delle alternative valide, delle vie percorribili che non siano solo protesta, ma che diventino proposta e possano fornire una via “di fuga” a ciò che la società consumistica ci propone.
      Anche le botteghe di paese ormai seguono la logica della GDO e spesso hanno i medesimi prodotti della GDO. Serve che si avvii una grande campagna di autoproduzione perché ciascuno di noi possa prodursi almeno in parte il cibo di cui ha bisogno, servono scambi di saperi e di conoscenze, costruzioni di reti e di rapporti che ci permettano di reinterpretare i nostri bisogni in chiave sobria e sostenibile.
      Se non è possibile “sganciarci” ora e subito da quanto conosciamo, è di sicuro possibile intraprendere un cammino critico di pratiche sostenibili e utili per tutte/i.
      Molto spesso abbiamo già diversi strumenti per operare, anche nella nostra quotidianità, ma non dedichiamo un briciolo del nostro tempo a crearci il cibo di cui abbiamo bisogno e demandiamo il tutto agli altri.

      11 Febbraio, 2016
      Rispondi
  2. Fernando Boccia ha scritto:

    Grazie Adriano mi trovo perfettamente d’accordo con il tuo discorso, sono vegan da circa 6 anni e penso che la soluzione sia nell’autoproduzione, a volte compro nei centri commerciali dei prodotti vegan (piu’ che altro per invogliare mia figlia di 9 anni a mangiare cose vegan !!!) ma di solito mi autoproduco la maggior parte delle cose che mangio (peccato che abito a Modena e quindi il clima e il poco spazio a disposizione non consentono un discorso di autoproduzione di verdure e frutta come vorrei io !!!).
    Vegan non significa non mangiare dolore e/o sofferenza ma significa combattere quello che è alla base di quel dolore e di quella sofferenza !!! Non è solo mangiare soia ma far capire a chi te lo chiede il perchè non si debba consumare il latte vaccino oppure la carne o il pesce o tutti i derivati di origine animale.
    E’ ovvio che egoisticamente come dici tu, siamo contenti di trovare delle cose belle che pronte nei supermercati ma comprare del latte di soia della grana*olo NON SE NE PARLA PROPRIO !!! Come non comprerei mai dei panini vegan in Auto*rill e cosi’ via !!!!

    10 Febbraio, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie Fernando per questa tua interessante testimonianza.
      A Modena ci sono delle realtà locali che si occupano spesso di queste questioni, informati e partecipa perché l’unione fa la forza.
      In ogni caso l’esempio della Granarolo è l’estremizzazione del concetto di sfruttamento commerciale del “fenomeno vegan”: chi causa morte e sofferenza degli Animali per motivi commerciali si arricchisce anche grazie ai soldi di chi vorrebbe che tutto ciò cessasse. Bisogna però pensare che anche le aziende che si dedicano solo a prodotti di origine vegetale si rendono responsabili di enormi distruzioni e sofferenze, basti pensare a quanto impattano la soia e l’olio di palma sul Pianeta e sugli Animali. Ma una domanda sorge spontanea: abbiamo davvero bisogno di soia e di olio di palma per vivere? Non ci si potrebbe limitare a prodotti locali, freschi, stagionali coltivati da chi conosciamo? Quando non esisteva il veggie burger o il granulato di soia le persone vegane come facevano a vivere? Come vedi siamo anche noi abbagliati dal consumismo che ci pervade.

      11 Febbraio, 2016
      Rispondi
  3. Paola Re ha scritto:

    Conoscevo già questa foto e quando l’ho vista mi è nato spontaneamente un sorriso quindi non trovo giusto tradire una spontaneità perché è comunque una virtù. Leonardo conciato così è buffo e a me ispira tenerezza; considerato che è uno dei personaggi storici che amo, la pubblicità mi è piaciuta.
    L’analisi profonda che hai fatto tu è ben ponderata e purtroppo è veritiera. E’ una pubblicità furba, come lo è quasi tutta la pubblicità.
    Scrivere contro i supermercati su Veganzetta (con il sottotitolo che ha sulla home page!) è come sparare sull’ambulanza in corsa…
    Sono d’accordo con te: “veggie” è un termine da bandire. Non mi piace neppure che sia usato per l’arcinoto “Veggie pride”. Chi è vegetariano/a è altra cosa rispetto a chi è vegan: bisogna sempre ricordarlo per non mancare di rispetto agli animali “da latte” e “da uova” che come tutti quelli “da carne” finiscono al macello, dopo una vita addirittura peggiore di quella degli animali soltanto “da carne”.
    Il problema che sorge dopo avere letto l’articolo è quello del “dobbiamo pur mangiare”. Se una persona è vegan si preoccupa di trovare prodotti vegan. E’ dura convincerla a essere attenta a certi prodotti vegan che sono comunque il risultato di uno sfruttamento. Mangiare vegan in certi posti che sono la bandiera dello sfruttamento è pazzesco eppure c’è chi lo fa pensando di fare bene: l’importante è far capire che la richiesta vegan è in crescita!
    Comprare vegan nei supermercati è un’altra spinosa questione. Mi sento coinvolta da questa pubblicità di DESPAR perché io compro almeno una volta alla settimana nei supermercati (colpa o merito dei buoni pasto elargiti dal posto di lavoro e accettati nei supermercati). Anche nel caso dei supermercati, so di portare i soldi in un posto che è una sorta di cimitero di animali: certe corsie sono inguardabili e invivibili. Qualche anno fa c’era minore varietà vegan rispetto a oggi e, un po’ per pigrizia un po’ per incapacità, certe cose a casa non le cucinavo mai. E’ innegabile che la situazione “mangereccia” sia migliorata ed è innegabile che mangiare bene sia un piacere.
    La fase in cui siamo adesso è quella in cui alla vendita dei prodotti vegan della GDO è riservato ancora un posto minoritario, sebbene in crescita, quindi si fatica ancora a fare una scelta su quali posti siano da evitare: in qualsiasi supermercato si entri, si trovano prodotti vegan e lì si acquistano. In un futuro forse completamente vegan, è chiaro che, se per produrre cibo non si sfrutteranno più gli animali, si sfrutteranno in modo scriteriato i vegetali. Avremo un ambiente vegetale massacrato con qualsiasi espediente atto a produrre di più a minor costo. Lo sfruttamento della manodopera umana sarà tale e quale a quello di adesso. Il sistema non cambierà mai: resterà capitalistico e iperconsumista. Su questo sono pessimista, al limite del catastrofico.
    La fase in cui siamo adesso è quella in cui si chiede di avere il “diritto di trovare prodotti vegan” nei luoghi di ristorazione e nei negozi alimentari ma chi è antispecista, oltre che vegan, sa che il diritto su cui concentrarsi è quello della vita degli animali non del nostro palato.
    Una cosa su cui mi trovo un po’ spiazzata è “Riempire il carrello della spesa di prodotti vegani è un abdicare alle lusinghe del mercato”. Non sono affetta da shopping compulsivo ma nel mio carrello ci sono solo prodotti vegan. Che cosa posso fare altrimenti? I prodotti di certe aziende come quelle citate non entrano nel mio carrello ma resta il fatto che i prodotti vegan che acquisto al supermercato sono di grandi aziende. Alcuni hanno il marchio cruelty free, la certificazione ICEA, sono fairtrade, bio… insomma… cerco di fare attenzione a parecchie cose. Nonostante tutto ciò, il supermercato non mi mette affatto a mio agio. La domanda è secca: non bisogna più acquistare nei supermercati?

    11 Febbraio, 2016
    Rispondi
  4. Paolo Rosazza ha scritto:

    Sono in perfetta sintonia con l’analisi spietata sulle proposte alimentari alternative della grande distribuzione.
    Sarebbe una pura illusione pensare che il Potere si traformi in qualcosa di meno truculento e più umano.
    Basta come sempre saper vedere le cose dall’ altra parte e fare funzionare il cranio in autonomia totale.
    Niente è come sembra.
    PaoloRP.

    12 Febbraio, 2016
    Rispondi
  5. Matteo ha scritto:

    Concordo. Tuttavia, detta grossolanamente, non dovremmo nemmeno entrare nei supermercati perche’ vendono anche prodotti per carnivori.

    14 Febbraio, 2016
    Rispondi
    • Paola Re ha scritto:

      Caro Matteo, hai detto bene “grossolanamente”… Lo dico pure io ma poi vedo che non è semplice indirizzare la nostra spesa in luoghi completamente cruelty free, vuoi per ragioni economiche, vuoi per ragioni logistiche, alla fine ci infiliamo sempre nei supermercati. Anche l’autoproduzione non è sempre facile. Ho l’impressione che la grande distribuzione non scomparirà mai e cerco di guardare il bicchiere mezzo pieno cogliendonone i miglioramenti, anche se sappiamo che servirebbe un cambiamento radicale, ovviamente dal basso e dal profondo, proprio dove stanno le radici dello sfruttamento.

      14 Febbraio, 2016
      Rispondi
  6. Roberto Contestabile ha scritto:

    Non è un etica giusta e sincera quella che permette ai vegan-trendy dell’ultimo minuto l’acquisto di questi prodotti, ovvero articoli “veganizzati” che fanno solo ingrassare le casse della grande distribuzione responsabile insieme alle multinazionali del cibo di ogni tragica devastazione ambientale ed animale. Mai e poi mai una persona dalla coscienza pura e sana dovrebbe comprare una polpetta o un affettato veg. L’unico scopo di queste grandi insegne ipocrite è quello di costringere altri consumatori a scegliere prodotti insignificanti, disgustosi e poco nutrienti ma che soprattutto e purtroppo ricordano la carne vera e cruda (in aspetto visivo e nominale non certamente dai loro ingredienti che sono comunque di dubbia provenienza).
    Proprio in questi giorni una grande società distributiva nazionale sta diffondendo una campagna pubblicitaria che concede uno sconto maggiore sull’acquisto di un Agnello a pasqua. Che dire?! Quando sento parlare di gdo “sostenibile” non riesco a capire dove sia il progresso e lo sviluppo etico a favore del benessere degli Animali (perchè è di questo che si dovrebbe parlare, e non di insignificanti prodotti simil-vegetali).
    Poi c’è chi addirittura esulta sapendo che “finalmente” qualcuno nelle alte sfere del marketing si è accorto di qualche milione di consumatori che preferisce il tofu al parmigiano o il seitan al posto della salsiccia. C’è chi afferma coraggiosamente che il mondo non cambia attraverso stravolgimenti epocali ma grazie a piccoli passi che a volte sembrano insignificanti se visti al di fuori del contesto evolutivo. In che modo le polpette vegane vendute da grandi brand corporativi dovrebbero salvare tutti, sinceramente, è un vero mistero! Forse aumentando i consuntivi aziendali?! Io personalmente le polpette di verdure o il panino farcito me lo preparo da solo in casa senza neanche perdere troppo tempo. Poi se invece la sera vado al ristorante e trovo un menù vegano tanto meglio, ma di certo non sono felice nel vedere carrelli della spesa pieni di packaging-veg.
    Laddove non si riesce ad autoprodurre basta acquistare responsabilmente ortofrutta fresca meglio se biologica e possibilmente da produzioni locali, non certamente da insegne della gdo che schiavizzano i dipendenti tramite orari di lavoro massacranti e paghe irrisorie, soprattutto vendendo prodotti che non ha nulla da condividere con l’etica vegana. Non è che adesso nominando tutto con la V o VEG o VEGAN gli Animali smettono di soffrire. Il concetto deve essere chiaro e il più possibile condiviso da tutti. Che poi si voglia creare un mercato parallelo (ed era ovvio che accadesse) al consumismo attuale…lo si faccia pure, ma questo non contribuisce a nulla anzi crea solo tanta confusione, la gente acquista questi prodotti inconsapevolmente ma non sa nulla di genocidio animale, e magari continua a vivere in maniera totalmente contraria alla salvaguardia delle specie viventi.

    16 Febbraio, 2016
    Rispondi
  7. Cori ha scritto:

    Purtroppo vorrei ricordarvi che i “luoghi cruelty free” in un sistema crudele per definizione e di fatto, non esistono da nessuna parte, nemmeno dentro di noi. Ostinarsi a crederlo e voler auto ingannarsi e illudersi a tutti i costi. Prima guardiamo in faccia a questa scomoda realtà prima abbiamo una minima possibilità di uscirne, sempre se questo sia possibile, oggi non ne sono più tanto sicura.
    Sono d’accordo con la lucida analisi dell’articolo, ed è da diverso tempo che guardo di sbiego la tendenza al “veganizzare” la realtà, intuitivamente non mi è mai piaciuta e non ho mai cantato vittoria, anzi mi da una sensazione spiacevole, quasi una sconfitta. parto dal presuposto, forse è un mio pregiudizio, che ogni qual volta un sistema competitivo e aggressivo cerca di inglobarti in se, questo sia pericoloso. Semplicemente come minoranza vieni assorbito dalla maggioranza e perciò scompari!
    Condividendo la mia esperienza personale, non ho avuto la tendenza di integrare o sostituire i prodotti che negli anni la mia coscienza ha rigettato spontaneamente. Non ho sostituito la carne di animali con la soia, il tofu, il seitan, i legumi. Il latte che non bevevo da quando avevo 10 anni con il latte vegetale o altre bevande elaborate, il formaggio con altri surrogati, le uova con l’agar agar o che ne so io.
    Ho semplicemente eliminato e semplificato, trovandomi oggi a nutrirmi prevalentemente di frutta e verdura, pochi semi e noci, pochissimi cereali, zero farine. Non ho avuto nessun tipo di mancanza, non mi sono nemmeno mai posta il problema della salute. Non entro qui in merito dell’aspetto primario che per me è quello etico, e quindi do un po per scontato che lo sia anche per voi, dagli interventi che leggo qui sopra. Non voglio dire che tutti debbano fare così, ma pensateci, quando entrate nelle botteghe piccole, nei vari negozi del biologico soprattutto quella che sta diventando una catena in tutta Italia “Natura si”, eccetto alcune singole e isolate realtà, nessuno di quei luoghi è mai stato cruelty free. Natura si , dove abito io, da sempre espone e vende latte, formaggi e uova, che siano biologiche non toglie il fatto che siano intrise di sofferenza e si basano sullo sfruttamento di individui. Inoltre hanno piazzato da molti anni, in mezzo al negozio un bancone di macelleria biologica, che atrocità! Cosa significa questo, che per andare in fondo al negozio dove stanno i vegtali devi passare davanti a quel bancone e che tutto il negozio sa di un odore sgradevole di putrefazione e sofferenza, non sono paranoica, è un dato di fatto. E’ uno sberleffo, una presa in giro, accettata all’unaminità dai consumatori di prodotti biologici compreso vegetariani e vegani. Il primo colpo sul fianco che hanno inferto al movimento vegano, la carne biologica e il latte e le uova biologiche…bella trovata! Il secondo colpo è quello di aver prodotto surrogati, prima le piccole dite biologiche, dei vari affettato di seitan/maphur/muscolo di grano, hamburger di…., wurstel di…., bistecche di…., arrosto di…., ma sentite che brutta sensazione rievoca continuamente la carne e la sofferenza animale mascherato e distorto da….
    Il terzo colpo è quello di inserire in ogni dove, supermercati, autogrill, ristoranti, pizzerie, brioches vegani, menu per vegani, la giornata del vegano, la cena vegana…non se ne può più, qui c’è qualcosa che stride. Quale sarà il quarto colpo inferto alle spalle e subdolamente? Dove si andrà a parare, non lo so.
    Siamo in un sistema che ci sta condizionando pesantemente e che fa leva sulle nostre paure inconscie, se non mangi carne, latte, uova quindi proteine animali devi sotituirle con altre proteine, soia, legumi ecc. nulla di più falso! Ci imprigionano nella cultura delle mancanze e perciò la gente continua a nutrirsi male e di conseguenza a emettere pensieri offuscati, perchè le cose sono connesse. La maggioranza cede a questo ricatto implicito e perciò i prodotti pseudo vegani, per nulla cruelty free, nocivi per la salute (basta leggere gli ingredienti), commercializzati da colossi e multinazionali totalmente in linea con il sistema di dominio, vengono accolti con entusiasmo da una grande fetta di neo vegani, meno informati, più giovani e quindi non consapevole di quello che sta a monte. Se obbietti, gli stessi vegani ti danno pure del paranoico, fanatico o altrimenti del vegano moderato, basta leggere i tanti forum di vegani che si scannano e aggrediscono tra di loro.
    Con l’aria che tira adesso, personalmente mi dissocio dall’ettichetta vegano, che ha perso ormai il suo senso profondo. Certo qualcuno potrà dirmi, ecco il 4 colpo…la dispersione, la separazione. Forse è ora di smettere di auto ettichettarsi, di restare semplicemente persone con una coscienza etica in evoluzione, responsabili e partecipi alla creazione di un mondo in cui c’è rispetto e amore per la vita.Vigili e aperti, e disposti a rovesciare un paradigma ormai obsoleto, quello del mondo del dominio e del controllo.

