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Si riceve e si pubblica volentieri questa lettera firmata, che evidenzia, tramite un episodio accaduto e documentato, come sia ancora lontano il riconoscimento della lotta di liberazione animale da parte dei movimenti per i diritti civili umani.
Questa frase pubblicata sul sito web del movimento Non una di meno ci introduce alla lotta contro lo sfruttamento dei corpi (nello specifico femminili) nella nostra società. In un sistema capitalistico neoliberista, ciò che può essere identificato con la struttura istituzionalizzata che usa i corpi come terreno fertile per lo sfruttamento e il profitto può essere degnamente rappresentato dall’industria, e l’industria che per eccellenza basa la propria produzione su tale sfruttamento è ovviamente l’industria della carne.
La carne è ciò che resta di un individuo animale che viene reso oggetto e trattato di conseguenza, e il cui corpo viene ucciso e smembrato.
La carne non solo è l’Animale che con violenza viene privato della propria vita, ma in qualche modo rappresenta anche il corpo della donna quando subisce una violenza, quando viene trattato come un oggetto o è vittima di un femminicidio.
La carne come prodotto di uno smembramento è anche capitalismo.
Considerando ciò che afferma Carol Adams in The sexual politics of meat «lo smembramento del corpo degli umani non è un risultato del capitalismo moderno, piuttosto il capitalismo moderno è un prodotto della frammentazione e dello smembramento», si potrebbe dire che anche lo smembramento del corpo degli Animali non è un risultato del capitalismo moderno, piuttosto il capitalismo moderno è un prodotto della frammentazione e dello smembramento.
L’industria della carne trasforma un individuo in un oggetto, sia materialmente, sia attraverso immagini e linguaggi che richiamano le parti di un corpo come prodotti da consumare.
La lotta contro la violenza sistemica, non può prescindere da un’analisi complessiva del dominio, delle sue origini e di tutte le sue ramificazioni e interconnessioni, e non può prescindere da un contesto socio-economico, il capitalismo, e da come questo pur modificandosi altro non fa che colonizzare sempre nuovi corpi.
E’ stato dai recinti per il bestiame che i nazisti hanno appreso come trattare i corpi: il mattatoio rappresenta il modello utilizzato per lo sterminio di massa di esseri umani nell’Olocausto nazista.
E’ stato nei mattatoi di Chicago che a Henry Ford venne l’idea della catena di montaggio: «Credo che la nostra fosse la prima linea di montaggio a catena che mai sia stata installata. L’idea ci venne in generale dai carrelli su binari che i macellai di Chicago usano per distribuire le parti dei manzi»1.
Scrive H.L. Feingold: «[Auschwitz] fu anche un’estensione del moderno sistema di fabbrica: invece di produrre merci, esso utilizzava gli esseri umani come materia prima e sfornava, come sie è detto, la morte come prodotto finale»2.
Sono due moderni sistemi di fabbrica a confronto: per Auschwitz il prodotto finale nella catena di smontaggio è la morte, nel mattatoio la morte diventa strumento di produzione della catena di smontaggio per ottenere il prodotto finale, la carne.
Il corpo nel sistema capitalistico è intimamente legato alla produzione, non solo come forza lavoro, ma come materia prima e bene di consumo. Anche la morte fa parte del ciclo produttivo nel momento in cui produce profitto, ed in particolare nell’industria della carne, la morte viene resa seriale.
Ci sono dunque legami che non possono assolutamente essere ignorati tra il massacro istituzionalizzato degli Animali – il capitalismo – il dominio.
Possiamo pertanto individuare questo tipo di dominio in un modello patriarcale che sottopone il corpo della donna e il suo status ad un trattamento che richiama quello animale?
Certamente sì, ma a due condizioni: 1) l’analogia non può mai essere completa, per l’assoluta eccezionalità della situazione degli Animali sottoposti in modo istituzionalizzato a processi di smontaggio, manipolazione dei corpi e gestione totale sulla loro vita e la morte.
2) quando si sovrappongono oppressioni di gruppi specifici, vanno denunciate entrambe; quando una di queste voci viene silenziata, negata, stiamo istituendo e avallando un nuovo sfruttamento e una nuova forma di oppressione.
