Si legge in circa: 5 minuti
Gentilissime/i,
il prossimo 27 Gennaio, per il quattordicesimo anno si celebra il Giorno della Memoria, una ricorrenza ancora troppo giovane per dirsi consolidata, soprattutto a fronte delle frequenti dimostrazioni di odio razziale, talvolta accompagnate dalla nascita di partiti e movimenti ispirati al nazifascismo.
Chiunque di noi, almeno negli anni della scuola, ha studiato o letto qualcosa sulla Shoa ma niente è più istruttivo delle testimonianze dirette delle vittime e dei sopravvissuti che ci offrono un quadro incredibilmente drammatico del dolore che la storia ha loro riservato, a ognuno il suo, da accomunare in un dolore universale.
Ogni vittima merita un rispettoso ricordo e ogni sopravvissuto dovrebbe essere assunto ancora oggi come fonte preziosa di testimonianza, soprattutto nelle scuole dove si trova sempre meno tempo per insegnare la storia recente.
Da antispecista, oltre che antirazzista, sono rimasta particolarmente colpita dalle testimonianze di alcuni perseguitati che, sopravvissuti alla non vita dei lager, hanno trovato una forza ammirevole per dedicarsi alla causa di liberazione animale. Chi dedica la propria vita ai senza voce viene spesso accusato di superficialità: con tutti i problemi che ci sono, pare che dedicarsi agli animali sia una sorta di passatempo per distrarsi da tutto il resto, cioè i cosiddetti problemi “più importanti”. Spesso non si riflette che la radice della violenza (uno dei problemi “più importanti”) è una sola: il diritto del più forte sul più debole. Gli animali ne sono testimoni emblematici, come lo sono i sopravvissuti dei lager che hanno subìto ciò che da secoli moltissimi animali subiscono, regolarmente sfruttati, percossi, affamati, sperimentati, schiavizzati, privati sistematicamente della loro dignità. Mark Berkowitz, sopravvissuto dopo essere stato internato bambino ad Auschwitz, oggetto sperimentale, insieme alla sorella gemella, degli studi di Joseph Mengele, in occasione di un incontro in difesa delle oche canadesi dice: “Anch’io sono stato un’oca”: una frase laconica che si commenta da sola.
Steward David, sopravvissuto all’Olocausto nazista, è diventato attivista per i diritti degli animali e scrive “Da ebreo cristiano cresciuto in un quartiere pieno di sopravvissuti dell’Olocausto e di gente che ha perduto i suoi cari, non penso di banalizzare il loro dolore. Ma non sono forse i macelli, gli allevamenti intensivi e i laboratori di ricerca, così accuratamente nascosti alla nostra vista, le Auschwitz di oggi? Dolore, violenza e sofferenza sono più accettabili solo perché inflitti ad animali innocenti che a persone innocenti?”
Alex Hershaft, anch’egli sopravvissuto all’Olocausto nazista, professore polacco, vegetariano dal 1962, scrive “Nel pieno della nostra vita edonistica, ostentata e tecnologica, tra gli splendidi monumenti della storia, dell’arte, della religione e del commercio, esistono delle “scatole nere”. Queste “scatole nere” sono i laboratori di ricerca biomedica, gli allevamenti e i macelli: aree separate, anonime, dove la nostra società conduce i suoi sporchi affari fatti di violenza e sterminio di innocenti esseri senzienti. Queste sono le nostre Dachau, Buchenwald e Birkenau. Come i bravi cittadini tedeschi, abbiamo le idee chiare su cosa accade lì dentro, ma non vogliamo saperne nulla.”.
E’ vero: non vogliamo saperne nulla. E chi si adopera per saperne qualcosa di più è considerato un estremista, un sovversivo… come se esistessero metodi all’acqua di rosa per scoprire il marcio che si nasconde dietro certi sistemi di sfruttamento.
In una manifestazione dell’Ottobre 2012 davanti a un macello di Los Angeles, lo stesso Hershaft afferma: “Ovviamente non sto equiparando i milioni di miei coraggiosi connazionali uccisi tragicamente nel 1940 ai milioni di maiali macellati ogni settimana per le tavole degli Stati Uniti, perché certamente ci sono molte differenze. Tuttavia, ciò che ci accomuna è la capacità di amare e di provare molte emozioni, come l’affetto, la gioia, la tristezza, la paura…Io vedo un parallelo sorprendente tra le menti dei due grandi oppressori: la loro immagine come membri onorevoli della società, l’abietta oggettivazione delle loro vittime, l’uso spietato dei carri bestiame per il trasporto, il perfezionamento continuo della tecnologia della linea di esecuzione, la costante attenzione al rapporto costi-benefici, il loro desiderio di nascondere e mascherare le azioni orribili di cui si sono resi, e si rendono tuttora, responsabili”.
Edgar Kupfer-Koberwitz, scrittore e pacifista tedesco ebreo, sopravvissuto al campo di concentramento di Dachau, fa un inevitabile parallelo tra la violenza sugli animali umani e su quelli non umani “Io penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino allora ci saranno guerre, poiché l’addestramento e il perfezionamento dell’uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri piccoli”. Riguardo la sua dieta alimentare vegetariana dichiara: “Non mangio animali perché non voglio vivere sulla sofferenza e sulla morte di altre creature… Io stesso ho sofferto così tanto che riesco a sentire la sofferenza delle altre creature grazie a questa”.
