Cosa insegna la polemica dell’ecologia superficiale contro Cowspiracy?


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cowspiracy

Un testo di Paolo Scroccaro dell’Associazione Eco Filosofica in risposta alle numerose polemiche nate in ambiente ecologista a causa del documentario Cowspiracy.

Fonte: www.filosofiatv.org/news_files3/203_COWSPIRACY%20critiche%20FinchJ.pdf


Certe critiche a Cowspiracy vengono svolte in nome di un’idea depotenziata e addomesticata di sostenibilità, funzionale al sistema della crescita e del dominio.

Joshua Finch, che si occupa di agroecologia e permacultura, ha pubblicato in Dailykos un corposo documento contro Cowspiracy; successivamente, il testo è stato tradotto anche in italiano e pubblicato su vari siti, tra cui Effetto Risorse (ugobardi.blogspot.com), Transition Italia e Decrescita.com, con il titolo “Cowspiracy: l’assolutismo dei vegani”. Quanto a Greenpeace Italia, ha pensato di intervenire nella polemica, con una lettera pubblicata sul sito di Internazionale, intitolata “Cowspiracy è un documentario scorretto”.

In sostanza, Finch e fiancheggiatori vari se la prendono con Cowspiracy in nome di un concetto di sostenibilità tipico dell’ecologia superficiale – antropocentrica: una attività umana è sostenibile, se sfrutta la natura fino ad una soglia ottimale, che non deve essere superata; occorre cioè prelevare una quantità “misurata” di risorse, per dare alla natura il tempo di rigenerarsi, altrimenti il mondo umano stesso rimarrebbe sprovvisto di risorse e la sua attività predatoria entrerebbe in crisi. Detto in modo più brutale: si tratta di caricare l’asino in modo calcolato fino al massimo possibile, senza farlo crollare e schiacciarlo, altrimenti diventerebbe inservibile. E’ in questi termini che i critici di Cowspiracy cercano di teorizzare la pesca sostenibile e gli allevamenti sostenibili. Come si può intuire, questa cupa ragioneria della sostenibilità non promette nulla di buono, ed anzi è sostanzialmente in linea con l’ideologia sviluppista della crescita: fissa dei paletti per moderare “ragionevolmente” il consumo di natura, affinché questo possa proseguire indefinitamente, a vantaggio delle economie umane: è quel che si chiama, con lessico ambiguo, “sviluppo sostenibile”. Se a sostenere queste tesi fossero gli allevatori, i pescatori o Coldiretti, nulla di strano: ma se invece incontriamo i nomi di associazioni o movimenti come Transition, Decrescita e Greenpeace, allora c’è da stupirsi e preoccuparsi. Alcuni di questi gruppi dicono di criticare il sistema e di lavorare per una transizione ecologica, ma il loro concetto di sostenibilità risulta troppo spesso interno al sistema stesso: infatti gli animali e l’intera natura vengono visti anticipatamente come valori d’uso, cioè come enti utilizzabili destinati al mondo umano, il che è perfettamente in linea con il paradigma culturale dominante, di stampo antropocentrico. Conseguentemente, nessun “valore intrinseco” viene riconosciuto agli enti non-umani; nessuna seria obiezione viene mossa alla prassi del dominio sui non-umani; l’etica della compassione cosmica viene completamente ignorata, in nome di un tacito e acritico antropocentrismo. E’ evidente che, con queste premesse, la transizione ad una civiltà diversa risulta del tutto velleitaria: si resta totalmente imprigionati nell’esistente.

Finch e compagni inoltre cercano di minimizzare i dati sull’impatto degli allevamenti, con lo scopo di alleggerire le responsabilità del ciclo della carne: parlano di calcoli approssimativi, di estrapolazioni indebite, di medie globali fumose e discutibili, accusando Cowspiracy di propinare dati estremi e gonfiati, in luogo di una seria e documentata letteratura scientifica. In realtà, se un’osservazione critica può essere rivolta agli autori di Cowspiracy, essa va, eventualmente, nella direzione opposta, dato che in alcune occasioni vengono forniti numeri alquanto sottostimati rispetto alle ricerche indipendenti nei settori considerati. Per esempio, a proposito del consumo di acqua, Finch contesta (in modo del tutto generico) che occorrano 15.000 litri di acqua per ottenere 1 kg di carne di manzo, e sbaglia clamorosamente: infatti, come molti sanno, David Pimentel e collaboratori (probabilmente la maggiore autorità internazionale in materia) hanno fornito dati “ufficiali” di molto superiori, arrivando a 100.000 litri di acqua per un kg di carne di manzo (vedi lo studio Water Resources, 1997). Per quanto riguarda poi i costi occulti di un hamburger, Cowspiracy, seguendo uno degli scrittori intervistati (David Simon, autore di Meatonomics), fornisce una cifra abbastanza modesta sul vero prezzo di un hamburger, se tutti i costi reali venissero internalizzati. Infatti perfino un autore moderato come Philip Lymbery (l’autore di Farmageddon), valuta che “il vero prezzo economico di un hamburger da quattro dollari, se si tiene conto dei fattori esterni (come l’intero costo della conversione di grano in carne, l’uso di acqua e di energia), è di circa cento dollari”. Per arricchire il quadro delle referenze, ricorderemo che l’economista Raj Patel (Il valore delle cose) riporta uno studio che suggerisce un prezzo ancora più elevato: 200 dollari per un hamburger.

Finch inoltre non prende sul serio il rapporto Goodland-Anhang del 2009 (secondo il quale il ciclo della carne produce il 51% di effetto serra), e nemmeno il rapporto FAO del 2006 (gli allevamenti producono il 18% di effetto serra, comunque più dei combustibili fossili), senza per altro contestare nel merito gli studi in oggetto, come avrebbe dovuto fare. Si limita a citare uno studio dell’ONU del 2011 a favore dell’agroecologia e dei piccoli contadini, che di per sé non comporta alcuna smentita nei riguardi degli studi precedenti. Similmente dicasi per Greenpeace Italia: nel comunicato polemico pubblicato sul sito di Internazionale (20 maggio 2016), scivola pericolosamente, facendosi un gran male, quando accusa Cowspiracy di non utilizzare fonti scientifiche. Forse Greenpeace non sa che Robert Goodland, recentemente scomparso, resta uno dei maggiori esperti mondiali in materia di valutazione ambientale, come tale riconosciuto anche a livello istituzionale, non per caso è stato anche presidente della Società internazionale per la valutazione dell’impatto ambientale, oltre che consulente della Banca mondiale per lo sviluppo. Il fatto che Greenpeace a tutt’oggi si ostini a sottostimare fortemente, nonostante gli studi citati, il ruolo primario spettante all’inquinamento dovuto al ciclo della carne, non può che sollevare dubbi e interrogativi.