    17 Febbraio, 2016
    Rispondi
  8. Cori ha scritto:

    Poi aggiungo un altra cosa, il problema non sta nel essere più consapevoli quando si va al ristorante, a qualche festa, a fare la spesa….secondo me rovesciare un paradigma è non fare più quello che si è fatto fino ad un secondo fa senza tuttavvia sapere cosa si farà domani. Se prima si andava al ristorante e si ordinavano le verdure al posto della carne, da adesso non si va più al ristorante, neanche a quello vegetariano o vegano. Perchè non si può cambiare un idea, un abitudine, un paradigma distruttivo cambiandogli semplicemente il colore. Ci troviamo di fronte ad un rovesciamento, nel quale il vecchio non va più bene…il nuovo ne abbiamo un vaga idea, forse…quindi bisogna avere il coraggio intanto di smettere di fare come si è sempre fatto, senza paura che tutto si sgretoli, che i negozi chiudano perchè nessuno compra più, che il denaro scompare perchè perde il suo valore e quant’altro. Non possaimo di certo continuare con i vecchi compromessi per paura di morire, dobbiamo morire, il vecchio deve morire per fare spazio al nuovo. Prima il vecchio muore prima il nuovo appare all’orizzonte.

    17 Febbraio, 2016
    Rispondi
  9. Roberto Contestabile ha scritto:

    Assolutamente daccordo con Cori…un attenta e profonda analisi sull’attuale situazione consumista. Non è difficile (almeno da parte di chi è molto attento) capire che oggi ci troviamo perfettamente davanti ad una svolta epocale, e che questi anni che abbiamo davanti saranno molto importanti per decidere realmente quale direzione l’essere Umano dovrà intraprendere.

    “Vigili e aperti, e disposti a rovesciare un paradigma ormai obsoleto, quello del mondo del dominio e del controllo.”

    E’ proprio così!
    Un pericoloso miraggio appare all’orizzonte…e se si osserva bene ciò che un solo secolo di consumismo estremo ha prodotto terribilmente intorno alle nostre vite, il futuro stesso mai potrà essere così maledettamente progredito da temere una catastrofe imminente! L’essere Umano deve indubbiamente soccombere di fronte a tutte queste atrocità, e l’incoscienza media che invade tutto non prefigge nulla di buono. Il veganismo inteso come presa di coscienza etica può essere una speranza per la salvaguardia di tutte le specie viventi. Ma come pensare che questo sogno possa sopravvivere in una società del dominio, dell’egoismo e della soddisfazione personale?
    Il vero ed autentico passo in avanti deve per obbligo e dovere lasciar spazio ad una decrescita, non ci sono alternative. Il progresso forzato e la crescita infinita stanno uccidendo tutto e tutti.

    17 Febbraio, 2016
    Rispondi
  10. paola ha scritto:

    si Cori, sono d’accordo con te l’animale umano è il più terribile e perverso, immagino spesso che se non fosse mai comparso o si fosse estinto gli altri animali avrebbero avuto un’esistenza sicuramente più degna di questo nome.mi ricordo che già negli anni 70, si parlava di “limiti” dello sviluppo, quanta utopia, e speranza allora! purtroppo per tutti noi e per Animali, vittime inconsapevoli, i limiti sono sempre più un un miraggio, lo sviluppo è infinito e ci sta divorando, gli Animali sono in fondo il primo e l’ultimo anello di questa catena che ha come panorama il degrado esistenziale. è una lotta impari, siamo impotenti ma abbiamo ancora vivo in noi il desiderio di difendere, l’animale, il bambino , il vecchio, il migrante, chi vive per strada senza casa e lavoro, ci proviamo almeno tutti i giorni con tutti i mezzi e le energie che ci restano, anche tu,è chiaro, con tutto il tuo malessere che è comunque una risorsa,

    17 Febbraio, 2016
    Rispondi
  11. Maria Grazia Filipponi ha scritto:

    Sono d’accordo su molti aspetti però il fatto di poter uscire e trovare prodotti vegani in alcuni supermercati ha i suoi vantaggi. In primo luogo facilità molto la vita a quelli che lavorano e hanno poco tempo per cucinare. In secondo luogo non siamo più i 4 strani, estremisti ma aiuta a pubblicizzare la nostra causa. In un mondo dove Lady Gaga appare coperta di carne cruda in un concerto anche il vegani amo ha bisogno della sua publicita. Molti giovani oggigiorno stanno aderendo alla dieta vegetariana e VEGANA grazie al gran numero di persone famose che seguono questo stile di vita. Sono insegnante e parlo molto con i miei alunni adolescenti della dieta vegetariana e VEGANA, tutti sono curiosi e alcuni sono tornati a casa e sono riusciti a convincere i genitori, molti dei quali sicuramente rifiuterebbero se non ci fossero questi supermercati che, anche se solo per interessi economici, hanno iniziato a produrre alimenti vegani. Il nostro obiettivo primario non é evitare sofferenze agli animali?

    20 Febbraio, 2016
    Rispondi
  12. Paola Re ha scritto:

    Ho letto con attenzione tutti i commenti e mi trovo d’accordo con ciascuno di essi: mi pare che siamo tutti sulla stessa linea di pensiero ma forse non sulla stessa linea di azione, nel senso che forse ciò che pensiamo non si concretizza sempre nelle nostre azioni quotidiane. Se abitassi in campagna o in una casa con a disposizione un po’ di terra, credo che la mia spesa sarebbe diversa ma abito in un condominio in città e non coltivo nulla quindi una buona parte dell’autoproduzione va a persa. Sulla base di ciò che ho letto nei vostri commenti, se la domanda non è invadente, mi piacerebbe sapere dove andate a fare la spesa (se si può dire, anche il nome dell’azienda) e a grandi linee che cosa comprate e di che marca. E’ solo per avere un consiglio su come fare la mia spesa.
    ROBY BULGARO
    “Bisogna boicottare la GDO a partire da ieri, ritornare alla bottega di paese;” Vai solo nella bottega di paese?
    FERNANDO BOCCIA
    “a volte compro nei centri commerciali dei prodotti vegan”. Anch’io lo faccio. Che cosa comperi?
    PAOLO ROSAZZA
    “Basta come sempre saper vedere le cose dall’ altra parte e fare funzionare il cranio in autonomia totale”. Dato che io e te ci conosciamo e so che compri nei supermercati, che cosa compri?
    MATTEO
    “non dovremmo nemmeno entrare nei supermercati perche’ vendono anche prodotti per carnivori.” Vero. L’ho scritto pure io. Tu non ci entri mai? Dove entri?
    ROBERTO CONTESTABILE
    “non sono felice nel vedere carrelli della spesa pieni di packaging-veg.” Allora li vedi in qualche supermercato? Quale? Che cosa compri? “Laddove non si riesce ad autoprodurre basta acquistare responsabilmente ortofrutta fresca meglio se biologica e possibilmente da produzioni locali,” Quindi acquisti frutta e verdura dai contadini locali; e il resto della spesa?
    CORI
    “trovandomi oggi a nutrirmi prevalentemente di frutta e verdura, pochi semi e noci, pochissimi cereali, zero farine.” Compri questi prodotti solo dai contadini locali? Ciò che hai scritto di NaturaSì è ciò che penso pure io, come lo penso di BioBottega. Oltre a vendere prodotti animali, costano il doppio rispetto ai supermercati. Oltre al danno, la beffa… a questo punto, tanto vale andare nei supermercati… “Il terzo colpo è quello di inserire in ogni dove, supermercati, autogrill, ristoranti, pizzerie, brioches vegani, menu per vegani, la giornata del vegano, la cena vegana…non se ne può più, qui c’è qualcosa che stride.” Per fortuna non vado a mangiare tanto in giro quindi questo problema non mi tocca ma mi metto nei panni di chi mangia in giro, per esempio per lavoro. Io ho anche rinunciato alla mensa per non vedere certe nefandezza servite in tavola ma ci sono persone meno impressionabili di me che entrano in un locale di ristorazione e vogliono mangiare vegan: se non c’è nulla che si fa?
    PAOLA
    non hai espresso opinioni su dove andare a fare la spesa quindi lo chiedo pure a te: dove vai?
    MARIA GRAZIA FILIPPONI
    ho inteso perfettamente il tuo discorso e ti sono vicina soprattutto per il mestiere che fai. E’ chiaro che un mondo vegan per questioni salutistiche elimina mattatoi e varie mostruosità ma li elimina partendo da un punto di vista egoistico, cioè la nostra salute, non il diritto alla vita degli animali. Se si guarda il dato di fatto oggettivo, certamente sparirebbe tanto dolore.

    Un consiglio che do sempre a chiunque è di tenersi lontano da certi mostri: il grafico è inquietante http://curiosity2015.altervista.org/industria-alimentare-ecco-chi-sono-padroni-del-cibo-sono-dieci-signori-che-controllano-da-soli-500-marchi-e-piu-del-70-per-cento-dei-piatti-del-pianeta-e-che-decidono-quello-che-devi-ma/

    Grazie a chi risponderà alle domande.

    21 Febbraio, 2016
    Rispondi
  13. Roberto Contestabile ha scritto:

    Cara Paola Re il cibo veganizzato è ormai presente sempre di più sugli scaffali dei supermercati, e i brand corporativi (anche i più famosi) hanno l’ansia di mettere le proprie mani nelle tasche dei nuovi consumatori spendaccioni.
    La GDO la conosco molto bene (fidati…MOLTO bene) e potrei farti una relazione lunga e laboriosa su come, quando e perchè avverrà molto presto una rivoluzione nei cluster assortimentali. Che poi questo sia un beneficio utile alla causa fin qui trattata…la questione è parecchio dubbiosa. Quindi non mi dilungo oltre, perchè questo non è sicuramente il luogo adatto. Ti dico solo che la fetta è molto ghiotta (come già specificato sopra) e purtroppo il veganismo salutista è entrato dalla porta principale. La colpa è anche di chi in questi anni ha diffuso e soprattutto confuso un concetto etico che era alla base della liberazione animale. Si è scelta la strada più breve e facile da percorrere e credo che ne pagheremo le conseguenze, tra l’altro già ben visibili. Veganzetta ha già pubblicato un articolo in cui si denuncia l’inserimento di una maionese veg da parte di una famosa multinazionale responsabile di terribili atrocità, e qui mi collego a quello che ha detto Maria Grazia Filipponi:
    “Sono insegnante e parlo molto con i miei alunni adolescenti della dieta vegetariana e VEGANA, tutti sono curiosi e alcuni sono tornati a casa e sono riusciti a convincere i genitori, molti dei quali sicuramente rifiuterebbero se non ci fossero questi supermercati che, anche se solo per interessi economici, hanno iniziato a produrre alimenti vegani. Il nostro obiettivo primario non é evitare sofferenze agli animali?”

    Fai bene a parlare di tutto questo…ma non c’entra nulla con quello che Veganzetta ed altri stanno cercando di trasmettere da molti anni. La dieta veg(etari)ana non salverà la vita a miliardi di Animali straziati, accentuerà i consuntivi aziendali di chi non desidera porre fine allo sfruttamento animale perchè è alla base del successo commerciale capitalista. Quindi per quale assurdo motivo bisognerebbe decapitare un sistema economico così tanto vincente per le bocche avide di profitto? Da premettere che gli articoli in questione hanno un prezzo al dettaglio a dir poco scandaloso per delle materie prime che all’ingrosso costano pochi centesimi di euro.
    Fortunatamente esistono le alternative pur poche ed irrisorie ma presenti e a volte anche soddisfacenti: mercati locali, cooperative di contadini, piccoli negozi senza griffe, il biologico autentico non inglobato dalla grande distribuzione…e tanto altro.
    I supermercati hanno creato un offerta spropositata rispetto alla domanda, sperperando e speculando risorse molto preziose tramite l’uccisione di miliardi di Animali. Ma è solo l’ultimo anello della catena industriale, ciò che c’è a monte è pieno di ogni nefandezza.
    Quindi per concludere: perchè avvantaggiare un settore produttivo che fin ad oggi non ha creato nulla di buono e giusto? Il capitalismo non sarà mai sostenibile, figuriamoci etico.

    23 Febbraio, 2016
    Rispondi
  14. Paola Re ha scritto:

    Caro Roberto, ciò che scrivi è noto a me e spero anche a Maria Grazia Filipponi. Da parte mia spero di averlo chiarito. La mia domanda era un’altra ed era diretta a chi di voi ha commentato l’articolo. La risposta che vorrei è diretta. Nel tuo caso, hai scritto: “non sono felice nel vedere carrelli della spesa pieni di packaging-veg.” Allora li vedi in qualche supermercato? Quale? Che cosa compri? “Laddove non si riesce ad autoprodurre basta acquistare responsabilmente ortofrutta fresca meglio se biologica e possibilmente da produzioni locali,” Quindi acquisti frutta e verdura dai contadini locali; e il resto della spesa?
    Hai fatto un discorso generico e certamente condivisibile. Mi chiedo se tu riesca a essere coerente quotidianamente con ciò che scrivi. Sì o no? In questo caso credo che la sincerità sia una virtù e sia utile alla causa.

    23 Febbraio, 2016
    Rispondi
  15. Roberto Contestabile ha scritto:

    “Mi chiedo se tu riesca a essere coerente quotidianamente con ciò che scrivi.”

    Sinceramente non capisco quale sia lo scopo della tua domanda, o se meglio vuole essere una provocazione. Non credo sia utile qui farmi dire se trovo o non trovo cibo veganizzato. Vuoi sapere se sono coerente? Mi sforzo, e tra mille ostacoli cerco di fare la differenza. Di prodotti vegani o tali solo per nome ne vedo ovunque e in tutte le insegne (addirittura stanno allestendo veri e propri reparti dedicati creando quindi un mercato di nicchia), la mia ortofrutta è principalmente locale (vivendo al sud è certamente più facile) e non acquisto cibo da multinazionali (per interderci non compro junk food pur senza derivati animali), mi reco molto raramente in ristoranti e sinceramente non mangio tanto…due volte al giorno e con una modesta colazione basta ed avanza.
    Spero che la tua curiosità sia stata soddisfatta (anche se ancora non capisco quale aiuto possa fornire).

    23 Febbraio, 2016
    Rispondi
    • Paola Re ha scritto:

      Caro Roberto, non voglio essere provocatoria. Mi sa che in questo caso la provocazione è negli occhi di chi legge. La mia domanda è stata fatta soltanto per capire un po’ di più sul rapporto che abbiamo coi supermercati noi che non li amiamo affatto. Parlarne su Veganzetta che non li ama come noi può servire a condizione che lo sia faccia con sincerità. E’ molto più comodo ignorare Leonardo-Despar ma se è stato messo… parliamo di supermercato! La domanda è rivolta anche a me tant’è che ho risposto pure io. Nessuno è obbligato a rispondere, tanto meno tu. Hai scritto. “Non credo sia utile qui farmi dire se trovo o non trovo cibo veganizzato” Io non “ti faccio dire” nulla. Sei tu che scegli di dirlo o non dirlo. C’è chi non ha detto nulla e pure il silenzio è una risposta. Dalla risposta che hai dato ho capito che vai raramente al ristorante ma non quanto frequentemente o raramente vai al supermercato. Comunque non importa perché mi rendo conto che non ci capiamo. Grazie. Ciao.

      24 Febbraio, 2016
      Rispondi
      • Roberto Contestabile ha scritto:

        Cara Paola Re piuttosto che capire le scelte alimentari altrui è opportuno invece analizzare gli aspetti molto controversi che purtroppo la stessa GDO ha imposto a tutti i consumatori.
        Ma il problema principale non sono i supermercati in sè, essi sono l’ultima anello di una catena sanguinaria. Si dice che il libero mercato offre il meglio per utilità e possibilità di crescita. All’atto pratico però non è assolutamente così, le manovre strategiche del marketing e i poteri forti delle corporazioni offrono un imposizione piuttosto che una scelta libera, e come già detto in precedenza i grandi brand si lanceranno a capofitto in questa nuova tendenza commerciale…anzi, lo stanno già facendo: https://www.veganzetta.org/igualdad-animal-e-la-maionese-vegana-di-unilever/.
        E come se ciò non bastasse sempre più spesso si sente parlare di “benessere animale” e “sostenibilità ambientale” da parte di gruppi industriali zootecnici che auspicano una produzione ecologica. Il cosiddetto business-green è da tempo un abile e furba strategia di successo che ora sta inglobando anche il veggie-style.

