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Sin dalla sua nascita Veganzetta, essendo liberazionista e non abolizionista, ha tenuto debitamente le distanze con tutto ciò che riguarda leggi, norme e regolamenti sul rapporto tra gli Umani e gli altri Animali. E’ anche vero però che per affrontare e risolvere un problema è necessario conoscerne ogni aspetto, dunque – purtroppo – anche quello legale. Per tale motivo si pubblica una lettera ricevuta da Piero Liberati, storico attivista anticaccia e fondatore di Vallevegan, nella quale si fa il punto sullo stato attuale della fauna selvatica in Italia e sulla giungla di leggi che la riguardano. Buona lettura.
L’altra notte ho incontrato di nuovo un lupo e non è stato come le tre volte precedenti.
L’altra notte era della settimana scorsa o forse di mesi fa oppure ancora prima, perché quando incontri un lupo non puoi ricordare tutto, devi ripassare i tempi ed i dettagli, come con una poesia. Non è stata come la prima volta, allora l’avevo scambiato per un cane che stava attaccando una capra: corsi, urlai e provai a tirare via questo strano cane grosso, scuro, agilissimo che, appena si accorse di me, fece un balzo sovruman… sovracanino, e mi fissò con stranissimi occhi gialli che riflettevano troppo la luce della mia torcia. Lui fuggì da una parte e io dall’altra; fu la prima volta in vita mia che bestemmiai contro qualcosa che non esiste. L’altra notte invece, dicevo, mi sono impegnato a imparare bene la metrica di questa poesia vissuta e mi sono rimasti impressi degli elementi inaspettati: intanto i lupi erano due e perfettamente identici nei colori e nelle forme; hanno eseguito le stesse mosse, gli stessi passi e la stessa posa. Vi siete mai chiesti quali sono i caratteri che distinguono un animale selvatico da uno domestico, anche se entrambi della stessa specie (lupi e cani ad esempio)? I selvatici hanno meno variazioni di colore, taglia, carattere, abitudini. Ovvero c’è un’ottima probabilità che quell’individuo sia assolutamente indistinguibile da un altro della stessa popolazione e sesso. Immaginate invece l’infinità di forme e colori dei cani, tutti o quasi diversi, a caso.
Non ci si sente soli qui nel sud-est del Lazio, tra monti Prenestini e Simbruini, tra le alte valli dell’Aniene, del Sacco e del Giovenzano. L’orso nominato M165 è un cucciolone marsicano che si è separato da sua madre e sua sorella nel 2019, in Abruzzo. Per due anni se ne erano perse le tracce ma nel 2021 sono stati analizzati campioni genetici rinvenuti in provincia di Frosinone, nel Lazio e si è avuta la conferma che era lui, costeggiando i confini del Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini. I guardiaparco (con i quali collaboro da anni) ne hanno monitorato le tracce. Ha girato per paesi del circondario, in cui gli abitanti umani hanno fatto a gara per rivendicarne un’appartenenza territoriale, confermando che la convivenza con l’umano sia assolutamente spontanea; quando cercavo informazioni o mi arrivavano presunti avvistamenti, il Presidente del Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini mi informava sulle vicende del plantigrado. Approccio del tutto diverso da quello delle istituzioni e politici locali in Trentino, ad esempio, dove è recentissima la condanna a morte dell’orso M62, che avrebbe rubato cibo nei cassonetti: se si dovesse ripresentare altre due volte in città, potrà essere ammazzato; stesso rischio, in aggiornamento, correrebbero altri individui. Ora M165, il “nostro marsicano laziale”, viaggia verso nord, è nel reatino, speriamo possa arrivare fin dove lo spinge l’istinto (magari non in Trentino) e tifiamo per lui.
In questa parte poco antropizzata del centro Italia, l’amico Sergio Pasquali, un ex cacciatore ora attivista anticaccia (tanto che per ripicca qualcuno diede fuoco alla sua automobile), piazza la sue fototrappole sui Prenestini e mi manda video unici di vere e proprie passerelle di istrici, cinghiali, lupi fino a documentare, per la prima volta in zona da tempo immemore, il cervo ed il gatto selvatico, anzi, proprio ora che gli ho chiesto l’autorizzazione a citarlo, mi ha mandato un nuovissimo suo video con una cucciolata di gattini selvatici e un cucciolo di lupo che ulula, tutto ripreso qui vicino. I trofei sono i loro video.
