Il volto nascosto della lana


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Troppo spesso parlando di veganismo si pensa solo a un determinato regime alimentare. Il veganismo come pratica coinvolge invece ogni sfera del quotidiano mediante una reinterpretazione critica dei nostri bisogni e delle nostre attività, permettendoci di eliminare (per quanto possibile) ogni pratica crudele. Un caso classico è quello della lana. Spesso chi non è vegano si chiede come mai le persone umane vegane si rifiutano di indossare la lana, di seguito si propone un’interessante e dettagliata indagine su cosa significa nella realtà la produzione della lana per gli Animali.


Fonte: www.vegactu.com/actualite/la-face-cachee-de-la-laine-26894

Un’indagine di Jérôme Henriques

Quando parliamo di sofferenza animale, pochi immaginano di poter includere in questo largo insieme l’attività della produzione di lana. Molti sono i luoghi comuni sull’argomento. Tosare le pecore, è un’attività svolta fin dall’alba dei tempi, ad esempio. E poi, gli animali non soffrono, togliamo loro solo il loro vello, cosa anche vantaggiosa per loro, che gli impedisce di avvertire troppo il caldo in estate.

Sfortunatamente, dietro a questa immagine rurale e bucolica, si nasconde una realtà molto più sordida… 

Una parola sulla lana

La lana ha molti vantaggi: è un eccellente isolante termico con capacità di regolazione idrica, è un materiale a bassa infiammabilità, è resistente alle tensioni ed offre un buon isolamento acustico. Utilizzata nell’abbigliamento, nella costruzione (pavimentazioni, pareti isolanti), nella produzione di elementi d’arredo (tappeti, materassi), la lana viene prodotta in grandi quantità in tutto il mondo.

La maggior parte di questa produzione si concentra in tre Paesi: Australia (350.000 tonnellate/anno), Cina (330.000 tonnellate/anno) e Nuova Zelanda (150.000 tonnellate). Con una produzione molto più bassa, troviamo poi l’Iran (50.000), l’Inghilterra, e l’Argentina 1 2

Un materiale naturale?

Nell’industria della lana, le pecore non vengono selezionate a caso. È essenzialmente la Merino ad essere ricercata, una razza la cui particolarità è quella di presentare un vello molto ondulato, con una sovrabbondanza di lana. Nei fatti, sono stati portati avanti ed attuati, programmi di selezione genetica e questo risultato è stato ottenuto dopo diversi decenni di incroci. Senza questa attività, le pecore avrebbero continuato ad adattarsi naturalmente alle stagioni producendo la giusta quantità di lana. Va sottolineato che la pecora è essa stessa una vecchia creazione umana: proviene infatti dall’addomesticamento del muflone, una specie selvatica molto antica e ancora presente oggi, il cui vello è molto più sottile, più simile a quello della capra.

Mostri genetici

La grande disgrazia delle Merino è che non perdono la lana. Questa si accumula nel corso delle stagioni, il che li rende completamente dipendenti dall’intervento umano (tosatura). Basta fare riferimento ai pochi casi di Merino che sono fuggite e hanno vissuto diversi anni in natura per rendersene conto.

Il caso di Shrek, la Merino della Nuova Zelanda trovata dopo 6 anni di peregrinazione con un vello di 27 chili e 40 cm, o quello di Chris, Merino australiana a cui sono stati rimossi 40 chili di lana, o quelli di Cecil e Big Ben con i rispettivi 38 e 29 chili di lana, sono sicuramente indicativi e aiutano a realizzare quanto sia enorme la mostruosità genetica creata dall’uomo.

… destinati a produrre

Date queste premesse, potremmo quasi essere portati a difendere le fattorie dove, dopo tutto, le pecore vengono tosate regolarmente, giusto? Ciò significherebbe dimenticare che la tosatura soddisfa obiettivi economici e non certo il benessere degli animali. Pertanto, anche se è comunemente accettato che la tosatura debba normalmente avvenire in primavera, prima dell’arrivo del clima caldo, ciascuna azienda agisce effettivamente in base alle proprie esigenze. A seconda degli obiettivi di produzione (qualità e/o quantità attese), disponibilità di tosatori e di altre figure interessate come smistatori e cardatori, programmi di vendita (mercati ed eventi) o problemi da evitare come infestazioni di mosche e contaminazione della lana da parte di sostanze vegetali; alcuni allevatori scelgono di tosare dopo l’estate, altri due volte l’anno. Il tutto rispondendo ad esigenze economiche, non certo legate al benessere animale.