Quanto a Finch, supera se stesso quando, pur di polemizzare, si spinge ad accusare Cowspiracy di denigrazione per le critiche rivolte al biologo Allan Savory: costui, mentre operava in Africa, era sicuro di aver scoperto la causa della desertificazione, cioè gli elefanti. Perciò, con sicumera pseudoscientifica, aveva promosso lo sterminio di 40.000 elefanti, rivelatasi una carneficina del tutto inutile e disgustosa, come tale riconosciuta dallo stesso Savory. Dov’è la denigrazione??

Occorre ammettere però che Finch tocca un tasto dolente particolarmente significativo quando, parlando di agricoltura, sottolinea giustamente il ruolo dei lombrichi e degli innumerevoli microrganismi del suolo, senza i quali nessuna coltivazione sarebbe possibile. Era sperabile che Finch ponesse qui il problema, molto serio, di un modello agricolo più compassionevole e meno aggressivo verso i piccoli abitatori del terreno, in grado di ridurre fortemente la violenza che su di essi viene esercitata quotidianamente: sicuramente la permacoltura avrebbe qualcosa da insegnare, a partire dal “coltivare senza arare ”. Ma ancora una volta la vis polemica ha avuto il sopravvento su un possibile e gradito contributo propositivo: infatti Finch ha citato gli abitatori del suolo non per invitare a prendersi cura di essi, come sarebbe doveroso, ma unicamente per polemizzare contro l’espressione “agricoltura vegana”. Per concludere: non si capisce proprio come un sito di Decrescita Felice possa spingersi a definire addirittura “ottimo” il lungo scritto ostile e scomposto di Finch, consigliandolo ai lettori, come d’altronde hanno fatto Transition Italia e Effetto Risorse, che l’hanno pure pubblicato, condividendone i contenuti. Ma il problema centrale è un altro: bisogna ammettere che Cowspiracy, al di là delle polemiche, si configura come un notevole contributo alla delegittimazione del ciclo della carne, in quanto totalmente insostenibile dal punto di vista etico, ecologico ed economico. Ciò significa che siamo in presenza dell’anello debole per eccellenza del capitalismo (subito dopo viene l’agroindustria), che può essere colpito da prospettive diverse ma convergenti, con eccellenti argomentazioni in sintonia con la ricerca più avanzata, e non è poco: infatti sulla rottura degli anelli deboli del sistema occorre far leva per scardinarlo e per promuovere un nuovo immaginario, un nuovo paradigma non antropocentrico e non sviluppista. L’ecologismo superficiale (rappresentato dalle sigle citate e molte altre), non cogliendo l’importanza di quanto sopra, invece di collaborare nell’opera di delegittimazione, tende a ridimensionare le responsabilità degli allevatori e dei consumatori di carne, in nome di un concetto di sostenibilità funzionale al sistema dominante, come abbiamo già evidenziato all’inizio. La transizione al doposviluppo e il superamento dell’antropocentrismo (in altre parole, la “prosperità senza crescita”) richiedono invece un orizzonte di senso molto più ampio, incompatibile con le ristrettezze dell’ambientalismo superficiale. Per questo è auspicabile un salto di qualità che porti ad una ben diversa configurazione di Transition, di Decrescita, della permacultura e dell’ecologismo in genere, rispetto alle versioni coinvolte in questa querelle su Cowspiracy.

Paolo Scroccaro
www.filosofiatv.org
giugno 2016


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21 Commenti
  1. Mau ha scritto:

    Insomma Finch ha colpito nel segno e la cosa non viene apprezzata.
    Il veganesimo è una religione e i vegani non realmente interessati alla sostenibilità ma cercano scuse parlando di argomenti che conoscono poco, truccando i dati e nascondendone altri.
    In ogni caso anche solo ipotizzare sistemi più efficienti per produrre cibo senza considerare il paradosso di Jevons si rivelerebbe controproducente.

    7 Luglio, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Dalla tua risposta si possono fare alcune ipotesi:

      1) Non hai letto il testo scritto da Paolo Scroccaro
      2) Qualora lo avessi letto non lo hai capito
      3) Qualora lo avessi capito, semplicemente non vuoi ammettere che l’ecologismo è rimasto indietro anni luce
      4) In ogni caso sei in malafede perché chi trucca i dati non sono certo i vegani, che si sono limitati a fornire dati prodotti da ricercatori non vegani e da istituzioni europee.
      5) Secondo il tuo criterio esistendo il paradosso di Jevons non si dovrebbe muovere un dito

      In conclusione si può affermare – per quanto ti riguarda e in generale per quanto riguarda il mondo ambientalista – che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

      7 Luglio, 2016
      Rispondi
      • Mau ha scritto:

        1,2,3 Vedo molti insulti, bene, vuol dire che hai poche argomentazioni!
        4. Chi trucca i dati? Chi è che prende statistiche sul consumo di carne americano, prendete l’impatto degli allevamenti più intensivi di mucche e li generalizza?
        5. Se lei avesse compreso il paradosso di Jevons avrebbe capito che migliorare l’efficienza nella produzione di cibo è insufficiente; per migliorare la sostenibilità ci vogliono parecchi sacrifici!
        …Invece i vegani pensano sia sufficiente rinunciare alla bistecchina.

        7 Luglio, 2016
        Rispondi
        • Veganzetta ha scritto:

          Affermare che tu non hai letto un testo o che non lo hai capito, oppure che nel caso lo avessi letto e capito ti rifiuti di considerarne le ragioni non è un insulto. La triste verità Mau è che l’ecologismo superficiale è e rimane pateticamente antropocentrico e ciò non potrà fare altro che arrecare danni al Pianeta Terra e immani sofferenze agli altri Animali. Ciò che tu – e le chi la pensa come te – definisci rinuncia, per noi è giustizia.

