Orrore negli abissi


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Pesce che nuota

Sotto il velo delle acque dei mari, delle vasche di allevamento, si consuma costantemente il più diffuso animalicidio ad opera degli Umani, le vittime sono quegli Animali comunemente definiti come “pesce”, ovvero individui appartenenti alle classi zoologiche dei Pesci (Tonni, Trote, ecc.) appunto, dei Molluschi come le Cozze, dei Cetacei (quindi Mammiferi) come le Balene e dei Crostacei come le Aragoste ed altri. Sono delle vittime ideali degli Umani e della “nostra” industria zootecnica: sono molti, facili da catturare o allevare in massa e soprattutto sono molto diversi dagli Umani e non urlano: “Se potessimo sentire il loro grido di dolore, sono convinto che smetteremmo di mangiarli” (Enzo Maiorca). Le ultime due caratteristiche riportate possono sembrare provocatorie ma non lo sono: si pensi a come nella percezione comune spesso i “Pesci” non siano neppure ritenuti Animali (ricorrente il caso in cui all’affermazione “Non mangio la carne degli Animali” si sente rispondere con la domanda “Ma neanche pesce?”) bensì degli esseri viventi più vicini, per mancanza di sensibilità  e intelligenza, al mondo vegetale. Sicuramente le differenze anatomiche così nette (mancanza di arti simili a quelli umani, presenza di pinne e pelle squamosa, per alcuni assenza della “faccia”…), l’abitare in un ambiente diverso e lontano dal nostro e la mancanza di una comunicazione sonora a noi udibile, li rendono piuttosto alieni alle capacità  empatiche umane (a onor del vero già  piuttosto scarse anche nei confronti di Animali sostanzialmente a noi identici come gli altri Primati superiori nonché dei nostri conspecifici). Questo rende indubbiamente più ostico per le persone rendersi pienamente conto delle sofferenze che subiscono miliardi di individui animali, ma questo nulla toglie all’esistenza di tali dolori e morti ed al fatto che gli Umani ne siano gli unici responsabili. La quantità  delle vittime è talmente enorme che risulta impossibile stabilire il numero esatto di individui uccisi ogni anno nel loro habitat naturale o in campi di riproduzione e sterminio, e ci rifiutiamo qui di riportare i dati riferiti al peso della carne di Pesci ricavata dal massacro1, in quanto dato privo di qualunque attinenza alle sofferenze individuali ed anzi mistificante; il dato significativo e preoccupante è invece che secondo la FAO: “Aquaculture continues to grow more rapidly than all other animal food-producing sectors. L’Acquacoltura continua a crescere più rapidamente di qualsiasi altro settore dell’industria della produzione di cibo derivante da animali”, e che quindi sempre più (miliardi) di Pesci si troveranno a nascere, vivere e morire in tali centri di “allevamento”.
I Pesci vengono sfruttati ed uccisi in due modalità  principali: attraverso la cattura nel loro ambiente naturale tramite reti ed altri strumenti di pesca oppure rinchiusi e fatti riprodurre in ambienti artificiali (vasche, bacini recintati, acquari) nella cosiddetta “acquacoltura”. Lo scopo del loro sfruttamento è principalmente quello di fornire cibo agli Umani, ma anche agli Animali rinchiusi nei centri di riproduzione e sterminio, di fornire materia organica per alcuni prodotti (colle, ecc.), di sostenere il business della cosiddetta “pesca sportiva” e della acquariofilia. Le condizioni di concentramento nella “acquacoltura” sono ovviamente innaturali e stressanti e sia nel caso della cattura nell’habitat naturale che nella prigionia la uccisione avviene sempre in maniera dolorosa e con lunga agonia: i metodi comuni sono quelli della asfissia, del congelamento e dello schiacciamento:

“L’asfissia, normale metodo usato per il pesce di cattura, viene considerato un trattamento molto stressante ed inumano per il pesce perché procura una lunga agonia. (…). Alla stessa stregua, l’uccisione in acqua e ghiaccio, normalmente utilizzata per le specie marine in Italia, viene vista a livello europeo come un metodo da evitare poiché la bassa temperatura dell’acqua rallenta tutti i processi biochimici e diminuisce l’esigenza di ossigeno allungando ulteriormente l’agonia” 2.

La scienza stessa sta ora riconoscendo (a prezzo dell’uccisione inutile di molti Animali) ciò che è evidente per chiunque abbia avuto un contatto con un Pesce, ovverosia la sua capacità  di provare dolore, di riconoscerlo, ricordarlo e cercare di fuggire da esso. Ma oltre alle sperimentazioni di varie Università  che non citeremo per esprimere la nostra totale condanna di tali pratiche, bastano le affermazioni degli stessi “addetti” del settore per avere uno sguardo sulla realtà : “la cattura del pesce comporta l’instaurarsi di uno stato di stress che, a seconda dell’intensità  e della durata, può arrivare a condizionare la qualità  organolettica, merceologica e sanitaria del prodotto finale, (…). Del resto questa stretta relazione fra lo stress prima e durante la macellazione e la qualità  delle carni è stato ormai da tempo riconosciuto nel caso degli animali terricoli. Condizioni di stress prima della morte causano infatti l’instaurarsi di alterazioni endocrine che avviano processi di richiamo e di forte consumo delle riserve glucidiche.”3 (N.d.A.: chi scrive ha praticato da adolescente la “pesca sportiva” e ben ricorda la sofferenza dei Pesci tratti dall’acqua con l’amo in bocca, la loro volontà di fuggire e la resistenza e dolore che mostravano durante l’uccisione, che avveniva spaccandogli il cranio battendoli ripetutamente sulla terra). La situazione dei Pesci nel loro rapporto con la società  umana, attraverso le scoperte della manipolazione genetica e alcune pratiche di allevamento sperimentali, prefigurano uno scenario inquietante di “fabbriche del pesce” costituito da edifici contenenti vasche con ambienti acquatici artificiali di riproduzione industriale e di uccisione meccanizzata di miliardi di Animali; scenario questo che potrebbe essere la perfetta allegoria del mostro umano chiamato zootecnia: simbolo della vittoria della logica della macchina economica e della tecnologia sulla carne vivente e senziente, vittoria che si badi non è degli Umani, e di cui anzi anche noi in un modo o nell’altro saremo (e siamo) vittime.

Andrea Furlan

Note:

1) chi fosse interessato a conoscere la situazione dell’industria dello sfruttamento dei Pesci nel mondo consulti THE STATE OF WORLD FISHERIES AND AQUACULTURE 2006
2) fonte Prof. Bianca Maria Poli, Docente Dipartimento Scienze Zootecniche – Università  degli Studi di Firenze.
3) idem


Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno III / n° 2 del 18 giugno 2009, p. 1


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