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Se si vuole davvero cambiare qualcosa, bisogna cominciare a cambiare sé stessi, andare contro sé stessi fino in fondo. Il massimo impegno civile è l’auto-contestazione
Carmelo Bene, su L’Europeo, 1968
Prendendo spunto dalla frase di Carmelo Bene, si può affermare che l’antispecismo è auto-contestazione, anzi che l’auto-contestazione, l’autocritica e l’impegno personale coerente per un cambiamento in prima persona, sono il fulcro della pratica antispecista.
Sempre più si incontrano persone umane che parlano di antispecismo, di veganismo etico, di cambiamenti sociali ma che, alla prova dei fatti, si rivelano più che indulgenti e permissive con se stesse, salvo poi additare e giudicare l’operato altrui.
La radicalità di una filosofia come quella antispecista riguarda principalmente noi: siamo e dobbiamo essere una sorta di “palestra quotidiana” per le nostre idee, questo per sperare di poter raggiungere realmente un risultato significativo e per coerenza: non si può pretendere dalle altre persone ciò che noi non siamo in grado di ottenere.
E’ necessario provare, sperimentare, verificare su di noi ogni risvolto pratico del nostro pensiero, esigere da noi un cambio di rotta per non continuare a essere prodotti del nostro tempo, e per ri-costruirci secondo diversi criteri mediante un nuovo paradigma. Siamo il risultato vivente della società gerarchica del controllo, del dominio e dei consumi; prima di proporci all’esterno è necessaria una seria pratica di autocontrollo e autocritica. Forse è scomodo a dirsi, ma dobbiamo divenire l’esempio di ciò che intendiamo realizzare: lo dobbiamo agli Animali e in definitiva anche a noi.
La posizione di Carmelo Bene assume una valenza universale nel momento in cui “davvero cambiare qualcosa” significa tendere a giustizia, uguaglianza, libertà. Può significare nel nostro caso liberazione animale: una liberazione possibile solo se in qualità di persone umane antispeciste riusciremo a liberarci da ciò che ci hanno insegnato ad essere.
La lotta contro la tragedia animale richiede impegno, determinazione, coerenza e convinzione, non è più tempo di mezze misure.
Buon lavoro a noi.
Adriano Fragano
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No Adriano, così non funziona. Il concetto è semplice: non è possibile far leva su un aspetto che ha dimostrato di essere il problema. In altri termini te, io, altri possiamo immaginare quello che hai detto perché in noi si è creata la condizione per una presa di coscienza atipica. Ma lo stesso ragionamento non funziona nel 99,9% dell’umanità. Possiamo imprecare all’infinito ma se non si trova un’altra strada predicheremo nel deserto. Del resto ha 150 anni e più la scoperta della pietra filosofale nella filosofia: “non è la coscienza che cambia il mondo, ma sono le strutture sociali che cambiano la coscienza (collettiva, perche’ quella individuale segue logiche che potremmo definire “quantistiche”). Il rifuto di questo principio è un errore che mi turba il sonno. Ovunque mi giri trovo questa idea in mille versioni. E, bada bene, non solo nell’ambiente antispecista, ma in qualunque ambiente. Sia antagonista sia conservatore, progressista o reazionario. Non a caso il mondo si depriva delle risorse per una sua possibile rinascita e sprofondiamo tutti verso il caos.
Caro Aldo,
Grazie per il tuo commento che è utile per avviare un dibattito sulla questione.
Il problema è che il concetto NON è semplice come crediamo.
