La ribellione di Tyke


Si legge in circa:
< 1 minuto

20 anni fa nell’agosto del 1994 nelle isole Hawaii, Tyke, un Elefante femmina, dopo aver subito una vita di soprusi e maltrattamenti, durante uno spettacolo si ribella con violenza ai suoi aguzzini e scappa dal Circo Internazionale di Honolulu dove era costretta a esibirsi. Verrà uccisa da ben 86 colpi di fucile sparati dai poliziotti intervenuti per fermarlo, dopo un’inseguimento di circa 30 minuti per le strade cittadine.

Tyke muore accasciandosi su di un’auto in sosta cercando disperatamente fino alla fine di rimettersi in piedi per riprendere la fuga. Prima della tragedia del ’94, Tyke cercò altre due volte di scappare dalla schiavitù a cui era costretta. Il suo ultimo tentativo le fu fatale, ma lo fu anche per il suo aguzzino (Allen Campbell, il domatore di Elefanti che torturò Tyke per anni) che venne ucciso dalla sua furia.
Tyke divenne negli USA l’emblema della sofferenza degli Animali nei circhi.
Con il drammatico video girato durante la sua fuga, intendiamo ricordarla.


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33 Commenti
  1. Sandra ha scritto:

    ciao, mi si è stretto il cuore nel vedere questo video, e lacrime…….

    22 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Care amiche e cari amici di Resistenzanimale,

      Grazie per il link che però oltre a contenere un errore (Tyke era un Elefante maschio e non una femmina), riporta solo il video che è già presente su Veganzetta e un rimando alla pagina dedicata a Tyke su Wikipedia, quindi nulla di più.
      Qualora foste interessate/i ad aggiungere un vostro commento o una considerazione, ovviamente questo sito web è a vostra disposizione.
      Con l’occasione – visto l’argomento e il rimando al sito Resistenzanimale – è opportuno fare una piccola precisazione: gli Animali non sono compagni di lotta degli Umani, sono compagni di vita su questo Pianeta. In loro si deve riconoscere la volontà di vivere liberi e felici, la lotta – pertanto – all’autoliberazione e nulla di più. Confondere o mescolare una lotta tutta interna e squisitamente umana che intende abbattere un paradigma creato e vissuto solo da noi Umani, è un errore concettuale. A Tyke sicuramente non importava assolutamente nulla dello specismo, del concetto che l’Umano ha della natura e degli altri Animali, o delle pratiche economiche che sottendono allo sfruttamento animale, subiva gli effetti che tutto ciò aveva su di lui, voleva solo essere libero, affrancarsi da una vita di miseria e violenza. Conferire volontà e prospettive programmatiche agli Animali schiavi, significa ancora una volta rinchiuderli nell’ottica antropocentrica e rendere un cattivo servizio alla causa. Significa relegare il multiverso animale nell’universo umano, senza dubitare della giustezza del nostro pensiero. Paradossalmente la lotta antispecista e di liberazione animale è una lotta che riguarda sostanzialmente noi in quanto responsabili/carnefici/vittime di ciò che abbiamo creato. Gli Animali sono “solo” vittime che tentano in tutti i modi di sottrarsi all’inferno a cui noi Umani li costringiamo.

      23 Agosto, 2014
      Rispondi
  2. Roberto Contestabile ha scritto:

    Condivido assolutamente!

    “Gli Animali sono “solo” vittime che tentano in tutti i modi di sottrarsi all’inferno a cui noi Umani li costringiamo.”

    23 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Attenzione che con “solo” si intende evidenziare la tragicità della posizione degli Animali non umani, pertanto non c’è volontà di sminuire il loro ruolo di auto-liberazione, ma precisare che la loro è una lotta per la vita, per l’esistenza che li coinvolge in prima persona e che non può essere paragonata alla nostra (intesa come Umani) che nasce dalla compassione, empatia e senso di giustizia, il fatto che nella pratica le due situazioni coincidano nella pratica di liberazione non ci può permettere di accomunare le due visioni. In realtà la nostra lotta è riparatoria: una forte volontà di riparare ai danni che abbiamo fatto e che continuiamo a fare agli Animali, riparazione che necessariamente deve passare attraverso una reinterpretazione del nostro ruolo sulla Terra e dei nostri rapporti interspecifici, cosa che gli altri Animali – in quanto vittime – non hanno la necessità di fare.

      23 Agosto, 2014
      Rispondi
  3. cris ha scritto:

    Io penso che, malgrado alcune difficoltà concettuali ben individuate da Veganzetta, la prospettiva evocata da Resistenza animale non sia da trascurare, poichè scrolla di dosso dal movimento di liberazione animale quell’aura paternalistica che vede negli altri Animali individui indifesi e incapaci di elaborare strategie di autoliberazione. In realtà essi sanno quasi sempre da cosa fuggire e in cosa sperare, poi non hanno i mezzi per ribellarsi e affrancarsi politicamente dai soprusi umani e soprattutto non possono direttamente organizzarsi in gruppi di pressione sociale. A loro è dovuto il riconoscimento della non interferenza, dell’autonomia e della vita libera. A noi l’imperativo categorico di affiancarli nella lotta!

    24 Agosto, 2014
    Rispondi
  4. resistenza animale ha scritto:

    E’ molto interessante questo tipo di critica alla nostra prospettiva sulla resistenza animale (che è peraltro una delle tante possibili prospettive umane su un fenomeno che avviene, indipendentemente da come poi noi ne parliamo; e che è una prospettiva in divenire).
    La vicenda di Tyke è commentata più in dettaglio nel seguente articolo: http://www.liberazioni.org/articoli/CappelliniReggio-Lib16.pdf.
    Ci chiedevamo, in effetti, dove fosse l’errore sul sesso di Tyke (grazie per la correzione).
    Tornando alla tua prospettiva sugli animali che si ribellano, per certi versi non sembra che abbiamo davvero idee del tutto diverse: si tratta in primo luogo di riconoscere che degli schiavi resistono indipendentemente da noi, e che noi possiamo solidarizzare. In tal senso, esiste una lotta “riparativa”. Tuttavia, non siamo d’accordo sull’idea che la lotta antispecista nasca da empatia, compassione e altruismo, in definitiva, un’idea che crediamo sia ancora paternalistica e che scavi un solco fra le lotte animaliste e antispeciste da una parte e tutte le altre lotte. E’ un discorso complesso, ma andrebbe approfondito davvero.

