Intervista: DISEASE X – Is the artist present?


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Alfredo Meschi - Desease X

Il Collettivo Tana Liberi Tutti ha pubblicato un’intervista all’artivista antispecista Alfredo Meschi che presenta la sua nuova performance.


Ciao Alfredo, parlaci di “Disease X – Is the artist present?” Di cosa si tratta, come è nato e quali sono le motivazioni?

Ciao a tutte/i e grazie per questa opportunità!
“Disease X – Is the artist present?” è la mia ultima performance e, già dal titolo, offre almeno due letture e motivazioni. Nasce infatti all’inizio del lockdown, quando scoprii che l’OMS nel 2018 aveva anticipato l’arrivo di una pandemia chiamandola appunto “Malattia X”. Mi è subito sembrata una incredibile coincidenza che poteva integrarsi e completare il mio “manifesto”.
Nel manifesto ipotizzo infatti come sia la nostra intera epoca, l’antropocene, ad essere pandemica e, dopo una lunga e tragica carrellata dei tanti volti delle 40.000 X, concludo con una speranza, racchiusa proprio nei microbi, nei virus, nei microrganismi. Quei 40.000 microrganismi che ci scambiamo con un singolo bacio… La motivazione, in questo caso è quella di far passare questa lettura attraverso un testo registrato, ma soprattutto attraverso la pelle, gli sguardi, il tocco, il rispecchiamento. La seconda lettura è invece legata alla figura di Marina Abramovic, dalla quale ho ripreso sia il titolo che la scenografia della performance. Ho individuato due simboli, al femminile la famosa performer, al maschile Damien Hirst, per mettere in dubbio una visione dell’arte contemporanea specista e antropocentrica. La forma interrogativa del titolo implica una critica alla prospettiva artistica ed esistenziale contenuta nella performance della Abramovic e , come detto, estende questa critica a tutte quelle artiste ed artisti a mio avviso poco “presenti”.

Come collochi la tua attività artistica nell’ambito della body art rispetto ad artisti come Damien Hirst e Marina Abramovic che operano con obiettivi opposti rispetto ai tuoi?

La mia arte, il mio artivismo, sono in una posizione di sfida, di attacco, di radicale messa in discussione rispetto all’operato di artiste/i come Abramovic e Hirst. Possiamo immaginarci lo stesso titolo scelto dalla Abramovic “The artist is present”, se al suo posto al MOMA si fosse seduto un artista militante nelle S.S.? Cosa vuol dire essere presenti? Scegliere una dieta vegetariana per prepararsi alla performance (e perché vegetariana e non vegana? Dov’è l’esser presenti all’orrore della produzione del latte e dei latticini, delle uova, del miele, della lana…?) per poi finire col celebrare la bontà di un cucciolo di Maiale arrosto? Indossare la serata conclusiva una giacca fatta con la pelle di 101 Serpenti, esseri senzienti, ridacchiando sulla loro “auspicabile” morte per cause naturali? Credo che ci sia ben poca presenza in tutto ciò, piuttosto un esercizio di fachirismo. Per quanto riguarda Hirst il discorso è analogo, la sua arte trasuda specismo e antropocentrismo da tutti i pori. E questo deve permetterci di valutare l’opera dell’artista contemporaneo più potente del mondo come un’arte niente affatto contemporanea, un’arte vecchia, da superare perché incapace di confrontarsi con il qui e ora di una civiltà e di un pianeta sull’orlo del baratro.

Cosa pensi dell’uso di animali come “oggetti artistici” nelle provocazioni di Huang Yong Ping o Maurizio Cattelan? Si è scritto molto di queste provocazioni, come le vedi da un punto di vista artistico, ma soprattutto antropologico/sociale?

Penso appunto che un’arte e degli artisti ed artiste incapaci di riconoscere negli Animali non umani delle “Persone”, con la P maiuscola sia qualcosa di assolutamente criticabile, da boicottare, da denunciare. Essendo, come dicevo, un’arte “vecchia” viene meno anche l’aspetto della provocazione, si svuota di valore artistico, si riduce ad un “gioco” intellettuale per una ristretta élite di oziosi privilegiati. D’altra parte non vedo di buon occhio neanche quelle artiste ed artisti che, senza essere in sintonia con le istanze antispeciste e anticiv, si sentono obbligate/i a produrre opere “vegan friendly” o “eco-friendly” soltanto perché è cool farlo. Ma, almeno nel loro caso, da un punto di vista antropologico e sociale le loro opere possono interrogare positivamente il pubblico.

Non sempre è facile riuscire a superare la barriera emotiva che porta molti a operare ad una distinzione tra animali umani e non umani. Quali riflessioni ti senti di fare in proposito? Secondo te esistono dei metodi particolarmente efficaci per scardinare questa barriera?

In “Disease X” ipotizzo che la malattia non vada ricercata in un fantomatico virus, quanto nella nostra intera e cosiddetta “civiltà”. Pensare che tutto ciò che consideriamo “normale” sia in realtà patologico è qualcosa di incredibilmente destabilizzante ed incredibili sono anche le barriere e le resistenze emotive che vengono erette per non entrare in contatto con questa scomoda e dolorosa prospettiva. Credo che il linguaggio verbale per introdurre queste riflessioni debba oggi essere accompagnato da linguaggi non verbali, anche artistici, che possano aggredire queste barriere e resistenze da molteplici prospettive.

Che potenzialità può avere l’arte performativa nella trasmissione dell’antispecismo?

Quando parliamo della difficoltà di entrare in contatto con queste tematiche, mi viene da sottolineare come le mie performance puntino esattamente sul “contatto”. Visivo e tattile, con una pelle, con un corpo che cerca di farsi manifesto di questa epoca, con la sua ideologia del dominio, il suo specismo e le sue ingiustizie. Nella prima esecuzione pubblica di “Disease X” sono state settanta le persone umane che si sono sedute davanti a me. Un pubblico variegato, non vegano, non militante, potremmo dire, per riprendere il termine, un pubblico “normale”. Almeno in cinquanta si sono commosse/i profondamente, spesso con lacrime incontrollabili, nonostante la presenza di persone sconosciute, di fotografi e video-maker, delle vetrine sulla piazza ecc. non facilitassero la possibilità di entrare in contatto con le proprie emozioni. Credo che l’arte performativa possa offrire queste potenzialità. Il mio artivismo si basa su questo.

www.facebook.com/events/218136599578091

Instagram: @alfredomeschix

Fotografie di Extrafactory.it


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3 Commenti
  1. alfredo ha scritto:

    GRAZIE per aver condiviso questa intervista, è sempre bello incontrarci su queste pagine!
    Spero di riuscire a portare in tour questa performance, chi volesse collaborare in questa direzione, può contattarmi sul mio Instagram.
    Buon attivismo e buon artivismo a tutte/i !!!
    Alfredo

    15 Settembre, 2020
    Rispondi
    • Cereal Killer ha scritto:

      Grazie a te caro Alfredo per la tua instancabile opera di diffusione dell’antispecismo attraverso le tue performance artistiche.
      Buon artivismo!

      16 Settembre, 2020
      Rispondi
  2. Ilia tufano ha scritto:

    Ho letto con interesse l’intervista, naturalmente altra cosa sarebbe intervenire…buon lavoro!

    16 Settembre, 2020
    Rispondi

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