Siamo abituate/i a pensare in modo lineare: ad ogni azione corrisponde una reazione, ogni effetto ha la sua causa; la realtà, però, è più complessa purtroppo, e la nostra visione riduttiva e lineare spesse volte non ci permette di percepirla adeguatamente. L’articolo parla di responsabilità individuali e di auto-critica, tu parli di responsabilità sociale e di critica sociale, ciò ci fa immediatamente pensare che si sta parlando di due ambiti diversi, l’equivoco è proprio questo: percepiamo la società umana, le sue strutture, le sue logiche, i suoi apparati come alieni, come “altro” lontano da noi che ci controlla e ci dirige, come qualcosa che ci domina e che dovremmo cambiare; percepiamo la società umana estranea e distaccata dall’individuo, ma se ci fermassimo a pensare un attimo in maniera circolare, potremmo comprendere che la società umana è parto ella nostra mente, che è emanazione delle nostre visioni, che è un’architettura complessa e potentissima che noi abbiamo costruito e che ora ci controlla, ma essa è formata da un numero enorme di singolarità: ogni individuo ha un suo ruolo nella macchina sociale, ogni singola persona nel suo piccolo riproduce – nel bene e nel male – ciò che ha appreso dalla società che così si rinnova: non muore e anzi prospera con il passare delle generazioni. Non si deve certo pensare a una società umana come somma di singoli individuo (non sarebbe una visione corretta), ma nemmeno pensare che la società umana sia un’entità slegata da noi che non ci appartiene perché le sue logiche sono dentro ciascuna/o di noi.
Tu parli di cambiamenti sociali, nel nostro caso rivoluzionari, ma chi dovrebbe compierli? Il singolo individuo? Un gruppo? Una lobby? Un partito? La società? Ma chi risiede nei posti chiave della società? Chi siede nella stanza dei bottoni? E in definitiva, chi decide per tutte/i? Sono sempre individui, gruppi di individui, corporazioni di individui. Nella migliore delle ipotesi potremmo immaginare una “presa di potere” dell’antispecismo e una conseguente opera di reinterpretazione e ricostruzione sociale, ma – ammesso e non concesso che questa soluzione sia auspicabile e in linea con l’antispecismo, e in realtà non lo è – in ogni caso saranno dei singoli, o un gruppo ristretto di singoli, o una minoranza a orientare il timone della nave del cambiamento sociale. Sai benissimo cosa significhi la visione personale di un leader politico per uno Stato, o di un amministratore delegato per una multinazionale, quindi perché continuiamo a parlare in astratto di “società da cambiare” quando per primi noi dovremmo farlo in modo da essere i protagonisti del futuro cambiamento? Come sarà mai possibile pensare di cambiare una struttura sociale enorme complessa, se non riusciamo nemmeno a cambiare delle nostre abitudini personali?
Come vedi la coerenza personale e l’auto-critica antispecista non sono assolutamente in contrasto con un progetto di cambiamento socio-politico su vasta scala.
Ritornando al concetto di pensiero circolare, tu scrivi “non è la coscienza che cambia il mondo, ma sono le strutture sociali che cambiano la coscienza”, ma le strutture sociali cosa sono se non l’espressione della coscienza di chi le ha ideate, realizzate e imposte? In definitiva la struttura sociale cambia e forgia coscienze, ma a sua volta è il frutto della coscienza di qualcuno che l’ha immaginata e che l’ha costruita secondo la sua visione, che deriva da altre strutture sociali. Possiamo immaginare mille nuove società umane aspeciste, nuovi immensi edifici – questa volta orizzontali – ma non dobbiamo mai dimenticare che tali architetture sono il parto della nostra mente. Ma forse anche questa è solo una visione semplicistica del problema.
Adriano, quando i cattolici hanno colonizzato e assassinato l’america latina, erano pochi ma con le idee molto chiare. E il cambiamento politico è stato radicale e, purtroppo in quel caso, irreversibile. Le coscienze individuali, sia dei residenti che degli invasori, non hanno contato nulla. Lo stesso è sempre valso per ogni grande cambiamento politico. Un’azione politica non è la sommatoria di tante piccole volontà ma un preciso progetto che abbia una forza dirompente e che, con il suo vettore di cambiamento, trascina con s?, come un fiume in piena, le singolarità che incontra. E se anche queste singolarità non sono perfette e pure e autocriticantesi all’infinito… ma cosa importerà mai??