    24 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      C’è una ulteriore precisazione da fare:
      Nel secondo commento in realtà è scritto “non c’è volontà di sminuire il loro ruolo di auto-liberazione, ma precisare che la loro è una lotta per la vita, per l’esistenza che li coinvolge in prima persona e che non può essere paragonata alla nostra (intesa come Umani) che nasce dalla compassione, empatia e senso di giustizia” quindi l’antispecismo nasce non solo da sentimenti di compassione e empatia, ma da senso – o voglia, o desiderio, o esigenza – di giustizia. Del resto nessuna movimento sociale e culturale umano è mai stato elaborato se non partendo da precise esigenze individuali che diventano collettive: nel nostro caso potrebbe essere stato il senso di giustizia, la volontà di uguaglianza e libertà.
      Grazie per il link proposto che è molto interessante e che potrà essere motivo di ulteriori spunti.
      Gli Animali non resistono, gli Animali – solo alcuni purtroppo – si ribellano. Il concetto di resistenza (nel senso comune del termine) è chiaramente legato a una sorta di organizzazione o di strategia, o quantomeno a una volontà condivisa di intenti, che nel nostro caso porta ad atti premeditati di opposizione passiva o attiva a qualcosa o qualcuno che ci avversa. Dire che una Mucca compie un atto di resistenza, è ancora una volta affibbiarle una volontà – o un’ottica – umana: la Mucca si ribella, scappa e cerca di salvare la sua vita, un’Orsa si ribella e cerca di proteggere se stessa e i suoi figli. Questi atti legittimi e pieni di dignità non possono essere concepiti come atti facenti parte di un piano di resistenza, perché se così fosse la situazione attuale sarebbe ben diversa. Purtroppo non è così. Se quindi si può obiettivamente parlare di resilienza dell’ambiente, è ben difficile parlare di resistenza degli Animali, a meno che non si voglia dare un significato diverso e ragionato del termine (operazione del tutto legittima ma da compiere prima dell’introduzione del concetto di resistenza animale). Inoltre ogni nostro pensiero è inevitabilmente antropocentrico e paternalista. In primo luogo perché la nostra forma mentis è specista (siamo nate/i e cresciute/i in un sistema di valori antropocentrici e specisti) e non abbiamo mai vissuto in situazioni non speciste – o meglio aspeciste – in secondo luogo perché ogni nostra considerazione si origina dal ruolo di una parte in causa (la specie Umana) che è al contempo carnefice, vittima, imputato e giudice. Come potremmo mai avere una visione non paternalistica nei confronti degli Animali che intendiamo liberare dal giogo che noi abbiamo creato in quanto autoeletti padri/padroni?
      Il problema è ben diverso: noi non siamo superiori (come crediamo), siamo più potenti.
      Il concetto di superiorità (fisica, intellettiva, morale…) scaturisce da una visione paradigmatica fuorviante: è superiore chi vince, chi è più intelligente, più forte… In realtà la nostra specie è solo più potente, è dominante rispetto alle altre, è capace di influenzare come nessun altro la vita degli altri e l’ambiente, ma di fronte a una Rondine che si libra nell’aria con una grazia e una maestria senza eguali, noi cosa siamo? L’inadeguatezza del nostro ruolo, del nostro corpo, è stata la molla che ha fatto scattare l’ingegno umano, che sopperisce alle mancanze fisiche. Nell’intento di voler essere superiori, siamo divenuti indubbiamente i più potenti del Pianeta.
      Tutto ciò per dire che essendo parte in causa non potremo mai gestire questo enorme problema senza conflitti e incoerenze dovute al fatto che siamo fallaci e partigiani (siamo una parte e non il “tutto”), e quindi proprio perché non realmente superiori, non possiamo astrarci e concepire la questione nella sua globalità, studiarne l’interezza, ma solo singole parti e filtrate attraverso la nostra ottica umana.

      Una visione che definite “paternalistica” è quindi inevitabile e figlia di un retaggio culturale ben preciso, in una fase storica in cui una piccola parte dell’umanità (antispecista) tenta di reinterpretare il suo ruolo sul Pianeta. Con ciò non si vuole assolutamente giustificare gli atteggiamenti paternalistici nei confronti degli altri Animali. Nel momento in cui sarà seriamente possibile concretizzare nel quotidiano l’idealità dell’antispecismo (su larga scala), allora si creeranno le condizioni (e nasceranno nuove generazioni prive dei nostri condizionamenti) per ragionare con prospettive del tutto nuove. Per ora limitiamoci a non conferire agli altri Animali ruoli che non hanno, questo sarebbe di sicuro un ottimo passo avanti.

      24 Agosto, 2014
      Rispondi
  5. Anto ha scritto:

    A me sembra che l’antropocentismo sia quello che dà sempre il privilegio di piena presenza a sé all’uomo e lo nega agli animali non umani (intenzionalità, trasparenza del linguaggio, capacità di darsi fini da sé, e da qui capacità di organizzazione, di rivolta e rivoluzione, ecc…). Questa opposizione binaria fra l’Uomo e l’Animale in categorie collettivi, che porta a dire che la lotta di liberazione animale è cosa umana mi pareva caduta da tempo con i lavori di Derrida, che mostra tutte le falle della pretesa di presenza a sé di quei singoli autonominatisi specie umana dopo essersi astratti dall’immensità delle relazioni dei viventi, e che dall’altra parte della separazione mostra come i caratteri presunti soltanto umani sono propri di molti animali non umani.
    Ma questo è solo un primo passo per riconoscere che non ci sono gli uomini e gli animali, ma infinite singolarità insussumibili in categorie che stanno al mondo ognuno a proprio modo.
    Infatti ci sono animali che si liberano, anche collettivamente, e umani che non riescono o non possono neppure collettivamente.
    Le tecniche di controllo che impediscono le rivolte animali sono le stesse, a livello materiale e simbolico, che impediscono quelle umane. L’80% degli umani del pianeta non sono liberi, non riescono a rivoltarsi né a proporre rivoluzioni “culturali” davvero efficaci: questa semplice constatazione dovrebbe dirci qualcosa sulla PRETESA umana di differenziarsi dall’Animale, anche nella dimensione della “lotta” e della “liberazione”.
    Non a caso Derrida declinava la domanda di Bentham (possono soffrire?) in direzione di una “impotenza” (soffrire, esser vulnerabili, mortali) comune a tutti i viventi, che dovrebbe fondare un sentimento di compassione e condivisione reciproca.
    Se cade la divisione binaria in direzione di una differenza che si dissemina nelle singolarità concrete, l’intera prospettiva si ribalta.
    Insieme alla pretesa umana di essere l’unico animale politico.

