La Corte di Giustizia Europea, il latte vegetale e i “no vegan”


Si legge in circa:
3 minuti

Fonte: Campagne per gli animali


I fatti:

La Corte di Giustizia Europea di recente si è espressa mediante una sentenza in cui si dichiara che non è legittimo utilizzare termini quali “latte”, “burro”, “formaggio”, “yogurt” eccetera nella denominazione di prodotti che non contengano ingredienti di derivazione animale, come per esempio i prodotti cosiddetti vegani.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea scaturisce in risposta ad un’azione legale promossa dall’associazione tedesca di tutela della concorrenza Verband Sozialer Wettbewerb contro un’azienda alimentare tedesca (la TofuTown) che produce prodotti di origine vegetale commercializzati come «Soyatoo burro di tofu», «formaggio vegetale», «Veggie-Cheese», «Cream» e altre denominazioni simili.
Nella pratica ciò significa che nei Paesi aderenti all’Unione Europea non sarà più possibile commercializzare prodotti alimentari con diciture del tipo “latte di soia” o similari, diverrà pertanto necessario trovare altre denominazioni. Quindi per esempio niente più cappuccino con latte di soia.

La notizia della sentenza è stata preceduta in Italia dalla pubblicazione di un’analisi della Coldiretti dal titolo “Il popolo dei No Vegan“, in cui si afferma che il 95% dei cittadini italiani non è vegan, anzi è no vegan. nella pubblicazione di denuncia inoltre che tale “popolo dei No Vegan” mangia carne “nonostante le fake news, gli allarmismi infondati, le provocazioni e le campagne diffamatorie che hanno determinato purtroppo anche il moltiplicarsi di preoccupanti casi di malnutrizione tra i più piccoli“.

L’analisi:

Al netto delle solite posizioni faziose di numerosi esponenti della carta stampata, la pronuncia della Corte pare essere meramente un provvedimento di ordine normativo atto alla regolamentazione (leggasi normalizzazione) dei prodotti di origine vegetale (sempre più presenti nella Grande Distribuzione Organizzata), e non invece un tentativo di tutelare gli interessi della lobby del comparto zootecnico e caseario, comparti che negli ultimi anni stanno subendo considerevoli colpi a causa del calo della domanda di prodotti derivanti dallo sfruttamento degli Animali.
Per chi abbraccia la filosofia vegana (che ancora una volta è giusto ricordare che ha un’origine etica), tale notizia dovrebbe rappresentare un elemento positivo. Il cibo vegetale non ha nulla a che fare con le sofferenze a cui gli Animali vengono sottoposti per essere trasformati in “prodotti”, pertanto non dovrebbe richiamare né nel nome, né nell’aspetto, né tantomeno nel gusto il cibo carneo.
Una corretta alimentazione a base vegetale non dovrebbe avere bisogno di rifarsi a quella carnea, o scontare alcun rapporto di sudditanza proponendo dei succedanei, anzi dovrebbe tendere a prenderne il più possibile le distanze per promuovere un nuovo concetto di alimentazione sositutivo. L’uso di denominazioni come “latte”, “burro”, “formaggio” e similari per i prodotti vegetali ha solo ed esclusivamente una motivazione commerciale e di marketing (come lo sono in egual misura le diciture “vegan” apposte sulle confezioni dei prodotti più disparati, anche su quelli palesemente di origine evegetale): motivazioni che non interessano nella maniera più assoluta la pratica veganismo etico.

In riferimento all’analisi della Coldiretti, si può affermare che trattasi di una non notizia, che denota solamente una grande preoccupazione per l’andamento del mercato della carne in questi anni (la stessa Coldiretti afferma “nel primo trimestre del 2017 i consumi di carne sono calati del 3,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente“), e inoltre una totale inettitudine dal punto di vista della comunicazione. L’analisi di cui sopra infatti afferma:

1) Dato che una certa percentuale di cittadini italiani si definisce vagan, significa che la restante percentuale non è vegan.
2) Chi si nutre anche di cibo di origine animale, da oggi non è più un onnivoro, ma un “No Vegan”, che si oppone quindi al veganismo.