Molti altri intellettuali perseguitati ed esiliati dal nazismo, pur non avendo vissuto nei campi di concentramento, hanno speso energie in difesa della causa animale.
Tra questi il filosofo e musicologo tedesco Theodor Wiesengrund Adorno, che con l’avvento del nazismo fu costretto all’esilio, prima ad Oxford e poi negli Stati Uniti, scrive: “Auschwitz inizia quando si guarda a un mattatoio e si pensa: sono soltanto animali”.
Isaac Bashevis Singer, scrittore polacco ebreo, premio Nobel per la Letteratura e vegetariano, per fuggire alla minaccia antisemita, nel 1935 emigra negli Stati Uniti e dopo quell’esperienza ricorda: “Ciò che i nazisti hanno fatto agli Ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali.” Ed è interessante la sua visione del mondo per nulla antropocentrica: “Si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno.”
Max Horkheimer, filosofo tedesco di origine ebraica, costretto nel 1933 a fuggire in Svizzera e poi negli Stati Uniti, ci ha lasciato una delle pagine più toccanti, che ho sentito citare anche da un economista in una conferenza che trattava di economia (non di animalismo), perché offre un ritratto crudo ma purtroppo vero di come è strutturata la nostra società, purtroppo rimasta per certi aspetti inquietanti a quella del 1926-31, anni a cui risale l’opera “Crepuscolo”, da cui è tratto questo brano, “Il grattacielo”. “Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra di loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capoufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti quanti, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali. Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato”.
Io mi auguro che quel cielo stellato possa un giorno essere contemplato da tutti gli animali, umani e non umani, e che di quel giorno si mantenga memoria.
Paola Re
Se hai letto fin qui vuol dire che questo testo potrebbe esserti piaciuto.
Dunque per favore divulgalo citando la fonte.
Se vuoi Aiuta Veganzetta a continuare con il suo lavoro. Grazie.
Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.
Articolo molto documentato e approfondito. Importante parallelismo.
Purtroppo in sbaglio ho cliccato un voto sbagliato: volevo dare il massimo.
Buon lavoro.
Ciao Cristina, grazie per il commento e per il voto :=)
grazie, trovo molto interessante questa antologia anche per la somiglianza dei concetti, dei termini, dei paragoni. penso che chi ha vissuto l’orrore lo sappia “riconoscere” quando lo incontra. ma certo che chi, come me, per fortuna non ha vissuto l’orrore non può e non deve essere indifferente quando lo vivono gli altri esseri viventi. dobbiamo tutti imparare a “riconoscerlo” anche perché spesso si traveste, ci assuefà e ci rende complici, nostro malgrado.
Trovo estremamente significativo che persone che han vissuto sulla propria pelle una delle vergogne peggiori dell’umanità, si adoperino in prima persona per mostrare il parallelismo tra l’olocausto umano e quello non umano. La loro testimonianza e le loro parole di dissenso hanno un peso enorme, a loro nessuno può contestare certe affermazioni come succede a noi. Grazie per questo articolo, da diffondere ovunque.
“I nostri nipoti un giorno ci chiederanno: “Dov’eri tu durante l’Olocausto degli animali? Che cosa hai fatto per fermare questi crimini orribili? A quel punto, non potremo usare la stessa giustificazione per la seconda volta, dicendo che non lo sapevamo.”
– Helmut Kaplan
Sono proprio partita da quel principio: “a loro nessuno può contestare certe affermazioni come succede a noi”. E’ vero: “noi” siamo spesso considerati degli strani esseri, un misto tra disadattati, estremisti, sovversivi, estraniati dalla realtà. Addirittura “tristi” per come mangiamo! Perché non ci godiamo certi cibi… come se mangiare gli animali fosse un godimento. Comunque qualcosa lentamente sta migliorando anche in questa visione distorta dell’antispecismo e del veganismo.
E’ molto significativa la frase di Kaplan. Ho letto qualcosa di Kaplan, filosofo austriaco vivente (e vegan), ma non l’ho inserito perché non è una vittima della persecuzione nazista, tuttavia la combatte ancora oggi attivamente: una delle questioni su cui insiste di più Kaplan è proprio il paragone tra l’eccidio continuo e sistematico degli animali e quello delle vittime dell’Olocausto. Kaplan paragona le problematiche umane a quelle animali proprio per cancellare ogni traccia di specismo e di discriminazione. C’è da augurarsi che queste tesi affiorino soprattutto in occasione di eventi come il Giorno della Memoria, o durante le reclusioni e le torture di esseri umani, in modo che si capisca che l’attenzione deve andare ad entrambi gli animali, umani e non umani.
Il cammino è lungo e tribolato ma lo è stato anche per gli umani riguardo l’abolizione di schiavitù e razzismo, che di fatto non sono ancora stati aboliti.