    24 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      L’antropocentrismo è molto di più di ciò che dici.
      In realtà tutela ogni singolo aderente alla specie umana a prescindere dall’autocoscienza, si pensi per esempio il valore intrinseco conferito a un disabile mentale umano rispetto a una Mucca perfettamente cosciente. Non si tratta pertanto di mera superiorità cerebrale, ma di appartenenza. L’antispecismo deve varie cose a Derrida, ma non si tiene in considerazione un fatto molto semplice e ovvio: la lotta di liberazione animale (totale, quindi anche umana) riguarda esclusivamente la nostra specie. Non si tratta di autoreferenzialità, ma di ammettere che siamo noi – e solo noi – ad aver causato questo sfacelo, e siamo noi – e solo noi – a dovervi porre rimedio, quindi potremmo intendere la lotta antispecista come una severissima autocritica che porta ad un cambio paradigmatico e pratico della visione degli “altri” e al crollo dell’attuale società umana.
      E’ facile comprendere, pertanto, che anche la visione antiantropocentrica è un riflesso dell’antropocentrismo che ci permea: combattiamo contro quello che siamo. Per poter liberare davvero tutti, è necessario per prima cosa liberarci dai nostri automatismi, dalle nostre visioni personali e di specie. Nessuna/o vuole – ancora una volta – evidenziare la specificità umana (o presunta tale) dagli altri Animali, ma esiste un problema enorme: ciò che noi oggi siano. Destrutturare la visione di “eccezionalità” che ci siamo costruiti è affar nostro, non degli altri Animali. Voler includere in ciò anche loro è egoistico e stupido. Egoistico perché li accomuniamo a una problematica che subiscono, ma che non hanno contribuito a creare conferendo loro modalità di lotta e organizzative che sono nostre, stupido perché ancora una volta supponiamo di capire gli altri, ci arroghiamo il diritto di decidere come loro eventualmente vogliono lottare o reagire. Camminando in un prato fiorito con un Cane noi percepiamo sensazioni e informazioni sonore, tattili, olfattive e visive molto differenti da lui. Un Cane annusa e comprende cose che noi non conosciamo assolutamente, si rapporta con la natura mediante modalità a noi sconosciute, percepisce la pressione, il magnetismo terrestre, riceve segnali che noi ignoriamo completamente. Come possiamo anche solo pensare che possa avere una visione della sua esistenza, di quella degli altri simile alla nostra? E’ meglio? E’ peggio? Questo non è importante, E’ altro di sicuro, e su questo “altro”, su tale differenza poggia la base di un nuovo rapporto di reciprocità e rispetto.
      Tu scrivi: “non ci sono gli uomini e gli animali, ma infinite singolarità insussumibili in categorie che stanno al mondo ognuno a proprio modo.”
      Bene. E se tali singolarità stanno al mondo ciascuna a suo modo, per quale motivo cerchiamo di trascinarle all’interno di logiche umane?
      Non c’è in questo discorso alcuna pretesa di differenziare l’Umano dagli altri Animali, ma solo di evidenziare che il problema è UMANO e non genericamente ascrivibile agli Animali. I macelli, le catene di smontaggio, la vivisezione, la caccia, la pesca… e tutto ciò che infligge sofferenza, dolore, agonia e morte agli altri, lo abbiamo creato noi. Siamo noi che abbiamo il pesante dovere morale di fare i conti con un’eredità di morte e distruzione e prendere provvedimenti.
      Il discorso-Derrida è già oltre a questo, può essere impiegato successivamente a questa sorta di “resa dei conti” tra Umani, non certo ora: per potersi sedere in un prato fiorito e guardare negli occhi da pari a pari un Cane, dobbiamo prima cancellare tutto ciò che abbiamo fatto per farlo divenire il nostro Cane.

      25 Agosto, 2014
      Rispondi
  6. Roberto Contestabile ha scritto:

    “Il problema è ben diverso: noi non siamo superiori (come crediamo), siamo più forti.”

    A me piace dire: Siamo diventati più sofisticati.

    Il concetto di è molto ampio, troppo per essere giudicato possessivo dell’uomo.

    24 Agosto, 2014
    Rispondi
  7. Roberto Contestabile ha scritto:

    Il concetto di “forza” è molto ampio, troppo per essere giudicato possessivo dell’uomo.

    24 Agosto, 2014
    Rispondi
  8. Anto ha scritto:

    E’ vero, l’antropocentrismo è molto più di quello che ho espresso nel primo commento. Ma allora dispieghiamo questo concetto: antropocentrismo è la costruzione dell’Uomo come maschio, eterosessuale, bianco, occidentale, civilizzato, razionale, adulto, cristiano, umano (non animale). E’ questo Uomo che nella storia, che è la storia di questa autocostituzione, si è appropriato della presunzione di totale presenza a sé, stabilendo il “proprio” dell’anthropos. Se ciò che l’Uomo ha determinato come Altro da sé è stato poi incluso nel Diritto, questo è avvenuto in maniera nascostamente gerarchica, in un’inclusione escludente. Il fatto che donne, neri, “selvaggi”, folli e “anormali”, non cristiani siano stati inclusi nel sistema del Diritto dei paesi sedicenti democratici e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (notare come in essa si usi lo stesso termine riduzionista per gerarchizzazioni) non significa affatto che il Diritto viga per loro allo stesso modo che per l’Uomo. Lo dimostra il razzismo imperante sotto l’insegna dell’invasione del “non assimilabile” e del differenzialismo culturale (quello sistematizzato teoricamente da tizi come De Benoit), lo dimostrano le decine di milioni di morti nelle traversate dei migranti verso la fortezza Europa (mentre noi per uscire dalla nostra fortezza e fare i turisti nei loro paesi prendiamo l’aereo con in mano un passaporto che ci garantisce accesso e incolumità): e tutto questo poggia su quel rapporto di voraginosa disuguaglianza globale per cui il 20% del mondo detiene non solo la stragrande ricchezza dell’intero pianeta (e anche qui, secondo gerarchizzazioni interne: tanto per dire 85, ottantacinque!, persone nel mondo detengono una ricchezza pari allla metà della ricchezza dei “paesi poveri”), ma anche il totale ed esclusivo accesso ai farmaci e alle strutture ospedaliere, le tecnologie più avanzate del pianeta, il sistema bellico-industriale più massiccio e sofisticato, il quasi totale monopolio dei mass-media, il monopolio delle risorse energetiche, e la lista potrebbe continuare all’infinito. Lo dimostra la scia infinita dei “femminicidi”, l’inamovibilità dell’omofobia e della transfobia, la continua e cangiante (nonostante, per prendere l’esempio italiano, la legge Basaglia, semi-inapplicata) emarginazione e segregazione dei “folli” (a cominciare dalla stessa psichiatrizzazione dei comportamenti), lo dimostra l’islamofobia dilagante (che cos’è stata l’invenzione dello scontro di civiltà, se non una profezia autoavverantesi finalizzata a creare, dopo il crollo dell’URSS, il nuovo Nemico dell’occidente? Che, non in seconda battuta, pernette ad esso di mettere direttamente le mani sulle risorse energetiche di mezzo pianeta).
    Dunque, quando parliamo dell’Uomo che pone il suo dominio sugli animali non umani (ridotti all’Animale), sfuttandoli, torturandoli e uccidendoli, trasfirmandoli in mere risorse di che Uomo parliamo? Degli adivasi o dei coolie indiani, dei dalit che affollano lo slum di otto chilometri di raggio intorno alla città di Mumbai, degli indios oppressi del sudamerica, delle donne trafficate come merce per la prostituzione, dei palestinesi di Gaza sotto le bombe di Israele, delle masse infinite dei poveri del mondo, dei working poors dello stesso occidente “democratico”? Non credo.
    Dunque, al di là delle radicalmente diverse responsabilità dell’immensità degli “umani” nei confronti degli animali non umani, l’Uomo non esiste se non come astrazione prodotta attraverso tutti quei tagli di cui si parlava sopra. Un’astrazione che produce, ci mancherebbe, effetti realissimi, ma effetti di gerarchizzazione interna, e non di unificazione, che è soltanto apparente. Certo, questo Uomo fantasmatico genera anche l’effetto di opposizione gerarchica verso l’Animale, producendo così la più massiccia gerarchizzazione binaria (si vedano per esempio i proclami al compimento del Progetto Genoma, per cui non esistono razze ma un’unica specie umana: questa sovrasoggettivizzazione delle singolarità – non delle razze, ci mancherebbe – determinate come umane non fa che irrigidire la separazione e la gerarchizzazione dell’Animale), ma, appunto, i tagli gerarchici sono molteplici, incalcolabili.
    Ma se il nostro compito è quello di liberare gli animali, allora non solo nella teoria, ma anche nella prassi (ammesso e non concesso che si possa ancora sostenere questa – ennesima – separazione), non possiamo più sostenere *in alcun modo* la separazione fra umani e animali, pena un’eterogenesi dei fini di cui non possiamo immaginare le conseguenze. Intanto dobbiamo riconoscere che anche noi siamo animali, manchevoli e vulnerabili come tutti gli altri animali che abbiamo relegato nell’Altro, tutti *carenti* davanti al sistema tecnico-capitalista che si assoggetta. Questo significa due cose. Primo; che la lotta di liberazione ci *riguarda tutti*, in quanto viventi, perché tutti, in diversi modi siamo presi nel sistema di sfuttamento tecnico-capitalista e nella sua produzione di gerarchie; secondo: che la lotta ci *coinvolge* tutti, nella liberazione da tutte le *nostre* (di tutti noi viventi) oppressioni. Tutti: certamente in modo diverso: ma in modo diverso rispetto alla nostra singolarità, non alle categorie che ci sussumono, siano le macrocategorie Uomo-Animale, siano le stesse categorie di specie, che in quanto tali rendono possibile una tassonomia, cioè una gerarchia, del vivente.
    Quindi è già nella prassi, come nella prassi di pensiero, che dobbiamo agire, resistere, rivoltarci, abbandonando la separazione Uomo-Animale, a partire dalla convinzione che ci siano animali più politici di altri, che ci siano animali (“non umani”) disinteressati alla relazione con altri animali (“umani”). Perché tutti siamo in relazione già da sempre, singolarità plurali, co-esistenti commortali che condividono l’impotenza come il desiderio di libertà e felicità.
    Separare l’esistenza politica (e quindi la lotta politica) dalla lotta per la vita non fa che reimmetterci in quella separazione che tentiamo di abbandonare. La dismissione dell’antropocentrismo ci costringe piuttosto a pensare e praticare la lotta *già* dismettendo, fin da subito, quella separazione.
    Sempre che si sia disposti a prendere sul serio la singolarità, in quanto tale plurale, che deborda tutte le categorie, compresa quella, appunto, di specie, e riconoscere che siamo *tutti* diversi, differenti, gli uni-agli-altri, proprio in quanto singolarità in relazione.

