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Tra noi componenti del sempre più vasto e variegato arcipelago animalista, vegano ed antispecista, è ormai noto, ci sono spesso divergenze di vedute sostanziali su molteplici argomenti. Divergenze dovute a interpretazioni personali, parziali o errate della questione animale o più semplicemente dei fondamenti stessi degli ideali che si vorrebbero propagandare. Divergenze di vedute che – a volte – conducono a prese di posizione e strategie davvero poco comprensibili se non paradossali. E’ questo il caso di chi ha individuato delle persone umane che considera meritevoli di solidarietà, perché vittime del sistema specista di smontaggio dei corpi animali (che contribuiscono, armi in pugni, a mantenere): i lavoratori (e le lavoratrici) dei macelli.
Sono molti i gruppi vegani e animalisti che organizzano manifestazioni davanti ai macelli, ai supermercati, alle macellerie. Molti ma mai abbastanza verrebbe da dire, perché queste dovrebbero essere le proteste e le attività di denuncia da svolgere in modo sempre più massiccio, continuativo e capillare in favore della liberazione animale, a patto però di aver ben chiaro sin dal principio chi sono le vere vittime di queste attività assassine e cosa si intende ottenere. In Rete e nei social network abbondano testi, fotografie e video di attivisti animalisti, vegani o di sedicenti antispecisti che, come accennato poc’anzi, solidarizzano (anche personalmente e direttamente proprio durante le manifestazioni) con i lavoratori dei macelli: ne denunciano i disagi, le problematiche psico-fisiche, le patologie professionali. C’è anche chi vuole convincerli a una sorta di redenzione e ad abbandonare il loro lavoro, intavolando con chi trasporta, abbatte, seziona gli Animali un dialogo cercando di evidenziare la crudeltà delle loro azioni (come se questi agissero in stato catatonico senza rendersi conto della sofferenza che procurano).
Non voglio mettere in dubbio che l’atto di uccidere serialmente Animali per trarne un sostentamento economico (e non meramente piacere come accade per la caccia e la pesca) non sia un’attività che può arrecare pesanti problematiche, soprattutto psicologiche, a chi la svolge; esiste ad esempio un trauma psichico denominato PITS (Perpetration-Induced Traumatic Stress), ossia il “trauma del perpetratore”, che colpisce a volte coloro che causano in prima persona delle violenze reiterate e uccisioni continuative. Nonostante ciò ritengo sia basilare non perdere di vista le inevitabili posizioni gerarchiche – ed i relativi ruoli – della situazione derivanti da una precisa scala di valori specista. Che un operatore addetto all’abbattimento degli Animali in un macello possa soffrire a causa delle enormi violenze che è costretto a perpetrare, è un fatto che si ascrive a una problematica più ampia legata allo sfruttamento delle persone umane che svolgono un lavoro nella nostra società, ma esprimendogli solidarietà, quanto meno contribuiamo alla sottovalutazione un altro fatto ben più grave: la vera vittima che si ritrova infondo a questa aberrante catena di violenza, subisce un dominio totale, soffre e perde la vita è l’Animale condotto al macello.
Sono molti i lavori degradanti, umilianti o pericolosi che una persona umana può ritrovarsi costretta a svolgere per poter vivere – o sopravvivere – nella società capitalista, certamente quello degli operatori nei macelli rientra a pieno titolo tra questi, ma rimanendo per un momento esclusivamente in ambito umano, c’è chi sta peggio e non ha scelto di lavorare in un macello: ad esempio coloro che per pochi euro si alzano all’alba e vanno nei campi a raccogliere pomodori o altre verdure, lavorando ore sotto il sole o dentro delle serre ad altissime temperature, spesso senza alcuna tutela legale e sindacale (contrariamente agli addetti ai macelli) e sotto il controllo di caporali e crimine organizzato. Anche queste persone umane soffrono grandi disagi derivanti da tali occupazioni, tanto che alcune addirittura ne muoiono. Tutto ciò per permetterci di avere sulle nostre tavole frutta e verdura a prezzi stracciati e fuori stagione. Se dovessi quindi scegliere a chi accordare la mia solidarietà tra un macellaio e un bracciante agricolo a cottimo costretto nelle condizioni descritte, non avrei alcun dubbio. Non mi risulta purtroppo che tra i gruppi e le associazioni vegane, animaliste e antispeciste si dia la giusta importanza e rilievo a queste altre situazioni-limite, che invece dovrebbero riguardarci anche e soprattutto in quanto consumatori finali di una filiera produttiva causa di dette sofferenze.