… o morire

Capita infatti che alcune pecore muoiano di caldo in estate, a causa dell’eccesso di lana, altre di freddo in inverno, a causa della mancanza di lana. I “problemi termici”, rappresentano di per sé più del 15% della mortalità in allevamento. Altre cause di morte includono fame (21%), problemi perinatali (nati morti, prematuri: 20%), distocia (15%), maltrattamenti (12%), infezioni o problemi che derivano più o meno direttamente dalla vita in allevamento (predisposizione genetica, mancanza di igiene e/o cibo appropriato …)3.

Mandrie gigantesche

Alcune malattie sono causate da un significativo degrado della qualità della vita: la tossiemia della gravidanza (squilibrio tra i bisogni e il contributo energetico della pecora incinta), il parassitismo intestinale, la dermatosi degli zoccoli (footrot), e varie infezioni della pelle, e molte altre malattie sono aggravate da un ambiente insalubre, connesso alla troppa concentrazione di animali. In Australia e in Nuova Zelanda, le fattorie, in genere a conduzione familiare con uno o due dipendenti, gestiscono mandrie gigantesche, composte da diverse migliaia di capi. È quindi impossibile fornire assistenza individuale a ciascun animale.

Il mulesing…

Tra le “cure”, una si rivela particolarmente barbara: il mulesing4.

A causa delle pieghe della pelle e della lana in eccesso, la razza Merino, è particolarmente vulnerabile agli attacchi di mosca, questo per una ragione fondamentale: l’area perianale di queste pecore, costantemente inumidita dalle urine, è un terreno ideale per le mosche che vogliano deporre le uova; così come per le loro larve, che si nutrono poi della carne circostante. Le pecore possono morire lentamente, a meno che, e qui ecco trovata la brutale soluzione, non vengano aiutate a sbarazzarsi dei loro ospiti. Come? Tagliando grandi strisce di pelle dal loro treno posteriore. Un’operazione di solito molto dolorosa ed eseguita a vivo, potenzialmente fonte di nuove infezioni.

… e altre mutilazioni

Il mulesing non è il solo dolore acuto inflitto alle pecore. A partire dalle prime settimane di vita, queste sono già sottoposte a pratiche dolorose. Castrazione, taglio della coda (caudectomia), perforazione delle orecchie: le mutilazioni si ripetono senza il minimo antidolorifico, e spesso nel modo più crudele. Che si tratti di castrazione o caudectomia, il metodo più comunemente usato è il cosiddetto necking (mettere un elastico per bloccare il flusso sanguigno). Tuttavia, se questo metodo ha un vantaggio per gli allevatori che risparmiano tempo, ed evitano complicazioni, è anche noto che sia particolarmente lungo e doloroso per gli animali, addirittura peggiore della pinza o del coltello.

Tosature brutali

L’abuso connesso alla tosatura, è richiesto dalle esigenze di produttività. La tosatura, è pagata in termini di volume e non di tempo. Un professionista tosa in media tra le 100 e le 150 pecore al giorno. Un’attività sportiva vera e propria5, da cui gli animali non ne escono indenni. Dalla fine del 2012 al marzo 2014, gli attivisti di Peta si sono infiltrati in circa 20 allevamenti australiani e hanno filmato con telecamere nascoste i maltrattamenti perpetrati da circa 70 dipendenti. Le immagini sono spaventose. Si possono vedere tosatori che colpiscono le pecore con pugni o cesoie, sbattono le loro teste contro il terreno, le calpestano; alcune pecore sanguinano dal naso o dagli occhi, altre hanno ferite aperte, che vengono poi cucite senza il minimo antidolorifico.

Altre indagini della Peta rivelano lo stesso tipo di abuso negli Stati Uniti (14 allevamenti visitati su 25), Argentina e Cile.