    25 Agosto, 2014
    Rispondi
  9. Roberto Contestabile ha scritto:

    Concordo assolutamente!

    “per potersi sedere in un prato fiorito e guardare negli occhi da pari a pari un Cane, dobbiamo prima cancellare tutto ciò che abbiamo fatto per farlo divenire il nostro Cane.”

    25 Agosto, 2014
    Rispondi
  10. Roberto Contestabile ha scritto:

    Forse il rapporto stesso tra Uomo ed Animali d’affezione deve mutare in un altra direzione non prettamente domestica.
    Come idem lo stesso sarebbe se anzichè un cane o un gatto ci fosse un cavallo o una mucca o un elefante o un leone o un serpente ecc.ecc.

    Il nostro punto di riferimento ha modificato per sempre il loro habitat naturale trasformandoli in peluches viventi senza scelta o obiezione, se non quella dell’abbandono e del randagismo, ed è anche per questo che vivono con noi e ci seguono ovunque (accettazione di una prigionia).

    Non si capisce poi perchè sempre noi dobbiamo poi correre ai ripari tramite sterilizzazioni e castrazioni per arginare un epidemia di nascite naturali che altro non hanno che di naturale e biologico, se non fosse poi che altri esseri viventi in natura, diversi per zoologia come topi, colombi, pipistrelli, cinghiali e tutta una serie di animali definiti dall’uomo stesso “spregevoli” solo perchè non “simpatici, carini e scodinzolanti”, sono liberi di riprodursi senza che a nessuno importi niente se finiscono sotto un auto o peggio morti di fame e stenti.

    E’ forse colpa di questo affetto psicotico che ci lega agli animali d’affezione e non al resto di essi?
    O è solo una scusa banale coscienziosa per affermare che l’animalismo è anche comprensione della specie animale vivente?

    Io credo che noi non dobbiamo capire e studiare gli animali per giustificare e giustificarci che la libertà è naturale e primordiale…questo è scontato e biologico e difficile da comprendere a noi stessi prigionieri di una vita sofisticata.

    Forse dobbiamo solo lasciarli semplicemente in pace.
    Non ucciderli, non mangiarli, non torturarli, non sequestrargli , non amarli distintamente…ma obbligatoriamente ammirarli per la loro immensa bellezza, senza invadere violentemente il loro spazio vitale.

    Non a caso…loro, in migliaia di anni non lo hanno ancora fatto.

    25 Agosto, 2014
    Rispondi
  11. Veganzetta ha scritto:

    Caro Roberto quella di lasciare gli altri Animali in pace non è affatto una cattiva idea.

    25 Agosto, 2014
    Rispondi
  12. Veganzetta ha scritto:

    Anto il sistema capitalistico è solo il sistema che ha vinto una guerra con altre tipologie di sistemi socio-economici, se al suo posto vi fosse stato un altro sistema i danni sarebbero stati simili. Molto spesso chi si lotta contro le gerarchie e contro l’antropocentrismo tende a dimenticarlo. meglio sarebbe parlare di “società del dominio”, in tal modo si riuscirebbe a comprendere tutte le società umane, perché – purtroppo – ogni modello sociale proposto e messo in pratica fino a oggi è stato caratterizzato dal dominio di una minoranza sul resto dei viventi. In ogni caso anche la sola lotta contro il dominio non sarebbe sufficiente, dato che in una ipotetica società umana anarchica, il dominio dell’Umano sull’Animale rimarrebbe un concetto ancora valido e accettato: il paradigma antropocentrico non verrebbe abbattutto.

    25 Agosto, 2014
    Rispondi
  13. cris ha scritto:

    Concordo pienamente con Roberto e penso che quella della non interferenza sia l’unica soluzione alla montagna invalicabile dei problemi che abbiamo causato e che rischiamo di peggiorare ad ogni mossa. Non si tratterebbe di una concessione, ma del riconoscimento, anche se tardo, della loro intoccabile autonomia.

