Zoopticon


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Elaborazione del discorso letto da Francesco Cortonesi in occasione della manifestazione svoltasi a Roma il 16 settembre 2017 per la Giornata Mondiale per la Fine dello Specismo.


L’antispecismo è un movimento rivoluzionario che vuole mostrare ciò che pur essendo davanti ai nostri occhi viene abilmente nascosto da una società basata sul dominio. Un dominio subdolo che a sua volta viene occultato da una moltitudine di parole come “libertà”, “uguaglianza”, “solidarietà”, “fratellanza” usate impropriamente dal potere costituito come dei paraventi per rendere eticamente accettabile ciò che non lo è. La reclusione, proposta come forma positiva di controllo, strutturata secondo una precisa divisione spaziale trova nel Panopticon, la grande struttura utopica della fine del Settecento che Jeremy Bentham aveva immaginato, la figura architettonica ideale, riproducibile, a seconda delle esigenze, in forme perfettamente integrabili e accettabili nella società che ci avvolge.

Il suo effetto principale è indurre nel detenuto una coscienza del proprio stato di visibilità che assicurerebbe il funzionamento automatico del potere. Per Bentham il potere doveva essere visibile e al contempo inverificabile. Non sono più necessari strumenti coercitivi estremi come le catene, gli spazi totalmente ristretti, la violenza continua per ridurre alla docilità. Il detenuto deve percepire una parvenza di libertà all’interno dello spazio limitato e per far questo tutto quello che serve è che le separazioni siano nette e le aperture che permettono visibilità e controllo ben disposte. In poche parole, con il modello Panopticon la prigionia assume un’altra forma: non più coercizione estrema e punizione, ma controllo e osservazione.

Non è un caso che questa nuova forma di prigionia, in grado di alleviare il potere dalle sue pesantezze fisiche peraltro anche costose, che richiedevano un alto numero di controllori disposti a soggiogare personalmente i detenuti mediante catene e violenza necessaria a garantire la punizione, venne ideata quasi sicuramente partendo dal serraglio che Le Vau aveva costruito a Versailles per il Re di Francia Luigi XIV in modo che lui potesse osservare in tutta sicurezza numerose specie di animali esotici direttamente dal suo salone, avendo l’impressione di osservare questi animali nel loro ambiente naturale e non in un giardino perfettamente organizzato nel cuore della Francia.

Il Panopticon è il serraglio del Re.
Il serraglio del Re è il Panopticon.

Animali umani e non umani sono i protagonisti reclusi di questa nuova forma di controllo. Il detenuto, che sia un essere umano o una giraffa, vive la sua limitazione non in funzione di un qualche progetto di recupero, ma esclusivamente per essere osservato e controllato.
Prigioni e zoo hanno molto in comune.
Volendo si può ipotizzare una variazione sul tema del panottico e azzardare un neologismo: lo “Zoo-opticon”. Nonostante sia apparentemente in crescita il numero di persone umane che si dichiarano contrarie agli zoo, ancora oggi anche in ambito antispecista, vengono relativamente presi in considerazione, del resto il proliferare degli zoo di nuova concezione, bioparchi e zoo safari per intendersi, induce l’idea che le tanto sbandierate parole chiave come “conservazione”, “protezione” e “educazione”, riferite alla missione che gli zoo stessi si attribuiscono, siano finalmente sul punto di avverarsi. Così ancora una volta, il potere costituito nei confronti degli altri Animali reinventandosi a parole e riorganizzando gli spazi proprio come i principi alla base del modello del Panopticon suggerivano e consigliavano, si occulta di nuovo.

Come il nuovo modello di prigione immaginato Bentham si scagliava con forza contro la vecchia concezione della “casa di correzione” con la sua struttura a fortezza, così lo Zoo-opticon si scaglia contro lo zoo classico, sfruttando il favore della percezione che offre la sua nuova organizzazione degli spazi, peraltro più estetica che reale, cercando di convincere che la limitazione della libertà sia ora da leggere in ottica esclusivamente positiva e che un Leone finalmente libero da catene e recluso in mezzo ettaro di terreno verde e perfettamente organizzato, sia finalmente un Leone felice. In apparenza il principio del nuovo zoo non può che essere considerato apprezzabile all’interno della società dello spettacolo: rendere visibile e accessibile a una moltitudine di Umani il non facilmente visibile. Ridotto ai minimi termini significa “mostrare a tutti un piccolo numero di oggetti”.
E tanto meglio se questi oggetti sono esseri viventi provenienti da paesi lontani e costosi da raggiungere.