Peraltro – a volerla dire tutta – non è certo difficile incontrare sul web fotografie oscene di operatori e operatrici dei macelli imbrattati di sangue che posano sorridenti con teste o pezzi di Animali: probabilmente anche in questi casi potrebbe trattarsi di atteggiamenti indotti da traumi subiti, personalmente però sono portato a pensare che si tratti più semplicemente di soggetti privi di qualsiasi rispetto per gli altri e per la vita in generale e che l’attività che svolgono non sia la causa dei loro comportamenti, ma una conseguenza. Indubbiamente potrebbero essere annoverati tra le vittime del paradigma specista della società umana (e chi non lo è?), ma esistono anche la coscienza e la responsabilità individuale che ci permettono di obiettare, in caso contrario saremmo tutti macellai, invece non è così per fortuna.
A chi a queste affermazioni potrebbe rispondere che si tratta di posizioni paternalistiche, potrei tranquillamente controbattere con una verità se volete retorica e lapalissiana: chi lavora in un macello probabilmente può rifarsi una vita, chi è mandato al macello sicuramente la vita la perde. Ciascuno tragga le dovute conclusioni.
Possiamo giungere a considerare mille questioni nel valutare ciò che fa un lavoratore di un macello o un trasportatore di Animali, potremmo comprenderne umanamente i motivi che l’hanno costretto a fare ciò che fa (qualora sia stato effettivamente costretto), ma non potremo mai arrivare a porre sullo stesso piano – considerando entrambi delle vittime – chi ha il coltello dalla parte del manico (e non solo in senso figurato) e chi quel coltello se lo vedrà piantano nel corpo. C’è in questa volontà di livellamento o meglio di allargamento (accomunamento?) della problematica, un qualcosa di politically correct, di ipocrita che lascia interdetti e che sa in definitiva di mancanza di rispetto del dolore degli Animali.
Se vogliamo seriamente abbattere il grattacielo sociale delle ingiustizie a cui prendiamo parte sin dalla nostra nascita, non possiamo che partire dagli ormai famosi e citatissimi scantinati dove sono ammassati gli Animali a cui non è dato avere alcuna scelta, tutto il resto – se permettete – sta sopra, viene dopo, è conseguente e rischia nel nostro caso di diventare, per dirla alla Gaber, uno “stupido pietismo per il macellaio” che nulla ha a che vedere con la liberazione animale, che anzi contribuisce a sminuire. Non è in alcun modo possibile non concepire un macello per quello che è, ossia un luogo di atroci sofferenze e ingiustizie commesse per noi da altri soggetti umani che, in ogni caso e nonostante tutte le attenuanti, rimangono gli esecutori materiali di una strage: non possiamo solidarizzare con chi permette e commissiona tutto questo, né con chi lo commette. «La rimozione psicologica del macello è un sintomo grave di occlusione morale» diceva Ceronetti. E solidarizzare con chi pianta un chiodo in testa a un vitello, cos’è se non una sorta di rimozione psicologica di un orrore intollerabile attraverso una fuga dallo sguardo animale?
In conclusione intendo semplicemente affermare che è importante dare il giusto nome e il giusto peso alle cose e alle azioni, senza cercare facili alibi o scappatoie nel tentativo puerile di allargare la base di consenso alla nostra causa. Questo per non permettere a noi stessi e alla nostra specie di non considerare, nemmeno per un attimo, le enormi colpe che abbiamo nei confronti degli altri viventi.
Adriano Fragano
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D’accordissimo.
Quando mi azzardo a dire che i macellai sono persone senz’anima perché nessuno li costringe a farlo per loro conta solo il Dio denaro e non hanno nessuna pietà vengo assalita perchéi dicono che il vero colpevole è chi mangia animali.
E’ necessario chiarire alcune questioni sul problema “macellai”. Con questo termine si tende a raggruppare tutti le figure “professionali” legate al mondo della macellazione degli Animali. Ci sono però figure molto diverse: il macellaio che ha una sua attività e vende carne al pubblico non è la stessa persona umana che ammazza e smembra gli Animali all’interno di un mattatoio. Nel primo caso parlare di disagi legati a ciò che fanno e di soggetti costretti a svolgere determinate mansioni è semplicemente ridicolo: è palese la volontà di lucrare (con orgoglio ostentato) sulla morte e sulla commercializzazione dei corpi degli Animali. Nel secondo caso in alcune situazioni è vero che esiste sfruttamento e che si verificano malattie professionali, è anche vero che possono esistere situazioni limite in cui determinate persone umane non hanno molte altre scelte a disposizione. Ma a prescindere da tali estremi, la norma è quella di soggetti che considerano l’uccisione degli Animali un lavoro (bello o brutto che sia) e questo è il vero grande problema che non ci permette in qualità di antispecisti ( e nemmeno di animalisti) di esprimere loro solidarietà. Tutto il resto è semplicemente ipocrisia.
Articolo magnifico
Grazie Sabrina per questo tuo bel commento.