    26 Agosto, 2014
    Rispondi
  14. Marco Reggio ha scritto:

    Quanti spunti…
    Vorrei darne altri, tanto per complicare la discussione :)
    Sulla “critica” all’idea di resistenza animale proposta dal blog resistenza animale, ci sono diverse cose che non tornano. Una è che mi sembra, Veganzetta, che in sostanza dici: quando gli animali si ribellano, mica combattono lo specismo. Non conoscono questo concetto, non gliene frega nulla, è un concetto umano, ecc. Sorvolo sul fatto che combattere un concetto non significa solo scrivere dei saggi barbosi, ma può significare anche combatterlo nei fatti (quando il mio “cane” – con la c minuscola – si struscia contro di me non si sta forse opponendo corporalmente al mio antropocentrismo? chi può dire di no? chi può determinare in modo così ultimativo che sia il linguaggio umano a decidere che cosa è una “critica”? Leggi, per es., Despret: l’etologia, e soprattutto la primatologia, sono cambiate radicalmente anche su richiesta degli animali, quelli non umani intendo, eppure non si può certo dire che queste scimmie, per es., fossero… etologhe!). I milioni di rivoltosi che il movimento operaio ha prodotto (o che hanno prodotto il movimento operaio…) erano forse tutti fini filosofi marxisti o premi nobel ante litteram dell’economia? Tutt’altro, molti erano analfabeti. Non hanno fatto resistenza solo perchè non capivano il concetto di dominio, o di plusvalore, o di sfruttamento? Il punto è però: non credo che la proposta di interpretazione della resistenza animale dicesse di essere molto interessata a questo punto. Se si dipinge questa interpretazione per quello che non è, poi si può criticare come si vuole, ma ha poco senso. Di fatto, che gli animali si ribellino concettualmente allo specismo, poco ci importa. Non vedo proprio dove stia il problema. Infatti, hai fatto un lungo discorso sul significato di “resistenza”, per poi dire che sarebbe ammissibile l’espressione nel caso degli animali solo se poi si dicesse che si dà un significato diverso a “resistenza”. Se leggi l’articolo sopra segnalato (http://resistenzanimale.noblogs.org/post/2014/03/27/quando-i-maiali-fanno-la-rivoluzione/) vedi che si dice proprio questo: bisogna risignificare una serie di termini in chiave non antropocentrica. Questo significa per es. mettere in secondo piano l’intenzionalità nel senso umano quando si parla di ribellione, o di riconsiderare la progettualità, e così via. Del resto, il concetto stesso di resistenza era già stato rivisto in ambito umano, quindi perchè non possono farli le/gli antispecisti?

    Derrida sarà anche stato importante per la liberazione animale, ma qui sembra di no. Le affermazioni separatiste (“gli animali devono essere lasciate in pace”) non mi sembra parlino di animali, ma piuttosto dell’Animale, una delle categorie che proprio noi dovremmo abbattere. Qui si tratta di un Animale, un blog gigantesco che racchiude tutte le specie (figuriamoci le singolarità di cui parla Anto sopra) attribuendo loro una natura immutabile non conflittuale, benevola, ma di chi vuole stare francamente per i cazzi suoi. Io, sinceramente, ho incontrato anche animali diversi, che non vogliono affatto stare per i cazzi loro. Certo, numericamente, al momento la stragrande maggioranza dei non umani andrebbe lasciata in pace, ma è un errore grosso per il “movimento” estendere questa comprensibile risposta alla violenza umana a tutte le situazione, e soprattutto interiorizzarla a tal punto da desiderarla. Si fa presto, io credo, a scivolare da “gli animali devono essere lasciati in pace” a “devono starsene a casa loro”. Il passo è breve, ma la seconda frase la sentiamo spesso, a proposito dei migranti, e nella pratica significa “affondiamo i barconi”. Riconoscere l’autodeterminazione degli animali significa riconoscere loro volontà fino in fondo, e non solo “diritti”, che poi si traducono nel diritto di essere lasciati in pace (che al momento è il più urgente).

    26 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Marco,

      Un concetto se non è del tutto astratto quasi sempre nella pratica ha delle ricadute, e se queste ricadute rappresentano un danno per qualcuno, questo qualcuno può decidere di ribellarsi e combattere le ricadute del concetto, pertanto combattere indirettamente il concetto stesso anche senza conoscerlo.
      Ciò significa che una Mucca si ribella a chi la rende schiava e la imprigiona anche senza magari comprendere che la situazione in cui vive è dovuta a un concetto che gli Umani hanno degli altri Animali, e che la sua schiavitù è dovuta a una domanda di mercato di “prodotti” che derivano dal suo sfruttamento. Quella Mucca si ribella alla catena che la lega e indirettamente allo specismo, al capitalismo e al consumismo. A lei però interessa rompere quella catena. La sua è una lotta limitata e riduttiva? Assolutamente no. E’ una lotta per la libertà e per la vita, è semplice e fondamentale allo stesso tempo.
      Il paragone con le lotte operaie ecc… non può reggere perché siamo sempre e comunque nell’ambito umano, pertanto in un concetto di vita e di coscienza comuni. Infatti i tuoi esempi possono essere con grande facilità confutati con altrettanti esempi che riguardano gli Animali: chi vive in campagna sa bene che ci sono milioni di Galline che vivono nei cortili delle fattorie delle case coloniche in stato di semi libertà. Possono scappare quando vogliono, sono libere di razzolare nei campi, ma la sera tornano sempre alla casa degli Umani che danno loro il cibo e un riparo. Si fidano, e fanno male, perché arriverà il momento in cui chi pare amarle e rispettarle le ucciderà, poi il ciclo ricomincia. Cosa causa tutto ciò? La differenza di visioni dell’esistenza, la differenza di comunicazione, le diverse interazioni sociali, il fatto che per noi un anno è ben poco, mentre per una Gallina è un considerevole tratto della sua vita ecc… Siamo molto diversi, e ciò è stato sempre considerato un vantaggio per l’Umano.
      Se intendete reinterpretare il concetto di resistenza è una buona cosa: un esercizio del genere è da fare con milioni di termini e di concetti che permeano e influenzano la nostra esistenza e forgiano la visione che abbiamo della vita. Del resto ciò avviene quotidianamente, basti pensare al concetto di “danni collaterali”.
      Ma se durante l’opera di reinterpretazione di un concetto umano si intende includere un agire non umano a cosa e a chi serve? A noi o al Non Umano? E’ questo il sunto della critica.
      Derrida è un filosofo importante e numerosi suoi concetti lo sono per la maturazione del movimento di liberazione animale, ma tutto si ferma nel momento in cui si vive a stretto contatto con la diversità degli altri Animali, quando si è costretti ad abbandonare l’elaborazione teorica incontrando la crudezza della realtà, quando si tocca con mano il loro universo distante dal nostro, e si cerca di riavvicinarsi dopo millenni di latitanza. Non serve includerli in nulla, siamo noi che ci siamo autoesclusi innalzando barriere fisiche e mentali, e il grande lavoro – faticoso e lungo – lo dobbiamo fare noi. In questo lavoro noi Umani siamo drammaticamente soli, e questo è lo scotto che dobbiamo pagare. In tal senso gli Animali vanno lasciati in pace. L’animalità, come del resto la natura tutta, non è affatto benevola e placida, ci sono conflitti, ingiustizie, dolore e morte, chi ha mai detto il contrario?
      Ma ci sono anche continui esempi di compassione, di empatia e di tolleranza che vanno oltre ogni nostra attuale capacità di comprensione.
      Il concetto di “casa loro” non esiste, esiste il concetto di casa comune (e non nostra) che è la Terra stessa, ed è per questo che non dovrebbero esserci reti, gabbie, recinzioni, palizzate, muri o vasche, e questo metterebbe ancora più in crisi ciò che noi consideriamo civiltà umana e progresso.