Quando i cattolici colonizzarono il Sud America – compiendo una delle più grandi e dimenticate stragi di Umani della storia – erano pochi, ben organizzati, tecnologicamente avanzati e soprattutto avevano in mente dei convincimenti e dei principi ben radicati derivanti dalla religione cattolica, lo stesso fecero i crociati in terra santa. Le coscienze individuali dei residenti sono state schiacciate da altre coscienze contraddistinte da due elementi in cui ogni singolo colonizzatore – in almeno uno dei due – credeva ciecamente: la religione cristiana e il denaro. Il tuo esempio serve quindi a chiarire ancora meglio ciò che è stato detto nel commento precedente: il sistema sociale è imposto da una concezione dell’esistenza derivante da un’ideologia, se tale ideologia diviene visione della vita del singolo, essa molto probabilmente è destinata al successo. Noi viviamo in una società capitalistica e la stragrande maggioranza delle persone crede nel denaro, nel capitale e nei meccanismo di mercato, se così non fosse il sistema sarebbe già crollato. Ciò non avviene perché chi lo vive ci crede: il concetto di proprietà privata che ciascuno di noi ha è una prova più che tangibile. L’idea che si possa cambiare la società dall’alto mediante stravolgimenti politici imposti è storicamente fallita, le vicende del secolo scorso lo dimostrano ampiamente. L’antispecismo, inoltre, non può da un lato considerare come fulcro il singolo e dall’altro aderire a una strategia politica che non ne tiene conto, e che ricade nelle arcinote visioni gerarchiche imponendo con la forza un cambiamento sociale non sentito e non condiviso dalla maggioranza. Si dovrebbe tendere a una popolazione umana antispecista, non a un regime antispecista.
Adriano, non mi mettere in bocca ovvietà o cose che non intendevo (tipo che le società si cambiano solo dall’alto).
Si discuteva l’idea che solo il singolo soggetto, puro e autocriticato, potesse essere il motore dei cambiamenti storici, anzi, come dici tu, il fulcro dell’antispecismo.
In questo ultimo articolo hai portato il concetto a livelli un po’ esagerati… Preoccupata di non essere abbastanza coerente mi chiedo quando inizieremo le sedute di autoconfessioni :-)))
Non è mia abitudine intervenire commentando su internet e mi scuso fin da ora se non proseguirò in questo botta e risposta. Temo sempre che le discussioni finiscano male e cerco di ritirarmi per tempo.
Avrei una curiosità, anche se così ipotetica da sembrare astrusa :-)) e spero di poterne parlare con te e altre/i alla prima occasione d’incontro.
Tu dici che il cambiamento sociale dovrebbe essere condiviso dalla maggioranza. Ma che ne faremo della minoranza? Anzi, delle singole individualità della minoranza? Per paura di poter sembrare un regime, permetteremo loro di continuare a uccidere? La differenza tra “regime antispecista” (che mi sembra una contraddizione in termini) e “popolazione umana antispecista” sta nel numero?
Ci risentiamo da qualche parte.
Ciao
Mettere frasi in bocca alle altre persone non è una cosa che mi appartiene, non credo di averlo fatto.
Un soggetto autocritico e consapevole da solo può fare ben poco, dato però che siamo Animali sociali e i rapporti interpersonali sono molteplici, tale soggetto – unitamente a altri soggetti – può contribuire alla nascita di una rete, essere partecipe di un movimento culturale e politico in grado di influenzare opinione pubblica e società. Se la cosa ti può sembrare esagerata ti basterà pensare alla storia di Gandhi, Martin Luther King, Malcom X, Mandela, solo per citare alcune figure politiche di spicco e per capirci e per comprendere come l’ostinazione e la lungimiranza di un singolo, possano giungere a mettere in crisi governi o intere società civili. Ciò non certo per dire che tutte/i si debba divenire dei leader carismatici di fama mondiale per far propagare “il verbo”, ma semplicemente per dimostrare che le singole persone umane non sono solo numeri spesso si pensa.
Il fatto che l’individuo sia il fulcro dell’antispecismo, non ritengo possa essere messo in discussione dato che è proprio sul rispetto del valore inerente di un singolo essere senziente che l’idea antispecista si concentra.
