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Dóra Zambó è nata nel 1978 a Sopron (Ungheria). Ha frequentato i corsi di specializzazione di moda e design alla scuola superiore di Wiener Neustadt (Austria), dove ha conseguito il diploma. Ha seguito i corsi di filosofia e di linguistica tedesca e polacca presso l’Università Cattolica “Péter Pázmány” a Budapest, dove si è laureata con il massimo dei voti. Nel 2009 si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria al corso di laurea di Decorazione con il massimo dei voti, presentando come tematica il rapporto tra il dramma umano-animale e quello dell’arte, intitolando la tesi “Tragico”. Nel 2011 si è laureata alla suddetta accademia in Scultura portando avanti la ricerca sullo sfruttamento degli animali nell’arte contemporanea, “Occhi foderati di prosciutto”.
Vive e svolge il suo lavoro artistico in Germania, a Berlino.
Sito web: www.zambodora.com
Accadde tutto in un pomeriggio di gennaio del 2009
Durante le ricerche svolte per comporre un bozzetto della tesi triennale, m’imbattei per siti incrociati e click casuali nel film – documentario “Earthlings”. Impreparata all’effetto che un lungometraggio così intenso e di tale portata sintetica, densa d’immagini shock, potesse provocare nella mia coscienza allora prigioniera del dogma dominante, riuscii a guardarne appena venti minuti di cui nemmeno uno senza lacrime. Come se avessi supplicato il perdono per ogni mia azione anti-animalista per i trent’anni precedenti e poco solennemente ma in silenzio promisi aiuto, divulgazione, un’alimentazione senza Animali, attivismo e un futuro vegano.
Questa “trasformazione damascena” cambiò la mia visione del mondo da un giorno all’altro o meglio da un’ora all’altra. La funzione della mia vita si veste di compassione e di dedizione agli Animali sfruttati, assassinati, e questo significa soltanto l’inizio di una positiva valanga emotiva gettata sulla mia anima inquieta e dubbiosa nei confronti del sistema. Oltre il fatto di abbandonare le vecchie abitudini cementate nella mente, cominciarono a sgretolarsi assieme ad esse, quotidiani meccanismi personali e infine tutti gli strati della mia vita si riempirono di un unico scopo animalista.
Mi ricordo di essermi precipitata nella biblioteca comunale alla ricerca di letteratura antispecista, ma ben presto mi trovai confrontata con l’assoluto diniego e con l’impreparazione da parte delle istituzioni, delle librerie, dei supermercati e di ogni istituzione pubblica verso il fenomeno.
La mia arte e le mie opere si trasformano di conseguenza, come una risposta al rifiuto totale dell’idea di compassione, in informazione contro l’omertà e in messaggio da chi non ha voce in capitolo cioè dagli Animali. Nasce così “downer” nel 2009, una Mucca realizzata con la tecnica del cucito utilizzando il tessuto grigio, il pannolenci, e di dimensione naturale. Non sarei stata più capace di dipingere bei paesaggi di carattere giocoso e molto colorato, mentre l’assassinio degli esseri indifesi proseguiva a ritmi rapidi e serrati, riempiendo la quotidianità con crimini ben velati, trasformati in una normalità accettabile e ignorabile dalla maggioranza. Nel tentativo di impregnare oltre i miei lavori artistici anche tutto il resto del mio operato di animalismo, mutai anche l’approccio nel relazionarmi con tutte le altre discipline: la scienza mi era apparsa una farsa e la medicina schiava delle aziende farmaceutiche; lo sport e lo spettacolo, come “l’oppio dei popoli” (come diceva Karl Marx), drogando placano lo spirito ribelle di ognuno, falsamente bello e realmente addormentato; la moda un inutile passatempo praticato da benestanti perlopiù annoiati mentre il plebeo si accontenta dell’arte di abbuffarsi organizzato in gruppi con tanto di cadaveri sulla tavola; e infine i media di massa manovrati dai finanzieri divenuti politici devoti al proprio tornaconto e alle caste ben radicate oltreoceano, fino ad arrivare negli angoli più sconosciuti sul pianeta.
Chiamai la scrittura in aiuto nella lotta all’ignoranza in favore della compassione. La mia prima tesi affronta la questione vegetariana in minima parte, ma la quinquennale venne interamente dedicata alle vittime non umane sacrificate sull’altare dell’arte moderna e contemporanea. “Occhi foderati di prosciutto” s’intitola il mio testo di denuncia nei confronti dell’arte visiva spettacolarizzata con il fine di sbalordire con il disgustoso gesto di onnipotenza. Sotto il motto sono un artista, ergo posso! alcuni si permettono di infrangere i limiti del buon senso e di ogni codice morale, esibendo Animali ridicolizzati come oggetti in nome dell’arte.