Uccisione halal

Con l’età, le pecore producono meno lana. Arriva dunque il momento in cui sono meno redditizie per la loro lana che per la loro carne. Molto spesso, vengono spedite nel vicino Oriente o nel Nord Africa per la macellazione. Ogni anno, milioni di animali subiscono le conseguenze di lunghe traversate, anche di alcune settimane, in condizioni spesso insopportabili. Ammucchiate in barche a più piani, alcune di esse (tra l’1 e il 28% secondo la Meat and Livestock Australia) muoiono di fame o sete, altre di soffocamento o malattie. Per quanto riguarda i sopravvissuti, nella maggior parte dei casi, saranno sgozzati senza stordimento, secondo i dettami del rituale musulmano.

Vittime collaterali

In Australia, l’industria della lana sta mietendo anche altre vittime, oltre alle pecore. Si tratta principalmente di predatori (volpi, cani selvaggi, dingo)6 e animali che competono con le pecore per i pascoli, ad esempio i canguri, le cosiddette specie “nocive” che devono essere eliminate a tutti i costi. Per i canguri, gli allevatori possono ottenere quote di macellazione (sono quindi obbligati a lasciare gli animali sul posto). Per quanto riguarda i cani selvatici e le volpi, questi sono “abbattuti” in massa. I piani di sterminio sono persino pianificati a livello nazionale. Il metodo scelto? Prevalentemente lancio da aerei o elicotteri di esche avvelenate.

Problemi ecologici

Gli allevamenti ovini sono anche responsabili di importanti problemi ambientali: l’emissione di gas a effetto serra (GHG), in primo luogo, poiché la produzione di 1 kg di vello genera l’emissione di quasi 40 kg di gas serra (equ CO2) nell’atmosfera (quasi il 50% in più rispetto alla carne bovina, a sua volta un grande emettitore)7; l’inquinamento delle acque e delle falde a causa di feci e prodotti chimici come i trattamenti antiparassitari8; la distruzione della vegetazione e della terra con conseguente erosione del suolo. Problemi per i quali si prevede sempre lo stesso tipo di risposta “tecnologica” come la modifica genetica degli stomaci degli animali affinché producano meno gas.

Dalla selezione genetica…

Mentre l’industria della lana continua presentare il suo prodotto come al 100% naturale ed ecologico, è sempre più chiaro che si stia allontanando sempre di più dal concetto di “naturale”.

Un altro esempio significativo è quello della selezione genetica9. Se la selezione naturale ha sempre generato razze adatte “alla vita”, questa pratica, con il suo livello di genotipizzazione e controllo delle prestazioni, fornisce ora razze adatte “alla produzione”10, indebolite e inadatte alla sopravvivenza senza l’uomo11. Tra gli altri problemi specifici, nel Merino è fortemente aumentata la sensibilità alle malattie, sono aumentati gli scarsi comportamenti materni, il criptorchidismo (la mancata discesa dei testicoli nella sacca scrotale), e la mortalità in allevamento rimane notevolmente elevata. Si parla del 20-25% degli animali.

… alla transgenesi e alla clonazione

Ma non ci si limita alla selezione genetica. Recentemente, i ricercatori della Nuova Zelanda hanno sviluppato pecore che producono dal 5 al 10% in più di lana. Come? Introducendo nel genoma degli animali un gene di codifica per la cheratina, una proteina presente nel follicolo pilifero. In futuro, queste pecore transgeniche giocheranno probabilmente un ruolo sempre più importante: forniranno una fibra più lunga, più fine, più calda o anche “naturalmente” colorata.Tanto più che le tecniche di clonazione, sempre più sviluppate oggi, riprodurranno in modo identico e in serie questi animali con un alto valore genetico aggiunto.