        La “normalità” sarà raggiunta solo quando non esisteranno più allevamenti di Animali, quando non si ucciderà più per profitto ed interesse personale, quando l’essere Umano avrà raggiunto un progresso evolutivo tale da impedirgli supremazia e controllo sulle vite altrui. Sembra un utopia ma finchè ci sarà opportunità di denaro, come ultimo profitto di un attività lavorativa o come obiettivo primario per la soddisfazione di un bisogno non necessario, nulla cambierà in termini di solidarietà, tolleranza e salvaguardia. Viviamo in un epoca consumista dettata da rigide regole capitaliste, e questo è il risultato di secoli di storia Umana totalmente specista. La civilizzazione ed il progresso a cui assistiamo è il risultato macabro e micidiale di una sofisticazione della malvagità Umana. Si uccide selvaggiamente oggi come ieri, sono cambiate solo le regole ed i metodi…e purtroppo anche i numeri delle vittime. La crescita infinita dettata dallo sfruttamento delle risorse naturali è una priorità delle grandi aziende capitaliste. Le corporazioni sono costituite da coloro che si fingono persone nobili e magnanime, si mascherano da promotori del Pil (finto indice di benessere comune) ed escludono ogni rimorso e compassione, altruismo ed empatia. Questi non sono sentimenti a disposizione di chi vive di preventivi e consuntivi di reddito, e la globalizzazione ha aumentato ancor di più la mercificazione degli Animali…senza escludere tutto il resto. Tutto ciò che viene venduto è pura speculazione, proprio perchè il guadagno intrinseco è parte del meccanismo corrotto. Altri sistemi di interscambio al di fuori del denaro non vengono accettati da un dittatura commerciale che sfrutta esseri viventi. Cosa succederà quando ogni risorsa terrestre sarà miserabilmente esaurita? Viviamo su un pianeta finito! Stiamo liquidando le risorse naturali della madre terra per alimentare il nostro consumo! Sistema dopo sistema, la domanda sta superando l’offerta! Se il progresso tecnologico viaggia più velocemente delle coscienze assopite non si prevede altro di più benefico che una descrescita lunga e costruttiva (pur senza danni). Più in là esiste solo una catastrofe planetaria.
        Le etichette non mi sono mai piaciute, ed oggi bisogna aver il coraggio di distanziarsi dalla definizione puramente amplificata del vegano trendy, del vegano salutista, del vegano dissidente, del vegano politico e da ogni forma di protagonismo. Il vegano è diventato un personaggio, ed è sempre più presente nell’attualità quotidiana. Ma per quale scopo? A mio avviso se ne parla troppo e male!
        Come avviene spesso per le le mode, che arrivano e passano, forse è necessario armarsi di tanta pazienza, continuare a coltivare la causa con impegno e dedizione, osservare gli eventi ed augurarsi che il tormentone passi indolore e senza ulteriori danni. Contemporaneamente continuiamo a lottare tra la folla senza ulteriori spot stilizzati, sperando che il tempo dia buoni frutti.

        26 Febbraio, 2016
        Rispondi
        • Paola Re ha scritto:

          Grazie Roberto. Purtroppo continuiamo a non capirci sul nocciolo del discorso. Non serve parlare di supermercati se chi ne parla non dice tutta la verità. Le mezze verità possono essere apprezzabili perché ricche di contenuto ma se a quel contenuto manca l’altra metà, si resta informati a metà. Siamo sempre a metà di qualcosa. Tutta questa discussione è a metà.

          26 Febbraio, 2016
          Rispondi
  16. paola ha scritto:

    Paola per rispondere alla tua domanda posso dirti che anch’io sono una persona che lavora per vivere , il tempo è poco, non mi piace la grande distribuzione, secondo me è causa del degrado urbano, qua perfino l’ospedale è stato trasferito in blocco dal centro urbano nei pressi della zona supermercati assumendo le sembianze di un centro commerciale a sua volta. Vivo in provincia di Venezia, in un appartamento, anch’io non uso i buoni pasto per pranzo, ho la possibilità di lasciarne qualcuno anche a qualche ente che li utilizza per aiutare chi è in difficoltà, ho anche proposto e partecipato ad una di queste spese assieme ad alcuni appartenenti della Casa dell’Ospitalità di Mestre, accompagnandoli di persona. ovviamente non si tratta di persone vegane ,le definirei degli Invisibili. a volte ho la sensazione che sia una condizione analoga a quella dei bambini che subiscono il mondo degli adulti, come pure degli anziani, non si può dire che pure il nostro sia un paese per vecchi, si sa,per non parlare dei migranti costretti per necessità a convivere con una realtà che li rifiuta .Gli ANIMALI , poi che da sempre , sono comunque percepiti come oggetti, lo sappiamo, pensiamo al business del cibo animale, …e quindi invisibili come soggetti.Vivo con due gatte PREFERIREI AVESSERO un giardino a loro disposizione, ma purtroppo non non è così. Le spese le faccio preferibilmente nelle botteghe sotto casa, a volte dove accettano i buoni pasto, a volte anche nei discount, per necessità, olio, caffe’ te’ e detersivi eco,ad esempio riesco a trovarli lì .Il senso di impotenza è lo stesso che provo anche nel panificio sotto casa col banco frigo che trabocca di sofferenza animale e comunque non mi piacciono i negozi dei vegani snob. inoltre non mi piacciono le enclave preferisco il confronto con persone diverse da me , familiari e amici compresi.A pranzo mangio pane e marmellata, mi pace quella fatta in casa, e frutta di stagione , la sera minestra o pasta e verdura, la sera, ho tentato di coltivare qualcosa nel terrazzo ma sapeva di piombo, così ho desistito. riguardo i cibi vegani preconfezionati direi che alla fine pasta, riso , orzo, farro, la frutta secca, mi sembrano migliori in tutti i sensi. tutto qua.
    ti ringrazio per la domanda , sperando di essere stata chiara, ad ogni modo,
    ciao
    Paola

    24 Febbraio, 2016
    Rispondi
    • Paola Re ha scritto:

      Cara Paola, sei stata chiarissima. Ho capito che anche tu, come me, ogni tanto vai al supermercato dove trovi qualcosa di eticamente accettabile… se così possiamo dire… e dove si possono spendere i buoni pasto. Il discorso dei buoni pasto pesa anche a me: se li voglio spendere, devo andare nei supermercati o in pizzerie, trattorie, osterie… che a me non piace frequentare, oppure nella mensa sul posto di lavoro che mi piace ancora di meno perché quando entro c’è da svenire per l’odore di morto. Non si mangia male perché c’è la scelta vegan ma non ci vado più perché trovarmi a fianco persone con gli animali nel piatto è una cosa che non riesco più a reggere.

      24 Febbraio, 2016
      Rispondi
  17. Roberto Contestabile ha scritto:

    Giusto per rimanere in tema GDO vi inoltro un collegamento ad Assocarni o più precisamente al sito “carni sostenibili”:

    http://carnisostenibili.it/

    Da leggere con attenzione la sezione del “benessere animale” e “ambiente e sostenibilità” con tutte le controinformazioni che hanno divulgato dopo il recente comunicato dell’Oms in merito alle carni rosse.
    Inoltre sempre nel sito di Assocarni (in elenco soci) si può leggere il nome di una azienda italiana produttrice però (guarda caso) anche di una vasta gamma di prodotti veganizzati.
    Buona lettura!

    25 Febbraio, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie Roberto,
      Questa segnalazione è importante e andrebbe considerata in un altro articolo apposito, lo si potrà sicuramente fare, magari manda informazioni in privato.

      25 Febbraio, 2016
      Rispondi
  18. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Dario per quanto riguarda la locuzione “veggie” ti confermo che a mio avviso si tratta di un neologismo per la lingua italiana, nello specifico è un termine nuovo di derivazione anglosassone che indica vegetariani, vegan e al contempo il cibo vegetariano e vegano (come giustamente tu dici). Il termine ha avuto ampia diffusione negli ultimi anni nel nostro Paese, ed è entrato ormai nel lessico comune. Per tale motivo è da considerarsi un neologismo. Quando diventai vegan (circa 15 anni fa) il termine non era usato in Italia, ossia non apparteneva al corpo lessicale della nostra lingua (come si specifica su Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/neologismo/) e questo semplicemente perché l’idea vegana non era ancora sufficientemente diffusa. Posso inoltre dire che non amo affatto tale termine che trovo molto confusionario, semplicistico e facilmente appetibile dal marketing.
    Tornando alla questione principale voglio ringraziarti perché le tue osservazioni mi hanno dato l’opportunità di specificare alcune questioni relative all’origine dell’idea vegana, infatti è stato aggiunto un link al testo dell’articolo che riporta lo statuto della The Vegan Society (http://www.veganzetta.org/wp-content/uploads/2016/11/the-vegan-society-memorandum.pdf) in cui si scrive al punto 3:

    “In this Memorandum the word “veganism” denotes a philosophy and way of living which seeks to exclude — as far as is possible and practical — all forms of exploitation of, and cruelty to, animals for food, clothing or any other purpose; and by extension, promotes the development and use of animal-free alternatives for the benefit of humans, animals and the environment”.

    Pertanto se vogliamo definisci vegani (a prescindere dalla questione antispecista che io reputo ovviamente strettamente collegata) dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che il veganismo è una filosofia di vita e un modo di vivere che influenza ogni nostra scelta quotidiana. Il veganismo – quindi – è molto di più che semplice dieta, o tendenza, o moda o fenomeno di costume e consumistico come viene trattato ora.
    Ciò che tu evidenzi – ossia considerare pragmaticamente che il veganismo debba passare per il mercato – è un elemento che indubbiamente bisogna considerare, il problema – che l’articolo vuole sottolineare – è l’atteggiamento delle persone umane vegane, non certo quello che fa il mercato. Ciò che sta accadendo è uno spostamento concettuale dai diritti fondamentali degli Animali – vittime delle pratiche speciste – a quello delle persone umane vegane. Il suddetto spostamento è quello che inevitabilmente ci propone il sistema produttivo e commerciale che come referenti ha noi vegani e a cui non interessa nulla – e non potrebbe essere altrimenti – degli Animali. Quello che auspico è un veganismo critico (e autocritico) e militante (un veganismo contro), che si confronta (inevitabilmente) con la società specista, ma che conserva il suo spirito di forte contrasto socio-culturale. Ciò fino ad oggi non è stato fatto a sufficienza e ha sempre prevalso la linea che potremmo definire “morbida” ossia quella del veganizzare a tutti i costi, i risultati sono sotto gli occhi di chi li vuole vedere.
    Per concludere posso affermare che Veganzetta nasce come realtà antispecista e vegana etica, il suo ruolo – quindi – è quello di avanzare critiche, dubbi, evidenziare problemi e fornire idee e soluzioni alternative, come è stato fatto anche nell’articolo.

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
  19. Veganzetta ha scritto:

    La “questione animale” è un problema enorme, tragico e molto complesso, è chiaro che non sia possibile affrontarlo solo seguendo una unica linea di pensiero, ma lo si deve fare secondo numerose direttrici. Ciò che discuto come antispecista è lo svilimento del messaggio e la sua banalizzazione per poter divenire appetibile commercialmente. Se vi fosse un’identità vegana forte e ben precisa non me ne preoccuperei eccessivamente, ma la realtà è un’altra purtroppo. Pertanto ritengo che il compito di realtà come Veganzetta sia quello di tenere sempre alta l’attenzione sul problema. Ritengo inoltre che ciò che tu proponi è senza dubbio interessante e percorribile, ma che non riguardi direttamente l’ambito antispecista che è prettamente un’idea antisistema.

    Se a scrivere il messaggio in questione non fosse stata un’azienda della GDO, sarebbe stato senza dubbio un messaggio più che positivo, nel nostro caso se ne fa un uso strumentale.

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Dario Martinelli ha scritto:

      Sì, sì, questo l’ho capito benissimo, e hai perfettamente ragione. Ma sei sicuro che un messaggio pubblicitario che crea la connotazione “veganismo=idea intelligente” sia davvero banalizzante? A me pare un passo avanti enorme, e forse sottolineerei questo.
      Che poi sia grande o piccola distribuzione, questo al consumatore-medio interessa poco, o meglio non è un elemento sufficiente affinché questi ne tragga conclusioni a sfondo etico.
      Quello che sto cercando di dire è che se una strumentalizzazione di questo tipo porta a un calo del consumo di carne, rimpiazzato da prodotti vegani “intelligenti”, e (come scrivevo prima) a occupare uno spazio pubblicitario che poteva essere occupato dall’industria della carne (magari attraverso altri prodotti Despar), io vedo un bilancio positivo. La pillola da ingoiare non mi sembra così amara.

      Detto questo, il tuo discorso non fa una piega, e dico quello che dico “in aggiunta” alle tue riflessioni, non “in opposizione” ad esse.

      21 Novembre, 2016
      Rispondi
      • Veganzetta ha scritto:

        L’approccio utilitarista al veganismo non paga e ha causato la situazione di smarrimento identitario a cui stiamo assistendo oggi, pertanto posso solo dirti che diventare funzionali al sistema non ci permetterà di ottenere una reale liberazione animale, ma solo un sistema potrebbe risultare più accettabile dell’attuale per noi, non di certo per gli Animali.

        21 Novembre, 2016
        Rispondi
  20. Dario Martinelli ha scritto:

    Con tutto il rispetto per l’autore dell’articolo, ci sono sia delle imprecisioni che degli argomenti contestabili. Prima di tutto “veggie” non è un neologismo, ma è un abbreviativo sia di “vegetable” che di “vegetarian” utilizzato comunemente in inglese. “You’ve got to eat your veggies” dicono i genitori ai figli, “I don’t eat meat, I’m veggie”, dicono i vegetariani.
    Secondo, per ammissione stessa dell’autore, accettare l’idea della “filosofia”, piuttosto che “stile di vita”, è un passo avanti, e per un attimo, solo un attimo, noi vegani rompiscatole incontentabili, potremmo anche fermarci a festeggiare, piuttosto che passare subito alle critiche.
    Terzo, finché non faremo la rivoluzione per capovolgere il sistema capitalista, dobbiamo ficcarci in testa che il cambiamento sociale DEVE passare dal mercato. Non lo si può evitare. Molto meglio che quello spazio pubblicitario venga occupato dalla linea Veggie di Despar piuttosto che da KFC o McDonald’s.
    Quarto, ERA ORA che si sdoganassero i Leonardo, gli Einstein e i Gandhi, come “role model” vegetariani. Perché finora si sdoganava solo Hitler (che pare non fosse nemmeno davvero vegetariano) o Pamela Anderson. A me, se un bambino chiede alla mamma di comprargli gli hamburger veggie di Despar, “perché così faceva anche Leonardo” mi sta benissimo.
    Quinto, e concludo, il cambiamento avviene per gradi. Certo che non siamo ancora in una situazione ideale, ma se stiamo ogni volta a criticare qualunque passo avanti solo perché non è quello decisivo e totale, non arriveremo mai da nessuna parte.

    Detto questo, l’articolo è interessante e ben scritto. Non ce l’ho con il suo autore (che mi sembra preparato e intelligente), ma con il tipo di mentalità che rappresenta.