Non siamo soli, non siamo i soli, noi, tra i mammiferi. Anzi, c’è chi è tornato: il castoro in Toscana è una presenza inaspettata, o meglio stava lì da prima di noi, poi venne eliminato ovviamente a causa della caccia, per la pelliccia e per una secrezione ghiandolare usata per fini cosmetici; era il 1500 quando sparì. Come il caso del coniglio selvatico dell’Isola del Giglio, per il quale da anni con un gruppo di amiche e amici militanti lottiamo sul luogo per salvarlo da un forte bracconaggio che in passato agiva indisturbato. Purtroppo lì e in tutto l’arcipelago toscano, sebbene sia Parco Nazionale, non se la passa bene neanche il muflone: sono in programma piani di abbattimento, nonostante le alternative proposte da varie associazioni protezioniste. Ah, il castoro pare sia stato reintrodotto abusivamente da qualcuno, come non esserne felici in questo caso!
Il lupo è ormai arrivato a bussare alle porte delle città anche in Pianura Padana (Mantova, Milano, ed a Novara, mi ha scritto ieri un amico che vive lì e che spero abbia i miei stessi incontri).
E lo sciacallo dorato? In Italia del nord il cane aureo scorrazza dagli anni ’80 e c’è chi ancora non lo sa (per fortuna).
Si vedono sempre più linci sulle Alpi in diversi punti del nord ovest e nord est. Anche il capriolo è in forte espansione e ormai comune in pianura. La lontra è arrivata anche a Bolzano dal nord, già presente in biotopi nel meridione.
Ma tutta questa rinaturalizzazione e riappropriazione degli spazi per gli animali, invece di far ben sperare, si ritorce loro di contro.
L’aria che tira in Italia a livello normativo per quel che riguarda la fauna selvatica è preoccupante; incombe un pericolo su tutto: una modifica alla 157/92 (la legge sulla fauna omeoterma, ovvero sulla caccia a mammiferi e uccelli).
Mi racconta Massimo Vitturi che stiamo correndo un grosso rischio, legato alle recenti esternazioni della Coldiretti, sui cinghiali e per le misure che vorrebbero adottare. E’ una manovra a tenaglia e parallela all’approvazione avvenuta il 30 giugno 2021 in Commissione Agricoltura del Senato, relativa ad un approfondimento assegnato sui danni derivanti dalla fauna selvatica; questa minaccia si chiama: Affare assegnato n.337 “sui danni causati all’agricoltura dall’eccessiva presenza della fauna selvatica” ed è stato approvato da tutti i gruppi parlamentari. In estrema sintesi, si chiede al Governo di modificare la legge 157/92, degradandola da legge che prevede la tutela della fauna, a legge che ne prevede la gestione. Sarebbe un cambio di orizzonte culturale e gli animali passerebbero da individui (o specie) da tutelare a componenti dell’ambiente da gestire in funzione dei bisogni dell’umano. E’ un atto formale, approvato da tutti. E i segnali non sono per nulla incoraggianti, vista la grossa manifestazione di piazza di qualche giorno fa di Salvini a sostegno di una parte di coltivatori (e di tutti i cacciatori).
Al contempo il variegato mondo animalista punta alla totale abolizione, ahimè talvolta in maniera fortemente emotiva e confusionaria, della caccia.
Ancora a livello normativo di recente spuntava un’altra proposta, il DDL Perilli, che prevedeva anche modifiche della legge 157/92, aumentando le sanzioni e inserendo il ritiro del porto d’armi; poi la Cabina di Regia del Piano d’Azione antibracconaggio (uno strumento esecutivo, mai realizzato in toto) aveva preparato una bozza di modifica che era entrata nel collegato ambientale di una legge. Questi emendamenti sarebbero stati importantissimi perché avrebbero aumentato le sanzioni, inserendo la sospensione della licenza per tutti i reati venatori e il ritiro immediato per quelli più seri. Con un colpo solo, a ogni denuncia per reati in materia di caccia, si sarebbe “eliminato” legalmente un cacciatore, senza incorrere nel temuto (dalle guardie venatorie) articolo 131 bis del C.P. che inserisce la tenuità del fatto per tutti i reati di caccia. Purtroppo tutte queste proposte sono sparite.
