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Secondo qualche pericoloso incosciente che alberga tra le pieghe del monoteismo, la Terra potrebbe mantenere addirittura 40 miliardi di persone. Il ragionamento, pervaso da allucinazioni, è variamente elaborato, ma nella sostanza confluisce in un presunto detto evangelico secondo cui Dio non potrebbe non aver cura delle sue creature. Non si capisce allora perché debba essere posto un limite alla provvidenza di Dio. Perché soltanto 40 miliardi? Più o meno dalle stesse lande giunge un docente di Etica della finanza all’Università Cattolica di Milano e presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, Ettore Gotti Tedeschi. Questo specialista di cose economiche sostiene che il problema della scarsità di cibo, è un falso problema che si risolve combattendo la speculazione sulle materie prime, la cattiva distribuzione della ricchezza e, soprattutto favorendo l’uscita dalla stagnazione demografica in cui è piombato l’Occidente. Idee altrettanto assurde delle precedenti (se due argomenti sono assurdi non ha senso stabilire se l’uno lo è più o meno dell’altro), ma esibite sotto la tenda da circo della cosiddetta “scienza economica”. L’ostentata tranquillità per la proliferazione incontrollata della specie Homo Sapiens è esibita in ogni ambiente culturale sia di destra che di sinistra. Ad esempio, Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish, ha affermato nell’ultima edizione della manifestazione che “…siamo in sei miliardi sul nostro pianeta e novecentoventicinque milioni soffrono la fame, eppure produciamo scarti sufficienti per nutrire tre miliardi di persone”. Se dunque si escludono i visionari gravi (quelli dei 40 miliardi), il leitmotiv sembrerebbe dunque questo: solidarizzare con la nostra specie per quanto riguarda il cibo, significa rimuovere ostacoli di ordine politico ed economico mediante riforme radicali che spuntino le unghie alla logica del profitto, migliorare la giustizia sociale e, contemporaneamente, lavorare sul piano culturale per una maggiore austerità o, quanto meno, per una riduzione dello spreco. Non vorrei apparire reazionario negando che si debba perseguire giustizia sociale e guerra agli sprechi. Non lo nego, anzi l’affermo e ci tengo a sottolinearlo.
Il fatto è che la questione demografica si configura come fattore prepolitico che, se deve essere doverosamente e momentaneamente supportato con misure di giustizia sociale, tuttavia è frutto di una rottura rovinosa dell’equilibrio con l’ambiente e deve essere ricondotto al più presto alla giusta misura. Fin qui gli altri. Ma quale messaggio viene dai nostri ambienti? In un recentissimo comunicato di una associazione Veg si legge che un mondo vegetariano potrebbe alimentare 10 miliardi di persone. In realtà questo non è un caso unico, è un leitmotiv della cultura vegan ripetuto innumerevoli volte con cifre diverse e con varie articolazioni del discorso. Il contesto coinvolge acqua, territorio, cereali, foreste. Tutto sparisce nel ventre dei Bovini o delle altre vittime degli allevamenti intensivi sottraendo risorse e vita agli Umani delle parti più sfruttate del Pianeta. Una prima osservazione: stiamo parlando di argomenti indiretti.
Si cerca di introdurre l’attenzione verso i problemi dell’umanità anche al fine di salvare Animali. In ambito antispecista si discute se sia una operazione lecita o, almeno, conveniente. Infatti l’eliminazione degli allevamenti intensivi non garantisce per niente l’abbandono dello specismo, ma semplicemente il trasferimento dell’interesse verso situazioni “sostenibili”.
Tuttavia non è questo il punto su cui vorrei attirare l’attenzione. Il costante richiamo al numero “gonfiato” di Umani a cui si potrebbe provvedere se si mangiasse tutti “veg”, è indirizzato a mostrare la possibilità di soccorrere gli indigenti del pianeta che, come sappiamo, sono più di un miliardo. Ora, si può osservare che se il problema consiste nel soddisfare il bisogno nutrizionale di tutti gli Umani, basterebbe applicare i metodi di Greco e Tedeschi, metodi che funzionerebbero anche in presenza di allevamenti intensivi.