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Dario per quanto riguarda la locuzione “veggie” ti confermo che a mio avviso si tratta di un neologismo per la lingua italiana, nello specifico è un termine nuovo di derivazione anglosassone che indica vegetariani, vegan e al contempo il cibo vegetariano e vegano (come giustamente tu dici). Il termine ha avuto ampia diffusione negli ultimi anni nel nostro Paese, ed è entrato ormai nel lessico comune. Per tale motivo è da considerarsi un neologismo. Quando diventai vegan (circa 15 anni fa) il termine non era usato in Italia, ossia non apparteneva al corpo lessicale della nostra lingua (come si specifica su Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/neologismo/) e questo semplicemente perché l’idea vegana non era ancora sufficientemente diffusa. Posso inoltre dire che non amo affatto tale termine che trovo molto confusionario, semplicistico e facilmente appetibile dal marketing.
      Tornando alla questione principale voglio ringraziarti perché le tue osservazioni mi hanno dato l’opportunità di specificare alcune questioni relative all’origine dell’idea vegana, infatti è stato aggiunto un link al testo dell’articolo che riporta lo statuto della The Vegan Society (http://www.veganzetta.org/wp-content/uploads/2016/11/the-vegan-society-memorandum.pdf) in cui si scrive al punto 3:

      “In this Memorandum the word “veganism” denotes a philosophy and way of living which seeks to exclude — as far as is possible and practical — all forms of exploitation of, and cruelty to, animals for food, clothing or any other purpose; and by extension, promotes the development and use of animal-free alternatives for the benefit of humans, animals and the environment”.

      Pertanto se vogliamo definisci vegani (a prescindere dalla questione antispecista che io reputo ovviamente strettamente collegata) dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che il veganismo è una filosofia di vita e un modo di vivere che influenza ogni nostra scelta quotidiana. Il veganismo – quindi – è molto di più che semplice dieta, o tendenza, o moda o fenomeno di costume e consumistico come viene trattato ora.
      Ciò che tu evidenzi – ossia considerare pragmaticamente che il veganismo debba passare per il mercato – è un elemento che indubbiamente bisogna considerare, il problema – che l’articolo vuole sottolineare – è l’atteggiamento delle persone umane vegane, non certo quello che fa il mercato. Ciò che sta accadendo è uno spostamento concettuale dai diritti fondamentali degli Animali – vittime delle pratiche speciste – a quello delle persone umane vegane. Il suddetto spostamento è quello che inevitabilmente ci propone il sistema produttivo e commerciale che come referenti ha noi vegani e a cui non interessa nulla – e non potrebbe essere altrimenti – degli Animali. Quello che auspico è un veganismo critico (e autocritico) e militante (un veganismo contro), che si confronta (inevitabilmente) con la società specista, ma che conserva il suo spirito di forte contrasto socio-culturale. Ciò fino ad oggi non è stato fatto a sufficienza e ha sempre prevalso la linea che potremmo definire “morbida” ossia quella del veganizzare a tutti i costi, i risultati sono sotto gli occhi di chi li vuole vedere.
      Per concludere posso affermare che Veganzetta nasce come realtà antispecista e vegana etica, il suo ruolo – quindi – è quello di avanzare critiche, dubbi, evidenziare problemi e fornire idee e soluzioni alternative, come è stato fatto anche nell’articolo.

      21 Novembre, 2016
      Rispondi
  21. Sean ha scritto:

    Credo che Adriano ti risponderà nel merito e di certo non ha bisogno che io lo difenda, ma due cose le vorrei dire anch’io: essere vegani è una conseguenza dell’essere antispecisti, cioè pensare che non esistono animali superiori e inferiori, così come non esistono razze umane superiori e inferiori, ma esistono esseri viventi dotati di peculiarità uniche e come tali rispettabili e inviolabili. La rimozione che noi facciamo quando mangiamo degli esseri che avevano sentimenti, paure e emozioni viene descritto da Melanie Joy come “non aver fatto il collegamento”.
    In psicologia sociale viene definito dissonanza cognitiva. In pratica, quando i fatti vanno a scontrarsi con i nostri pensieri, invece che modificare il nostro comportamento o ragionamento, distorciamo i fatti.
    Diventare vegani per altri motivi che non siano quelli dettati dal superamento di questa dissonanza cognitiva non serve a nulla se non ad ingrassare la grande distribuzione che da qualche tempo ha messo gli occhi sui vegani.
    Analogamente, le adozioni, le staffette e anche le liberazioni di animali non umani sono una piccola goccia nel oceano mare del randagismo e dello sfruttamento e non raggiungono un punto di massa critico.
    Dove ci portano allora queste riflessioni?
    A due opzioni: una è l’estinzione di massa, ipotesi verso la quale stiamo già correndo di gran carriera.
    L’altra è essere noi il cambiamento che vogliamo vedere negli altri.
    Essere “la liberazione” e non parlare di “liberazione”. Ortoprassi contro ortodossia.
    Occorre quindi parlare di questione animale e non di veganismo.
    Gli altri animali non possono esprimersi in prima persona come soggetti e dobbiamo farlo noi al posto loro, con tutti i rischi connessi allo spostamento del discorso su di noi in quanto soggetti parlanti la stessa lingua che adopera il potere. Quando dico che gli altri animali non possono esprimersi in prima persona, attenzione, non dico che non possano in quanto incapaci di comunicare, ma perché purtroppo non vengono riconosciuti come “Soggetti” dal potere: il potere usa il linguaggio verbale, le immagini, la propaganda, la musica (basta mettere una musichetta allegra come sottofondo e subito le immagini di un allevamento al pascolo trasmettono un’idea di pace, armonia con la natura ecc., pure se dietro c’è lo stesso orrore di quello intensivo perché gli animali vengono comunque sfruttati e uccisi) e la tecnologia, mentre gli altri animali hanno solo i loro corpi. Solo i loro corpi. Forse è di questi corpi che non dovremmo mai smettere di parlare. Documentandoli, fotografandoli, mostrandone l’abuso e il dominio che subiscono. Lo ?specismo? è la matrice di ogni delirio di dominio.
    Quando un Qualcuno diventa un qualcosa, falliamo come umanità.
    I lager nazisti sono stati rivelati mostrando quelle atroci immagini di animali umani privati della loro libertà, così le battaglie contro la schiavitù hanno avuto bisogno di documenti, di immagini.
    La storia si fa con i documenti, non smettiamo mai di documentare.
    Allora l’attivismo diviene una sfida al destino: l’unico modo che l’umano ha per ricongiungere forma e contenuto, l’animale con la sua animalità. Noi non liberiamo gli animali, noi liberiamo strutture, forme, diamo un nome a esseri a cui lo specismo ha tolto tutto, anche la differenza che alberga in ogni ripetizione. Ricongiungiamo ogni cosa con il tutto così l’essere può essere nominato in molti modi, in molti animali, in molti sguardi.

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Dario Martinelli ha scritto:

      Guarda che sono d’accordo su tutto, ma proprio su tutto (per altro, scrivevo di queste cose molto prima di Melanie Joy, quindi sfondi una porta aperta).
      Ma, di grazia, cosa c’entra la povera Despar con tutto questo? Questi devono vendere un prodotto, e hanno capito che c’è una fetta di mercato disponibile.
      Se commentiamo di affari e commercio, dobbiamo parlare di affari e commercio, non aspettarci che nel direttivo di Despar chiedano una consulenza alla Joy o a Singer.
      Mi sembra come quei critici musicali che stroncano un disco perché non è del genere che si aspettavano. “Questo disco non è sufficientemente rock! È troppo country!” Benissimo, allora: ascoltalo con i criteri del country e dimmi se è un buon disco country!

      21 Novembre, 2016
      Rispondi
      • Sean ha scritto:

        La “povera” Despar, e con lei tutta la grande distribuzione, sta facendo quello che è accaduto con i movimenti della cultura alternativa. Massifica e massificando sposta il bersaglio. Quella che dovrebbe essere la lotta per la liberazione di tutti i viventi diventa una questione di dieta e di moda. Cosa rompete i coglioni voi vegani che avete la pizza vegana, il supermercato vegano, il cinema vegano, riproponendo in chiave veg il sistema di sfruttamento che ci ha portato a ritenere normale che alcuni individui senzienti vengano fatti nascere, ingrassati e uccisi per il nostro consumo e piacimento. Il nostro intento è una società liberata dove tutti gli esseri viventi vivano liberi e in sicurezza, senza sfruttati e sfruttatori, perché se ci pensiamo non è affatto vero che noi sfruttiamo gli animali perché li consideriamo inferiori, piuttosto li consideriamo inferiori perché li sfruttiamo. E così gli uomini.

        21 Novembre, 2016
        Rispondi
  22. Dario Martinelli ha scritto:

    Sono d’accordo anche qui :) E infatti per “povera” Despar non intendevo certo “esente dal male assoluto”.
    Ma quelle che tu legittimamente sottolinei non sono le uniche variabili in gioco in una situazione del genere.
    Per esempio, qui si tratta anche di decidere se sia un bene o meno che ci siano prodotti vegani in commercio. Se sì (e io credo di sì) se sia un bene o meno che vi si associ un personaggio di connotazioni molto positive come Leonardo da Vinci. Se sì (e io credo di sì), se sia un bene o meno che il consumatore-medio cominci a lavorare cognitivamente su queste associazioni, e a pensare al veganismo come a una cosa intelligente come Leonardo, non squilibrata come Hitler (non dimentichiamoci mai l’impennata di vendite di spinaci in scatola provocate dal personaggio di Popeye, con tanto di statua erettagli in Texas dagli industriali del settore).
    Sean, io e te saremo sempre ed eternamente d’accordo sulle questioni che sollevi (e che Adriano solleva): vi prego di non prendere le mie come critiche all’antispecismo e ai suoi precetti, nè tantomeno all’importanza di una identità anti-capitalista del movimento.
    Dico solo che il discorso non può sempre andare a finire allo stesso punto, lasciandoci dunque eternamente scontenti. Come dicevo: disco country? Ok, si parla di country, non di aspettative rock deluse.

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
  23. Dario Martinelli ha scritto:

    Grazie, Adriano. Come dicevo, non intendevo criticare te, nè a ben guardare intendevo criticare in generale.
    Come dicevo anche a Sean, concordo su ogni cosa, e nella fattispecie è verissimo che stia avvenendo quello spostamento concettuale cui fai riferimento.
    Trovo tuttavia problematica la nostra generale tendenza a trasferire ogni questione su un unico piano del discorso, non tanto perché sottovalutiamo gli altri (che ci può anche stare: siamo entrambi d’accordo che impostare il discorso come fai tu sia “più importante” che farlo in altro modo); quanto perché sembriamo ignorarne l’esistenza e l’impatto.
    ESISTE un discorso sul veganismo legato alle logiche di mercato, e secondo me il nostro dovere è comprenderlo bene bene (piuttosto che liquidarlo come “indegno”), perché ci sono molte probabilità che la partita si giochi anche (se non soprattutto) lì.
    In altre parole, auspico, per l’antispecismo, un discorso eclettico che sia capace di giocare su più tavoli, ogni volta con le giuste competenze, il giusto linguaggio e le giuste strategie. Credo che per etica si debba intendere soprattutto questo: una “corazzata interdisciplinare” che non teme confronti in nessun campo.

    PS: “Molti grandi geni pensavano veggie” è un ottimo messaggio. Finalmente non siamo quelli “strani”, quelli “nevrotici” o quelli insopportabilmente moralisti. Almeno come semiologo, il mio giudizio è positivo!

    21 Novembre, 2016
    Rispondi
  24. Roberto Contestabile ha scritto:

    Se siamo arrivati a paragonare i veganismi vari (etico-salutista-commerciale…) a un disco rock piuttosto che country…allora il lavoro da svolgere è ancora ampio e laborioso. Nello specifico ciò che sta avvenendo con il cibo veganizzato (perchè è questo che stanno costruendo…non ortofrutta fresca e biologica che esisteva già) altro non è che un opportunità strettamente commerciale che non ha nessuna etica e salvaguardia per nessuno, Animali in primis. Lo testimoniano le numerose aziende di provenienza industriale che da decenni si occupano di produrre e vendere derivati (latte, carne ed affini) e che ora hanno visto nel vegano di turno una nuova ed appetibile opportunità di profitto. Quello che hanno fatto i dirigenti aziendali è stato un semplice calcolo di investimenti e costi, diviso il bacino d’utenza per milioni di possibili clienti (5/7.000.000 tra vegani e vegetariani), determinado quindi un appetibile sbocco commerciale. Nei loro consigli d’amministrazione non si è discusso di benessere, tolleranza, consapevolezza, salvaguardia, liberazione… Quindi come possiamo immaginare che tutto questo speculare su milioni di persone presumibilmente consapevoli possa giovare alla presa di coscienza odierna e futura?
    Facendo un breve sondaggio su un migliaio di consumatori ne verrebbe fuori un dato alquanto critico, ovvero poche decine di persone che conoscono a malapena il presunto motivo etico di tali nuovi assortimenti. Non lo sanno perchè non esiste! I prodotti vegani/vegetariani sono presenti sullo scaffale allo stesso modo di quelli senza glutine o senza lattosio o senza zucchero o senza grassi, cioè sono diventati una fetta di mercato, lo stesso mercato che dovrebbe tutelare l’ecosistema e i suoi ospiti ma che in realtà grazie al capitalismo divora tutto senza cognizione ma con presunzione d’innocenza. Questo accade oggi, figuriamoci tra qualche anno quando ormai ogni settore commerciale verrà invaso da nuove stramberie marketizzate (lo hanno già fatto con gli elettrodomestici e i viaggi turistici). Qual’è lo scopo di tutto questo? Fare profitto! E in che modo e con quale strumento dovremmo liberare gli Animali dopo secoli di schiavitù? Con la bistecca vegetale in alternativa settimanale a quella di carne? Non si diventa vegani (e quindi consapevoli dello sfruttamento animale) grazie alla soia, al muscolo di grano, al seitan…piuttosto che al veggie burger. A mio avviso qualcosa è andato storto in questi ultimi anni, o forse si è sottovalutato troppo incautamente il potere d’induzione commerciale di un sistema mercificante che non risparmia nessuno…neppure i vegani.

    22 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Dario ha scritto:

      Tutto vero, quello che dici, Roberto. Ti ringrazio per il tuo commento.
      Banalmente, però, mi viene da dire: “e allora?” Le aziende lavorano per il profitto, la maggior parte delle persone non conosce le ragioni etiche del veganismo… e allora?
      Ci sono almeno tre cose che non comprendo, nel tuo intervento, e in generale nell’atteggiamento che lo produce:

      1) In che modo (concretamente e dati alla mano: niente speculazioni, please) la messa in commercio di un prodotto vegano “danneggi” il veganismo e gli animali – soprattutto in considerazione del fatto che tale prodotto è pubblicizzato in modo non stereotipato, ma con una connotazione positiva, che fa passare il veganismo per un’idea finalmente “intelligente” e non semplicemente “salutare”.

      2) In che modo (anche qui, concretamente) far convergere ognuno dei molteplici discorsi legati al veganismo a una unica visione dei problemi, visione di tipo filosofico e di grado “o duri e puri o niente”, sia più efficace di una concertazione dei vari discorsi, secondo le loro diversità e competenze. Sono davvero curioso, perché sarebbe la prima volta nella storia che si risolve un problema con un singolo approccio, disprezzando tutti gli altri.

      3) Anche ammettendo di dover dare precedenza alla filosofia dura e pura come approccio, se non unico almeno largamente dominante, nonché motore primo di ogni coscienza coinvolta nel mangiar vegano, te la sentiresti di farmi una bella descrizione del tuo piano? Ancora una volta, concretamente (più concretamente che mai): mi fai una bella lista di azioni da intraprendere nella nostra società (azioni FATTIBILI e dall’impatto MISURABILE), e una proiezione (in tempi e modi) dei risultati, per poter cambiare il mondo da carnista a vegano.
      I valori, la necessità di eticizzare il mondo, e tutto il resto, li abbiamo capiti. Li abbiamo capiti benissimo, e siamo tutti d’accordo: e nel caso a qualcuno sia sfuggito qualcosa, ci sono eserciti di filosofi vegani che ce li ricordano in continuazione (me compreso – non sono meno colpevole :) )
      Ora: lo facciamo questo benedetto passo avanti? Quando scrivi “E in che modo e con quale strumento dovremmo liberare gli Animali dopo secoli di schiavitù?”, riesci a porti la domanda in modo non retorico, e a dare una risposta davvero fattibile ed efficace? IN—CHE—MODO? Ti prego di non rispondere cose tipo “è necessario che tutti prendano coscienza di questo e quello” o “non ci si deve piegare alla logica capitalista”. Mi devi dire come si fa a farlo accadere, e perché è meglio farlo SOLO in quel modo, piuttosto che mettendo più frecce possibili al proprio arco.

      Grazie
      Un caro saluto

      PS: Ti prego, non scambiare un espediente retorico usato come esempio clarificatore (la storiella rock-country) per un paragone riduzionista.

      PPS: Dovessi per caso domandartelo, sono sinceramente anti-capitalista. E parecchio, anche.