Ovini, esseri cognitivi e sensibili

Contrariamente a quanto si dice spesso, le pecore non sono animali stupidi e testardi. Il loro comportamento gregario, dal quale abbiamo tratto molte espressioni (“segui come una pecora”), è in realtà spiegato dalla loro condizione di preda giacché le pecore non si trovano mai in aree prive di predatori. Riguardo al loro QI, uno studio dell’Università dell’Illinois ha anche piazzato le pecore subito dopo i maiali. Alcuni studi hanno dimostrato la loro capacità di riconoscere i volti quelli dei loro congeneri e persino degli esseri umani e addirittura di memorizzarli per anni.
Altri studi sono stati finalmente in grado di evidenziare la loro capacità di provare emozioni (piacere, paura, rabbia) e di interpretare quelli che li circondano (dalle espressioni facciali in particolare)12.

Abbandona la lana

Se non c’è motivo di abusare delle pecore, o addirittura di considerarle come mere risorse sfruttabili, allora bisogna pensare di rinunciare alla lana. Oggi ci sono innumerevoli materiali tessili, alcuni dei quali hanno buone proprietà isolanti. Tra le fibre sintetiche, si può menzionare la famiglia dell’acrilico del nylon o del poliestere. Va ricordato però che la maggior parte di questi materiali sono derivati dal petrolio, per cui non sono fra i più rispettosi dell’ambiente sebbene il riciclaggio minimizzi in parte il problema. Possiamo quindi passare ai materiali naturali, come il cotone (grande consumatore d’acqua), la canapa, il lino, il bambù, l’ortica, il lyocell.

Sicuramente, non sono le alternative a mancare.

Traduzione a cura di Ada Carcione


Note:

1) Dati variabili in base agli anni
2) Circa il 70% della lana utilizzata in Occidente viene dall’Australia.
3) Si noti che ogni anno, una percentuale significativa di pecore muoiono sul dorso, per non essersi riuscite a rialzare a causa del vello troppo abbondante e bagnato.
4) Il mulesing è stato abbandonato in diversi paesi, ma la pratica è ancora attuata in Australia.
5) Esistono campionati di tosatura con record registrati in molti Paesi del mondo.
6) Circa il 4% della mortalità del bestiame è dovuta alla predazione.
7) In Nuova Zelanda, le emissioni di metano, in gran parte da allevamenti ovini, rappresentano oltre il 90% delle emissioni di gas serra del Paese.
8) Va notato che questo eccessivo consumo di prodotti fitosanitari e medicinali dà luogo anche a problemi di resistenza degli ovini agli antibiotici e degli insetti agli insetticidi.
9) Un settore gestito da molti grandi istituti: MerinoTech in Australia, NZ Merino Company in Nuova Zelanda, INRA in Francia etc…
10) Un esempio, il gene booroola, un gene iperprolifico scoperto nel 1959 in un branco di Merino a Booroola (Australia), che da allora si è diffuso attraverso le tecniche di selezione genetica. O il gene Il gene HH1 (halo-hair 1), un gene particolarmente interessante per la produzione di lana per tappeti, scoperto per la prima volta sulla razza ovina Romney e poi distribuito ad altre razze.
11) Va anche notato che la selezione genetica (tra le altre tecniche agroindustriali) è in gran parte responsabile della scomparsa di numerose razze ovine tradizionali,alcune addirittura in pericolo di estinzione.
12) In alcuni casi, è stata persino osservata la loro capacità di risolvere problemi o di adottare un comportamento strategico (nascondere i segni di una malattia per evitare di essere vittima di predatori).


Fotografia in apertura di Jo-Anne McArthur – weanimals.org


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12 Commenti
  1. Paola Re ha scritto:

    Ho parecchi capi in lana nell’armadio. Purtroppo sono cresciuta con l’idea sbagliata che ci si potesse proteggere dal freddo soltanto con la lana. Uno dei tanti vantaggi di essere vegan è quello di avere voglia di informarsi. Quando ho scoperto la crudeltà della lana, l’ho bandita dai miei acquisti. E’ più immediato il messaggio di non vestirsi di pelliccia; alla lana non si pensa molto. Questo articolo è molto utile e soprattutto molto veritiero.

    24 Marzo, 2018
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Giusto! Informarsi e cercare nuove soluzioni alternative sono attività che una persona umana vegana dovrebbe sempre fare.