      26 Agosto, 2014
      Rispondi
  15. cris ha scritto:

    Marco, l’ultima tua frase è poco chiara. Parli dell’importanza di riconoscere la volontà dei non umani, ma poi dici ” e non solo diritti”, come se il riconoscimento dovuto alla loro naturale autodeterminazione, minata dalla nostra sciagurata domesticazione, appartenesse ad un’altra categoria di valori. Sono d’accordo che, se non piace la parola “diritti” perchè evoca significati ormai ambigui, sarebbe il caso di usare un’altra terminologia: liberazione, autonomia, emancipazione, realizzazione delle preferenze e desideri ( compresi quelli di incontrare animali umani piuttosto che evitarli). Insomma stiamo parlando tutti del superamento della fase storica attuale in cui il dominio umano sul resto dei viventi è giunto ad un punto critico: non areniamoci in questioni un po’ oziose…Per esempio che il lasciarli in pace, o diritto di non interferenza che sia, possa essere assimilato al “lasciamoli a casa loro” leghista è una maliziosa interpretazione tanto quanto potrebbe essere l’esatto contrario ” teniamoli accanto a noi per sfruttarli meglio”!

    26 Agosto, 2014
    Rispondi
  16. Roberto Contestabile ha scritto:

    “…chi vive in campagna sa bene che ci sono milioni di Galline che vivono nei cortili delle fattorie delle case coloniche in stato di semi libertà. Possono scappare quando vogliono, sono libere di razzolare nei campi, ma la sera tornano sempre alla casa degli Umani che danno loro il cibo e un riparo. Si fidano, e fanno male, perché arriverà il momento in cui chi pare amarle e rispettarle le ucciderà, poi il ciclo ricomincia.”

    “Ma ci sono anche continui esempi di compassione, di empatia e di tolleranza che vanno oltre ogni nostra attuale capacità di comprensione.
    Il concetto di “casa loro” non esiste, esiste il concetto di casa comune (e non nostra) che è la Terra stessa, ed è per questo che non dovrebbero esserci reti, gabbie, recinzioni, palizzate, muri o vasche, e questo metterebbe ancora più in crisi ciò che noi consideriamo civiltà umana e progresso.”

    Grazie per questi due pensieri, mai quanto attuali e sinceri!

    Questi due paragrafi infatti spiegano in pieno quale è la situazione odierna “moderna”.

    Non mi stancherò mai di ripetere e ripetermi che l’uomo “moderno” occidentale è solo uno schiavo di un capitalismo cosiddetto “democratico”.
    Schiavo di un denaro che lo ha reso succube e psicopatico, psicotico a tal punto da privare la vita altrui oltre che la propria.

    Folle, folle e terribile se contestualizzato in alcuni soggetti.
    Soggetti che putroppo rappresentano la massa pagante, che affida alle corporazioni ogni santo minuto della propria esistenza.

    L’uomo “moderno” occidentale è pienamente illuso, egoista e presuntuoso da considerare tutto ciò che lo circonda come un possibile soddisfacimento personale.

    Lo fa con le persone, con gli animali e peggio con gli oggetti da lui stesso creati, che è poi la massima assoluta, che poi spiega il concetto devastante così definito “uomooggetto-donnaoggetto-animaleoggetto, cioè tutto è rapportato ad una “cosa”, plasmabile e di proprietà).

    Se tutto fosse di pubblico dominio con un estensione pacifica di “controllo” morale, benefico, comune…le cose oggi sarebbero diverse? Migliori? Peggiori?
    Ci sarebbero meno morti e stragi?
    L’essere umano e gli animali stessi, sarebbero finalmente liberi?

    Sicuramente si costruirebbero meno muri e recinzioni di filo spinato…meno gabbie e prigioni appunto.

    Si può allora pensare ed affermare che tutto questo delirio sia nato dall’istituzionalizzazione del diritto assoluto di proprietà e della politica economica di Adam Smith & company?

    Come commentare questa frase: « Da un anno all’altro, al contrario, l’argento è una misura migliore del grano perché uguali quantità di argento si avvicineranno di più a comandare la stessa quantità di lavoro. »

    L’uomo stesso si prefissa addirittura di cambiare la vita stessa, in uno spirito onnipotente di immortalità tramite sadiche pratiche vivisettrici. Facendo pagare ancora una volta i suoi errori malefici, agli animali.

    Se ci trasferiamo poi addirittura nella sua esasperazione aliena che altre forme di vita occupino l’universo sconosciuto magari somiglianti a lui povero terrestre indifeso e primitivo che si inchina alla loro intelligenza e superiorità temendo un occupazione imminente…………la follia pura è già raggiunta! (chissà poi perchè l’alieno deve essere per forza superiore tecnologicamente…potrebbe magari essere più saggio e starsene lontano, sarebbe meglio per lui…forse!).

    Dimentichiamo troppo spesso che la nostra unica vera casa non è quella fatta di cemento e mattoni che occupiamo e paghiamo profumatamente con lo stesso denaro che guadagnamo sudando e lottando inutilmente…ma bensì il nostro pianeta……non quello del nostro vicino, o dell’arabo, o dell’americano…il nostro!
    E fino a prova contraria nessuno può togliercelo, nessuno!

    Non siamo ospiti casuali, non siamo passeggeri distratti…no!
    Forse siamo solo una specie vivente tra le tante, questo sì!
    Sarebbe opportuno ricordare però, e ricordarci, che la natura stessa…fatta di piante, terra, acqua, roccia, minerali e quant’altro…è più enormemente forte e grande di noi…noi…poveri, piccoli esseri mortali che non abbiamo la capacità primordiale per capire questo concetto, e proprio perchè mortali…non è dato di sapere.

    Per cui, perchè affannarsi tanto…lasciamoci, e lasciamoli in pace.

    26 Agosto, 2014
    Rispondi
  17. Roberto Contestabile ha scritto:

    Il lavoro stesso oggi nel mondo occidentale è un concetto puramente schiavizzato nel termine (non parlo di terzo mondo, ora. Quello è un altro capitolo della storia umana che ha bisogno di altro spazio sufficiente al dibattito).
    Schiavizzato perchè obbliga una persona ad svolgere determinate funzioni ed azioni dietro un compenso poco più che dignitoso utile solo alla più mera sopravvivenza senza arricchimento lucroso che lo inserisce in un meccanismo prettamente superficiale e sofisticato: denaro in mano per comprare oggetti e cibo industrializzato inseriti a loro volta nel meccanismo. Includiamo anche animali, nell’illegalità bambini ed organi, farmaci e armi e il gioco è fatto! Il Pil è schizzato in alto!

    Tutto è merce, tutto è profitto, tutto è libero scambio capitalista.

    Una sorta di piramide lobbista massonica che comanda tutto il popolo dall’alto verso la massa ignorante silenziosa.

    Silenziosa, sottomessa e ubbidiente.

    Come un bravo fido cane al guinzaglio chiuso in un appartamento o peggio in un canile.

    Accettazione di una prigionia.

    Questo siamo…

    “Datemi il potere economico e governerò il mondo senza leggi che possano contrastarmi…” (più o meno disse così…)

    Senza scendere in dibattiti sociopolitici o peggio socioeconomici…la nostra società moderna è tutto questo.
    Moneta unica-Ordine mondiale.

    Peggio sta chi il lavoro non ce l’ha o peggio chi l’aveva e ora l’ha perso. Perchè? Facile a dirsi, sta peggio lui che non si sente parte integrante del meccanismo, parte integrante del ciclo vizioso da cui è stato escluso, cacciato, ingiustamente e violentemente.
    Essere coscienti del proprio stato di schiavismo è oggi il nostro finto illusorio benessere.