          7 Luglio, 2016
          Rispondi
          • Mau ha scritto:

            Ecologismo superficiale = contrapporre l’articolo di un blog vegano ad un articolo di una associazione scientifica.
            Gli animali muoiono (come noi) in continuazione.
            Un giorno il mio organismo non riuscirà più a difendersi dagli attacchi di virus e batteri e moriro divorato.
            Nel nostro intestino batteri nascono e muoiono a milioni.
            In natura i predatori sbranano le loro prede.
            E poi i vegetali non sono forme di vita?
            Se non sai fartene una ragione consulta uno psicologo.
            Rifiutare la nostra natura onnivora non è ecologia.

            Ma soprattutto si conferma la falsità tipica di voi vegani:
            Quando venite messi con le spalle al muro dai numeri e dalla vera scienza invece di confessare raccontate la solita storiella della sofferenza degli animali.

            8 Luglio, 2016
            Rispondi
            • Veganzetta ha scritto:

              Ecologismo superficiale in contrapposizione dell’ecologismo profondo (che non abbiamo inventato noi, mai sentito parlare di Arne Naess?). Informarsi prima di sparare a zero sugli altri è assolutamente necessario per evitare figure barbine.
              “Gli animali muoiono (come noi) in continuazione”, giusto, quindi si può tranquillamente continuare ad ammazzarli, come – sempre secondo la tua logica – sarebbe del tutto inutile tentare di curarci quando siamo malati, tanto si muore sempre e comunque. Complimenti.
              Un giorno anche tu morirai, ce ne faremo una ragione :=)
              “In natura i predatori sbranano le loro prede” altro esempio della sagra delle banalità: cerca sul web le innumerevoli risposte che sono state fornite sull’argomento.
              “E poi i vegetali non sono forme di vita?” non poteva mancare questa domanda, è la diretta prosecuzione della prima. Cose già chiarite da anni, vedi sopra.
              “Rifiutare la nostra natura onnivora non è ecologia”, in quanto onnivori possiamo mangiare di tutto, ciò significa che abbiamo la fortuna di poter scegliere cosa mangiare senza alcun problema, se fossimo stati carnivori la questione sarebbe diversa, ma non è il nostro caso. Ancora una volta: dedica un po’ del tuo tempo a leggere che male non ti fa.

              Dulcis in fundo: “la vera scienza”. La falsa scienza è quella che è scomoda e non ci dice ciò che vogliamo sentirci dire, la vera scienza è sempre la nostra, avanti così. Con questa chicca concludiamo la discussione che rischia di diventare ridicola.

              8 Luglio, 2016
              Rispondi
              • Mau ha scritto:

                Ridicolo lo era prima che i vegani si inventassero il documentario sulla cospirazione globale.
                Ora siete un palese insulto alla onestà intellettuale.
                Se devi rispondere che queste cose si sanno già.. Bè é vero, già sappiamo che i vegani sono maniaci integralisti che non vedono al di là della loro dieta e pensano di risolvere i problemi del mondo solo rinunciando alla bistecchina.
                Poi onnivori non significa che possiamo mangiare quello che vogliaomo ma abbiamo bisogno di una serie di vitamine, ma anche questo lo sanno tutti tranne voi.
                Intanto aumentano i casi di bambini figli di vegani denutriti.

                8 Luglio, 2016
              • Veganzetta ha scritto:

                In nulla crediamo così fermamente quanto in ciò che meno conosciamo.
                Michel De Montaigne

                8 Luglio, 2016
  2. Igor Giussani ha scritto:

    Siccome anche io mi sono pubblicamente espresso su Cowspiracy
    (http://www.decrescita.com/news/cowspiracy-veganesimo-scienza-ideologia/) volevo dire un paio di cose dopo aver letto questo post. La prima è che sono felice del fatto che, a fronte di dati empirici sostenuti da delle fonti, si sia replicato con altrettanta esibizione di dati empirici sostenuti da fonti, dovrebbe essere questo il modo di procedere invece di imbarcarsi in schifose guerre di religione pro vegan-anti vegan. In virtù di quanto detto, mi fa molto meno piacere l’uso di termini come ‘fiancheggiatori’ e vedere i sostenitori della decrescita e delle Transition Town – con tutti i loro enormi limiti, ci mancherebbe’ – accusati di ‘ambientalismo superficiale’ o addirittura di connivenza con il sistema produttivista che, giusto per la cronaca, ben lungi dal considerarci alleati non fa altro che vomitarci fango addosso tutti i giorni.
    Una replica ‘di pancia’ sarebbe chiedere a qualsiasi vegano medio di dirmi da dove sono importati il tofu e tutti gli altri prodotti vegan e poi fare due calcoli sull’impronta ecologica: ma sarebbe una reazione idiota, giocare con l’ambientalismo come i ragazzini maschi fanno a gara a chi ce l’ha più lungo.
    Piuttosto, se siamo persone di buona volontà e intellettualmente oneste, al di là dei nostri convicimenti personali dovremmo sforzarci di comprendere il più obiettivamente possibile la realtà: non può esserci un’ìmpronta ecologica del manzo per il vegano e un’altra per l’onnivoro, solo per dirne una. Nel merito di Cowspiracy, io penso che avesse tutte le carte in regola per essere un eccellente documentario di inchiesta, ma che gli autori abbiano toppato su due questioni fondamentali:
    1) Cowspiracy è stato palesemente pensato sulla base della tesi aprioristica che il veganesimo è la panacea del problema ecologico globale, quando panaceee semplicemente non ne esistono, esistono metodi migliori o peggiori di affrontare determinate situazioni (il veganesimo a mio parere rientra nella categoria migliori). A quel punto diverse scelte delle fonti da citare sono sembrate parecchio forzate, con il risultato che i detrattori possono appellarsi a quelle per gettare un’ombra di dubbio su tutto il contenuto, anche sulle parti che invece sono molto ben documentate;
    2) con la questione della ‘cospirazione’ si è gettato discredito su altri soggetti ambientalisti (e purtroppo questo articolo mi sembra proseguire su questa linea) con accuse pesanti supportate da prove deboli. Il fatto che tutto ciò sia opera di vegani – vittime quotidianamente di illazioni e basse speculazioni, il recente caso della bambina di Genova è solo la punta di iceberg – mi ha rattristato parecchio, perché sanno quanto sia brutto subire questo tipo di linciaggio.