L’articolo prende spunto da una frase di Carmelo Bene che, è notorio, è sempre stato un personaggio sopra le righe, di conseguenza quindi anche l’articolo lo potrebbe sembrare. Le sedute di autoconfessioni sono comode perché non richiedono la presenza di un confessore, non serve appuntamento e sono gratuite: basta farsi un esame di coscienza, attività molto scomoda di questi tempi ;=)
La tua domanda è utile, ma servirà parlarne a voce per evitare fraintendimenti: pensare che ciascuna persona possa arrivare ad avere una stessa posizione su un argomento è semplicemente assurdo, in ogni caso non auspicabile. Le differenze di vedute ci saranno sempre, del resto contro questo scoglio prima o poi ci cozzano tutte/i: lo stesso concetto di democrazia risulta, nel migliore dei casi, “zoppo” per via della perenne minoranza e della maggioranza (salvo alcuni casi particolari come il metodo del consenso). Di sicuro si può dire che a prescindere dalla soluzione che si individuerà in futuro per risolvere tale problema, sarà certamente meno dolorosa quella derivante da un approccio politico individualista, piuttosto che una soluzione imposta da un organo di governo ad esempio rappresentativo.
Per quanto riguarda il “regime” non ci sono contraddizioni in termini perché è sinonimo di sistema politico, di forma di governo, non ha solo quindi un significato negativo: in ogni caso in un ipotetico futuro aspecista dovrà esistere una forma di governo aspecista che si occuperà della cosa pubblica (di quale tipo e con quali caratteristiche non è dato sapere), questo perché chiaramente esisterà una società umana. Il punto è che ora non dovremmo pensare alla forma di governo futura, ma al concetto di alterità che le singole persone di tale futuro dovrebbero sviluppare, e cominciare a lavorarci ora, perché un cambio culturale così importante necessita di molte energie, lavoro e tempo. Da esso scaturirà il resto.
Prima o poi ci si risente.
Una piccola chiosa: scuserai la sostituzione dell’asterisco in altr* con altre/i che pur essendo cacofonico e poco elegante, perlomeno si può ancora pronunciare, mentre è improbabile che si riesca a pronunciare altr*.
Pertanto onde evitare di ridurre una lingua a una serie di segni afonici inutilizzabili, su questo sito web si è optato per la forma a/i e/i ecc. Chi non si riconosce in questo dualismo (utilizzato solo ed esclusivamente per motivi pratici e non certo ideologici o peggio con intento discriminatorio), non dovrà fare altro che indicare quale soluzione linguistica si può adottare e il relativo simbolo fonetico.
Anche le maiuscole non sono pronunciabili e però tu le metti su Animale, Leone, Cane, Uomo, per una tua ragione personale di rispetto. Lo stesso vale per l’asterisco. Non vedo dove stia il problema. Anche perchè l’astetisco, a differenza di a/o e/i, dice che le varianti di genere non sono solo due e non oscillano tra le due.
Occorre capire, accettare un cambiamento culturale e agire di conseguenza e se una/o vuole proprio leggere ad alta voce basta tralasciare di leggere l’asterisco. È molto più fluente che leggere o/a i/e. Anche la lingua cambia con le idee :-)
Ciao
Tu nei tuoi commenti ti firmi Alessandra Galbiati, usi le maiuscole, per quale motivo?
Le maiuscole non arrecano varianti nella lingua parlata: Alessandra o alessandra si pronunciano allo stesso modo. Non è questo il luogo adeguato per approfondire questi rudimenti, ad ogni modo vediamo di spiegarci. La lettera iniziale maiuscola viene usata nella lingua scritta per porre enfasi su un termine, per conferirne importanza, come nel caso di un nome proprio, allo stesso modo Veganzetta propone (da ben 8 anni, non certo da ieri) di adottare questa soluzione – assolutamente indolore per la lingua parlata – nella lingua scritta; ciò per porre enfasi sull’idea che un Animale è importante e per allontanare il concetto negativo che il senso comune ha dell’animalità in generale.
Se non vedi il problema è inutile parlarne, dal punto di vista comunicativo il problema invece c’è ed è enorme.