      6 Aprile, 2018
      Rispondi
  2. Carla ha scritto:

    Vorrei sapere: se la lana non va bene sono da preferire le fibre artificiali? Non sono anche esse frutto di attivita’ per niente etiche che impoveriscono il puaneta? Meglio per noi umani estinguerci?

    5 Aprile, 2018
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Certamente sono da preferire fibre o materiali che non derivino dallo sfruttamento animale, quindi tutte le fibre vegetali (cotone, lino, canapa ecc…) e in seconda battuta le fibre sintetiche. Tutte le attività di produzione di massa nella nostra società non sono da considerarsi etiche, ma da qualche parte bisogna pur cominciare a cambiare, pertanto nella situazione attuale è chiaramente preferibile un indumento che non sia direttamente responsabile di quanto riportato nell’articolo. Inoltre una pratica assolutamente da seguire per il veganismo è il riciclo. Mediante la raccolta differenziata (anche in Italia) molti Comuni contribuiscono a raccogliere ingenti quantitativi di plastica che diventa pile per il confezionamento di abiti. Si possono inoltre utilizzare capi di abbigliamento che parenti, familiari e amici non usano più, creando un circolo virtuoso di riciclo e riutilizzo che risparmierebbe molti danni all’ambiente e molta sofferenza agli Animali. In sintesi non servirebbe estinguerci, ma “solamente” usare il cervello invece di agire come degli zombi.

      6 Aprile, 2018
      Rispondi
  3. Paola Re ha scritto:

    Regalarsi e scambiarsi abiti e calzature è una cosa molto intelligente ma spiegalo a ragazzi e ragazze…
    Hanno la fissazione della moda e ciò che va di moda quest’anno, il prossimo anno non si indosserà più. Vedo come fanno le mie nipoti: mi regalano scarpe e abiti in ottimo stato ma fuori moda da un anno. Il problema è che spesso gli abiti sono in tessuto animale e le calzature in pelle e cuoio.
    Bisogna avere fortuna di trovare persone che comprano e scambiano abiti e scarpe eticamente accettabili.

    6 Aprile, 2018
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      E’ vero e del resto il pensiero mainstream non è mai intelligente.

      11 Aprile, 2018
      Rispondi
  4. Ada Carcione ha scritto:

    Sicuramente una delle strade migliori, a parte l’utilizzo di fibre naturali che è sicuramente preferibile anche all’utilizzo di quelle sintetiche oltre che – ovviamente – della lana, è quella di riciclare il più possibile, o per meglio dire, riutilizzare quanto più possibile gli indumenti ma anche i tessuti in se stessi. Altra strada, visto che vanno considerate non solo le materie prime che compongono i prodotti ma anche la fase della manifattura che spesso prevede lo sfruttamento anche umano, è quella di autoprodurre o di acquistare capi handmade o quantomeno non di grande distribuzione. Certamente è una strada non facilmente percorribile – chiaro – e una ricetta perfetta non esiste, soprattutto per chi punta ad evitare di sovvenzionare non solo lo sfruttamento animale ma anche quello umano. Ma cercare di ragionare prima di ogni acquisto dovrebbe essere alla base a prescindere dalla scelta che poi si decida di compiere.

    27 Aprile, 2018
    Rispondi
  5. Barbara ha scritto:

    Mi dispiace ma qui ci sono molte informazioni false. Innanzitutto la tosatura si fa per il benessere animale, per proteggere la pecora dalla calura estiva ma anche dai parassiti, soprattutto in concomitanza dei parti. Non è vero quindi che si può evitare la tosa! Se così fosse i nostri allevatori italiani ne farebbero ben volentieri a meno visto che devono smaltire la loro lana come rifiuto speciale pagando bei soldoni! E questo perché la lana locale non è più appetibile per l’industria tessile italiana perché la fibra delle nostre razze non è fine come la merino.
    Forse dovremmo pensare ad utilizzare la nostra lana (evitando anche inquinamento ecologico) invece di importare quella delle merino della nuova Zelanda (tutt’altro che a km zero) che vengono allevate in modo intensivo con trattamenti spesso disumani che nulla hanno a che fare con il benessere animale!
    Quindi io credo che sia una scelta eticamente giusta quella di utilizzare la NOSTRA lana (fibra unica dalle innumerevoli proprietà) sostenendo la filiera locale ed insieme ad essa anche l’economia pastorale che fa parte della nostra tradizione millenaria