    Finisco col dire questo: sono entrato diverse volte in contatto con gli ambienti vegani e antispecisti, mi hanno sempre molto attratto anche perché non vi ho mai riscontrato quel fondamentalismo e settarismo denunciati dai vari cliché. Ma da quando è uscito Cowspiracy, a una denigrazione acritica vedo troppo spesso contrapposta una difesa acritica. Come sostenitore della decrescita, ad esempio è la primissima volta che sento un vegano definirmi superficiale e asservito al sistema. Tutto cià mi dispiace e mi preoccupa.

    12 Luglio, 2016
    Rispondi
    • Paolo Scroccaro ha scritto:

      Grazie per il tuo contributo, rispondo volentieri con alcune precisazioni.
      In via preliminare: la fonte originaria dell’articolo pro Cowspiracy è il sito http://www.filosofiatv.org dell’Associazione Eco-Filosofica, che non è un’associazione animalista-vegana (lo statuto non lo prevede), diciamo che sul tema c’è però un dibattito interno. Dico questo per escludere che l’articolo sia nato da una specie di guerra di religione sul tema del veganesimo come ideologia in sé compiuta. Se non ricordo male, il termine “veganesimo” nemmeno compare nell’articolo.
      L’altra questione importante è quella dell’ambientalismo superficiale: Decrescita può rientrare oppure no in questa categoria? Anche qui devo precisare che l’Associazione Eco-Filosofica stessa si occupa di Decrescita in via prioritaria (una sezione molto ricca di materiali del suo sito porta proprio questo nome), e, per esempio, ha collaborato attivamente alla III Conferenza internazionale sulla Decrescita (VE 2012). Io stesso faccio parte anche di Decrescita. Ma, come sappiamo, il movimento della decrescita è alquanto eterogeneo, e su certe questioni va benissimo, su altre non credo proprio. Restando al tema del contendere, facciamo qualche esempio: Pallante e la rivista francese Décroissance hanno criticato radicalmente il ciclo della carne, indipendentemente da Cowspiracy; Pallante, specie nel suo ultimo libro, ha criticato anche l’antropocentrismo, in quanto retaggio del vecchio paradigma sviluppista e della vecchia sinistra. Décroissance, stranamente e incomprensibilmente, nonostante tutto, difende l’antropocentrismo. L’amico Serge Latouche, col quale è in corso un confronto molto critico che dura da anni, tutto sommato difende la carne e l’antropocentrismo, anche se con varie riserve e incoerenze (vedi le posizioni pro A. Naess). Diversi di noi (non mi riferisco solo ad Ecofilosofia, ma anche a Veganzetta e ad altri) pensano che il nuovo paradigma della decrescita non sia in realtà compatibile con l’antropocentrismo e nemmeno con il ciclo della carne, per motivi etici, ecologici ed economici ad un tempo: su questi temi e altri collegati abbiamo pubblicato ben prima di Cowspiracy un paio di libri, intitolati Decrescita. Idee per una civiltà post-sviluppista(2009) e Immaginare la società della decrescita(2012). Correlativamente, riteniamo che molte associazioni ambientaliste, nella misura in cui non si pongono il problema di superare l’antropocentrismo e il ciclo della carne, rientrino nella categoria dell’Ecologia Superficiale, in quanto troppo invischiate nelle logiche del sistema dominante; ciò ovviamente vale anche per varie componenti della Decrescita, di Transition ecc. Se storicamente i movimenti che si credevano rivoluzionari hanno fallito (Marxismo, Anarchismo …) è proprio perché di fatto erano troppo condizionati dalle istanze e dal sapere di sfondo del vecchio sistema che intendevano combattere.
      Perché insistere sul Ciclo della Carne? Anche a voler essere cinici e trascurare gli aspetti etici, il Ciclo in questione offre l’esempio più clamoroso e macroscopico di un settore ANTIECOLOGICO e ANTIECONOMICO, in cui le disutilità superano ampiamente i valori economici prodotti (esternalità negative non pagate, con costituzione di un immenso debito ecologico; inefficienza strutturale del sistema, dipendente dal rapporto di conversione vegetali/carne molto sfavorevole e irrimediabile; mancanza di autosufficienza, che richiede flussi continui di sussidi pubblici per alimentare un sistema perennemente in perdita; manomissioni dei prezzi, per promuovere i prodotti a livello di massa…). Siamo cioè di fronte all’anello più “debole”, oneroso e insopportabile del capitalismo (o del sistema della crescita), come confermato da una consistente letteratura scientifica di fonte tutt’altro che vegana. Questo è un argomento su cui coinvolgere prioritariamente tutte le persone responsabili, e non semplicemente chi è vegano: a maggior ragione, risulta molto deludente l’atteggiamento come minimo rinunciatario di molte associazioni ambientaliste, e questo spiega certe punte polemiche di Cowspiracy.

