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“Veganismo di oggi” è un testo pubblicato su Veganzetta in cinque parti e tratto dal libro “Disobbedienza vegana. Ovvero il veganismo come potrebbe essere” di Adriano Fragano, Edizioni Veganzetta, 2024. pp. 49-65.
Questa è la seconda parte: Il veganismo riformista – (leggi la prima parte).
Buona lettura.
Il veganismo riformista
Questa prima tipologia di veganismo gode attualmente di una notevole esposizione mediatica, di conseguenza riesce a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica generando interesse e ampi dibattiti, soprattutto per il fatto che considera quello dei mass media il canale principale per veicolare le proprie posizioni, e perché dotato di grande dinamicità, varietà e iniziativa. Per i motivi esposti, il veganismo riformista è quello più popolare nell’ambito dell’attivismo vegano.
Tra le sue caratteristiche principali senza dubbio c’è un’accettazione delle strutture fondamentali del sistema sociale vigente, mediante le quali vorrebbe realizzare una serie di riforme sociali e politiche in chiave vegana, da questo l’aggettivo “riformista”. Le finalità sono prettamente di carattere animalista: il veganismo riformista si prefigge di risolvere il problema legato allo sfruttamento animale, perseguendo l’eliminazione delle pratiche che lo hanno generato e che lo alimentano, ma più nello specifico la loro abolizione.
In ambito animalista esiste una chiara distinzione tra l’abolizionismo e il liberazionismo. Entrambi sostengono la fine dello sfruttamento degli Animali da parte dell’Umano, ma mediante una strategia diversa (che è anche indicativa di un diverso concetto di società umana). La linea abolizionista ritiene che debba essere la nostra società a correggersi con i propri mezzi e le proprie istituzioni. Mediante un approccio dialettico e un confronto diretto e attivo, l’abolizionismo crede che si possa giungere a una crescita morale e a un progresso dell’attuale società umana, tali da eliminare le pratiche responsabili dello sfruttamento animale. L’abolizionismo accetta, riconosce e richiede quindi l’intervento delle istituzioni per una risoluzione completa e definitiva delle pratiche di sfruttamento (l’abolizione mediante apposite leggi, ad esempio), considerando il veganismo come un obiettivo da dover raggiungere.
Il liberazionismo, essendo molto più critico nei confronti delle istituzioni e delle strutture sociali responsabili dello sfruttamento animale, ha un approccio antagonista. Non riconosce le istituzioni come referenti, ma le considera parte del problema e punta su un intervento diretto sociale, culturale e politico per scardinare un sistema di valori ritenuto irriformabile. In generale la visione liberazionista concepisce il veganismo come un mezzo per poter giungere alla liberazione animale.
Il veganismo riformista tendenzialmente fa riferimento non solo alla singola persona umana e alla collettività (che raggiunge attraverso i media e con attività pubbliche di propaganda), ma anche alle istituzioni che governano la società umana, le quali hanno il potere di effettuare modifiche al funzionamento sociale. In sostanza tale veganismo tende a riconosce e legittimare il ruolo delle istituzioni, sollecitandone un intervento; sperando inoltre che i provvedimenti coercitivi istituzionali ottenuti possano anche fungere da stimolo educativo per la società umana, andando a sommarsi e rafforzare l’attivismo svolto in ambito culturale. In base a quanto affermato, è possibile considerare l’attivismo del veganismo riformista come abolizionista, o progressista. La strategia che solitamente viene utilizzata è quello della ricerca del consenso, dell’approvazione e della condivisione delle tematiche vegane da parte dell’opinione pubblica, per ottenere una base di supporto sempre più considerevole e poter esercitare pressioni sulle istituzioni: da questo nasce anche il concetto di “veganizzazione” della società specista, che spesso (ma non sempre) si riscontra in quest’ambito.
Ottenere un rapido consenso da parte di un grande numero di persone umane non vegane, significa inevitabilmente proporre una semplificazione dell’idea vegana, rinunciando a molte delle “spigolosità” che questa possiede: il veganismo è una filosofia critica e scomoda e la si può rendere “popolare” solo indorando una pillola, che in verità è amara e indigesta per i soggetti specisti. Per tale motivo da parte di alcune realtà riconducibili a questa tipologia di veganismo, nascono iniziative per dimostrare che il veganismo è “facile” da vivere e che è possibile “provare” a diventare persone umane vegane anche per brevi periodi o per gradi, il tutto al fine di stimolare un approccio massivo. Generalmente questa strategia è concepita in buona fede e nella speranza di allargare il più possibile e velocemente la percentuale di persone umane vegane nella società specista, ritengo però che si tratti di un modo di operare dannoso.