    Come tanti automi che si alzano la mattina per svolgere sempre le stesse cose ai medesimi orari con le medesime persone…come una grande finta famiglia di cui a nessumo importa se non al datore-padrone stesso del nostro lavoro.

    Il sig. Adriano Olivetti lo aveva capito anni fa: “…se il territorio era la realtà da cui questa traeva impiegati, operai, tecnici, allora al territorio bisognava restituire una quota significativa di profitti sotto forma di servizi sociali, alloggi per i lavoratori, biblioteche, asili nido, salari soddisfacenti.”

    Oggi non è così, almeno non lo è nel 90% dei casi che io conosca.
    La cosiddetta fabbrica-modello che non è solo di proprietà del padrone…oggi non esiste.
    Anzi vige il detto: “tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile.”
    E si capisce perchè molti il lavoro lo perdono o proprio non ce l’hanno.

    Questo è il fallimento del capitalismo moderno.

    Dobbiamo forse considerarci parte integrante di un epoca storica fine a se stessa…come lo è stata quella romana od egizia o greca o rinascimentale.
    Un epoca destinata al termine…termine utile indispensabile per la sopravvivenza umana.

    26 Agosto, 2014
    Rispondi
  18. Marco Reggio ha scritto:

    Una breve risposta a Veganzetta, su un punto (su molto mi sembra che in fondo non ci sono grandi differenze):
    “Ma se durante l’opera di reinterpretazione di un concetto umano si intende includere un agire non umano a cosa e a chi serve? A noi o al Non Umano? E’ questo il sunto della critica”.
    Il punto è proprio che alcuni concetti sono nati dagli umani (ma, cosa trascurata in questo dibattito, solo da alcuni umani!) e si applicano solo agli umani. Questo non è un male in sè, poichè tali concetti servono per spiegare fenomeni umani, come appunto le rivoluzioni operaie, per esempio. E non solo per spiegarli, ma per forgiarli, ispirarli, o contrastarli. Se però riconosciamo l’esistenza di altri soggetti dotati di agency, come è avvenuto ad un certo punto per gli schiavi, per le donne, ecc. ecc.., è possibile che sentiamo la necessità di modificare questi concetti, o anche di elaborarne di nuovi. A chi serve? A noi e a loro, perchè non esistono lotte nate e condotte soltanto dagli oppressori, anzi. Nel caso specifico, la resistenza (passami il gioco di parole) a reinterpretare dei concetti umani per “leggere” azioni dei non umani come azioni politicamente significative deriva da diversi fattori, alcuni – ahimè – non molto edificanti: desiderio di riconfermare che i maiali non fanno le rivoluzioni ma solo noi possiamo, che in fondo decidiamo noi quando, come e perchè bisogna sollevarsi, che siamo l’unico movimento veramente altruista perchè abbiamo solo da perderci, ecc.. Questa non è un’accusa, perchè probabilmente riguarda tutti noi umani animalisti, come impulso. Però la diffidenza verso questi cambiamenti concettuali è certamente anche concettuale, perchè mettere in discussione la nostra idea di “resistenza”, di “rivoluzione”, di “ribellione”, presuppone che discutiamo concetti come “intenzionalità”, “volontà”, “consapevolezza” alla luce del riconoscimento delle esistenze non umane, compito spaventoso in effetti perchè questi concetti sono ancor più radicati nell’umanità. Il paragone con il movimento operaio non era tale, ma riguardava soltanto l’aspetto della consapevolezza dei concetti. Tuttavia, anche in alcuni momenti della sollevazione operaia umana, non è che gli animali siano stati a guardare: sarebbe nostro compito anche quello di riscrivere la storia di questa alleanza (si legga per es. Jason Hribal che ha iniziato questo lavoro). E’ importante invece il punto che sottolinei sulle galline che non fuggono. Mettere al centro gli animali come soggetti e porsi di lato, e magari pure inclinat*, come direbbe Cavarero (non sopra, non sotto, ma a fianco), non significa che gli animali abbiano sempre ragione, vedano sempre le cose nel modo giusto. IN questo caso (ma ne ricordo uno di anni fa davvero sintomatico: mentre noi discutevamo di “carne felice” condannando la “bioviolenza” degli allevamenti familiari, un cavallo era fuggito da un allevamento intensivo o semi-intensivo, attraversando l’intero paese per andare dove? al suo vecchio allevamento familiare dove era trattato bene e sfruttato “umanamente”…), possiamo dire che gli animali fanno scelte, poco consapevoli per fattori materiali (non sanno, per es., che finiranno al macello; o soprattutto non sanno che fra una condizione pessima e un “meno peggio”, esiste qualcosa di meglio – ma, per inciso, forse hanno ragione spesso: non esiste mica) o per altri motivi, e che queste scelte sono “riformiste” o in generale che non ci trovano d’accordo. Ammettere questo non significa perdere la possibilità di esercitare il nostro pensiero! Forse farlo con meno arroganza, però, sì (lo dico io per primo). Siamo sicuri che queste situazioni siano così diverse da quelle “umane”? Quali sono gli umani oppressi che scelgono la libertà assoluta contro l’oppressione senza accontentarsi di un vago miglioramento delle condizioni di sfruttamento? Perchè non lo fanno? Per es., perchè non vedono come realmente percorribile una prospettiva radicalmente altra. E non hanno mica tutti i torti, aggiungerei. Proprio come quel cavallo. Il pensiero che mi viene è: di fronte a quel cavallo, agli umani che accettano uno sfruttamento dolce, a quelle galline che non fuggono perchè in fondo non stanno troppo male, il nostro compito è di dare solidarietà anche nel senso di aprire delle possibilità in più. Gli animali che evadono, tanto per dirne una, dovrebbero “sapere” (prima o poi le elimineremo queste virgolette!) che hanno possibilità di farla franca, che esistono i rifugi, che esistono zone in cui vengono lasciati in pace, ecc..
    Cris: non intendevo dire che il separatismo (parola impropria che ho usato: l’idea del separatismo che abbiamo tutte/i in mente è quella femminista, che però era una strategia, una pratica scelta dal soggetto oppresso, non dagli oppressori) coincide con il razzismo, ma che da un’idea di salvaguardia che nega la possibilità di relazione paritaria in nome di una non-relazione che assicuri una maggiore purezza morale (e minore violenza, certo) è facile passare ad un’etica dello stare a casa “loro”. Poi si può fare tutta la retorica che si vuole sulla terra che è casa di tutte/i, ma la questione di chi è la “casa” è più complessa.

    27 Agosto, 2014
    Rispondi
  19. cris ha scritto:

    Grazie Marco, il problema è però il seguente: se volessimo intrattenere relazioni continuative con gli altri animali, una volta liberati dal giogo umano, i casi sarebbero due: 1) dovremmo continuare ad allevarli, 2) dovremmo prelevarli in natura. Ti sembrano prospettive compatibili con l’antispecismo? E’ solo in questo periodo transitorio, in cui noi possiamo avere relazioni con le vittime sopravvissute allo sfruttamento, e in altre limitate situazioni di emergenza, che dovremo accontentarci ed onorarci della loro presenza…poi dovremmo lasciarli liberi, non credi?
    Certo questi dilemmi saranno risolti da altri, essendo ancora lontana la liberazione animale stessa, però sarebbe importante averne almeno chiari gli scopi.