È vero che la proposta non funziona perché la giustizia non è di questo mondo e dunque è ostacolata da potenti forze; ma neppure le proposte vegane funzionano (almeno per ora) per le stesse e anche più forti ragioni. Quindi la nenia secondo cui, se si vuol dare da mangiare a tutti, bisogna abolire gli allevamenti intensivi si dimostra politicamente inconsistente perché proposta non unica e destinata comunque a essere vanificata dalle strutture sociali della diseguaglianza. Ma a ben vedere il vero e più profondo motivo di rammarico a fronte di quel classico argomento è un altro. Anziché dichiarare che “un mondo veg potrebbe sostenere 10 miliardi di persone” si potrebbe e dovrebbe molto più ragionevolmente dire che “un mondo veg potrebbe sostenere l’attuale popolazione con minore occupazione delle terre”. Questo argomento – inaccettabile per un cattolico, per un economista o per chi, più genericamente assume una visione antropocentrica – dovrebbe essere più ragionevole in bocca a un vegano per ovvie ragioni. È inutile ipotizzare “diritti” per gli Animali se si pensa che la specie umana possa espandersi senza controllo. Una specie (quella Umana) che si moltiplica oltre quella che costituisce la capacità di carico consentita dall’ambiente è distruttiva rispetto alla vita delle altre specie al di là della pur eventuale volontà di non esserlo.
Inoltre il lapsus non si ritorce soltanto contro gli Animali (pensare un mondo senza allevamento di Animali da reddito sarebbe un grande sollievo, ma pensarlo con i selvatici rinchiusi negli zoo perché unici luoghi in cui possono sopravvivere è disperante), ma anche verso gli Umani, esseri verso i quali gli antispecisti hanno assoluta considerazione. Di che cosa hanno bisogno gli Umani? Di proteine e calorie?
E non anche di letti, di case, di strade, di mobilità, di spazio, di materiali per le loro produzioni, di legno per le loro bare? 40 miliardi di persone potrebbero vivere dignitosamente o non sarebbero piuttosto condannate a vivere come delle larve dell’Acheronte? Certamente vivrebbero come delle larve, e questo può essere accettato solo da chi spera nelle fole della vita eterna. Anche dieci miliardi di Umani non se la caverebbero troppo bene. Ma nemmeno gli attuali 7 miliardi – anche se si stabilizzassero – potrebbero avere una grande fortuna nel futuro. Oltre a praticare un inevitabile sterminio di specie, in un periodo abbastanza breve distruggerebbero il loro ambiente e, dunque, se stessi. L’antispecismo apre una prospettiva nuova all’umanità e alle altre specie nella misura in cui riconduce l’Umano all’animalità, quindi al suo corpo e, in definitiva, all’ineluttabilità della soggezione di questo corpo alle leggi insopprimibili della biologia. Per quanto possa sviluppare protesi tecnologiche incredibilmente potenti, grazie all’intensa e continua generazione di simbolismi del suo encefalo, è irrimediabilmente vincolato a quell’ambiente che deve ancora imparare a rispettare se vuole sopravvivere. Pertanto gli antispecisti avranno sempre di più il ruolo di ricordare ai teorici della “decrescita” quanto essi non vogliono sentirsi dire (in conformità a quello che è un vero tabù sociale), e cioè che la decrescita deve contemplare anche e decisamente la dimensione demografica.
In conclusione il lapsus vegano ci riporta al solito problema: quello di una tanto eccessiva quanto inevitabile fissazione dell’attenzione in modo riduttivo su una questione: l’alimentazione o poco più.
E’ auspicabile che il veganismo acquisti una maggiore attenzione alle sue ragioni fondanti per non perdere di vista la nuovissima e emancipatoria ontologia dell’antispecismo che affronta razionalmente il complesso delle relazioni tra tutti gli Animali. Uomo compreso.
Aldo Sottofattori
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Numero 4 del 15 novembre 2011, p. 4
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Completamente d’accordo. Chiedo, se è possibile pubblicare l’articolo sul mio blog sulla sovrappopolazione. Finalmente anche in ambiente vegano si prende atto del primo problema del pianeta, quello che ci sta portando alla distruzione: l’eccessiva pressione demografica della specie Homo sapiens sapiens sull’ambiente e su tutte le altre specie. Complimenti anche per le giuste parole rivolte ai fautori della decrescita: se decrescita deve essere si deve cominciare da quella demografica.
Ciao Agostino,
certamente puoi pubblicare l’articolo citando la fonte.