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Con l’avanzata mondiale di COVID-19 tornano in auge film e serie TV che tracciano scenari distopici post-apocalittici, causati da pandemie, che colpiscono la nostra specie. Una di queste serie è molto famosa, risale addirittura agli anni ’70 del secolo scorso e ce ne parla Tamara Sandrin in un suo articolo. La serie in Italia è conosciuta come “I sopravvissuti” e propone un’ipotesi inquietante su ciò che potrebbe diventare una società umana scampata a un virus letale. Nella serie in questione, in estrema sintesi, si sostiene che non solo la nostra specie potrebbe non imparare nulla da un evento come una pandemia provocata dalla distruzione della Natura, ma addirittura potrebbe cercare di riorganizzare una società secondo modalità anche peggiori rispetto a quelle già conosciute.
Survivors
fonte: cavegan.wordpress.com/2020/03/18/survivors
Ovvio e scontato, oggi, parlare di Survivors1 (serie inglese degli anni ’70 creata da Terry Nation), ma vorrei proporre delle riflessioni, amare, che la serie ha da sempre suscitato in me e che ora sento vive e pressanti, oltreché attuali.
La storia è nota: la diffusione di un virus (una sorta di peste polmonare) partito dalla Cina porta all’estinzione di oltre il 99% della popolazione mondiale2, causando quindi l’estinzione della civiltà, quale la conosciamo, in quasi tutti i suoi aspetti: economici, sociali e morali. La serie, in particolare le prime due stagioni, è realizzata con acume, intelligenza e accuratezza e analizza, dai punti di vista dei diversi personaggi, le varie difficoltà di sopravvivere in un mondo che si rivela totalmente estraneo e totalmente ostile; mette in luce l’impossibilità di ricostruire la propria vita, fin dai più semplici e basilari atti quotidiani, e di ricostituire una società che si possa considerare, se non solidale, quantomeno civile.
Survivors, in particolare, mette in scena la diffidenza, il timore, la sfiducia, nei confronti dell’altro.
Le tematiche che la serie affronta, dunque, sono principalmente la paura e la fame, gli incontri e gli scontri con le altre persone, il senso di necessità di riconquistare la propria autosufficienza, reimparando a fare ogni cosa, il desiderio umano di unirsi e stare insieme, di formare delle comunità. Gran parte della serie, infatti, è dedicata proprio ai tentativi di creare delle comunità autonome e quanto più possibile efficienti.
L’economia di sopravvivenza delle varie comunità si basa quasi esclusivamente sul modello agricolo (agricoltura di sussistenza con aspirazione a divenire, col tempo, intensiva) e di sfruttamento animale, Survivors non ci risparmia nulla del suo aberrante catalogo: caccia (con fucile, arco e frecce, balestra, trappole, ecc.), allevamento (polli, ovini, bovini, maiali), macellazione e trasformazione delle carcasse, uso dei cavalli per il lavoro e come mezzi di trasporto, uccisione dei cani rinselvatichiti, ecc.
L’umanità che ci mostra Survivors è fatta di egoismi e ferocia, le sue comunità sono spesso di stampo paramilitare, nazista e persino condotte secondo i principi dell’eugenetica, nel migliore dei casi fondate sulla divisione del lavoro in base alle vecchie classi sociali3: chi nel “vecchio mondo” aveva avuto ruoli direttivi, dirigenziali, o svolto lavori intellettuali, o semplicemente fatto parte dell’upper class, continuerà ad avere più o meno le stesse prerogative e a ricoprire i ruoli di leader delle comunità; chi al contrario proveniva dalla classe operaia, dal proletariato, sarà sempre subalterno. E le tensioni, legittime, verranno risolte sempre, o quasi, con dimostrazioni di forza, soperchierie o minacce (di allontanamenti, esclusioni, abbandoni e finanche di violenza fisica e morte). Non solo, con estremo raccapriccio, scopriamo che in alcune zone della campagna inglese e nell’ancor popolosa e popolata Scozia vige l’autorità del Lord, signore feudale che riporta in auge anche l’aristocrazia terriera.
Insomma nel nuovo mondo dei sopravvissuti permangono le peggiori caratteristiche di questo mondo, la forza al servizio del capitalismo: perché il fine ultimo delle “migliori” comunità è il ripristino dell’economia capitalista che non guarda alle aspirazioni degli individui ma alla loro funzionalità all’interno del sistema. Ricostruire le infrastrutture (ferrovie, porti, linee elettriche e telefoniche, ecc.), far ripartire gli scambi commerciali e i contatti tra persone e comunità con l’emissione e la diffusione della moneta per giungere, attraverso una fase federativa, all’unità nazionale sotto l’egida di un re.
Un re incoronato già morto, fasullo come la moneta con la sua effige, che regnerà su un popolo di zombie risorti dalle ceneri del capitalismo.
Tamara Sandrin
Note:
1) Terry Nation, Survivors (I sopravvissuti), Gran Bretagna 1975-1977, BBC.
2) Si parla di qualche migliaio di sopravvissuti in Inghilterra, di cui cinquecento nella sola Londra e di dodici persone al Cairo. Pochissimi sopravvissuti in Norvegia con poco cibo e molte fabbriche funzionanti. Curiosamente in Scozia, invece, sembrano essere sopravvissuti/e quasi centocinquantamila scozzesi… probabilmente grazie al massiccio consumo di whiskey!
3) In questo funereo quadro spiccano almeno tre comunità alquanto diverse: una comunità vegetariana e pacifica retta da una ragazza indù e da un anziano “illuminato”, una costituita solo da bambini e una comunità di minatori installata in un country club, dedita a giocare a biliardo e bere birra, finché i suoi membri non vengono convinti a riavviare la miniera.
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Primo episodio della serie:
http://www.youtube.com/watch?v=GW5gHjqYeOo