Le parole sono importanti, dai un’occhiata a questa pagina: http://www.veganzetta.org/precisazioni-sul-linguaggio/
Troverai soluzioni adottate ben prima che esplodesse la moda dell’asterisco: quando quasi nessuna/o ne parlava (men che meno in ambito antispecista) su Veganzetta si evitava il termine uomo per intendere la nostra specie, sostituendolo con Umano e lo si usava solo ed esclusivamente per indicare un Umano di sesso maschile, questo per i seguenti motivi:
“Umano/i”: non s’intende utilizzare il sostantivo maschile “uomo” in quanto termine carico di significati filosofici e culturali che volutamente pongono la specie umana al di sopra delle altre specie animali, e che hanno un preciso riferimento a una visione patriarcale e maschilista della società umana.
Ogni testo pubblicato per Veganzetta veniva – e viene – declinato mediante questo e altri accorgimenti, anche quello di collaboratrici e collaboratori, tranne i testi già pubblicati o le citazioni.
Come potrai ben comprendere, quindi, la questione di genere è sempre stata presente nel progetto comunicativo.
La soluzione Umano è adottabilissima anche nella lingua parlata, senza alcun problema di pronuncia o di comprensione. Tutte le soluzioni proposte ad oggi da Veganzetta non a caso sono facilmente applicabili sia nella lingua scritta, sia in quella orale.
L’asterisco è un simbolo grafico afono, non ha un suono corrispondente nella lingua parlata, quindi altr seguito da un asterisco si dovrebbe leggere “altrasterisco“, oppure in alternativa, dato che l’asterisco nella lingua scritta non fornisce alcun dato sull’identità di genere a cui si sta facendo riferimento, si dovrebbe leggere “altrae“, ma anche in questo caso non andrebbe bene, perché giustamente si farebbe riferimento solo a due identità di genere: maschile e femminile. Rimarrebbe “altr“, non-soluzione che non fornisce informazioni identitarie e quindi semplicemente rimuove il problema senza risolverlo e genera confusione ed equivoci in chi ascolta. In ogni caso la soluzione dell’asterisco è semplicemente un danno: causa confusione, non è utilizzabile nella forma parlata di una lingua creando problemi di comprensione e comunicazione, non viene correttamente interpretata dai software usati dagli ipovedenti e dai non vedenti, non è esaustiva dal punto di vista concettuale.
La lotta per l’autodeterminazione (qualsiasi essa sia) necessita di autodefinizione: non ci si può affermare senza rivendicare un’identità (o più identità, o nessuna identità in precedenza considerata). La rivendicazione identitaria, e quindi l’autodefinizione, avviene in ogni atto politico e pubblico: “io sono”, oppure “io non sono” divengono strumenti identitari assolutamente necessari per ogni lotta per una conquista sociale (Pantere nere, lotte femministe, Gay Pride….). Anche la volontà di non definirsi è una autodefinizione identitaria: “io non sono nulla di ciò che tu intendi”. Ma questo esercizio legittimo e importantissimo va svolto con cognizione di causa e intelligenza, e soprattutto va fatto fornendo la possibilità alle persone – che sono esterne a uno specifico problema – di comprendere e quindi di accettare la rivendicazione.
L’uso dell’asterisco o del cancelletto e via discorrendo, sono degli enormi errori di comunicazione: non lasciano spazio alla rappresentazione della definizione di identità (anche della non identità fino a ora considerata). Ciò causa un ovvio effetto di allontanamento da parte di chi non comprende e non viene messa/o in grado di comprendere il problema.
Un chiaro esempio di soluzione che danneggia la causa.
Quanto scritto è dovuto per spiegare che “capire, accettare un cambiamento culturale e agire di conseguenza“, come dici tu, lo si può fare solo a patto che questo cambiamento culturale avvenga tramite metodi che possano essere capiti, accettati e condividi da chi ascolta o legge. Altrimenti non si tratta di cambiamento culturale, ma di snobismo. Semplicemente non ci si vuole far capire.
“leggere ad alta voce basta tralasciare di leggere l’asterisco. È molto più fluente che leggere o/a i/e.”