Il primo punto riguarda un’ovvietà sconcertante che ha l’unico scopo di evidenziare che solo il 5% della popolazione umana in Italia è vegan (dalle statistiche Eurispes 2017 pare però si tratti del 3%, quindi la Condiretti ha sbagliato pure a riportare le cifre), mentre ben il 95% restante cdi conseguenza non lo è, come a dire che il “fenomeno vegan” è stato abbondantemente sovrastimato. La stessa iniziativa della Coldiretti però, sta a testimoniare come nella realtà da parte di chi lucra sfruttando gli Animali ci sia molta apprensione per ciò che sta accadendo.
Il secondo punto è una sorta di involontario regalo pubblicitario al veganismo come fenomeno sociale, perché Coldiretti illustra una situazione italiana che non esiste: una società civile polarizzata in cui una massa enorme di persone umane è raccolta in una improbabile fazione denominata “No Vegan” nel tentativo di “resistere” al veganismo commerciale emergente e alle sue fake news. In un solo colpo l’intera popolazione umana italiana è stata fantasiosamente divisa in “Vegan” e “No Vegan”, con il solo risultato che in ogni caso ciò che si intende contrastare viene preso come esclusivo metro di giudizio: si parla (dimostrando di non conoscerlo affatto) del veganismo, riducendo chi non è vegan a un soggetto che, in quanto tale, deve per forza essere contrario opponendo una sorta di resistenza attiva (vedasi l’esilarante l’hashtag #NoVeganAllaRiscossa). L’analisi puerile che fa Condiretti ignora totalmente l’enorme diversità di posizioni che vi possono essere tra chi non è vegan (e che non ha nessun bisogno di affermarlo) e anche tra chi si dichiara tale, ma lo è – a torto o a ragione – per motivazioni molto diverse. Le due fazioni in stile Montecchi e Capuleti sul veganismo paventate dalla Coldiretti, pertanto hanno come unico risultato quello di dare ulteriore visibilità al veganismo stesso sempre più al centro dell’attenzione mediatica.


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11 Commenti
  1. Laura Barbieri ha scritto:

    Per quanto riguarda l’Italia, mi sembra che il provvedimento sia inutile perché sulle confezioni c’è già scritto”bevanda” di soia o altro, “preparato a base di…” al posto di yogurt. Hanno dato la notizia in modo trionfalistico come se i consumatori fossero stati finora ingannati e avessero acquistato prodotti vegani per errore…

    22 Giugno, 2017
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  2. Veganzetta ha scritto:

    Nelle confezioni c’è la dicitura che giustamente segnali tu, ma c’è anche scritto a chiare lettere latte di soia ecc. In ogni caso i toni trionfalistici dei media sono dovuti al fatto che c’è un sensibile calo del consumo dei prodotti di origine animale e quindi sussiste un reale pericolo per la filiera zootecnica, per questo motivo Coldiretti si sta dando tanto da fare. A prescindere da tutto questo più i prodotti di origine non animale si differenziano dal resto e meglio è: se di cambiamento si deve parlare, dovrebbe essere il più completo possibile.

    22 Giugno, 2017
    Rispondi
  3. Luigi Dell'Aquila ha scritto:

    Finalmente! Era ora che venissero tolti. Posso capire che chiamare ad esempio latte di soia invece di bevanda di soia sia utile a chi non è vegan per rendersi conto di cosa abbia davanti, ma a me che sono vegan per etica dal 2009 sinceramente mi iniziava a fare un po’ schifo. Bere o mangiare un prodotto di origine vegetale e leggere latte, formaggio, hamburger, ecc. vi dico la verità iniziava a nausearmi e avevo incominciato a ridurre drasticamente il consumo. Non faccio un uso abbondante di prodotti pronti , ma ogni tanto fanno comodo.
    Un grazie vegan all’associazione tedesca di tutela della concorrenza Verband Sozialer Wettbewerb e alla Coldiretti che hanno contribuito a questo successo.