      22 Novembre, 2016
      Rispondi
  25. Paola Re ha scritto:

    Mi piace la domanda IN—CHE—MODO.
    Sei pragmatico al punto giusto!

    22 Novembre, 2016
    Rispondi
  26. Roberto Contestabile ha scritto:

    Io credo che l’egocentrismo sia una dei difetti peggiori dell’essere Umano, naturalmente insieme a tanti altri! Ora…nessuno ha la soluzione in mano, forse nella testa, ma attuarla velocemente e concretamente è forse la sfida più grande che ognuno dei consapevoli deve attuare nel prossimo futuro, e per consapevoli intendo chi ha veramente concepito il difetto di questo meccanismo così altamente mercificante. Visto e considerato che sono stato tirato in ballo (e non è questo il metodo migliore per andare avanti con la presa di coscienza) io (da solo) non posso produrre nulla di effettivo e vincente. Certamente posso contribuire in tanti modi, ma la collaborazione e il dialogo costruttivo sono le armi più adeguate per diffondere una giusta consapevolezza, ampia e adeguata alle reali necessità degli Animali. L’introspezione è indubbiamente un mezzo utile per capire difetti e virtù, ecco perchè ognuno all’interno del suo vivere quotidiano ha l’obbligo di esercitare una profonda pressione al proprio carattere di individuo. Migliorare si può, le testimonianze sono presenti nei fatti. Detto questo è inutile stilare una lista di provvedimenti, innanzitutto perchè i cambiamenti corrono veloci. Stessa cosa dicasi per il mercato, che si adegua, si trasforma, divora tutto…appunto! Ciò che prima era ritenuto giusto e plausibile…così non è! Tutto passa per il mercato…giusto! Anche il vegano! Ma non tutto deve essere ritenuto plausibile e convenzionale solo per il proprio interesse personale, questo è egoismo! Non possiamo prevedere il futuro, e anche se il veganismo dovesse divenire istituzionale ciò non significa che gli Animali avranno libertà e bisogni indipendenti dall’essere Umano. Ognuno possiede dei limiti, e i compromessi sono ovunque, peggio in chi si considera onnisciente.

    25 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Dario ha scritto:

      Quindi, caro Roberto (e lo dico con grande rispetto del tuo pensiero e della tua sensibilità), prendo atto che una soluzione concreta non ce l’hai, e che addirittura trovi “inutile stilare una lista di provvedimenti” (pensa un po’: io lo troverei utilissimo).

      All’istituto di ricerca che dirigo, abbiamo stabilito una regola: “è vietato sollevare un problema se non si propone almeno una soluzione fattibile”.
      Dire quello che non va bene è semplice, lo si può fare in poche parole o in tante, e lo si può fare anche con parole belle e affascinanti. Adoperarsi per una soluzione è molto meno semplice.

      Ti avevo anche pregato di non rispondere cose tipo “bisogna prendere coscienza, ecc.”, e invece hai intriso il tuo commento di “introspezione”, “carattere di individuo” e compagnia.

      Mentre leggevo il tuo commento, mi venivano costantemente domande:
      “Certamente posso contribuire in tanti modi”. Quali?
      “Migliorare si può”. Come?
      “le testimonianze sono presenti nei fatti”. Quali testimonianze? Quali fatti?
      E via così.

      Davvero, non ce l’ho con te personalmente, e anzi scusami se ti sembro un po’ duro (in questo come in altri miei commenti), ma non posso esentarmi dal pensare alla mucca prigioniera degli allevamenti intensivi, al rinoceronte che si estingue, alla cavia martoriata in laboratorio, e a quello che possono farsene della nostra “introspezione” e del nostro “carattere di individuo”.

      Speculazione, filosofia, spiritualità… sono tutte cose che vanno bene se poi, invece, la lista di provvedimenti la si compila eccome, e poi ci si alza dalla “poltrona rivoluzionaria” per andare a metterli in pratica (ancora una volta: non parlo di te personalmente).
      Se invece la lista la si ritiene “inutile”, che almeno altri approcci, altre angolazioni, altre “frecce” all’arco dell’antispecismo, non vengano subito bollati come irrilevanti o persino dannosi! È chiedere troppo?

      Concordo totalmente con te quando parli di egocentrismo come di uno dei difetti peggiori dell’essere umano. Per questo, ancora una volta senza volerne fare una critica personale a te, ti invito a fare una serena riflessione su quante persone, nel movimento antispecista, stanno lì a farsi belle e a guardarsi nello specchio delle loro parole nobili e della loro etica dura e pura. La percentuale di animali uccisi non si sposta di un millesimo, ma quant’è bello sentirsi giusti, irreprensibili e incontaminati dalla mercificazione e dalle logiche di profitto, eh?

      Un caro saluto.

      25 Novembre, 2016
      Rispondi
      • Paola Re ha scritto:

        “è vietato sollevare un problema se non si propone almeno una soluzione fattibile” è una regola che usavo pure io quando facevo l’educatrice! La imponevo in maniera dispotica ma dava ottimi risultati perché porta alla partecipazione. E’ uno dei rari casi in cui il fine giustifica i mezzi.

        26 Novembre, 2016
        Rispondi
        • Veganzetta ha scritto:

          Cara Paola sai bene che il fine non giustifica mai i mezzi, perché così fosse sarebbe il principio della fine (scusa il gioco di parole) anche della nostra idea antispecista. C’è anche da dire che imporre qualcosa non è mai giusto e raramente è utile, per esempio nel nostro caso non si può imporre sempre di fornire una soluzione a un problema, per il semplice motivo che spesso abbiamo la capacità di capire che esiste un problema, ma non siamo in grado di fornire una soluzione. Quindi in tali frangenti questa regola non solo sarebbe inutile ma addirittura dannosa perché non avendo una soluzione non si potrebbe nemmeno considerare il problema. Un esempio? La guerra che la nostra specie utilizza spessissimo come metodo per la risoluzione di dispute è un problema enorme, nessuno di noi attualmente ha soluzioni per risolverlo, ciò non significa che non abbiamo il dovere di evidenziarlo, di opporci e di lottare contro di esso.

          26 Novembre, 2016
          Rispondi
          • Dario ha scritto:

            Cara Paola,

            Ci troviamo d’accordo su tante cose, vedo (mi riferisco anche ad altri tuoi commenti).

            Rispondo solo qui giusto per specificare a Veganzettache sono sicuro che per “imposizione” Paola descriveva lo stesso tipo di situazione che intendevo io. Ovvero: si deve gestire un gruppo più o meno ampio di persone, con le quali (legittimamente e democraticamente) è importante stabilire delle strategie, delle azioni, e in generale una “politica” rappresentativa di tutti, o quasi tutti. In ogni caso, bisogna andare avanti (nel mio caso, trattandosi di istituto di ricerca, “andare avanti” significa compilare progetti, pianificare pubblicazioni, elaborare programmi di studio, e così via).
            Sollevare problemi è relativamente semplice: il mondo è per definizione imperfetto, figurati se non lo è un microcosmo come un istituto o un dipartimento all’interno di un’università (specialmente considerando i problemi odierni delle istituzioni accademiche).

            Ma se il problema viene solo sollevato e non risolto, l’istituto è danneggiato sia in generale (la riunione si conclude con un problema in più di quando aveva avuto inizio: il saldo è negativo), che nello specifico delle interazioni personali nel mio staff: aumenta la sfiducia, gli atteggiamenti mutano da costruttivi a distruttivi, e via dicendo.

            È ampiamente sconsigliato proporre problemi e basta. Bisogna terminare la riunione al massimo con lo stesso numero di problemi del suo inizio: meglio se con MENO problemi.

            A tutto questo si aggiunge anche che molti problemi sollevati non sono necessariamente problemi, ma percezioni erronee di un processo che in realtà è positivo nella lunga scadenza, bisogni di mettersi al centro dell’attenzione, frustrazioni o difficoltà personali scambiate per problemi del gruppo, e così via.

            Allora, “l’imposizione” di cui io e Paola parliamo non è altro che un invito a riflettere bene prima di sollevare un problema “pour parler”, e una misurazione delle motivazioni alla base di certe discussioni.
            Se uno percepisce davvero il problema, allora è senz’altro motivato a parlarne e a farsi carico di una risoluzione: è un processo che avviene piuttosto naturalmente (come Paola credo potrà testimoniare), ed è anche una buona ginnastica professionale (non a caso nei seminari di formazione si insegna il “problem-solving”, non il “problem-raising” :))))
            Se questa motivazione il collega non la sente, magari ci pensa due volte prima di parlare, e comprende meglio cosa significhi prendersi delle responsabilità all’interno di un gruppo.
            Ti garantisco che dopo 2-3 settimane, tutti entrano nello spirito della decisione, le riunioni funzionano meglio, durano meno, e il livello di narcisismo è tenuto meglio a bada :)

            26 Novembre, 2016
            Rispondi
          • Paola Re ha scritto:

            Caro Adriano, non è vero che il fine non giustifica mai i mezzi. L’eutanasia è un mezzo che giustifica un fine. La morte di un animale è terribile ma per non farlo soffrire più, si è portati a decidere di ucciderlo. Chi ha provato, sa di che cosa parlo. Questo è soltanto un esempio che cito perché per me è una questione sempre aperta che mi porterò dietro per sempre.
            Restando tra le questioni meno macabre, se tu ti trovassi a fare l’educatore, dovresti dare regole. Gestire un gruppo di 20 bambini e bambine (nei centri estivi anche di più) è praticamente impossibile senza regole. Il termine “imposizioni” è più forte ma di fatto si tratta di quello. La regola di dare soluzioni dopo avere rilevato un problema è tutt’altro che inutile (parlo per la mia esperienza da educatrice perché a quella mi riferivo) perché evita di ridurre tutto alla lamentela solo per il gusto di farla.
            Per avere credibilità, ogni volta che protesto (e tu sai che ho la protesta nel DNA), dopo la pars destruens, propongo sempre la pars construens. L’ho fatto anche nel caso di questa discussione sui supermercati. Torno a ribadire che è inutile sparare a zero sui supermercati ma poi frequentarli (magari anche assiduamente) però su Veganzetta mica lo si scrive…

            27 Novembre, 2016
            Rispondi
            • Veganzetta ha scritto:

              Il mezzo fa già parte del fine, in sostanza le modalità scelte per ottenere un fine divengono già fine stesso e sua rappresentazione. Quindi per ottenere la pacificazione di una diatriba non si può usare il bastone ecc.. L’autanasia può essere un gesto di amore se fatto – per l’appunto – per amore e il fine è non fare soffrire inutilmente qualcuno che si ama. Lo stesso mezzo può essere usato per sbarazzarsi di qualcuno che è malato e che non ci è più utile, ma in questo caso non si tratta di eutanasia (buona morte), ma semplicemente di morte, di una soppressione che può avvenire in vari modo ma sicuramente senza l’emozione, la condivisione, la vicinanza e il rispetto che caratterizzano l’eutanasia. Sono cose che purtroppo ho provato anche io.
              Per quanto riguarda l’educazione è chiaro che in una classe di bambini ci vogliano regole, ma bisogna vedere come si arriva a stabilirle e a farle rispettare. Ciò a cui bisogna mirare è il rispetto per l’autorevolezza e non il timore dell’autorità.
              Non si tratta di sparare a zero sui supermercati, si tratta di avere il giusto approccio al problema: viviamo in una società specista, capitalista e orientata al consumismo, dobbiamo fare il possibile per cambiare queste cose, non lo si può fare da un giorno all’altro, in base alle esigenze e possibilità personali c’è chi può cambiare le proprie abitudini in fretta e chi ha bisogno – per problemi oggettivi – di più tempo per concretizzare le sue idee nel quotidiano. Il punto non è questo, è come consideriamo il problema nella sua interessa: c’è chi è contento dei supermercati vegani e chi no. Questo è lo spartiacque.

              27 Novembre, 2016
              Rispondi
              • Paola Re ha scritto:

                “L’eutanasia può essere un gesto di amore se fatto – per l’appunto – per amore e il fine è non fare soffrire inutilmente qualcuno che si ama.”
                E’ proprio in questo caso che il fine giustifica i mezzi quindi non è vero che non lo giustifica mai.

                “Per quanto riguarda l’educazione è chiaro che in una classe di bambini ci vogliano regole, ma bisogna vedere come si arriva a stabilirle e a farle rispettare. Ciò a cui bisogna mirare è il rispetto per l’autorevolezza e non il timore dell’autorità.”
                Da bambina non mi è mai stata data la possibilità di decidere con l’insegnante, l’educatore o i genitori le regole: me le sono trovate pronte e servite e dovevo obbedire. Erano altri tempi… Oggi il rapporto tra adulti e minori è cambiato. Comunque, nel mio caso, non è stata l’imposizione delle regole (timore dell’autorità) a determinare l’approccio negativo verso esse quanto piuttosto il contenuto di certe regole. Mi ribello quando le regole non sono buone (secondo me), non quando le impongono. Se l’autorevolezza dell’autorità, che lascia spazio a creare regole insieme, dà pessimi risultati, mi ribello. Certe volte la maggioranza fa disastri.
                In Italia è vietato macellare e mangiare il cane, regola imposta. Mi chiedo se non ci fosse questa regola che fine farebbe il migliore amico dell’uomo. Sono convinta che certa gente non macelli e non mangi il cane per timore dell’autorità. E’ solo un esempio.

                “c’è chi è contento dei supermercati vegani e chi no. Questo è lo spartiacque.”
                Fin qui ci siamo capiti. C’è anche una via di mezzo: coloro che li criticano ma cercano di fare una spesa “accettabile” nel supermercato. Io mi soffermo su chi continua a criticare i supermercati e continua a frequentarli. La critica ha un prezzo: vada nella piccola bottega a pagare un prodotto 3 volte tanto quanto lo paga al supermercato. In quel caso avrebbe tutta la mia stima. In caso contrario, per me sarebbero solo chiacchiere.

                27 Novembre, 2016
              • Veganzetta ha scritto:

                No Paola l’eutanasia è già il fine stesso: non far soffrire chi si ama agendo coerentemente e compiendo un gesto d’amore.
                Noi siamo il prodotto di un’educazione autoritaria, spesso non abbiamo (nessuno escluso) i mezzi necessari per poter pensare una nuova educazione libertaria.
                Come già scritto ciascuno compie i passi necessari in base alle proprie possibilità e capacità, l’importante è continuare ad avere una coscienza vigile e critica. Tutte/i noi viviamo in una società specista, già questa è un’incoerenza, fare una gara a chi è più ligio alle proprie idee non serve a nulla e a nessuno.

                27 Novembre, 2016
  27. Roberto Contestabile ha scritto:

    Caro Dario…nulla di personale, ma chi crede di avere la soluzione in tasca é la stessa che contribuisce allo sfruttamento. Per cui considerato che ti enfatizzi dirigente saccente, idoneo a criticare gli altri senza sapere neanche posizione e ruolo, ti lascio campo libero e senza ulteriore polemica sperando che il tuo istituto di ricerca (mi auguro che non sia privato) trovi presto una soluzione al genocidio Animale.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
  28. Dario ha scritto:

    E ti pareva che non scattavano la permalosità e l’offesa personale…
    Che peccato.
    Un collega più anziano e saggio di me e di te mi disse una volta che chi grida e/o insulta ha sempre e comunque torto.
    Io ti ho fatto domande specifiche e nel merito, e tu invece di rispondere mi chiami saccente, mi accusi di pensare di avere la verità in tasca, eccetera.
    Quale verità, poi, sarebbe anche carino saperlo. Ho detto e dico solo che criticare altri approcci senza proporre alternative concrete non mi sembra un’idea molto costruttiva – ma il saccente sono io, naturalmente.
    L’istituto (pubblico) non è “mio”, e il fatto di dirigerlo mi rende direttore, non dirigente (c’è una differenza enorme, soprattutto in quella logica capitalista che entrambi detestiamo). Cosa sia, cosa faccia e cosa ottenga te lo lascio scoprire da solo, se ne avrai la curiosità. Se continuo a descrivere quello che è semplicemente il mio lavoro (come tanti altri) chissà che altro aggiungi, dopo “saccente”.
    A ciascuno il suo stile…

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
  29. Veganzetta ha scritto:

    Cari Dario e Roberto,
    Non è il caso di scontrarvi tra di voi su temi su cui sostanzialmente siete concordi. La questione è chiaramente complessa e risposte semplici non ci sono.
    Bisogna sempre affiancare alla PROTESTA la PROPOSTA, ossia fornire oltre alla visione critica e di scontro, una visione alternativa e di incontro.
    Veganzetta lo ha fatto molte volte in passato e anche in questo articolo in cui si legge:

    Facile a dirsi! Si potrebbe rispondere, ma chi era vegano 10, 15 o 20 anni fa – e che continua a esserlo tutt’ora – ha potuto condurre un’esistenza dignitosa anche senza prodotti creati appositamente e anzi – forse proprio perché ignorato dalla società dei consumi – ha potuto probabilmente esercitare con maggiore facilità e efficacia la giusta attività di critica alla società del consumo e del dominio, tessendo relazioni e avviando progetti virtuosi che dovrebbero essere le vere e uniche strade percorribili da chi lotta seriamente per la liberazione animale: l’autoproduzione (a qualsiasi livello e in qualsiasi modo mediante orti privati, collettivi, pubblici o urbani), i GASV (Gruppi di Acquisto Solidale Vegani), l’acquisto in piccole realtà produttive locali vegane, mercatini solidali, il recupero di cibo “scartato” o non più considerato commerciabile (skipping o accordi con esercizi commerciali o banchi dei mercati), l’utilizzo di prodotti semplici e grezzi, freschi, di stagione, non lavorati e locali ecc..