      Paolo Scroccaro

      12 Luglio, 2016
      Rispondi
      • Igor Giussani ha scritto:

        Ciao Paolo, ti ringrazio per la risposta e per i toni e i modi usati. Dico subito una cosa, a scanso di equivoci: al di là delle questioni etiche, non dico il ciclo delle carne ma tutto il paradigma agricolo dominante attuale è insostenibile e indifendibile, chi non lo riconosce non è un ecologista ‘superficiale’ o altro, non c’entra proprio nulla con l’ecologia. Nel 2016 si tratta di un discrimine che si può pretendere con assoluta ragionevolezza.
        Detto questo, come io credo nella biodiversità nel mondo naturale altrettanto la ritengo necessaria nel mondo sociale, penso sia fondamentale una sinergia di strategie e sensibilità differenti per quanto orientate verso una meta comune. Quindi ben venga chi accentua la propria azione sul tema dell’animalismo, o dell’agricoltura biologica, o dell’autoproduzione… l’importante è che ciascuno specifico ‘avanguardismo’ (non trovo parola migliore) non degeneri in settarismo. Ad esempio penso che una sensibilità animalista ci sia un po’ in tutte le correnti ambientaliste, l’antispecismo è invece una tappa molto più avanzata che richiede un percorso intellettuale adeguato e che non si può pretendere dalla sera alla mattina. Visto che hai tirato in ballo le passate ideologie rivoluzionarie, ricordo troppo bene come epiteti quali ‘borghese’ o ‘antirivoluzionario’ venissero usati per screditare sistematicamente chi non seguiva l’ortodossia, adesso non vorrei che ci dessimo degli ‘antropocentrici’ gli uni con gli altri, anche perché nessuno è perfetto, chi ha superato l’antropocentrismo sul versante carne inevitabilmente sarà ancora legato ad esso su altre questioni, proprio perché non sappiamo ancora del tutto che cosa significhi superare l’antropocentrismo.
        Quindi, in definitiva è fondamentale distinguera la denigrazione dalla critica e ricercare sempre l’onestà intellettuale, soprattutto se la pretendiamo dagli altri. Ti faccio un esempio personale: io ho sempre contestato il Roundup della Monsanto e mi sono battuto per la sua eliminazione dal mercato, quando uscì uno studio secondo cui il suo utilizzo poteva provocare la celiachia ero molto interassato: quando però l’ho letto sono rabbrividito per la sua totale mancanza di rigore scientifico, e mi sono ben guardato dal diffonderlo e condividerlo. Il rapporto Goodland-Anhang del 2009 non è scorretto, però onestamente bisognerebbe chiedersi se, mutatis mutandis di fronte a qualcosa che noi contestiamo, accetteremmo la logica un po’ capziosa con cui cerca di massimizzare al massimo le emissioni degli allevamenti per farne i primi emittori assoluti di gas serra.
        Te lo dico sinceramente: ho avuto intese bagarre dialettiche con l’autore del libro Contro la decrescita, con il vicepresidente di Assocarboni, con alcuni profesori universitari dopo che ho criticato la puntata di Presadiretta pro OGM: si è arrivati a veri e propri shitstorm e in un caso alle diffide legali; ma niente mi produce più amarezza dei toni da guerra di religione che vedo sulla questione Cowspiracy (con la parte antivegana tendenzialmente un po’ più irragionevole, va riconosciuto). E nulla mi ferisce di più sul fuoco amico.

        12 Luglio, 2016
        Rispondi
        • Veganzetta ha scritto:

          Per Igor Giussani,

          Come premessa alla risposta di seguito è indispensabile affermare che il sito web di Veganzetta è un luogo virtuale antispecista e ciò significa, in soldoni, che a prescindere dall’utilità, dall’opportunità, da conseguenze dirette o indirette, noi siamo contro lo sfruttamento animale in tutte le sue forme, esattamente come l’antischiavismo sarebbe contro la schiavitù umana a prescindere da eventuali benefici economici che tale pratica potrebbe portare alle società schiaviste umane (come ha fatto del resto in passato, basti pensare alla fiorentissima industria americana del cotone che si basava sul lavoro degli schiavi umani africani). Quindi ogni considerazione di carattere utilitarista non ci riguarda.

          Detto questo sarebbe possibile argomentare a lungo su quanto tu hai affermato, ma si tratterebbe pur sempre dell’esposizione di un punto di vista partigiano. Pertanto è sicuramente più utile – per farti comprendere l’atteggiamento oltranzista e ostile che molti hanno nei confronti del veganismo – consigliarti di leggere i commenti di Mau (l’ultimo dei quali è una perla imperdibile e che proprio per tale ragione è stato pubblicato).
          Dopo tali letture potrai tu stesso farti convinto del fatto che è ovviamente sempre difficile accettare le critiche altrui quando si pensa di rappresentare la punta di diamante di un determinato pensiero, ma che invece un po’ di umiltà e disponibilità sono assolutamente necessarie soprattutto quando si parla della sorte degli altri e della Terra; ciò non significa che l’antispecismo – e di conseguenza il veganismo etico in quanto prassi antispecista – rappresenti la perfezione o il solo avanzamento morale possibile dell’umanità tutta, ma è indubbio che il pensiero ecologista sia impregnato sin dalle sue fondamenta – e si parla di ecologismo di superficie, quindi superficiale per distinguerlo dall’ecologismo profondo – del paradigma antropocentrico, paradigma che non solo è insostenibile dal punto di vista etico e morale, ma lo è altrettanto da quello ecologico, politico e sistemico. Prima l’ecologismo vorrà prendere atto di tale problema, meglio sarà per tutte/i e soprattutto meglio sarà per l’ambiente e la Terra. Per tale motivo l’antispecismo – proprio perché idea assolutamente antiantropocentrica – potrebbe essere di grande utilità se considerato seriamente.
          L’antispecismo è certamente una filosofia “giovane” ed è in continuo cambiamento in quanto perfettibile – prova ne sono le continue lotte intestine che si scatenano -, l’ecologismo classico – o di superficie – rappresenta invece un pensiero radicato nella società contemporanea con una sua storia riconosciuta, al contempo però – come per le ideologie del passato a cui si faceva riferimento – è evidente che non è stato e non è in grado di fornire soluzioni percorribili per assicurare l’esistenza del Pianeta tutto, ciò perché trae le sue basi teoriche dalle stesse che contraddistinguono la società specista e antropocentrica che intende “correggere” e che è la causa della distruzione e del macello quotidiano a cui assistiamo.

          Concludendo: un documentario come Cowspiracy dovrebbe essere considerato positivamente dall’ecologismo e non dovrebbe essere avversato o denigrato (come si sta facendo nei confronti del veganismo etico), perché potrebbe contribuire allo sviluppo di una delle possibili nuove vie dell’ecologismo che deve una volta per tutte – pena il fallimento totale che è dietro l’angolo – rinunciare all’antropocentrismo e, di conseguenza, all’idea – nefasta e distruttiva – che noi in quanto Umani abbiamo il diritto di sfruttare gli altri viventi.
          Lo stesso discorso vale per la decrescita che non si discosta nei suoi presupposti dall’ideologia antropocentrica – ciò considerando quanto hanno affermato e continuano ad affermare i suoi maggiori e più noti esponenti -.

          12 Luglio, 2016
          Rispondi
    • Mau ha scritto:

      Il suo, Igor, è un bel commento; ma come vede dalla risposta di Paolo:
      “Correlativamente, riteniamo che molte associazioni ambientaliste, nella misura in cui non si pongono il problema di superare l’antropocentrismo e il ciclo della carne, rientrino nella categoria dell’Ecologia Superficiale”
      “un settore ANTIECOLOGICO e ANTIECONOMICO”

      Per loro da carne va azzerata.
      Per i vegano non gli eschimesi devono morire di fame.
      Chi abita in montagna ed ha come unica opportunità l’allevamento deve morire di fame.
      I bambini devono moririre per denutrizione od essere riempiti di integratori.
      Il fatto che una cena vegana costi piu di una cena “normale” non deve essere analizzato.
      Il fatto che la coltivazione di cereali richieda più gasolio di un allevamento non deve esser econsiderata.