No. Sbagli di grosso, perché – per i motivi di cui sopra – chi vuole leggere ad alta voce un testo scritto (e non si capisce perché non dovrebbe poterlo fare) non può leggere e comprendere correttamente l’asterisco, perché non conosce gli intenti di chi ha scritto il testo, dato che l’asterisco non fornisce indicazioni identitarie precise e ciò può falsare non poco anche il senso della frase, nel migliore dei casi è altamente limitativo. Tu suggerisci “altr“; a parte la cacofonia, prova a prendere un testo scritto e a declinarlo interamente secondo questo tuo criterio e poi prova a leggerlo: la famosa frase “cari amici vicini e lontani” diventerebbe “car amic vicin e lontan“, una frase totalmente ridicola e inutile.
Tu intendi sul serio parlare in questo modo?
La lingua non solo cambia con le idee, ma fornisce la possibilità di far nascere nuove idee perché ci rende capaci di spiegarle, di raccontarle. Attraverso il linguaggio ci si costruisce la visione del mondo, mediante il linguaggio diamo forma a un pensiero, descriviamo una sensazione, un’emozione, un oggetto, un essere vivente, un ricordo, definiamo la nostra esistenza: definire è fondamentale, non per nulla mediante il linguaggio si scatenano e combattono guerre, o si addolciscono pillole altrimenti amarissime, un esempio classico sono i famosi “danni collaterali”. Quindi ben vengano le modifiche linguistiche – con Veganzetta sfondi una porta aperta – ma chi si occupa direttamente della questione di genere dovrebbe sforzarsi per trovare nuove soluzioni linguistiche percorribili, e non solo storpiature che causano maggiore confusione di quella che già esiste: perché di abbreviazioni a mo’ di messaggino via cellulare ce ne sono già troppe in circolazione.
Abbiamo bisogno di una lingua che ci permetta di espandere i nostri orizzonti morali e non di una neolingua in stile orwelliano che limita la comunicazione solo per poter essere politicamente corrette/i.
Le parole sono importanti.
Adri, ma tu credi che chi non la pensa come te sia cretina/o? Basta fare lezioni e predicozzi a tutte/i. Fai passare la voglia. E infatti mi è passata :-) (le faccine sono lecite? :-/)
Adieu au langage
Adieu
Adie
Adi
Ad
A
Ah ????
Mai detta una cosa del genere, dove l’hai trovata scritta?
Cara Alessandra qui non si fanno predicozzi, qui si ragiona, se hai voglia di ragionare sei sempre la benvenuta, se invece ci sono altre intenzioni stai tranquilla che ci sarà sempre una risposta a tono.
La voglia ti passa perché non hai argomenti validi a supporto di quello che stai sostenendo.
Usare le faccine è lecito, prendere con leggerezza questioni come queste, no. Ma sono solo punti di vista.
Torna pure quando vuoi, sempre che ti siano rimaste vocali da usare ;=)
A riguardo, segnalo questo articolo apparso sul sito Intersezioni, intitolato “Chi ha paura dell’asterisco?” http://intersezioni.noblogs.org/condivisioni/chi-ha-paura-dellasterisco/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter
Grazie Lorenzo per la segnalazione. Il testo sarà letto e appena possibile. L’argomento è importante e su Veganzetta di sicuro se ne riparlerà.
Questo, cmq, e’ il problema dei problemi perche’ riguarda la natura del soggetto che deve compiere la trasformazione. Prima o poi la questione dovra’ essere chiarita. Allo stato attuale credo che la coscienza sia un prodotto sociale. Se una mattina mi svegliassi pensando il contrario, vorrebbe dire che non sono piu’ io, ma sono un altro, completamente diverso :-)
Hai ragione Aldo: è il problema dei problemi.
Ma se la coscienza è realmente un prodotto della società in cui viviamo, perché esistono persone che sviluppano una coscienza che potremmo definire “antagonista” rispetto al sistema?
Se fosse realmente come tu dici e se le coscienze non allineate al sentire collettivo fossero solo un’anomalia, quale speranza potrebbe avere l’antispecismo di non essere concepito come una mera anomalia del sistema semplicemente da correggere o eliminare?