    Ci sono quindi molteplici approcci alla questione e tutti interessanti, nessuno (e con questo si risponde anche alla domanda fatta tempo fa da Paola Re in un suo commento) vuole dire che da un giorno all’altro si debba chiudere con l’acquisto di beni e servizi a cui siamo abituati, ma si deve coerentemente porre in atto ciò che pensiamo cercando gradualmente di costruire una realtà alternativa al consumismo e alla società specista. Per farlo servono reti, incontri, confronti, esperienze comuni, idee e proposte: un piccolo oceano di persone umane si muove in questo senso, spesso senza farsi notare, ma le esperienze non mancano. Anche la decrescita e le sue pratiche potrebbe essere molto utile, come pure la coltivazione senza crudeltà (orticoltura vegan ecc..), forme di permacultura, le tecnologie appropriate (soluzioni tecnologiche a basso impatto che possono essere adattate, anche la bicicletta se vogliamo è una soluzione tecnologica a basso impatto per la mobilità, vedasi Ivan Illich). Come vedi Dario le soluzioni non solo ci sono, ma sono anche numerosissime. I libri su esperienze di vita alternative, su come costruirsi, coltivarsi, prodursi ciò di cui abbiamo bisogno si sprecano. Basta ben poco – per esempio – per sostituire tutte le sostanze chimiche di sintesi inquinanti e di origine animale per la pulizia della casa e per la cura della persona, con rimedi semplici, naturali e autoprodotti. Ciò pare una cosa da nulla, ma nella realtà non lo è affatto.
    La rivoluzione vegana (ispirata dall’idea antispecista) è un metodo potente e una prassi di cambiamento davvero efficace, ciò se portata avanti con coerenza e con una solida base teorica.
    Chi è diventato vegan molti anni fa, si ricorderà bene dei numerosissimi libretti sulle mille possibilità di autoproduzione vegan, possibilità che oggi si stanno trasformando in semplice acquisto di merci.
    Come vedi le proposte non mancano affatto.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
  30. Veganzetta ha scritto:

    Per quanto riguarda l’approccio “duro e puro” anche questo va letto mediante l’utilizzo di una lente diversa,: ciò che tu definisci “duro e puro” altri lo definiscono “critico e coerente”, quindi siccome si è detto molte volte che viviamo immersi in una società specista e noi stesso lo siamo e dobbiamo per primi fare autocritica, è chiaro che il lavoro da svolgere è enorme e che i modi per agire nel concreto possono essere numerosissimi: a ciascuno il suo si potrebbe dire, ossia ciascuno può agire mediante le proprie competenze su un determinato comparto della società umana specista per stravolgerlo e ricostruirlo. Ciò detto sempre mantenendo un approccio “critico e coerente”, quindi non collaborativo.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
  31. Dario ha scritto:

    Caro Veganzetta,

    Ti ringrazio per il tuo commento. Onestamente, io non mi sto scontrando con nessuno: mi stavo solo confrontando con qualcuno che ha un’opinione evidentemente differente, e poi a un certo punto ho ricevuto degli insulti gratuiti e mirati (quando invece le mie critiche partivano sempre dal presupposto che non stessi puntando il dito contro nessuno in particolare).
    Non credo che fossi concorde con Roberto sul suo approccio: è chiaro che a entrambi, come a te, stia a cuore la risoluzione (o almeno la riduzione) del problema del genocidio animale. Però TU proponi delle soluzioni concrete, e con quelle mi piace conversare, mentre in altri casi si parlava di introspezione e individualità, e – con tutto il rispetto – penso di avere diritto a preferire un approccio rispetto all’altro.

    Ora. Nel merito del tuo intervento (e spero vivamente che a un certo punto non scatti anche a te la permalosità: sto solo esprimento delle opinioni, come tu le tue – e nessuno offenda nessuno! :) ), vorrei dire quanto segue:
    – Il motivo per cui io e te ci capiamo molto di più, rispetto alla precedente conversazione, è che tu 1) proponi come dicevo soluzioni concrete, che SEGUONO e CONSEGUONO a quel pensiero etico “duro e puro” che dicevo (o “critico e coerente” che dir si voglia – ho dei problemi con la parola “coerenza”, perché non la ritengo possibile al 100%, ma capisco quello che dici, e capisco che non ti vada di utilizzare la mia espressione un po’ sarcastica). Seguire e conseguire, in questo caso, significa che sei uno che ha capito che lo scopo della teoria è giungere all’applicazione. Ma soprattutto, 2) nell’elencare alcune soluzioni ti sei rifatto a competenze “esterne” alla filosofia e all’etica pratica. Hai fatto cenno alle biotecnologie, all’economia, persino all’ideologia politica (non dimentichiamoci che, prima che Scumacher e c. entrassero in scena, le tecnologie appropriate erano una strategia di lotta Gandhiana).
    Quindi, di fatto, io e te siamo d’accordo sul punto principale che mi premeva sottolineare nei miei precedenti interventi: avere più frecce possibili al proprio arco. È TUTTO quello che mi interessa dire in questa lunga ed estenuante conversazione.

    Quando dici “è chiaro che il lavoro da svolgere è enorme e che i modi per agire nel concreto possono essere numerosissimi” rifletti in totale fedeltà il mio pensiero, e ti ringrazio perché – chissà – magari ora si capisce meglio.

    Ora. Se posso (ripeto: al netto di permalosità varie. Ci stiamo solo confrontando amichevolmente, e spero di essermi complimentato a sufficienza con il tuo commento, per guadagnarmi anche il diritto di un’annotazione), vorrei anche parlare di una piccola differenza nei nostri due approcci.
    La concretezza delle soluzioni che elenchi (e che io stesso, nel mio piccolissimo, cerco di promuovere) ha un’unica difficoltà nel grado di impatto a livello popolare (populista?). Ovvero: nella maggioranza dei casi, la pubblicità della Despar arriva PRIMA e a PIÙ PERSONE che non un’informazione sui metodi di permacultura, e con questo – secondo me – dobbiamo comunque confrontarci, senza necessariamente girare la faccia dall’altro lato con atteggiamento stizzito e un bel “capitalisti di m***a!” d’accompagnamento.
    Allora: qui si tratta di capire questo. Con o senza di noi, queste pubblicità, questo sistema, ci saranno comunque, e per altro la lotta è impari. La domanda è: possiamo assumere una posizione pragmatica, e distinguere almeno tra a) pubblicità a prodotti “crudeli” e b) pubblicità a prodotti non crudeli? E, fatta questa distinzione, possiamo distinguere tra a) pubblicità a prodotti non crudeli con connotazione non etica (es. “il cibo vegano fa bene alla salute”) e b) pubblicità a prodotti non crudeli con connotazione etica?
    Se riusciamo ad arrivare a queste ultime senza vomitare, possiamo mettere sulla bilancia la nostra corteccia “critica e coerente” su un piatto e il fatto che forse-dico-forse certi prodotti pubblicizzati in certo modo possono ridurre un pochino-pochino la cosa che ci sta VERAMENTE a cuore, ovvero il genocidio animale?
    Questo non significa rinunciare all’approccio “critico e coerente”: significa solo accettare che vada affiancato da tante altre cose, e che forse si ottengono più risultati con una varietà di strategie.
    Non sono un grande fan del Risorgimento italiano, ma giusto per capirci: c’era l’approccio post-illuminista mazziniano, c’era la risolutezza militare garibaldina, c’erano le mire di potere savoiarde, e c’era il cinismo politico di Cavour (per non parlare di tutto il resto). Nessun approccio, da solo, ce l’avrebbe fatta. Ora: ciascuno dica quello che vuole sul Risorgimento (e come dicevo, non ne sono un ammiratore), ma rimane il fatto che i risultati si ottengono così.
    Mi manca, invece, un grande risultato storico, di progresso sociale o altro, ottenuto con una singola strategia, per di più “critica e coerente”.
    A me non frega una prodigiosa ceppa di come passeremo alla storia io, tu o altri come “pensatori dell’antispecismo”: a me interessa che mio figlio diventi grande in un mondo dove si ammazzano meno animali, e suo figlio diventi grande in un mondo dove se ne ammazzano ancora meno, e così via, fino a quando un pro-pro-pro-nipote vivrà in un mondo dove non se ne ammazzano più.
    Tutto quello che serve accettare, tutto il letame che serve sopportare per arrivare a quel risultato mi sta bene.
    Mi interessa Singer, ma me ne catafotto di Singer da solo, mi interessa Regan, ma me ne catafotto di Regan da solo, e via così. Li voglio tutti assieme, più altri, più altro.
    Più chiaro di così non riesco a essere.
    Grazie ancora per il tuo commento molto equilibrato e competente.

    PS: Portare il concetto di “tecnologia appropriata” nelle scienze umane è una delle principali missioni del “mio” istituto. Spero di farla franca da accuse di “saccenza”, se oso specificarlo.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Per quanto riguarda la coerenza è chiaro che la vita ci impedisca di essere coerenti al 100%, come del resto è chiaro non non si possa essere puri al 100% per il medesimo motivo, pertanto si tratta solo di scegliere delle terminologie più rispondenti alle nostre tendenze ed esigenze.
      Sulla questione delle tecnologie appropriate bisogna intenderci anche in questo caso sui termini: bisogna comprendere cosa si considera appropriato e cosa non lo è dal punto di vista antispecista. In Italia ci sono state varie esperienze nel settore, per esempio il Gruppo di Ricerca sulle Tecnologie Appropriate – Centro di Informazione non violenta (GRTA-CIN) che ha stilato a suo tempo anche una lista di caratteristiche che tali tecnologie dovrebbero avere per essere considerate appropriate. Senza dubbio è un argomento da sviluppare proprio per dare delle soluzioni percorribili a molti problemi.
      La biotecnologia che tu citi è un argomento critico che andrebbe affrontato in separata sede, in estrema sintesi si può dire che se per biotecnologia consideri la conoscenza dei cicli biologici dei viventi per poterci procurare ciò che ci serve per vivere rispettando gli altri (quindi impattando il meno possibile su ambiente e viventi) allora possiamo essere d’accordo, se invece si parla per esempio di OGM o questioni similari, non ci siamo assolutamente.
      Passando alla pubblicità e alla posizione da assumere, chiaramente ci sono molti visioni diverse che vanno rispettate, per quanto riguarda Veganzetta la posizione è chiara da anni: contrarietà a ogni contiguità con il consumismo e il capitalismo. Quindi ai vari esempi di pubblicità che hai riportato è possibile rispondere che chiaramente si tratta di casistiche diverse tra di loro, non è possibile pertanto valutarle tutte allo stesso modo, ma questo non è il compito che l’antispecismo (e il veganismo etico che è una delle sue prassi) deve avere.
      Proprio in virtù del fatto che ci sono posizioni molto diverse – per fortuna – ci sarà sicuramente chi si occuperà dell’argomento, per quanto ci riguarda è doveroso vigilare affinché il marketing non si impadronisca delle nostre posizioni etiche per trasformarle in opportunità commerciali (cosa che sta facendo benissimo), ecco il motivo di questo atteggiamento.
      Non si tratta pertanto né di rimanere duri e puri, né di protagonismo o di autoreferenzialità, ma solo di coerenza con un’idea che si intende rispettare. Il fatto che vi siano sempre più prodotti per persone umane vegane è dovuto alla constatazione da parte del mondo produttivo che i vegani aumentano e che possono divenire una nuova tipologia di consumatore “etico”, il nostro lavoro è quello di assicurarci che queste persone umane siano diventate vegane per motivazioni etiche e non per moda o altro: ciò contribuisce fattivamente alla diminuzione dello sfruttamento animale e al contempo alla formazione di nuove coscienze critiche che permetteranno la diminuzione della logica del dominio sugli Animali anche in futuro. Come potrai vedere c’è l’assoluta consapevolezza che gli approcci debbano essere numerosi, ma anche che alcuni di tali approcci possono essere molto pericolosi e addirittura controproducenti.

      27 Novembre, 2016
      Rispondi
      • Dario ha scritto:

        Benissimo, Adriano. Comprendo e rispetto profondamente la tua posizione. Permettimi solo di non essere d’accordo su tre punti (poi, se possibile, terminiamola qui – ci sta anche essere in disaccordo, è chiaro che nessuno dei due dubiti della bontà delle intenzioni dell’altro :) ):

        Punto primo. Tu valuti una tecnologia approriata, qualunque essa sia, “a partire dall’antispecismo”. Ovvero, qualunque tecnologia deve confrontarsi con l’antispecismo (quello, appunto, “duro e puro”). Io penso di no: io penso che l’appropriatezza debba essere “piccola” (cito ancora Schumacher), debba ovvero essere circostanziata non a un progetto globale e onnicomprensivo, ma alle coordinate spazio-temporali in cui questa tecnologia viene generata. Per questo usavo l’esempio del rock e del country. Ma, ok, abbiamo capito che la pensiamo diversamente su questo: va benissimo così :)

        La seconda cosa su cui non concordiamo (rispetto a tante su cui concordiamo, sia chiaro) è questa ipotetica dannosità di certe pratiche o certi fenomeni, nell’ottica antispecista. Qui vorrei chiederti se hai dei dati, delle statistiche, della analisi di causa ed effetto, perché (sarà per ignoranza) io non ne vedo – perlomeno non direttamente (ma se introduciamo il “danno indiretto” entriamo in un campo minato, perché possiamo argomentare di danni indiretti a partire da tantissimi punti). Puoi dimostrare che una decisione che scaturisca per moda non maturi mai in una scelta etica? Io non posso dimostrarlo: l’unica cosa che so è che, a livello di conoscenze personali, alcune persone che hanno cominciato a essere vegane “per moda” o “per salute”, poi hanno acquisito anche una coscienza etica. È la logica del “giacché sono qui”: a tutti piace sentirsi nel giusto, e sapere di esserci già è molto comodo perché non implica un cambiamento profondo in noi stessi.
        Ora – è chiaro – alcune conoscenze personali non fanno statistica. Però, se già volessimo iniziare un’analisi qualitativa a partire dalle nostre singole esperienze, forse verrebbe già fuori qualcosa di interessante.

        Terzo, e concludo, da anti-capitalista non sono del tutto sicuro che una società capitalista sia, per principio, antitetica all’antispecismo. Forse lo è (temo lo sia), ma sicuramente – mentre tutti ci prepariamo per la grande rivoluzione – si può pensare a (e adoperarsi per) una fase transitoria di convivenza tra il capitalismo e una riduzione (più o meno sostanziale) del genocidio. Non tanto per spirito di compromesso, quanto per freddo calcolo: è possibile che durante questa fase transitoria si risparmino effettivamente delle vite animali, ed è anche possibile che – stabilita una soglia diversa da quella attuale – sia poi meno proibitivo giungere a quello che realmente vorremmo.

        Detto questo, sono consapevole del paradigma ideologico di Veganzetta, quindi di certo non mi aspetto una convergenza su questi punti (in particolare il secondo e il terzo).
        Un caro saluto

        PS: Eccessi e sporadici insulti a parte, è comunque un bel dibattito quello che sta venendo fuori. Segno che il tuo articolo ha colto nel segno di un problema importante.