Nella storia ci sono state molte femministe che hanno colto una forte interconnessione tra la condizione animale e quella delle donne, e hanno introdotto nella loro lotta politica la liberazione animale, ma le loro voci sono state silenziate, spesso dalla stessa critica femminista.
Oggi le femministe e i movimenti di lotta di liberazione e emancipazione in generale, hanno inserito nelle occasioni pubbliche pratiche di vegetarismo, spesso però più per necessità d’immagine. La sofferenza animale, che per anni le femministe hanno tenuto fuori dalla loro visione politica e dalla pratica di lotta al dominio, viene fatta entrare più per mode ecologiste transitorie, che per aver seriamente introdotto lo sfruttamento animale in una critica totale al dominio, in una pratica di lotta e di vita.
Quindi, cos’è il motto di ribellione riportato in apertura di questo testo? E’ solo un argomento che in questo momento storico non poteva non essere menzionato, o ha un valore fondante nell’ambito di una lotta di liberazione di Tutte e di Tutti senza barriere, senza un ‘noi’ e un ‘loro’, di una lotta al dominio dalle sue fondamenta? Questo motto deve trasformarsi in una pratica, sostenere le grida di sofferenza.
Se l’ingiustizia e la sofferenza che subiscono gli Animali viene usata strumentalmente o ignorata, allora abbiamo sfruttato un’oppressione per altri fini, perché abbiamo introdotto l’argomento della sofferenza animale all’interno di una lotta contro un altro sfruttamento, ma non ce ne siamo presi cura. Se abbiamo ignorato o peggio occultato la sofferenza animale in favore di un’altra lotta, semplicemente stiamo nuovamente ribadendo la nostra posizione di dominio, perpetuando un comportamento che invece dovremmo combattere.
Un esempio di quanto affermato, lo si riscontra in una duplice azione compiuta a distanza di tempo a Treviso circa un anno fa. Di seguito è riportata la sequenza fotografica che le documenta.
Foto 1: su un pilastro di un cavalcavia della tangenziale di Treviso da molti anni resisteva la scritta: “L’industria della carne è una vergogna ecologica ed etica. Informati e boicottala!”.
Prima azione: Qualcuno scrivendo “194” al posto di “carne”, sfrutta il messaggio contro la carne, cancellandolo in parte, per anteporre una sua posizione antiabortista. Il richiamo al massacro degli Animali per fini alimentari è stato usato per veicolare altri significati di carattere antropocentrico. La sofferenza animale è stata trasformata in una rivendicazione in favore del diritto inviolabile alla vita degli Umani, sin dal concepimento. Si sovrappongono due messaggi, il messaggio originale viene trasformato, ma ancora esiste dietro la barratura rossa.
Foto 2, seconda azione: Un piccolo gruppo di attiviste e attivisti a volto coperto, con l’intento di cancellare il messaggio antiabortista, interviene cancellando tutto, anche il massaggio originale, cosa che non era assolutamente necessaria, visto che sarebbe bastato cancellare solo il riferimento alla legge “194”.
Foto 3: lo spazio così liberato viene utilizzato per il nuovo messaggio che fa riferimento a una nota campagna del movimento Non una di meno.
La campagna “molto più di 194” chiede maggiori diritti alla salute della donna: «vogliamo gli obiettori fuori dalle strutture sanitarie pubbliche e dalle farmacie. Vogliamo l’accesso alla contraccezione gratuita, alla RU486 e ai servizi sanitari per la gravidanza e il parto, indipendentemente dal possesso di documenti. Vogliamo più consultori laici e aperti alle assemblee delle donne».
Cosicché l’Animale viene negato completamente con la scomparsa della frase originale. Gli viene negata la condizione di vittima, non si riconosce un massacro istituzionalizzato e sistematico come modello principe di ogni altro sfruttamento: di nuovo, l’Animale e la sua sofferenza, ridiventano invisibili.
La sequenza fotografica viene poi pubblicata sulla pagina facebook del gruppo Non una di meno Treviso. Quale sarebbe il significato politico di questa azione? Boicottando una lotta di liberazione in favore di un’altra cosa si intendeva rivendicare?