    28 Agosto, 2014
    Rispondi
  20. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Marco,

    Il centro della diversità di vedute è che forse non serve attribuire intenzioni rivoluzionarie, o pensare ad Animali con visioni riformiste o rivoluzionarie per concepire il fatto che loro sentono, pensano, comprendono, vogliono vivere e si ribellano quando possono farlo. La consapevolezza animale è un fenomeno complesso, enorme e spesso distante da noi che abbiamo gli occhi velati da millenni di sovrastrutture concettuali che ci impediscono di vedere la semplice realtà. Il lavoro pesante – meglio ripetere – è nostro. Di sicuro lo sguardo umano dovrebbe abbassarsi – fisicamente – a livello degli altri per comprendere il mondo come lo vedono loro. Ma questo non basta perché al contempo dovrebbe alzarsi per capire cosa prova chi vola per esempio. In ogni caso biologicamente e fisiologicamente siamo così distanti che lo stesso concetto di vita è del tutto diverso. Un giorno per un Insetto è una vita intera, per noi non è nulla, un Topo ci incontra, magari passa del tempo con noi, un inverno per esempio: noi impariamo a conoscerlo durante i mesi invernali mentre gira per casa, ma per lui un inverno è una parte considerevole della sua breve vita. Le due esperienza non sono paragonabili. Con questi semplici esempi possiamo comprendere come sia del tutto inutile traslare visioni umane su chi non lo è (che non è meglio o peggio, superiore o inferiore, ma è semplicemente diverso). Qualora vi fossero condizioni biologiche compatibili, non è detto che si possa instaurare un parallelo tra chi come noi può concepire (seppur parzialmente e limitatamente) un concetto di libertà, e chi non è mai stato un solo giorno libero, come quel Cavallo del tuo esempio che per sfuggire a condizioni terribili preferisce tornare dal suo vecchio carceriere che lo trattava un poco meglio: non lo fa perché è un riformista, perché è stupido, o perché accetta la realtà, lo fa perché non ha mai conosciuto altro che questo nella sua vita, non ha alternative e fugge dal dolore, dalla paura. Su questo non si discute, ma che altre prospettive potrebbe avere? Che altro potrebbe fare? Lui è una vittima totale di un sistema non suo, a lui alieno, noi ne siamo parte integrante: i due ruoli non sono paragonabili.

    Ciò che dovremmo fare è sondare l’abisso della disperazione animale, una disperazione che noi abbiamo costruito per loro, e cercare di distruggerlo, di colmarlo. In conclusione gli Animali sicuramente possono essere nostri compagni di fuga: una fuga verso la vera libertà, ma non compagni di lotta, perché in definitiva lottiamo contro noi stessi, loro al massimo potrebbero lottare contro di noi. Quindi forse davvero la lotta di liberazione animale è la prima lotta nata e condotta soltanto dagli oppressori.

    28 Agosto, 2014
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Bisognerebbe cercare tra le fonti, Tyke poteva anche benissimo essere di sesso femminile, ciò non sposta per nulla la questione.
      Se vi sono fonti certe che sia stata una femmina ovviamente si corregge l’articolo. E’ solo per correttezza. Nessun problema.

      8 Settembre, 2014
      Rispondi
  21. alessandra ha scritto:

    Era una femmina, comunque:-). Viene detto esplicitamente in molti articoli e sottolineato particolarmente in questo:
    http://www.huffingtonpost.com/2014/08/19/tyke-elephant-honolulu-circus_n_5689932.html
    E, se il sesso è irrilevante, che bisogno c’era, Veganzetta, di far notare (tra l’altro sbagliando), che c’è un errore di questo tipo nel testo di Resistenza animale? Percepisco una prevenzione nel voler affrontare con serietà un’idea così nuova e, per certi versi, sottile.
    Io mi sto sforzando di comprendere fino in fondo le implicazioni che comporta pensare la resistenza animale. Non mi è facile. Capisco alcune perplessità e obiezioni che vengono mosse.
    Però pensare che sia antropocentrico applicare agli animali la possibilità di “resistenza” (che peraltro già in ambito prettamente umano ha moltissimi significati diversi) questo sì mi sembra un pensiero antropocentrico :-). Si potrebbe dire la stessa cosa (cosa che peraltro molti specisti fanno) di concetti quali libertà, voglia di vivere, bisogno di fuga, intenzionalità,… Perchè la resistenza (nel suo concetto multiforme e nella sua prassi) starebbe solamente all’interno delle logiche umane e la “libertà” invece no?
    Inoltre vorrei comprendere in che senso e perchè sostieni che solo chi ha causato un danno potrebbe essere l’unico a porvi rimedio.
    E quando diciamo che gli animali e gli umani possono essere compagni di lotta credo si intenda proprio quello che dici in una frase nell’ultimo tuo intervento: insieme possiamo lottare contro il dominio di questo sistema. E loro non sono l’oggetto del contendere ma viva e vitale e ribelle e resistente parte in causa. E riuscire a leggere e vedere la loro resistenza in questo auspicabile processo è una prospettiva che li renderebbe ai nostri occhi (umani, ancora troppo umani) pienamente soggetti e che renderebbe noi un po’ meno deiformi (nel bene e nel male)

    9 Settembre, 2014
    Rispondi
  22. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Alessandra,
    Grazie per il link, in effetti cercando sul web ci sono molte pagine che parlano della vicenda e dicono che Tyke era una femmina, pertanto il testo dell’articolo è stato corretto.
    La nota sul sesso è scaturita dal fatto che sia l’articolo di Veganzetta, sia quello di Resistenza Animale cominciavano parlando di Tyke specificandone il sesso, quindi da ciò il commento, ma come si diceva, il sesso di Tyke non ha alcuna importanza.
    Non c’è alcuna prevenzione nel voler affrontare questo tema.
    Per quanto riguarda la presunta resistenza animale si sono scritti numerosi commenti, onde evitare di ripetersi per favore leggi li e vi troverai informazioni utili.

    “Inoltre vorrei comprendere in che senso e perchè sostieni che solo chi ha causato un danno potrebbe essere l’unico a porvi rimedio.”

    E chi dovrebbe di grazia porvi rimedio se non i responsabili?
    Diciamo pure che un’etica della responsabilità individuale e collettiva sarebbe necessaria per poter cambiare sul serio le cose.

    “E quando diciamo che gli animali e gli umani possono essere compagni di lotta credo si intenda proprio quello che dici in una frase nell’ultimo tuo intervento: insieme possiamo lottare contro il dominio di questo sistema. E loro non sono l’oggetto del contendere ma viva e vitale e ribelle e resistente parte in causa. E riuscire a leggere e vedere la loro resistenza in questo auspicabile processo è una prospettiva che li renderebbe ai nostri occhi (umani, ancora troppo umani) pienamente soggetti e che renderebbe noi un po’ meno deiformi (nel bene e nel male)”

    Il concetto che tu riporti non corrisponde a ciò che è stato detto.

    9 Settembre, 2014
    Rispondi
  23. PAOLA ha scritto:

    Mi si spezza il cuore a pensare agli eltri elefanti nei circhi trattati in modo disumano

    26 Novembre, 2014
    Rispondi

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