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Si propone la lettura di un interessante – anche se datato – testo pubblicato da Gary L. Francione sul suo sito web. In esso si affrontano alcuni argomenti che permettono di puntualizzare dei concetti utili per una riflessione di stampo antispecista (in coda all’articolo) sul veganismo e sulla pratica vegana.


Fonte: www.abolitionistapproach.com/peter-singer-oh-my-god-these-vegans
di Gary L. Francione

Nel dibattito in corso tra coloro che promuovono l’approccio abolizionista e coloro che propongono quello welfarista, alcuni tra i welfaristi dichiarano il proprio supporto al veganismo, così c’è in realtà poca differenza tra loro riguardo al fatto di mangiare e usare prodotti d’origine animale.

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Sea Shepherd irrompe nel dibattito sul leone Cecil: il veganismo è “purismo” e risulta “elitario”

di Gary L. Francione

Fonte: www.abolitionistapproach.com/sea-shepherd-weighs-in-on-cecil-the-lion-insisting-on-veganism-is-purism-and-elitist

Paul Watson di Sea Shepherd è entrato di forza nella controversia su Cecil il leone. Watson bersaglia quelli di noi che sostengono l’assoluta mancanza di una significativa differenza morale tra uccidere gli animali per sport e uccidere gli animali per il piacere del palato, e che si oppongono all’uccisione di Cecil come impegno di rigetto del massacro di oltre 60 miliardi di altri animali a fini alimentari (senza contare quelli marini).

In “The Cult of Competitive Purism”, Watson sostiene che quelli di noi fermi su questa posizione siano “elitari” e colpevoli di “purismo”.

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Ogni percorso finito ha un suo punto di partenza ed un suo arrivo. Non fa eccezione la filosofia antispecista che come punto di arrivo ha la liberazione animale (umana e non) e di conseguenza una nuova società  umana libera, solidale ed egualitaria. Disquisire sul percorso e sul suo arrivo è già  un esercizio arduo, ma risulta impossibile se viene a mancare un requisito fondamentale: una partenza comune. Fuor di metafora ci preme come redazione della Veganzetta affrontare il tema delle radici comuni del pensiero antispecista, radici assai complesse e variegate, ciò perché senza una solida base da cui partire ogni sforzo per avanzare risulterebbe vano, e quanto sta accadendo, e quanto è accaduto di recente, lo dimostra.
Individuare un’unica origine generatrice dell’antispecismo non è possibile, proprio per il fatto che risulta chiara una sorte di commistione tra diverse anime e visioni a volte tra di loro anche poco compatibili. Storicamente si può ricondurre la nascita ufficiale del pensiero antispecista agli anni ’70 del secolo scorso, e precisamente al 1970 quando Richard D. Ryder, uno psicologo inglese, conia il termine “specismo”1. Analizziamo però una considerazione dalla quale si è evoluto molto del sentire comune antispecista:

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L’occuparsi di diritti degli Animali, trascendere (non dandole per assodate, ma ignorandole) tutte le problematiche legate alla società  umana, per concentrarsi sulle immensità  del dolore animale causato direttamente da tale società, rappresenta non solo un clamoroso errore strategico, ma anche un pericoloso cedimento concettuale.
Il problema di fondo – a nostro avviso – è la scarsità  di approfondimento della questione prettamente “umana” della filosofia antispecista; mentre sempre più persone possono senza difficoltà  dirsi d’accordo con il concetto di diritti animali, concetto affrontato da autori del calibro di Peter Singer, Tom Regan, Gary L. Francione, Jim Mason, James Rachels – solo per citare i più blasonati – pochi hanno ritenuto opportuno affrontare forse l’aspetto fondamentale dell’antispecismo, sempre citato, ma quasi mai indagato: la liberazione animale.

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