    22 Giugno, 2017
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    • Veganzetta ha scritto:

      Molte/i dovranno adattarsi, non solo la Treccani ma come si diceva nell’articolo ciò è chiaramente positivo.

      30 Giugno, 2017
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  4. Roberto Contestabile ha scritto:

    La sentenza viene accolta in sordina…e ne prendiamo atto. Nel linguaggio comune i surrogati vegetali verranno in ogni caso associati alle diciture classiche (burro, latte, formaggio, burger, wurstel, ecc.), è inevitabile (nessuno al supermercato chiederà al commesso: “Dove si trova la bevanda vegetale di soia?”. Verrà più spontaneo chiamarlo: latte di soia, di riso, d’avena ecc.ecc. Ma ciò dimostra come la presenza costante ed esponenziale di questi prodotti stia creando un dibattito socio-culturale e a tratti istituzionale. Stiamo parlando ovviamente di “veganismo commerciale”, non sempre positivo per la liberazione animale. A parte quindi attendere le nuove terminologie dei cosmetici (latte solare, latte detergente, burrocacao ecc.) da un punto di vista antispecista é assolutamente coerente ed unicamente corretto affermare la giusta provenienza di determinati prodotti, in modo tale da poter meglio identificare lo sfruttamento animale e combatterlo dunque in maniera più appropriata. Sarebbe utile considerare questa furbata istituzional-capitalista come un autogol formale, e quindi più utile alla causa animalista piuttosto che all’ipocrisia dei produttori…impauriti probabilmente da perdite di fatturati.

    Piccola nota d’informazione: i consumi di carne “fresca non conservata” sono in lieve calo ma non è lo stesso per tutti gli altri derivati, in particolare i salumi. Ciò significa che le recenti campagne di sensibilizzazione, diffuse anche dai comunicati OMS, hanno convinto i consumatori NON a diventare vegani…bensì estimatori di insaccati, latticini o pesce.

    Continuiamo nel nostro lavoro e attendiamo sviluppi.

    9 Luglio, 2017
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Caro Roberto,

      Grazie mille per le tue considerazioni. Interessante quella sulle denominazioni di prodotti come latte detergente ecc. In effetti evidenziano l’attenzione che è stata posta sul fenomeno del veganismo commerciale, altrimenti anche per questi prodotti ci dovrebbe essere stata una pronuncia. Di sicuro chi si reputa vegan con cognizione di causa dovrebbe interpretare la notizia positivamente.
      I consumi di carne sono in lieve calo, ciò non significa che sia in atto una vera e propria inversione di tendenza. La strada è lunga e andrebbe anche percorsa con modalità diverse da quelle che vediamo ora.

      12 Luglio, 2017
      Rispondi
  5. Mog ha scritto:

    Oltre alla debacle comunicativa, io non capisco perchè mai Coldiretti dovrebbe demonizzare tali prodotti.
    Potrei capirlo (ma non condividerlo) se siparlasse di prodotti importati, ma in questo caso mi pare essere piu’ relaisti del re
    Tanto che gli stessi produttori “normali” si sono buttati sul mercato da tempo…

    10 Luglio, 2017
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    • Veganzetta ha scritto:

      L’atteggiamento di Coldiretti è assolutamente ottuso.
      Del resto le persone umane vegane si nutrono di vegetali, ossia attingono dalla produzione dei coltivatori diretti che tale associazione dovrebbe tutelare. Quanto accaduto denota solo che Coldiretti è chiaramente schierata dalla parte della lobby degli allevatori.

      12 Luglio, 2017
      Rispondi

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