Andrea Rutigliano, in prima linea a vari livelli sull’osservazione di vicende “selvatiche”, mi aggiorna. L’ex Corpo Forestale dello Stato (ora CC Forestali) sta, negli ultimi anni, estendendo le attività contro la caccia e pesca illegali al Delta del Po; inoltre stanno seguendo due filoni di indagine, in particolare con le operazioni Pullus freedom e Lord of the Rings: uno sul rapimento di aquile del Bonelli e falconiformi dalla Sicilia, il secondo sull’approvvigionamento di richiami vivi ad opera di trafficanti, che poi rivendono agli allevatori.
Per tutta risposta la Lombardia, che coi sui 20.000 capanni di caccia (una pratica da appostamento fisso particolarmente presente nel bresciano) ha un gran fabbisogno di richiami vivi, ha varato da poco due norme, la prima per far mettere l’abbigliamento per la sicurezza stradale alle poche guardie venatorie ancora attive, che saranno più facilmente avvistabili dai bracconieri, la seconda per proibire alla vigilanza di maneggiare gli uccelli da richiamo, così che non si possa vedere se l’anello identificativo (il marchio di riconoscimento per uccelli) sia stato modificato.
Prima del cambio normativo erano stati sequestrati centinaia di uccelli fra Brescia e Bergamo e si avviò una campagna in tutta Italia per scoperchiare la rete dei falsi allevatori.
Si sta discutendo in questi ultimi mesi della caccia a specie di uccelli in pericolo, come quaglia, moriglione, tortora, pavoncella, allodola. Secondo l’Europa si possono controllare purché vi sia un piano di gestione a livello nazionale, che in Italia non è funzionante pertanto si cacciano comunque, in alcuni casi pure col parere positivo dell’I.S.P.R.A. (l’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Recentemente la UE ha espresso pareri in merito e il Ministero di Cingolani ha imposto di non concedere la preapertura della caccia alle tortore (il minimo, le specie interessate sono poche). Le Regioni restano ostiche o ignave e quest’anno, più degli altri, bisognerebbe presentare ricorsi su ricorsi, avendo sostegno dalla UE e dal Ministero.
La questione cinghiali nel Lazio.
A Roma ormai in alcuni giorni sembra non si parli di altro e ben conosciamo alcuni fatti cruenti o episodi grotteschi.
Mi è stato inviato da Rita Corboli uno schema, estrapolato dal “Protocollo d’intesa” tra varie istituzioni, sulla “procedura operativa per gli interventi di rimozione del cinghiale” e già dal titolo si intuiscono le intenzioni. Contiene tante caselle che elencano le varie soluzioni e quasi tutte le freccette portano al risultato finale di “smaltimento spoglie”, tranne due che citano “conferimento vivo a struttura regionale o ditta incaricata”, neppure queste però fanno pensare a qualcosa di buono. Il tutto rimpallando obblighi ad ogni passaggio, come scritto sul protocollo, a un elevato numero di operativi e responsabili: Roma Capitale, Polizia Locale Roma Capitale, Polizia Locale Città Metropolitana, Guardiaparco AAPP Regionali, ASL competente, IZS, ISSN e infine altre forze dell’ordine, qualora mancasse qualcuno.
