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Da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il nuovo Coronavirus (Covid-19 o SARS-CoV-2) una pandemia, in pratica non esiste un continente che non sia stato interessato dalla sua presenza. Con il crescere del contagio, sono cresciute le emergenze sanitarie e diminuite le libertà individuali e collettive, fino a giungere a situazioni giustamente paragonate agli scenari immaginati nei romanzi distopici di Orwell, Huxley o Bradbury. I media fanno a gara nello snocciolare dati, tendenze, curve ascendenti e discendenti di contagi, raggiungimento di picchi ed elenchi di decessi; scienziati e esperti nelle più svariate discipline si affannano a fornire pareri su come uscire (più o meno indenni) dalla pandemia, su come dovremmo condurre gli interventi necessari a contrastarla e le modalità per convivere con il virus. Tutti si concentrano sul come arginare il dilagare di Covid-19, nessuno o quasi si interroga sul perché questo virus abbia colpito così duramente la nostra specie: ora non c’è tempo, dopo non ci sarà più la voglia di farlo.

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Di Richard Ryder, in Paola Cavalieri e Peter Singer, The Great Ape Project, St. Martin’s Griffin, New York, 1993, pp. 220-222.


Gli scimpanzé fanno l’amore quasi come gli umani, ma di solito non corrono il rischio di contrarre la sifilide. A meno che non siano in un laboratorio. Un’immagine che mi ha sempre ossessionato è la fotografia riprodotta in un giornale medico danese degli anni ’50 di un piccolo scimpanzé triste che moriva di sifilide sperimentale, coperto da lesioni cutanee. L’ho usato nei miei primi due volantini dei diritti degli animali del 19701.
Proprio perché i nostri cugini scimpanzé si sovrappongono con più del 98 per cento dei loro geni con noi, sono stati e continuano a essere sfruttati senza pietà nella scienza. La loro unica protezione è stata il loro costo.

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L'orrore che non vogliamo vedere - Cristina Beretta
Il progresso etico non si genera dal nulla, ma può fondarsi solo su ciò che già esiste. Questa nozione socratica del “ricordo” di ciò che deve essere portato alla coscienza in modo coerente, può rispecchiarsi in questa descrizione: noi tendiamo a considerare la nostra esistenza come iscritta nell’ordine naturale delle cose. Siamo nati con dei diritti, in genere rispettati, non abbiamo sofferto la fame, non siamo stati schiavizzati, abbiamo passato un’infanzia in cui siamo stati accuditi, curati se ammalati, abbiamo giocato, studiato, fantasticato, pensato al nostro futuro. Qualcuno si è occupato di noi, genitori, parenti, insegnanti,ecc.. Siamo cresciuti in un contesto sociale in cui i rapporti con una cerchia sempre più allargata di persone ci hanno fatto sentire parte integrante di una comunità. Occupiamo un posto ben definito e difficilmente qualcuno potrà non considerare i nostri interessi o abusare di noi.

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Continuiamo la trattazione dell’articolo “a puntate” La lontananza uccide? Diritti animali e compassione di Filippo Trasatti inaugurato lo scorso numero. Buona lettura.


La lontananza uccide? Diritti animali e compassione (seconda parte)

Le operazioni del diritto

Il diritto, come creazione culturale umana, è necessariamente antropomorfico e antropomorfizzante nella misura in cui è il risultato di un punto di vista umano sul resto del mondo. Una parentesi breve a proposito di antropomorfismo. Vinciane Despret lo ha definito ironicamente il peccato capitale per lo scienziato, il più grave peccato dopo la mela di Adamo. Forse bisogna ammettere che ci sono gradi diversi e sensi diversi in un approccio antropomorfico*.

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