Storia di un dimenticato


Si legge in circa:
2 minuti

Non ricordi da quanto tempo sei chiuso là dentro, potresti anche esserci nato e non saperlo più.
La tua vita era con la tua famiglia, con gli altri membri del tuo gruppo che, come te, cercavano la migliore delle esistenze possibili. Poi, non si sa come, le sbarre, l’angoscia.
Ora ti senti solo, anche se sei circondato da tanti tuoi compagni che vorrebbero andare via di lì, ammassati come pagliuzze di fieno in una balla.
Sogni la libertà, la dignità, uno spazio e un tempo che nemmeno il peggiore dei tiranni dovrebbe togliere ad alcuno.
E invece sei ancora lì, notte e giorno.
E i giorni passano lenti, sempre la solita litania che si ripete inesorabile, con i ritmi scanditi dalle piccole abitudini imposte da chi ha deciso di toglierti la libertà.
Perché quando si è “dimenticati” ci si sente soli, anche se per buona parte della giornata si è circondati da persone. Persone che ti vedono come un oggetto, che ti trattano in maniera brusca, a volte ti deridono, come fossi qualche cosa da utilizzare e poi gettare, come una scarpa vecchia. E quando queste ti si avvicinano, hai paura, tremi, cerchi di allontanarti da quegli individui che sembrano non promettere nulla di buono. A volte portano via alcuni dei tuoi compagni: uno di loro arriva, apre la porta, li afferra e li trascina lontano dalla tua vista.
E nessuno di loro fa ritorno.
Forse sono stati riportati a casa, nel posto nel quale avrebbero dovuto vivere, chissà.
O forse no.
Capita alle volte che ti chiedi se in realtà non sia tu quello strano, se il modo in cui vivi non sia proprio quello fatto per te, in fondo se tutti quelli che ti si avvicinano hanno lo stesso atteggiamento, potrebbe voler dire questo. Ci pensi un po’, quasi ti convince, poi cerchi di guardare fuori, carpire gli odori, i colori, le sensazioni. Le pareti, le sbarre, i muri.
Non capisci perché ti è stata preclusa la libertà, senti che non sei fatto per questa vita che qualcuno ti ha imposto. Ti senti emarginato, umiliato, svilito da un’esistenza che non si può chiamare Vita, non nel senso in cui tanti la intendono, quelli che possono scegliersela, quelli che vivono oltre le sbarre.
Già, le sbarre.
Le sbarre possono essere fisiche, fatte di ferro, di cemento. Ma possono anche essere nella tua mente e bloccare ogni azione o pensiero, proprio come una prigione vera. E non sono più facili da oltrepassare di quelle dure come il marmo.
Un dimenticato è un Umano, un emarginato, appartiene a una minoranza.
Ma un dimenticato è anche un Visone prigioniero in un allevamento, un Leone condannato a esibirsi in un circo, una Mucca da latte spremuta fino alla morte, un Ratto imprigionato all’interno di un laboratorio di vivisezione.
Le emozioni, i sentimenti, la ricerca della libertà sono gli stessi per tutti.
Non c’è differenza nella sofferenza e non ci deve essere differenza nel rispetto.

Veronica Corsini per Veganzetta


Se hai letto fin qui vuol dire che questo testo potrebbe esserti piaciuto.
Dunque per favore divulgalo citando la fonte.
Se vuoi Aiuta Veganzetta a continuare con il suo lavoro. Grazie.

Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.

2 Commenti
  1. Roberto Contestabile ha scritto:

    Commovente ed utile per la causa.
    Purtroppo la Liberazione Animale ha bisogno di tristi protagonisti sofferenti per scatenare sdegno e disapprovazione in chi non riesce a risvegliare la propria coscienza…e proprio per questo bisogna colpire il nervo sensibile, e batterci forte sopra, per far capire le vere atrocità di cui noi, spesso, siamo artisti nel compierle!

    11 Febbraio, 2015
    Rispondi
  2. Veganzetta ha scritto:

    A volte purtroppo non basta nemmeno la denuncia della sofferenza altrui per ottenere un moto di sdegno. In ogni caso è sempre importante denunciare, riflettere, immedesimarsi, raccontare…

    13 Febbraio, 2015
    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *