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Ogni percorso finito ha un suo punto di partenza ed un suo arrivo. Non fa eccezione la filosofia antispecista che come punto di arrivo ha la liberazione animale (umana e non) e di conseguenza una nuova società  umana libera, solidale ed egualitaria. Disquisire sul percorso e sul suo arrivo è già  un esercizio arduo, ma risulta impossibile se viene a mancare un requisito fondamentale: una partenza comune. Fuor di metafora ci preme come redazione della Veganzetta affrontare il tema delle radici comuni del pensiero antispecista, radici assai complesse e variegate, ciò perché senza una solida base da cui partire ogni sforzo per avanzare risulterebbe vano, e quanto sta accadendo, e quanto è accaduto di recente, lo dimostra.
Individuare un’unica origine generatrice dell’antispecismo non è possibile, proprio per il fatto che risulta chiara una sorte di commistione tra diverse anime e visioni a volte tra di loro anche poco compatibili. Storicamente si può ricondurre la nascita ufficiale del pensiero antispecista agli anni ’70 del secolo scorso, e precisamente al 1970 quando Richard D. Ryder, uno psicologo inglese, conia il termine “specismo”1. Analizziamo però una considerazione dalla quale si è evoluto molto del sentire comune antispecista:

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Si propone un interessante articolo “a puntate”: La lontananza uccide? Diritti animali e compassione di Filippo Trasatti. Di seguito la prima puntata. Buona lettura.


Breve premessa

Forse non è inutile per cominciare a parlare di diritto e diritti, evidenziare un’ambiguità semantica per cui il diritto sembra confondersi con il giusto, che cela il fatto che il diritto e l’ordinamento giuridico possono essere criminali, come quando ammettono la pena di morte o come quando, nel caso che stiamo considerando, consentono il trattamento di esseri senzienti come cose, oppure quando consentono a banchieri e speculatori di affamare in un secondo decine di migliaia di persone con uno spostamento immateriale di investimenti.

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Noi esseri umani spesso esitiamo a definirci “Umani”, il che denota quantomeno che come specie siamo culturalmente molto confusi rispetto a ciò che siamo e ciò che vorremo essere. Utilizziamo spesso l’aggettivo “disumano” per definire il comportamento di nostri simili che commettono atti di sopruso o violenza. Dimenticandoci evidentemente che costoro sono in tutto e per tutto Umani come noi. In casi estremi poi sosteniamo quasi con naturalezza che certe persone umane sono degli “animali”, delle “bestie”, sempre a causa di loro comportamenti inaccettabili.

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I progressi tecnologici e tecnici della medicina nel campo dei trapianti e le possibilità  di salvezza per molte persone malate si scontrano con un problema pratico molto concreto e carnale, ossia la cronica mancanza di organi sani da trapiantare, dovuta ad una carenza di donatori: «La lista d’attesa negli Stati Uniti, aggiornata al gennaio 2004, consiste in un elenco di circa 84.000 pazienti; di questi, 57.000 sono in attesa di un rene.
I dati, comunque, indicano che 16 persone muoiono ogni giorno negli Stati Uniti in attesa di un organo».1

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