Le mie opere come la scrofa di “the impossibility to be a pig” o le Galline di “final production” mirano a far intendere allo spettatore quanta ingiustizia e indifferenza si nascondono nei capannoni, nei laboratori, nelle fattorie di pellicce, nei circhi, e la lista è lunga, nei confronti dei nostri coinquilini terrestri, della loro esistenza, e che enorme sofferenza circonda le loro brevi vite per cercare di saziare l’avidità alimentare, economica e di potere degli Umani. Nelle mie creazioni animali e anche umane ho inteso racchiudere in esse un’aura sofferente, in modo da non allontanarmi dalle espressioni autentiche e non raddolcendo la realtà.
Raccolgo riscontri positivi per due motivi: l’esecuzione, la tecnica scelta dell’opera vengono lodate soprattutto da chi del benessere animale non ne vuole sentir parlare, di conseguenza evita la scomoda tematica; gli auto-definiti amanti degli animali invece vogliono approfondire la questione chiedendo delle informazioni, curiosi anche della mia storia… e come ha consigliato Melanie Joy in occasione di un convegno organizzato a Berlino, esporre le proprie emozioni, i sentimenti vissuti negli attimi del cambiamento a volte può essere più chiaro e convincente dei centinaia di dati e citazioni presi dalla letteratura sull’argomento.
Estratto dalla tesi di laurea “Occhi foderati di prosciutto” 2011
“Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
José Saramago, in “Cecità”
premessa
Il morboso carattere umano ha condotto al precipizio l’intera esistenza sul Pianeta, tirando con sé visibile e invisibile. Non risparmia nulla, anzi tira consapevolmente la zappa sui piedi, con la certezza di non essere mai preso di mira dalla cattiva sorte. Vuole ingannare ma allo stesso tempo rimane ingannato, pretende giustizia, viene invece giustiziato, chiede pietà e gli viene offerta la malvagità… non tenendo conto dell’estrema fragilità spirituale che ha di dimora il nostro essere, capace di voltare pagina all’improvviso, quindi facilmente si arriva ad una leggerezza nei confronti dell’esistenza che mette in risalto l’ambiguità comportamentale di ogni bestia umana. Perché le vere bestie siamo NOI!
Noi che siamo convinti di stare al di sopra dell’altro, di possedere una furbizia più elevata di quella dei nostri simili, di essere degli Dei in terra, dimostriamo davvero di avere gli occhi foderati di prosciutto. Non siamo capaci di guardare i particolari in primo piano, piuttosto ci copriamo, difendendo la nostra dolce ignoranza. Se iniziassimo a vedere con lucidità, ci apparirebbe finalmente il mondo reale che ci circonda:
“Vidi l’intero pianeta simboleggiato da Auschwitz che grondava sangue: persone manovrate e sfruttate; animali torturati in inutili esperimenti; uomini che cacciavano creature indifese e vulnerabili per il piacere del “brivido”; esseri umani distrutti da condizioni di vita e cure mediche inadeguate e per mancanza di cibo; uomini che abusano di donne e bambini; persone che inquinano le terra diffondendo veleni che contaminano l’aria, il terreno e l’acqua; carcerazione di dissidenti; eliminazione di avversari politici; oppressione di chi si pone, si sente o agisce in modo diverso”.1
L’insensibilità prodotta e letteralmente nutrita nell’anima causa quesiti caratteriali e si manifesta quotidianamente nell’interagire personale e formale. Il disastro fa scattare un meccanismo che va crescendo per motivi di somiglianza e di volontà di assomigliare agli idoli spesso falsi, troppo superficiali. D’altronde la cecità di massa proviene da un’educazione distorta, basata sulla ricerca di qualcuno da adorare, conducendo l’uno e l’altro alla dipendenza dall’apparenza impeccabile, perfetta, che include un forte disprezzo nei confronti di chi respinge tutto ciò che rappresenta un’icona.
L’arte contemporanea in tutto e per tutto ha dimostrato di essere capace, e come successore dell’arte moderna di aver meritato il titolo-aggettivo “originale”, di essere in grado di stupire, di scioccare, ma anche di causare nausea e disprezzo. L’utilizzo di cadaveri imbalsamati o non, nelle esposizioni artistiche è divenuto un’abitudine frequente. Oltrepassando ogni limite di buon senso e riportando un cattivissimo esempio ai seguaci dell’ultima tendenza, gli artisti mettono con molto orgoglio in mostra la più fresca trovata delle loro menti offuscate dal guadagno. Dietro le quinte si nascondono verità sanguinose, verità le quali vorrei portare alla luce del sole, davanti agli occhi, vicino – vicino per lottare contro la deformazione più diffusa del mondo, la cecità.
Note:
1) In Tom Regan, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, Edizioni Sonda, Casale Monferrato (Al) 2005, p. 17 – questo passo di Judy Chicago è riportato in Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, Editori Riuniti, Roma 2003, p. 54
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