Con mio grande stupore, tre mesi fa venni chiamato un responsabile dell’ente gestore di tutte le aree naturali di Roma che, evidentemente sopravvalutando il mio ruolo, mi chiese se fosse possibile trasferire tutti i cinghiali che vengono da loro catturati, presso il rifugio che gestisco; si parlava di almeno duecentoquaranta individui fertili e selvaggi. Evidenziai chiaramente l’impossibilità dell’operazione, anche per un solo animale. Proposi loro, di comprare un’enorme area dove rilasciare gli animali sterilizzati gestiti da personale specializzato. Il responsabile prese appunti e mi chiese se avessi intenzione di partecipare ad un eventuale tavolo di lavoro, ma non ne seppi più nulla. Ricollego questa vicenda ovvero tali personaggi e enti, a quando, da giovane implume e in buona fede quale ero, fondai a 18 anni insieme ad altri amici un circolo di Legambiente a Velletri e partecipai, più che altro spinto da spirito No Global (era l’inizio di quel periodo) alle riunioni della sede nazionale; proprio l’attuale presidente dell’ente romano incaricato della gestione dei cinghiali, che allora era presidente di Legambiente, alla mia richiesta ingenua di prendere una posizione contro la caccia, mi derise pubblicamente e rispose con fare plateale “e basta con sta caccia, non è un problema!” e tutti risero. Temo che nulla sia cambiato, al di là delle chiacchiere, in venticinque anni.
Claudio Locuratolo mi ha spiegato che alcune associazioni avrebbero proposto di catturarli, sterilizzarli e reimmetterli nel territorio, ma le istituzioni avrebbero scartato questa alternativa non cruenta, asserendo strumentalmente che la legge affermerebbe che gli animali selvatici non possono essere reimmessi nel territorio. Nei fatti, avviene tutto il contrario, ad esempio due mesi fa una coppia di cinghiali a Setteville è stata catturata e reintrodotta nella riserva di Gattaceca, sempre nel Lazio.
Alla conta di eventi nefasti a tema ungulati laziali, si può aggiungere che è stata indetta dal Quirinale un’asta per la vendita di cinghiali residenti nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano.
Nei boschi, visti gli allarmismi e la confusione, ritorna la pratica di piazzare lacci (cappi scorsoi illegali); anche nel comune in cui risiedo, su mia segnalazione, a due bracconieri è stato impedito di nuocere ulteriormente, sono piccole soddisfazioni di un attivista non più implume.
E’ ormai riconosciuta a livello scientifico e pubblicata in testi e riviste ufficiali, la teoria che la caccia sia una causa diretta del proliferare del numero di cinghiali e che i cacciatori siano i primi colpevoli dell’immissione di specie più feconde, resistenti e invasive.
La prima volta che sentii parlare di estro di cinghiali e strategia riproduttiva “R”, strettamente collegate ai cacciatori e da loro amplificata, fu alla Facoltà di Scienze Naturali de La Sapienza di Roma, che ho frequentato per tanti (troppi) anni, dai professori Carlo Consiglio e Luigi Boitani. Ora vengono confermate e documentate da scienziati di ogni parte del globo e ufficializzate anche da istituti competenti. L’argomento è complesso e parlarne in due righe non è facile, si trovano molti documenti e link online con una breve ricerca, oppure approfondirò, forse, in futuro.
Non posso non citare la vicenda paradossale del mio amico Fabrizio Sulli che, da buon abitante dei boschi, ha raccolto un cinghialetto investito per strada. Fabrizio ha chiamato una veterinaria specializzata, ha curato e nutrito il cucciolo e, poco prima di portarlo in un centro idoneo, è stato perquisito da guardie forestali particolarmente zelanti, che lo hanno denunciato per bracconaggio e detenzione di fauna selvatica; lui che partecipava con me alle campagne antibracconaggio e ha denunciato più volte cacciatori di frodo nel Parco Nazionale in cui vive, ora sta subendo un processo penale per aver salvato un cucciolo di cinghiale.
Questo lungo testo è un insieme di tante notizie, toccate volutamente in maniera essenziale. Non ha alcuna pretesa: mi sono limitato a raccontare qualche fatto attuale o storico, non di facile reperibilità per chiunque, affrontato con leggerezza, tra vicende vissute in prima persona e testimonianze ricercate. Ogni argomento andrebbe approfondito in maniera partecipativa, dando suggerimenti o segnalando sviste o punti non chiari, ma sarebbe necessaria soprattutto una campagna realmente orizzontale e finalmente antispecista sulla fauna selvatica, che unisca la conoscenza e la formazione (o quanto meno le basi), seguite da un attivismo concreto.
Piero Liberati
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Grazie. Racconto esaustivo. Davvero una giungla legale.