        27 Novembre, 2016
        Rispondi
        • Veganzetta ha scritto:

          Grazie Dario per la comprensione.
          E’ chiaro che abbiamo posizioni diverse, ma il dibattito serve anche a chiarirci le idee ed è molto importante.
          Nessun dubbio sulle buone intenzioni.

          E’ chiaro che se ci si occupa di antispecismo si tende a filtrare tutto attraverso la lente antispecista, quindi anche nel caso delle tecnologie appropriate ciò avviene. Il “piccolo è bello” di Schumacher è sicuramente un concetto molto interessante e utilissimo, a patto che ciò che lui propone sia in accordo con l’idea antispecista. Si può benissimo scegliere di utilizzare tecnologie appropriate che impattano poco con l’ambiente, che riguardino realtà piccole, artigianali, familiari o di piccola comunità e continuare a sfruttare gli Animali (ti basti pensare a un piccolo allevamento di Animali “da cortile” a condizione familiare), ciò non solo è contrario all’idea antispecista, ma è anche molto pericoloso perché fornisce ulteriori appigli morali a chi vuole continuare a sfruttare gli Animali. Questo è un altro tipico caso di metodo che contribuisce non a risolvere il problema, ma a rafforzarlo.

          Non si può dimostrare la dannosità di certe pratiche come non si può dimostrare il contrario.
          Si può di certo affermare che l’antispecismo necessita di un cambio paradigmatico: smettere di pensare ai nostri interessi di specie considerandoli preminenti e cominciare a pensare alle conseguenze delle nostre azioni sugli altri. Da egocentrismo a pensiero altruistico e sistemico. Quindi è facile concludere che chi comincia a utilizzare una dieta a base vegetale (cominciamo a mettere i puntini sulle “i” e a dire che chi mangia vegan per moda, salute, dieta ecc… non è una persona umana vegana ma una persona umana che segue una dieta a base vegetale), lo fa per motivi assolutamente egoistici (la propria linea, la propria salute, una moda che va per la maggiore ecc…) e non certo per giustizia e compassione. Questi soggetti pertanto NON escono assolutamente dal paradigma dominante, come si può pertanto pensare che facciano un cambio così importante in futuro?
          Nel momento in cui la moda cambierà moltissimi di loro smetteranno, se si scoprirà che mangiare carne di Struzzo evita la formazione di tumori secondo te quante di queste persone che mangiano vegan per salute rinunceranno a cibarsi di carne di Struzzo?
          Non serve essere dei sociologi per sapere che la massa posta di fronte a due soluzioni per un medesimo problema, sceglierà sempre la soluzione più facile e più indolore anche se non risolutiva, invece di scegliere quella più difficile ma risolutiva.
          Il “veganismo” che stiamo vedendo concretizzarsi attualmente non è il risultato di una critica sociale, ma di un enorme errore commesso da chi per anni ha martellato con l’idea che tutto va bene purché si diventi vegan. Il “veganismo” contemporaneo è uno stile di vita, un nuovo modo di consumare, una moda, una dieta salutistica e una modalità di cura alternativa, raramente è ciò che veramente dovrebbe essere. Questo tu probabilmente lo reputi fisiologico e positivo, altri lo reputano un fallimento.

          Il capitalismo è un sistema economico (e sociale) che pone l’accumulo di capitale e la proprietà privata al centro delle attenzioni. Ciò è in assoluto contrasto con l’dea antispecista che pone invece l’individuo al centro e che non può considerare la proprietà privata perché ciò significherebbe controllo e dominio sull’ambiente e sui viventi. Come potrebbero pertanto essere mai compatibili due idee così distanti?
          E’ chiaro che vi dovranno essere delle fasi transitorie, non si può cancellare in un sol colpo ciò che è purtroppo stato fatto sino ad oggi. Ciò a cui deve pensare l’antispecismo è il futuro aspecista: lavorando per tale obiettivo in qualità di avanguardia, nell’immediato si libereranno moltissimi Animali.

          27 Novembre, 2016
          Rispondi
          • Dario ha scritto:

            Caro Adriano,

            Scrivo per l’ultima volta in questa discussione, non perché me ne sia stancato (sei e siete interlocutori molto stimolanti e competenti), ma perché davvero il lavoro chiama. Ti lascio con i miei ultimi dubbi riguardo le tue parole. Fai quello che vuoi di questi commenti, incluso cestinarli senza leggerli :)))

            Parto dalle tue parole (contrassegnate con “—“):

            —E’ chiaro che se ci si occupa di antispecismo si tende a filtrare tutto attraverso la lente antispecista, quindi anche nel caso delle tecnologie appropriate ciò avviene.

            Sì, ma tu parti dall’assunto (secondo me errato) che esista un solo antispecismo. Io ti suggerisco di considerare la possibilità che ve ne siano tanti, sia per tipo che per gradi. Attenzione ai dogmi, ragazzi, perché poi ci si trova dinnanzi a quesiti paradossali e ci si spacca su questioni di lana caprina. È più antispecista “DOC” avere un animale da affezione e prendersene cura in modo rispettoso e amorevole, o non averlo proprio? E, se sì, è antispecista DOC convertire un pet carnivoro in vegano o rispettare la sua natura? Eccetera eccetera.

            —Il “piccolo è bello” di Schumacher è sicuramente un concetto molto interessante e utilissimo, a patto che ciò che lui propone sia in accordo con l’idea antispecista.

            Hai dimostrato di conoscere bene il concetto di “tecnologia appropriata”, quindi sai benissimo che una TA non è in accordo con niente: è SEMPRE circostanziata ai bisogni di una comunità. È antispecista laddove la comunità percepisce l’antispecismo come appropriato. Per questo, ancora una volta, è necessario approcciare la questione da vari lati.

            —Non si può dimostrare la dannosità di certe pratiche come non si può dimostrare il contrario.

            Appunto. Per questo vi invito a essere un po’ meno categorici su questo punto.

            —Si può di certo affermare che l’antispecismo necessita di un cambio paradigmatico: smettere di pensare ai nostri interessi di specie considerandoli preminenti e cominciare a pensare alle conseguenze delle nostre azioni sugli altri. Da egocentrismo a pensiero altruistico e sistemico.

            Vedi? È proprio questo tipo di approccio che secondo me enfatizza, invece di rimuoverlo, l’egocentrismo. Perché impostando un progetto così utopico, o perlomeno a lunghissima scadenza, accettiamo (in nome delle nostre idee) che intanto di animali ne possono ammazzare quanti ne vogliono, perché a noi le mezze misure “ce spicciano casa” – siamo più preoccupati della nostra integrità e coerenza. Vogliamo tutto oppure niente: fuoco e fiamme alle pubblicità con Leonardo da Vinci perché rappresentano questo sistema marcio, fuoco e fiamme alle mode, fuoco e fiamme ai compromessi.
            Ribadisco: non me ne importa niente di come passeremo alla storia come “intellettuali”. Voi altri di Veganzetta continuate pure a inseguire il vostro sogno (uso il termine non in senso ironico): va benissimo, è una di quelle tante frecce di cui parlavo, e non posso che avere un profondo rispetto e una profonda stima per quello che fate.
            Ma per favore, non cercate di distruggere (dialetticamente o in altro modo) chi la pensa in modo diverso sui metodi ma vuole la stessa cosa vostra. Almeno per una questione di umiltà: perché buttacaso è il vostro paradigma a essere dannoso (e motivi ne posso fornire tanti, a cominciare dal fatto che con argomenti troppo integralisti si spaventano molte persone, piuttosto che incoraggiarle a partecipare), non ve lo perdonerete mai.
            Accettate, vi prego e una volta per tutte, il fatto che ci siano tanti modi di agire, tanti modi di pensare, e che il vostro non sia necessariamente il migliore. Forse lo sarà, boh, ma finché non ne avrete una certezza matematica è vostro dovere essere flessibili mentalmente.

            —Nel momento in cui la moda cambierà moltissimi di loro smetteranno.

            Sottovaluti le dinamiche antropologiche e sociologiche delle mode, e allo stesso tempo lo ammetti tu stesso (quando dici “moltissimi smetteranno”: dunque non tutti). Ed è un peccato, perché se ne potrebbe fare un uso molto intelligente ed efficace. Le mode hanno anche un effetto regolatore sulla personalità e lo stile di vita di ciascuno di noi. Qualcuna la seguiamo, qualcuna no, qualcuna “crediamo” di non seguirla. Poi, a un certo punto, un elemento (di vestiario, di cibo, ecc.) appreso e adottato “per moda” si dimostra una “tecnologia appropriata” per noi, e lo adottiamo come scelta di vita. Succede molto spesso nella nostra vita, e in tante cose: potrei invitarti a fare un’auto-analisi serena e notare quante cose, nel tuo stile di vita, sono state frutto di una moda e poi si sono “sedimentate” nella tua personalità.
            Ovvero: non tutti quelli che ora stanno diventando vegani per moda abbandoneranno questo stile di vita in futuro, quando appunto la carne di struzzo verrà pubblicizzata come panacea per il cancro. E, se ci pensi bene, questa cosa la sai già, perché quando, tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, la pelliccia passò pesantemente fuori moda (ricordi quanti VIP si schierarono contro, la campagna “meglio nude che in pelliccia” con tutte le supermodel, il boom delle pellicce ecologiche?), si formò un’intera generazione di persone ostili alla pelliccia, che ha resistito molto bene al “ritorno” delle pellicce (pensa al voltafaccia di Madonna, di alcune di quelle supermodel, ecc.). Alcuni, sì, sono tornati a produrle e indossarle, ma altri no: e l’industria delle pellicce rimane zoppicante.
            Di abbattere il sistema capitalistico si parlava già allora: non è stato abbattuto, ma grazie (anche) ai meccanismi della moda, la pelliccia ha perso parecchi punti.

            —Non serve essere dei sociologi per sapere che la massa posta di fronte a due soluzioni per un medesimo problema, sceglierà sempre la soluzione più facile e più indolore anche se non risolutiva, invece di scegliere quella più difficile ma risolutiva.

            E invece servirebbe esserlo, perché molte cose che stai dicendo sono proprio contraddette dalle scienze sociali.

            —Il “veganismo” che stiamo vedendo concretizzarsi attualmente non è il risultato di una critica sociale, ma di un enorme errore commesso da chi per anni ha martellato con l’idea che tutto va bene purché si diventi vegan.

            Dissento rispettosamente ma profondamente. Le cose sono molto più complesse di come le descrivi.

            —Il “veganismo” che stiamo vedendo concretizzarsi attualmente non è il risultato di una critica sociale, ma di un enorme errore commesso da chi per anni ha martellato con l’idea che tutto va bene purché si diventi vegan.

            È queste cose ed è tante altre. Ancora una volta mi trovo a non essere d’accordo sulla semplificazione del problema.

            —Il capitalismo è un sistema economico (e sociale) che pone l’accumulo di capitale e la proprietà privata al centro delle attenzioni. Ciò è in assoluto contrasto con l’dea antispecista che pone invece l’individuo al centro e che non può considerare la proprietà privata perché ciò significherebbe controllo e dominio sull’ambiente e sui viventi.

            Nuovamente, non concordo. Nel tipo di antispecismo che intendo io, non è l’individuo (entità sopravvalutatissima!) ad essere al centro, ma la vita. Ma non critico il TUO antispecismo: vorrei solo che tu accettassi l’esistenza di altri tipi, e li rispettassi.

            —Come potrebbero pertanto essere mai compatibili due idee così distanti?

            Quando hai finito con il capitalismo, hai già un piano per le religioni – entità altrettanto speciste, ma tranquillamente capaci di essere aliene al concetto di capitalismo?
            E quanto hai finito con capitalismo e religioni, hai già un piano per il naturale egoismo umano?
            Eccetera.
            Ancora una volta: non è una critica, solo un modesto invito a non guardare le cose in modo univoco.

            Aggiungo anche un BONUS dalla tua risposta a Paola Re: non è vero che, nell’eutanasia come in altre pratiche, il fine coincide con il mezzo – non è affatto vero: questo modo di pensare mi sembra un residuato filosofico postmoderno che aiuta davvero poco una discussione costruttiva. Il fine è sollevare una persona da un dolore che si percepisce come irreversibile. Si sceglie l’eutanasia come mezzo, perché lì e allora lo si considera l’unico possibile (o accettabile): si avessero altri mezzi che non pongono fine alla vita, ma solo al dolore, li si utilizzerebbero. Paola lo ha spiegato in modo molto chiaro, e non mi sembra si debba discutere anche su questo.
            Se il tuo fine è arrivare da A a B, e per qualche motivo puoi farlo solo in macchina, non è che la macchina diventa anche “fine”: suvvìa! :)))

            Insomma, caro Adriano, come dicevo io concludo qui la mia partecipazione a questa interessante discussione, con queste ultime riflessioni. Più o meno mi sembra di aver detto tutto quello che mi sembrava personalmente rilevante nell’economia del tuo interessante articolo. Ritorneremo senz’altro a discutere di altre cose in futuro, ma per intanto ti faccio un sincero augurio di buon lavoro.
            Cordialmente
            Dario

            27 Novembre, 2016
            Rispondi
  32. Paola Re ha scritto:

    Anch’io faccio spesso l’esempio del Risorgimento a cui aggiungo la Resistenza: per liberarsi dal duce, si sono messe insieme forze che non avremo mai immaginato di vedere insieme.
    Comunque, il fatto di arrivare a qualsiasi compromesso pur di vedere chiudere i mattatoi è il solito problema che ci poniamo. Davanti a certe cose dico un no serrato ma non sono mai sicura di fare bene. Quando ci sono di mezzo delle vite è così.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
  33. Roberto Contestabile ha scritto:

    Vivendo in una società prettamente specista ognuno può adottare tutte le misure possibili per evitare ulteriori danni, e tu Adriano ne hai elencate alcune. Ma senza un acuta analisi interiore non credo che si otterrano cospicui risultati. Si possono stilare tutti i provvedimenti possibili, ma ricordiamoci che scaturiscono sempre dalla nostra testa e, in quanto esseri Umani facente parte della specie dominante, abbiamo delle enormi responsabilità. Il veganismo è indubbiamente un passo avanti, un concetto troppo progredito per questo presente così materialista e divoratore di bisogni personali. Il consumismo odierno è l’apice massimo dell’egocentrismo Umano, e considerando i fatti recenti (cibo veganizzato) sembra quasi impossibile uscire da un sistema che mercifica ogni cosa proprio in base al concetto di competitività esistente. E’ innegabile che le alternative esistono (lo sanno anche gli alunni delle elementari), ma sono sempre opere Umane e quindi applicate al beneficio stesso. Ecologia, ambientalismo, sostenibilità…e tanti altri mezzi sussistenti allo sviluppo altro non sono che convenzioni del sistema stesso, una sorta di capitalismo conformista. Il confine è strettamente delicato e giocando nel mercato di profitto purtroppo si cade nuovamente nella competizione e nella perdita di significato etico, ed è ciò che è accaduto con il cibo biologico-solidale, dietetico-salutista…ed ora vegano-vegetariano. Mi sembrava che si stesse parlando di veganizzazione, e di come dobbiamo confrontarci con essa. Comprarla o boicottarla? Incentivarla o denigrarla? Il tema principale dell’articolo è questo, e ciò che il mercato ci sta propinando in tutte le salse è un alternativa che molti giudicano una vittoria, un traguardo che possa liberare gli Animali da secoli di schiavitù indotta. I surrogati vegetali sono dei prodotti della grande distribuzione organizzata, ovvero lo strumento tipico della mercificazione (forse il principale). L’avvento dei supermercati (soprattutto quelli di vaste dimensioni) ha stravolto il concetto di localismo, produzione in proprio e scambio culturale. Ha creato un vasto assortimento di necessità non primarie ed assolutamente superflue. Ha generato un enormità di sprechi e rifiuti senza precedenti, con al seguito speculazioni e corruzioni. Quindi come si può accettare positivamente una proposta proveniente dallo stesso sistema che ha generato tutto questo? Sogniamo un mondo pieno di Veg-Market o Veg-Pharmacy? Le soluzioni non sono nei mezzi, ma nelle nostre intenzioni di applicarli o meno. Mi, sembra giusto che ognuno esprima la sua, per fortuna siamo ancora in luogo libero da censure, ma come si può nominare l’appropriatezza della tecnologia senza considerare che la stessa è conoscenza Umana applicata alla produzione? I fattori che determinano la tecnologia sono dati dalla capacità Umana di applicare questa conoscenza alle attività produttive. L’innovazione tecnologica costituisce uno degli elementi chiave dell’aumento del profitto. Le tecnologie appropriate possono essere un alternativa accettabile per l’indipendenza delle piccole comunità, ma sono sempre funzionali al bisogno Umano…quindi gli Animali hanno ben poco da gioire.
    Visto che si chiede una soluzione immediata l’unica plausibile è un economia senza profitto, una società libera da pregiudizi…ovvero tutto ciò che oggi non è!
    Si parlava di “veganismo un tanto al kg”…lo stesso che molti vegani osannano come un miracolo della lotta animalista! E’ questa la prossima sfida da affrontare…altro che autocelebrazioni! Si può essere daccordo su tanti fronti, ma non certamente scendere a compromessi alquanto discutibili. Non abbiamo bisogno di applausi e nemmeno di consensi ipocriti, qui nessuno è innocente.