      E soprattutto dobbiamo credere alle loro panzate che il SUV inquina meno della mucca!
      Quai ammettere che hanno truffato i dati!

      E’ inutile, con i vegani non si ragiona.
      E dopo l’uscita di CowSpiracy loro si sono radicati ancora di più nelle loro tesi perché si sentono appoggiati dal documentario
      Mentre chi ragiona, sentendosi offeso, tende (come il sottoscritto) a diventare totalmente intollerante verso questi falsi ed arroganti.

      12 Luglio, 2016
      Rispondi
  3. Gino ha scritto:

    Sono uno di quelli “toccati” dalla visione di CowSpiracy.
    Mi sembra che sia qui che si giocherà la partita. Gino Scarsi

    13 Luglio, 2016
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Gino,
      Grazie per la tua testimonianza. E’ chiaro che il piano dal quale si dovrà partire per una futura evoluzione in senso antiantropocentrico dell’animalismo, dell’ecologismo e della decrescita sia proprio questo.
      E’ importante che chi si interessa di questi argomenti ne prenda coscienza quanto prima.

      29 Luglio, 2016
      Rispondi
  4. Paolo Scroccaro ha scritto:

    Gentile Igor, ricambio gli apprezzamenti, e concordo sul fatto che non solo il ciclo della carne, ma l’intera agroindustria è insostenibile: sono due settori ampiamente antiecologici e perfino “antieconomici” nel senso di H. Daly, perciò vanno entrambi delegittimati in via prioritaria. Come tu dici, questa è una linea di demarcazione adatta al nostro tempo; resta il fatto che troppe organizzazioni ambientaliste, nel mentre criticano abbastanza certi aspetti dell’agroindustria, come minimo nicchiano sul ciclo della carne, nonostante la massa considerevole di letteratura critica dovuta ai maggiori esperti mondiali in valutazione ambientale.
    Quanto al superamento dell’antropocentrismo (non trovo un termine migliore) è vero che esso presenta aspetti di complessità i cui contorni in parte ci sfuggono: tuttavia è indispensabile avviarsi in quella direzione. Se la vecchia area libertaria avesse valorizzato a suo tempo, su questo punto, le sensibilità di Thoreau, Bronson Alcott, Louise Michel, E. Reclus (non pretendo Schopenhauer e Nietzsche), forse il movimento libertario avrebbe imboccato strade più interessanti e molto meno antropocentriche e fallimentari: in tal contesto, una “spaccatura” si sarebbe rivelata molto salutare, anzi salvifica. Oggi ci troviamo in una situazione in parte analoga, e per questo vedo con favore certe “provocazioni costruttive” contro l’ambientalismo superficiale (anche qui non mi viene in mente un termine migliore): sono indispensabili per mostrare i limiti del vecchio paradigma ambientalista e per aprire nuovi orizzonti di senso, tendenzialmente al di fuori della logica del dominio.
    Sono d’accordo con te sul fatto che le critiche forzate e prive di onestà intellettuale, sono controproducenti e da evitare comunque. Quanto al rapporto Goodland-Anhang del 2009, mi risulta più valido che mai: la FAO, nel rapporto del 2006 (Allevamenti= 18% di effetto serra, non poco!) aveva però “dimenticato” di considerare fattori macroscopici quali la respirazione del bestiame e la deforestazione connessa alla carne! Inoltre aveva ampiamente sottostimato il numero di animali allevati (circa 56 miliardi, secondo Goodland 2009, ma oggi addirittura 70 miliardi !). Se il rapporto Goodland venisse aggiornato, probabilmente si andrebbe oltre il 51% di effetto serra.
    Il rapporto Goodland e altri collegati (Pimentel, Daly, Vitousek, Costanza…), i cui dati numerici non vanno assolutizzati ma presi con elasticità, in ogni caso insegnano che comunque l’espansione umana nel pianeta è enormemente spropositata, e che una strategia ecologica minimale deve per forza ridurre l’antropizzazione per lasciare maggiore spazio vitale agli ecosistemi e alle specie non umane: non è questa la base su cui costruire una strategia di decrescita adatta al nostro tempo?
    Paolo Scroccaro, 13-7-2016