Alcune persone umane che regolarmente frequentano zoo, percepiscono la reclusione ma solo in virtù dell’ambiente ristretto. Non si pongono cioè il problema della limitazione della libertà ma esclusivamente quello delle condizioni di reclusione. Quindi così come esiste l’idea della “carne felice”, ovvero che uccidere e mangiare Animali allevati al di fuori degli allevamenti intensivi e che abbiano trascorso la loro estremamente ridotta esistenza all’aperto sia etico e auspicabile, così esiste l’idea del “detenuto felice” che lo Zoo-opticon propone al visitatore.

Lo zoo di fatto ripropone il modello della prigione e come la prigione ci appare la forma più civilizzata di tutte le pene, così lo zoo ci vuole apparire come la forma più civilizzata della conservazione della Natura. A questo servono i tanti cartelli informativi che annunciano ai visitatori progetti, spesso inverificabili, di supporto alla Natura e agli Animali: a sostenere cioè che la detenzione che ci troviamo davanti non può essere confusa con la semplice privazione della libertà, ma come forma di conoscenza del detenuto, della sua condotta, delle sue necessità rendendo così i dominati collaboratori apparenti dei dominatori, cosa particolarmente apprezzata da chi gestisce il potere. Naturalmente non si può chiedere al detenuto dello zoo cosa ne pensa di tutto questo.

La macchina specista che costituisce la nostra società, nel caso dello Zoo-opticon offre un ulteriore aggancio: l’Animale può essere recluso senza aver compiuto alcun reato, semplicemente in virtù della sua presunta inferiorità nei confronti dell’Umano che ha tutto il diritto di stabilire cosa farne di lui. L’incasellamento nelle gabbie senza sbarre, la catalogazione della specie e la generalizzazione dello stato di conservazione sono tutto quello che c’è da fare e sapere a riguardo. Negli zoo non si racconta mai la storia dell’individuo se non raramente in funzione di un possibile incremento di interesse del visitatore che naturalmente coincide con un incremento economico. Non si racconta la storia di Pippo, l’Ippopotamo femmina che da 35 anni vive in un piccolo recinto dello zoo di Falconara, non la storia Bruno l’Orso regalato nel 1977 dall’Unione Sovietica allo zoo di Cavriglia per celebrare il ricordo di un partigiano caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, non la storia di Riù, il Gorilla recluso nello zoo di Fasano che passa le sue giornate davanti a una televisione posta all’interno della sua gabbia, si parla di Ippopotami, Orsi e Gorilla come se fossero ambasciatori volontari, intenzionati a restare anonimi, della loro specie. Lo Zoo-opticon reclude e spersonalizza senza che il visitatore se ne accorga.

Il compito del movimento antispecista è anche quello di smantellare le sue strutture segreganti come gli zoo in ogni loro forma e variante. L’idea dello zoo è senza dubbio un modo economicamente vantaggioso per proporre una parvenza di soluzione allo stermino di milioni di Animali e l’estinzione di numerose specie che noi stessi stiamo perpetrando. Il nostro compito è quello di ripensarsi da cima a fondo, di proporre una visione politica nuova che prenda in considerazione l’animalità che svuoti la società della disumanità segregante e incasellante che la logica economica ci impone. Abbiamo ancora speranza, ma dobbiamo coglierla adesso.

Francesco Cortonesi


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Un commento
  1. Roberto Contestabile ha scritto:

    Il problema principale è credere di essere liberi di effettuare delle proprie scelte all’interno di una presente specista…quando invece il carnismo è tragicamente un inculturazione vera e propria!

    10 Novembre, 2017
    Rispondi

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