    26 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Caro Roberto, tu segui assiduamente Veganzetta e partecipi al dibattito da tempo, sai quindi molto bene quanto sia tenuta in considerazione la questione dell’autocritica, della crescita interiore e della crescita della consapevolezza individuale per svolgere adeguatamente un lavoro politico: su questo non c’è alcun dubbio.

      27 Novembre, 2016
      Rispondi
      • Roberto Contestabile ha scritto:

        Infatti ho voluto puntalizzare perchè mi sembrava che si stesse uscendo fuori tema. La questione del consumo “veganizzato” è assolutamente attuale, perchè vivendolo dall’interno sto notando una crescita esponenziale alquanto critica (dal punto di vista etico naturalmente). Ogni giorno che passa le proposte commerciali aumentano sempre più e la parola “vegan/o” risalta in ogni etichetta. Quanto è positivo questo trend? Dobbiamo essere vigili ed attenti per non farci abbindolare, soprattutto chi è debole nella propria presa di coscienza. Il rischio di essere inglobati nella sfera consumista è molto alto, e la sofferenza degli Animali può diventare superflua e non degna di attenzione. Mi riferisco in particolare a chi non conosce lo sfruttamento e viene quindi fuorviato (come tra l’altro sta già avvenendo) senza apporre un concreto cambiamento. L’attivismo parte anche dalla nostra tavola, ricordiamoci che il cibo è il bisogno primario degli esseri viventi.

        27 Novembre, 2016
        Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      I surrogati vegetali sono dei prodotti della grande distribuzione organizzata, ovvero lo strumento tipico della mercificazione (forse il principale). L’avvento dei supermercati (soprattutto quelli di vaste dimensioni) ha stravolto il concetto di localismo, produzione in proprio e scambio culturale. Ha creato un vasto assortimento di necessità non primarie ed assolutamente superflue. Ha generato un enormità di sprechi e rifiuti senza precedenti, con al seguito speculazioni e corruzioni. Quindi come si può accettare positivamente una proposta proveniente dallo stesso sistema che ha generato tutto questo? Sogniamo un mondo pieno di Veg-Market o Veg-Pharmacy? Le soluzioni non sono nei mezzi, ma nelle nostre intenzioni di applicarli o meno.

      Ottima considerazione assolutamente condivisibile.

      27 Novembre, 2016
      Rispondi
  34. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Dario,

    Su Veganzetta i commenti costruttivi non si cestinano, non lo si è mai fatto.

    Passo a rispondere per chiarire le questioni sollevate.

    Antispecismi: la vicenda è annosa e ti invito a cercare sul web materiale, ne troverai molto e vedrai che c’è chi parla di secondo antispecismo, di terzo antispecismo, di antispecismo politico, debole ecc…
    Posso dirti a riguardo che ritengo un grande errore questa categorizzazione. L’idea che vi siano versioni consequenziali dell’antispecismo è sbagliata, infatti potrebbe avvenire solo se stessimo parlando di un’idea compiuta e cristallizzata cosa che palesemente l’antispecismo non è, perché trattasi di un’idea giovane, in formazione e in costante evoluzione, per tale motivo tu puoi dire che il tuo antispecismo è diverso dal mio.
    In realtà non esistono tanti antispecismi, ma visioni diverse in seno a una stessa grande idea che si sta evolvendo e formando.
    L’antispecismo non è dogmatico, non può esserlo per la sua natura stessa.
    Per quanto riguarda il tuo esempio ti posso far notare alcuni problemi che evidentemente non hai considerato: un Animale “da affezione”, o “da compagnia” o peggio un “pet”, è un Animale a cui noi – in quanto dominatori – abbiamo assegnato una funzione in base a nostre precise esigenze, l’antispecismo combatte tale impostazione semplicemente negando che vi siano Animali “da”. Ma parliamo del rispettare la natura per esempio di un Cane salvato da una situazione di pericolo e che potrebbe vivere con noi. Un Cane attualmente dorme dove diciamo noi, vive dove diciamo noi, espleta le sue funzioni fisiologiche dove e quando vogliamo noi, si riproduce quando, quanto e se vogliamo noi e mangia ciò che vogliamo noi. Sinceramente credi sia il caso di obiettare sul fatto che mangi cibo vegano o meno?
    In questo frangente storico non c’è la possibilità di fare altro – in determinate situazioni – che far vivere il più dignitosamente possibile gli Animali che abbiamo salvato da una fine tragica e non farli riprodurre per non contribuire a generare altri Animali destinati a una vita di sofferenze. Un futuro aspecista non prevede nessun Animale “da”, ma solo Animali liberi (di stare anche e soprattutto lontani da noi).
    Non esistono antispecisti DOC, ma solo persone umane che abbracciano l’idea antispecista, esercitano il loro senso critico (su se stessi e sulla società umana) e agiscono in coscienza.

    La TA infatti non è in accordo con niente come giustamente evidenzi, proprio per tale motivo è opportuno parlare di un concetto antispecista di TA che può essere utilizzata se è appropriata anche dal nostro punto di vista. Le circostanze in cui opera la TA sono relative ai bisogni della comunità che decide di adottarla, se tale comunità è formata da allevatori, comprenderai che questa soluzione, che può essere per esempio una tecnologia di allevamento a basso impatto, non possa essere utilizzata.

    Non siamo affatto categorici, semplicemente visto e considerato che né la dannosità di certe pratiche né il contrario possono essere dimostrati, una posizione come quella di Veganzetta ha la medesima dignità (e teoricamente la probabilità di essere giusta o sbagliata) della tua, non si capisce per quale motivo una posizione debba essere considerata più categorica dell’altra.

    Affermare che è necessario smettere di pensare ai nostri interessi è una dimostrazione di egocentrismo??
    Nessuno ha mai detto che la morte quotidiana di miliardi di Animali venga accettata (è assurdo solo pensarlo), ma esattamente il contrario.
    Puntare a un progetto a lunga scadenza che può probabilmente essere risolutivo e al contempo lavorare quotidianamente perché le coscienze cambino e perché i singoli cessino le pratiche antispeciste e facciano pressione in seno alla società umana, è una modalità di intervento efficace anche nell’immediato. Personalmente non sono affatto interessato ad ottenere riconoscimenti di alcun tipo, non so per quale motivo continui a evidenziare questa questione: è probabile che tu abbia scambiato il lavoro di Veganzetta con quello di altre realtà che tengono comportamenti ben diversi (che purtroppo esistono e su questo hai perfettamente ragione). Chi conosce il lavoro fatto da questa realtà virtuale – da ormai quasi 10 anni – sa bene di cosa parlo.
    Nessuno tenta di distruggere nulla, non è mai stato questo l’intento. Il motivo del lavoro proposto è invece quello di esprimere una posizione critica che può essere considerata o meno, ma non c’è né la capacità, né la volontà di distruggere nessuno.
    Non trattiamo le persone umane come dei bambini che possono spaventarsi, ma come individui adulti a cui forniamo tutti gli strumenti sufficienti e necessari per comprendere lo stato delle cose e assumersi le proprie responsabilità; se si spaventano è un problema loro, come lo è il fatto che non si spaventano del male che fanno quotidianamente a qualcuno quando si siedono, per esempio, a tavola.
    Trattare il singolo Umano come un bambino viziato è esattamente ciò che fa il sistema capitalistico in cui viviamo, non è una pratica che appartiene all’antispecismo.
    Come giustamente dici siamo molti ad agire, ciascuno segue la propria strada, ed è un bene che sia così perché il problema è mastodontico, ciò però non significa che dobbiamo tacere le nostre ragioni e evitare di esercitare il nostro senso critico nei confronti di tutti.

    Ciò che tu dici sulle mode è vero e il loro impatto sulla nostra quotidianità è concreto, tu però dimentichi la caratteristica principale del concetto di moda: ossia il fatto che è passeggera. Finito il “gusto particolare del momento” la moda passerà per far posto ad altre e questo va bene fino a quando tale moda non significa la morte o la vita di miliardi di Animali. Non possiamo affidare alla moda la crescita morale di una società, sarebbe assurdo.
    Pertanto capitai che pur non avendo alcuna certezza è preferibile non affidarsi affatto alle mode. Se esse in questo momento favoriscono il veganismo ben venga, ma non saremo certo noi antispecisti a appoggiarle.
    L’industria della pelliccia non se la passa così male come credi. Ha accusato il colpo, ma la pelliccia è tornata di moda (appunto) e l’andamento del comparto seppur in declino non è tragico. Fino a qualche anno fa pareva che le pellicce fossero un retaggio del passato, ora le cose sono cambiare. Per avere un riscontro di quanto affermato ti basterà visitare qualche grande magazzino. Ciò ci insegna che la caducità temporale della moda è altamente pericolosa.
    Se vogliamo scomodare Gunther Anders possiamo considerare il concetto della “sindrome di Nagasaki”, ossia che ciò che di negativo è stato fatto in passato, può essere ripetuto in futuro addirittura con riserve morali minori. Quindi è facile comprendere come sia indispensabile “non abbassare mai la guardia” e non affidarsi mai a soluzioni temporanee, contingenti e tiepide come le mode, per ottenere un risultato immediato che probabilmente non farebbe altro che spostare nel tempo un problema che potrebbe tornare anche ingigantito. Quanto detto non equivale assolutamente all’affermare che bisogna lasciar soffrire e morire gli Animali!

    Affermare che non serve essere sociologi non necessariamente significa che non ci siano alla base di determinate posizioni delle corrispondenze sociologiche. Nello specifico la semplice constatazione che non riusciremo a far diventare tutti gli Umani vegan è corroborata dal lavoro di autori come Milgram o Zimbardo. Sulla questione delle scelte e del comportamento delle masse a riguardo delle sofferenze altrui si può fare riferimento per esempio a Bauman, e via discorrendo.

    Per il resto dei tuoi quesiti è possibile dire che pretendere di avere sottomano – ora e subito – tutte le soluzioni a un problema di così enormi dimensioni, equivale semplicemente a non affrontare il problema.
    Ciò che stiamo facendo è denunciare lo specismo adoperandoci per contrastarlo individualmente (partendo da noi stessi) e socialmente, ciò comporterà conseguenze ad ora difficilmente immaginabili, come accade del resto in qualsiasi rivoluzione culturale.

    Grazie mille per le tue interessanti considerazioni e per i commenti che hanno arricchito il dibattito.

    28 Novembre, 2016
    Rispondi
  35. Paola Re ha scritto:

    Caro Adriano,
    se per “eutanasia” tu intendi lo stato a cui si arriva, la “dolce morte” come la definisce il Vocabolario Treccani al punto 1 http://www.treccani.it/vocabolario/eutanasia/ – 1. Nel pensiero filosofico antico, la morte bella, tranquilla e naturale, accettata con spirito sereno e intesa come il perfetto compimento della vita. ” allora hai ragione, nel senso che arrivare a una morte dolce è un fine ma io intendevo parlare della pratica dell’eutanasia, per dirla brutalmente, alla siringa che inietta il veleno che fa morire l’animale, come spiega il Vocabolario al punto 2 “2. Morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita (e. passiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (e. attiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente. ”
    Come hai potuto leggere, lo stesso Vocabolario la tratta come mezzo perché scrive che viene usata “al fine di evitare sofferenze”: non può essere un fine usato al fine.
    L’Enciclopedia Treccani lo spiega ancora meglio http://www.treccani.it/enciclopedia/eutanasia/ “Eutanasia. Azione od omissione che, per sua natura e nelle intenzioni di chi agisce (eutanasia attiva) o si astiene dall’agire (eutanasia passiva), procura anticipatamente la morte di un malato allo scopo di alleviarne le sofferenze. In particolare, l’eutanasia va definita come l’uccisione di un soggetto consenziente, in grado di esprimere la volontà di morire, o nella forma del suicidio assistito (con l’aiuto del medico al quale si rivolge per la prescrizione di farmaci letali per l’autosomministrazione) o nella forma dell’eutanasia volontaria in senso stretto, con la richiesta al medico di essere soppresso nel presente o nel futuro.”
    Visto che siamo soliti chiamare gli animali persone non umane, è interessante ciò che scrive dopo L’Enciclopedia: “L’uccisione medicalizzata di una persona senza il suo consenso, infatti, non va definita eutanasia, ma omicidio tout court, come nel caso di soggetti che non esprimono la propria volontà, la esprimono in senso contrario o non sono in grado di manifestarla: neonati, feti, embrioni, dementi, malati gravi privi di coscienza. ”
    Gli animali non sono nominati ma sappiamo che non esprimono il loro consenso: siamo noi a decidere per loro quindi… commettiamo un omicidio?
    Io penso di non averlo commesso proprio perché, come hai scritto tu, ho agito per non fare soffrire chi amavo. Ma vuoi vedere che c’è chi considera questo un omicidio mentre non considera omicidio fracassare il cranio a una mucca al mattatoio?

    Ho fatto cenno all’eutanasia ma si può anche discutere di sterilizzazione, un altro mezzo che si usa per giustificare un fine (hai presente il problema del randagismo soprattutto al Sud?) e poi si può parlare di aborto, nel caso di esseri umani…
    La questione è molto complessa ma resto convinta che non sia vero che il fine non giustifica mai i mezzi. Qualche eccezione qua e là si trova.
    Un articolo sull’eutanasia su Veganzetta non ci starebbe male…

    28 Novembre, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Cara Paola,

      Per prima cosa bisogna dire che stiamo andando abbondantemente fuori tema e questo – visto e considerato che per l’articolo in oggetto ci sono moltissimi commenti – non è un bene.
      Ti rispondo però velocemente per chiarire una cosa:

      Il fine giustifica i mezzi ha un solo significato: qualsiasi atto è giustificabile per ottenere un fine. Nel nostro caso abbiamo parlato di eutanasia per un Animale, ossia di “dolce morte”, il fine è quello di far cessare le sofferenze dell’Animale in questione. Se invece di usare l’eutanasia (una iniezione di una sostanza che addormenta e pone fine alla vita di un Animale per esempio), usassimo un fucile, otterremmo lo stesso fine: far cessare le sofferenze di un Animale. Potremmo anche gettarlo da un palazzo: le sue sofferenze di sicuro cesserebbero immediatamente. Tutto ciò sarebbe accettabile? C’è chi dice sì e chi dice di no. Se fossimo d’accordo su queste soluzioni, allora dovremmo giustificare anche chi si sbarazza di Animali malati buttandoli dal finestrino di un’auto in corsa. Chiaramente sto estremizzando la situazione, ma in estrema sintesi questo è il problema.
      Questo solo per dimostrare che non è vero che il fine può giustificare i mezzi e che se abbiamo davvero a cuore il fine, anche i mezzi utilizzati per ottenerlo dovranno essere già essi stessi una trasposizione pratica del fine stesso. Nel nostro caso l’eutanasia (una dolce morte) è l’unico mezzo che si possa utilizzare (a meno che non ci si ritrovi in situazioni disperate o particolari ma questo è un altro discorso che esula dalla nostra volontà) per ottenere il fine che ci siamo prefissi. Nel caso dell’Animale sparato o gettato dall’auto il fine non è la cessazione delle sue sofferenze, ma semplicemente la sua morte perché mentre lo stiamo uccidendo lui continuerà a soffrire.
      Questo è ciò che intendevo dire in precedenza.
      Un articolo non ci starebbe male, magari si scriverà in futuro. Grazie.

      28 Novembre, 2016
      Rispondi
  36. Paola Re ha scritto:

    Non mi è chiaro ciò che hai scritto… ma visto che si va fuori tema, ne parleremo se ci sarà un articolo sull’argomento.

    28 Novembre, 2016
    Rispondi

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