    13 Luglio, 2016
    Rispondi
    • Igor Giussani ha scritto:

      Gentile Paolo, parto rispondendo alla sua ultima domanda: sì, certamente. E penso anche che, presentata in quel modo (“lasciare maggiore spazio vitale agli ecosistemi e alle specie non umane”) anche il più ‘superficiale’ sostenitore della decrescita, delle transition town, ecc. aderirebbe senza riserve a questa istanza. Quello che mi preoccupa è il rischio di voler marcare ostinatamente le differenze tra ‘antropocentrici’ e ‘non-antropocentrici’, che alla fine inevitabilmente suonano come un ‘io sono meglio di te’ e creano solo steccati. La stessa ecologica profonda è una grandissima filosofia, ma se ingenuamente la trasformi in un contenuto politico presenta non poche criticità, come evidenziò a suo tempo Murray Bookchin. Penso che nessuno detenga la verità o la perfezione dei comportamenti, il virtuosismo ecologico che il vegano dimostra avendo deciso di superare pienamente lo sfruttamento animale un vegetariano o un onnivoro lo può dimostrare in un altro campo. Da questo punto di vista, mi è dispiaciuta la chiusura di Veganzetta alla fine del suo ultimo commento “Lo stesso discorso vale per la decrescita che non si discosta nei suoi presupposti dall’ideologia antropocentrica”, proprio perché – a differenza di quello che dice Mau – con i vegani si ragiona e anche bene (ovviamente fanatici, fanboysti e idioti vari esistono in tutti i campi, in quella della decrescita potrei persino fare qualche nome noto).
      Per quanto concerne il rapporto Goodland-Anhang del 2009: 1) ha sicuramente ‘fatto le pulci’ in modo accurato all’allevamento, ma se lo stesso atteggiamento venisse impiegato anche per gli altri settori i numeri cambierebbero radicalmente anche lì. Quanto metano ad esempio va perduto nella fase di estrazione? Secondo alcuni studi, tenuto conto che il metano è circa 20 volte più assorbente della CO2, le emissioni di gas serra del ciclo del metano sarebbero simili a quelle del carbone; e questo solo per dirne una 2) considerato che il respiro degli animali è qualcosa di complementare al ciclo della fotosintesi, inserirlo nel computo mi pare decisamente una forzatura; essendo un dato opinabile non credo proprio che si possa accusare chi lo tralascia di ‘cospirare’.
      E ho anche un’altra preoccupazione: per fortuna i businessmen del settore idrocarburi tendenzialmente detestano veganesimo e antispecismo, perché quelli sono delle arpie opportuniste pronte ad aggrapparsi a tutto, se scoprono degli studi dove viene ridimensionato notevolmente il settore energetico loro ci si buttano subito. E concordo sul fatto che, alla fine della fiera, per decretare l’insostenibilità del paradigma agricolo industriale, fa poca differenza che sia il responsabile numero 1 o numero 4 del degrado ecologico planetario.
      Per finire su Cowspiracy: io ho conoscito tantissimi vegani spiegare le virtù ecologiche della loro scelta, specialmente se fatta in un certo modo, e promuoverla ma MAI (forse conosco troppo pochi vegani o troppo libertari?) nessuno che me l’abbia mai presentata come ‘rimedio universale’, la frase del documentario per cui il veganesimo sarebbe il “solo modo di vivere in modo sostenibile ed etico su un pianeta con 7 miliardi di altre persone”, non l’ho mai sentita in bocca a nessuno, almeno non in questo modo perentorio e un po’ assolutista.

      14 Luglio, 2016
      Rispondi
      • Veganzetta ha scritto:

        Per Igor Giussani:

        Igor tu scrivi

        Da questo punto di vista, mi è dispiaciuta la chiusura di Veganzetta alla fine del suo ultimo commento “Lo stesso discorso vale per la decrescita che non si discosta nei suoi presupposti dall’ideologia antropocentrica”, proprio perché – a differenza di quello che dice Mau – con i vegani si ragiona e anche bene (ovviamente fanatici, fanboysti e idioti vari esistono in tutti i campi, in quella della decrescita potrei persino fare qualche nome noto).

        Un esempio pratico che può essere chiarificatore di quanto affermato in precedenza sullo spiccato antropocentrismo dell’attuale movimento per la decrescita, può essere questo interessante articolo che riporta un’intervista recente rilasciata da Serge Latouche indiscusso portabandiera della decrescita. L’intervista si incentra sul veganismo – che Latouche ammette di non capire – giungendo addirittura ad affermare

        “Il mio unico cruccio è che ci sono tantissimi giovani vegani che seguono i miei seminari”.

        Latouche ancora non si rende conto che i giovani vegani che seguono i suoi seminari lo hanno grandemente superato in elaborazione teorica e sono parecchi passi avanti a lui? O se ne rende conto e da questo il suo cruccio?
        Dichiarazioni del genere rilasciate da personaggi famosi e influenti sono degli attacchi mirati e molto pericolosi, dimostrano inoltre quanto alcuni autori – come Latouche – abbiano da tempo esaurito la loro spinta teorica innovativa e stiano vivendo una nuova stagione preoccupante di restaurazione.

        Buona lettura.

        http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/07/07/news/serge_latouche_amo_la_vostra_cucina_ma_non_capisco_i_vegani_-143611982/

        29 Luglio, 2016
        Rispondi
        • Igor Giussani ha scritto:

          Immagino che ora il copione prevederebbe, in quanto io decrescente, la mia difesa d’ufficio di Latouche e l’inizio di un flame decrescita vs veganesimo. Invece voglio dire un’altra cosa: che Latouche ha 76 anni e i suoi studenti venti, per esistere un’evoluzione del pensiero è imprescindibile che gli allievi superino i maestri, così come a suo tempo Latouche ha superato virtuosamente i suoi maestri marxisti. Quindi, per quanto mi riguarda, non ho preso carta e penna per segnarmi che per essere decrescente non devo essere vegano, così come dico agli altri di non avere totem lo faccio io in prima persona, anche quando ci sono di mezzo ‘indiscussi portabandiera’. Una nota a margine però la vorrei aggiungere: i vegani che vanno a lezione dal ‘restauratore’ Latouche ora staranno attenti a far sì che la loro scelta etica non venga inficiata da problematiche di carattere ecologico, come importare tofu da paesi a migliaia di km. E’ questo che io intendevo con valorizzazione della biodiversità del pensiero, che non ha nulla a che vedere con l’utilitarismo, è una questione di apertura mentale non di pragmatismo. Certo, se in qualsiasi critica vediamo “attacchi mirati e molto pericolosi”, cioé se facciamo equivalere qualsiasi opinione negativa – che sono il primo ad ammettere essere quanto mai discutibile e criticabile – con la montatura mediatica del caso della bambina di Genova, ad esempio, non so se sia l’atteggiamento giusto. L’atteggiamento giusto è quello degli studenti vegani di Latouche che frequentano le sue lezioni malgrado le sue opinioni sul veganesimo e decidono cosa prendere dal suo pensiero e cosa no. Senza totem, guru da venerare e adesioni settarie di alcun genere.