Divulgare l’idea che il veganismo si possa “provare” come un’automobile o un indumento prima dell’acquisto equivale ad ammettere che sia possibile provare a essere empatici per qualche giorno con le vittime animali del nostro sistema, salvo poi decidere se tornare sui nostri passi prendendo nuovamente a ignorarle, abbandonandole al loro destino.
Lo specismo insito in quest’idea è palese: se stessimo parlando di un grave problema di sfruttamento degli Umani, nessuno si sognerebbe di proporre di non sfruttarli per qualche giorno, per poi decidere se tornare a farlo. Questo atteggiamento in ambito vegano, che definirei buonista e indulgente nei confronti della società umana specista, è irrispettoso nei confronti degli Animali e della loro tragedia, ed è motivo di un costante cedimento morale, causa di tanta parte dei problemi che il mondo vegano sta vivendo. Ciò che abbiamo progettato e realizzato è un massacro immane e senza precedenti che necessita di soluzioni adeguate, serie e impegnative, non certo di iniziative ludico-culinarie dal facile appeal. Non si prova un principio morale, lo si vive.
Per quanto concerne i rapporti con l’antispecismo, il veganismo riformista si potrebbe definire antispecista nel caso in cui per antispecismo si intenda esclusivamente una discriminazione degli Animali in quanto tali. Tenuto conto dei progressi teorici compiuti dalla teoria antispecista negli ultimi decenni, e della concezione di specismo non solo come discriminazione, ma anche come sistema di valori della società umana, risulta chiaro che non è possibile considerare questa versione del veganismo pienamente antispecista. Questo perché in genere è priva di una critica strutturata alla società umana specista. Un altro aspetto da sottolineare del veganismo riformista è il rapporto per alcuni versi ambiguo con il consumismo, che in quest’ambito viene a volte considerato come un’opportunità: non solo per orientare il mercato verso prodotti senza ingredienti animali, ma anche per veicolare attraverso di esso messaggi alla società civile. Quando ciò si verifica, le probabilità che questo tipo di veganismo degradi trasformandosi in mero consumismo vegano (del quale parlerò a seguire) sono purtroppo elevate.
È necessario specificare che ovviamente non tutte le realtà che fanno capo a questa ampia tipologia di veganismo si comportano allo stesso modo, propagandando una certa visione semplificata, facile o commerciale del veganismo: sono molti i singoli, gruppi e le associazioni che portano avanti da anni un lavoro serio e consapevole, con proprie modalità e competenze, evitando di cadere nella trappola dei facili espedienti per attirare l’attenzione. Conosco numerose persone umane convintamente dedite alla causa vegana che, per inclinazione o visione della società e del futuro, preferiscono svolgere il loro attivismo seguendo l’approccio del veganismo riformista, che con il suo messaggio rassicurante e grazie all’impiego di molteplici argomenti appare agli occhi dell’opinione pubblica più pragmatico e percorribile della versione puramente liberazionista, ottenendo per questo motivo risultati positivi nel breve periodo.
Il veganismo riformista quindi si esprime al meglio nell’immediato, fornendo soluzioni accettabili e comprensibili per la società specista, perché meno impegnative di altre e più vicine alla spiccata vena edonistica del sentire comune. Sicuramente rispecchia in pieno le caratteristiche secondarie proposte dal veganismo moderno (in passato definite “argomenti indiretti”), come quelle legate alla salute, all’impatto ambientale, alla soluzione del problema della fame nel mondo. Per questo si avvicina molto a un’idea di veganismo con molteplici funzioni, definibile pertanto come veganismo multifunzionale.* Non sono invece altrettanto sicuro che sia in grado di soddisfare il fine ultimo del veganismo: la liberazione animale. La ricerca di un approccio il più indolore possibile per le persone umane non vegane, si presta molto a strumentalizzazioni, a devianze di varia natura. Ma soprattutto all’opera di normalizzazione e assorbimento della società specista che impedirebbe la soluzione definitiva della tragedia animale della quale è responsabile, realizzabile solo grazie a interventi radicali, faticosi e molto meno facili da accettare.
La “questione animale” è un problema talmente enorme e tragico, che pensare di poterlo risolvere solo secondo una determinata strategia credo sia semplicemente assurdo. Ben venga pertanto qualsiasi approccio utile alla causa: che sia una protesta, una manifestazione, un banchetto informativo, un’attività culturale, azione diretta, cyberattivismo, un pranzo o un corso di cucina a patto che non significhi una rinuncia agli ideali originari del veganismo moderno, o una loro banalizzazione o degradazione. Il veganismo riformista può pertanto essere davvero positivo solo se dotato di un forte e chiaro impianto morale.
Continua…
Note:
*) Devo questa definizione all’articolo di Elisa Valenti, Una critica al veganismo multifunzionale, in «Veganzetta», (19 settembre 2016), disponibile su www.veganzetta.org/una-critica-al-veganismo-multifunzionale
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