    21 Novembre, 2019
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Quindi secondo te Barbara chi alleva Pecore lo fa per amore o quantomeno per aiutarle a vivere meglio. O meglio millenni di sfruttamento, di allevamento, di incroci, di commerci, possono essere riassunti in una semplice frase: “si fa per il benessere animale”.
      Forse dovremmo non usare alcun tipo di lana e non quella italiana, perché – sempre forse – per quanto ci si sforzi di camuffarlo, uno sfruttamento è sempre tale.
      Se non si arriva a comprendere ed accettare questo concetto, risulta inutile commentare articoli del genere, che in tutta evidenza non pongono attenzione a questioni nazionaliste o campaniliste, ma ai diritti fondamentali delle Pecore (che non conoscono frontiere) in quanto esseri senzienti.
      L'”economia pastorale” a cui fai riferimento e che tanto viene osannata ai nostri giorni, deriva da una concezione specista, antropocentrica, violenza e patriarcale dalla quale dovremmo prendere decisamente le distanze.
      Se proprio c’è tutta questa nostalgia di tale passato, magari gioverebbe la lettura di un classico dell’argomento: Padre padrone, di Gavino Ledda (tra l’altro la copertina dell’edizione curata dalla casa editrice Il Maestrale è particolarmente eloquente). Tanto per farsi un’idea di cosa ci “perdiamo”.

      4 Dicembre, 2019
      Rispondi
      • Paola Re ha scritto:

        Chi non ha voglia di leggere il libro e preferisca il film dei fratelli Taviani pluripremiato, si prepari anche in quel caso a scene agghiaccianti. L’ho visto da ragazza chiudendo gli occhi davanti a certe scene e da adulta ho replicato. Non si può proprio vedere come i pastori trattavano il loro amato gregge. E nella Sardegna di oggi le cose non sono poi così tanto cambiate.

        4 Dicembre, 2019
        Rispondi
  6. Luana ha scritto:

    Concordo con Barbara… non si può fare di “tutta l’erba un fascio”, vi sono razze ovine autoctone italiane che non subiscono nessuno dei trattamenti citati (no mulesing, no modificazione genetica, nessuna mutilazione..) ma anzi del loro allevamento e cura ne beneficia l’ambiente e i nostri paesaggi montani altrimenti abbandonati.
    La lana purtroppo è considerata uno scarto da smaltire (con costi ingenti) anziché una materia prima, ma le numerose realtà artigianali italiane ci dimostrano quanto sia vero il contrario, offrendoci manufatti unici: dai filati al feltro dai tessuti lavorati a telaio e a maglia fino alla produzione di concime agricolo ottenuto dalla lana scartata dalla filiera tessile…

    4 Dicembre, 2019
    Rispondi
  7. Paola Re ha scritto:

    L’articolo invita a guardare la luna ma c’è chi si ostina a guardare il dito. Esistono cimiteri per pecore? Le pecore allevate per qualsiasi scopo finiscono al mattatoio. Leggere che “del loro allevamento e cura ne beneficia l’ambiente e i nostri paesaggi montani altrimenti abbandonati” fa pensare all’arretratezza di pensiero che purtroppo dilaga. Non sono le pecore a dover essere un beneficio per l’ambiente ma l’ambiente a dover essere un beneficio per le pecore, ovviamente libere di vivere e morire di morte naturale proprio nella natura ma purtroppo ciò non accade.
    Cerchiamo di aprire gli occhi cominciando a non acquistare alcun prodotto fatto col loro corpo: latte, formaggio, lana, pelle e via elencando con le mostruosità.
    Ho ancora capi di abbigliamento in lana risalenti a quando ero ragazza ma da parecchi anni mi rifiuto categoricamente di acquistarne. Bisogna boicottare questi prodotti, come tutti i prodotti derivati dagli animali.

    4 Dicembre, 2019
    Rispondi

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