          30 Luglio, 2016
          Rispondi
          • Veganzetta ha scritto:

            Ciao Igor,

            non c’è alcun copione da rispettare, ci si sta solo confrontando ed è giusto evidenziare situazioni particolari o critiche.
            non c’è alcuna volontà di attaccare il mondo della decrescita anche perché chi scrive è da molti anni che se ne interessa e ha scritto due libri sull’argomento insieme a Paolo Scroccaro, Paolo Cacciari e altre persone ben ferrate sull’argomento.
            Anzi proprio perché la decrescita è un argomento molto importante si evidenziano queste questioni.
            Latouche ha 76 anni ed è vero ciò che dici, ma è anche vero che se uno studente qualsiasi decrescente e vegano fa delle affermazioni, nessuno le tiene in considerazione, se al contrario le fa Latouche finiscono sui giornali o citate nei libri e questo – ne converrai – è un elemento da tenere in grande considerazione proprio in virtù del fatto che l’autore in questione è un personaggio pubblico e in quanto tale dovrebbe soppesare ciò che dice.
            Che Latouche non abbia più molto da dire non lo affermo io, ma si evidenzia dalle sue ultime pubblicazioni che non sono altro che una riproposizione di quanto elaborato ormai diversi anni fa.
            Ritengo che chi è vegano per motivi etici debba anche essere anticapitalista, anticonsumista e decrescente, non è però vero in contrario, è vero però che chi si definisce decrescente dovrebbe a rigor di logica essere molto sensibile alle istanze altrui, al rispetto della natura e soprattutto all’impatto che la nostra società ha sul pianeta e per tale motivo dovrebbe essere anche vegano, ciò non perché il veganismo è la nuova religione da abbracciare, ma perché è indubbiamente una pratica virtuosa che impatta meno sugli altri.
            Per quanto riguarda la tua affermazione sui vegani e le problematiche ecologiche posso solo dirti che chi è vegano con cognizione di causa – e non lo è per motivi dietetici, di moda, di tendenza o altro – è chiaramente schierato contro il consumismo e contro lo sfruttamento capitalista del pianeta, per tale motivo non comprerà di sicuro tufu prodotto dall’altra parte del globo e cercherà di nutrirsi con i prodotti della terra locali, di stagione e possibilmente facendo autoproduzione o privilegiando i piccoli produttori conosciuti. Il veganismo a cui ti alludi è una costruzione dei media e ora della GDO per creare un nuovo comparto commerciale caratterizzato da consumatori esigenti ed “etici” in definitiva disposti a pagare di più.
            Potrai notare che su ogni pagina di questo sito campeggia una frase “La felicita’ non e’ trovare prodotti vegani nei supermercati, bensì non trovare supermercati”, la frase non è riportata a caso.

            Gli attacchi ci sono e sono palesi per i motivi di cui sopra: non si capisce perché Latouche con tutti gli argomenti che poteva affrontare, ha privilegiato quello vegano, non lo trovi strano? La questione è che il veganismo fa notizia e basta la parola per attirare l’attenzione, attaccare chi è vegan oggi è lo sport preferito dei media mainstream, a questo sport evidentemente non si sottrae nemmeno latouche.

            “L’atteggiamento giusto è quello degli studenti vegani di Latouche che frequentano le sue lezioni malgrado le sue opinioni sul veganesimo e decidono cosa prendere dal suo pensiero e cosa no. Senza totem, guru da venerare e adesioni settarie di alcun genere.”

            Assolutamente d’accordo e così dovrebbe essere, ma, come già detto, l’opinione di questi giovani non interessa a nessuno, mentre le sparate di Latouche finiscono sui giornali: una differenza c’è ed è sostanziale.

            30 Luglio, 2016
            Rispondi
  5. Paolo Scroccaro ha scritto:

    Mi risulta che Goodland, Pimentel e altri valutatori abbiano utilizzato una stessa metodologia particolarmente scrupolosa in tutti gli ambiti d’indagine, valutando perciò l’intero ciclo di vita della carne, così come degli alimenti vegetali o altro. Non avevano alcun motivo per screditare aprioristicamente la carne: hanno fatto semplicemente il loro mestiere di valutatori ambientali, tra l’altro considerando attentamente le obiezioni di qualche collega.
    A scuola ci insegnavano il ciclo del carbonio, dando per scontato un contesto di sostanziale equilibrio tra emissione/assorbimento di carbonio e ossigeno… ma in realtà quell’equilibrio è stato ampiamente travolto, e circa 70 miliardi di animali allevati hanno dato il colpo decisivo alla rottura dell’equilibrio, per questo è assolutamente necessario considerare anche il respiro animale come fattore emissivo, accanto ad altri: è una questione di serietà scientifica, non di scelte ideologiche o di opzioni discrezionali! Invece la FAO non aveva considerato questo fattore, e nemmeno la correlata deforestazione, e nemmeno la produzione di mangimi per allevamenti ecc. …. Insomma, la FAO non aveva considerato l’intero ciclo di vita, ma solo una frazione molto parziale del ciclo: “dimenticanze” dovute ad imperizia o ad altro??
    Oggi, uno dei fondamentali “confini planetari” violati (con conseguenze che possono essere irreversibili e catastrofiche: Rockstrom 2009-2014-2015) è proprio quello relativo al carbonio: anche senza arroccamenti sul fatidico 51% di effetto serra, il ciclo della carne resta la causa principale di tale sconvolgimento (ma determina anche la violazione di altri “confini planetari”, vedi ciclo dell’azoto, vedi mutamenti nell’uso del suolo). Non esiste proprio che la Decrescita o altri ambientalisti possano mettere tra parentesi il ciclo della carne e la connessa etica antropocentrica, dedicandosi ad altre opzioni “meno scomode” nella prospettiva dell’ecologia superficiale.
    Certo, Igor, d’accordo, problemi complessi, quindi interconnessi, richiedono soluzioni ecosistemiche, non ricette settoriali univoche: per questo diciamo che bisogna collegare etica, ecologia, economia ecc., anche a livello di soluzioni possibili, di impegno militante e di responsabilizzazione personale. La violazione dei citati “confini planetari” sarebbe sufficiente per pretendere l’azzeramento o almeno, da subito, un fortissimo ridimensionamento del ciclo della carne, in quanto fattore preponderante. Nel frattempo, chi pretende di produrre/consumare cibi così impattanti (oltre che eticamente disdicevoli), come minimo dovrebbe assumersene le responsabilità, e quindi pagare per gli enormi costi delle esternalità negative correlate: chi rompe paga (con azzeramento dei perversi sussidi vigenti). Naturalmente, questo principio di responsabilizzazione sociale dovrebbe essere applicato anche negli altri settori (certo, anche nei combustibili fossili!): altrimenti, si favorisce la deresponsabilizzazione sociale (chi inquina e devasta, non paga, se non a volte in modo ridicolo), si promuove il cinismo etico e l’iniquità sociale, come oggi avviene. Vogliamo mettere questi punti al centro di una strategia concreta di decrescita, invece di dilettarci con fumose passerelle internazionali, attività prediletta da certi decrescenti?
    Paolo Scroccaro, 15-7-2016

    15 Luglio, 2016
    Rispondi

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