L’azione sebbene citi Non una di meno e sia stata pubblicata sulla pagina facebook della sezione trevigiana del movimento, non è evidentemente in linea con quanto dichiarato nel Piano femminista contro la violenza sulle donne e di genere: «Vediamo la necessità di inserire nel nostro piano il tema della violenza ambientale sulle donne, su tutti gli esseri viventi e sulla natura stessa, intesa come tessuto bio-relazionale in cui siamo tutte interconnesse, perché riconosciamo nel modello antropocentrico, neutro-maschile, eterosessuale corrente un dispositivo di dominio patriarcale che impone come “naturale” un sistema di oppressione e sfruttamento dei corpi».
C’è un sistema più “naturale” di sfruttamento e oppressione dei corpi di quello della carne? Talmente naturale che viene praticato quotidianamente dalle persone umane tanto da non essere più capaci di vederlo?
Perché promuovere la cancellazione di un frase di liberazione da una pratica di violenza per sostituirla con una frase di liberazione da un’altra pratica di violenza?
Non c’era altro spazio? Quel messaggio sulla carne non aveva diritto di continuare ad esistere?
Non c’è spazio per tutte le liberazioni? Anche noi abbiamo bisogno di frammentare le lotte, escluderle, sminuirle o negarle come fa quotidianamente la società del dominio?
Il messaggio originale andava sostenuto da chi si considera in lotta contro il dominio e contro il sistema capitalistico, non andava negato e cancellato.
Dobbiamo dare voce a tutte le sofferenze: tutte hanno la stessa dignità di essere ascoltate.
A pochi chilometri di distanza dal luogo dell’azione del gruppo, su un muro nei pressi della stazione ferroviaria di Treviso, da molto tempo campeggia del tutto indisturbata un’altra frase scritta a caratteri cubitali dal tenore ben diverso (Foto 4). Se proprio un posto andava cercato per scrivere un messaggio, cancellandone un altro, sicuramente questo sarebbe stato molto più adatto allo scopo!
Lettera firmata
Note:
1) Henry Ford, La mia vita e la mia opera, La Salamandra, Milano, 1980.
2) Riportato in Zygmunt Bauman, Olocausto e modernità, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 25-26.
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Molto interessante ed esaustiva questa lettera. Per riflettere su certe questioni, è utile soffermarsi sul significato delle parole. Per esempio la parola “femminicidio” è definita dal Vocabolario Treccani http://www.treccani.it/vocabolario/femminicidio_(Neologismi)/ «Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale. (…)».
Lo stesso Vocabolario http://www.treccani.it/vocabolario/femmina/ dà una definizione di femmina: «(…) Dal punto di vista biologico si definisce femmina, e si indica col simbolo ? l’individuo che produce solo gameti femminili (…) Ma nel linguaggio comune è per lo più spregiativo: una femmina disonesta; una mala femmina; femmina di mondo, meretrice; (…) il senso spregiativo è anche evidente nei derivati (effeminare) (…) . In altri casi (…), indica la donna che possiede in grado notevole le doti fisiche, fisiologiche e psicologiche che la rendono desiderabile all’uomo, e che sa farle valere per rendersi attraente: una donna veramente femmina. Nell’uso antico si distingueva tra femmina e donna, indicandosi col primo termine genericamente il sesso, col secondo la donna di alta condizione (corrispondente all’odierno signora); (…)»
Il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Francesco Bonomi http://www.etimo.it/?term=femmina sottolinea l’origine animale della parola latina “femina” «(…) L’animale di sesso opposto a quello del maschio destinato a custodire nel suo seno e a partorire il feto o a mandar fuori le uova (…)»
Quindi pare tracciato un solco tra la femmina e la donna ma resta il fatto che oggi si parla di “femminicidio” (uccisione della femmina) non di “uxoricidio” termine derivante dal latino, “uxor”, che allude all’uccisione di una donna in quanto moglie.
Se il termine “femminicidio” si richiama al termine “femmina”, è importante aprire lo sguardo anche su chi è femmina nel mondo animale. Come accade tra gli esseri umani, anche tra gli animali le femmine subiscono maggiori violenze rispetto ai maschi, soprattutto se si tratta di “animali da reddito”.
Le scrofe sono rinchiuse nelle gabbie di gestazione. Nell’industria del latte le mucche sono macchine produttrici a cui viene sottratto il figlio; lo stesso accade negli allevamenti che producono latte di pecora, capra e bufala. La vita delle femmine animali produttrici di latte è questa: ingravidate tutta la vita a ritmo incessante tramite il braccio del veterinario o le sonde da inseminazione; ridotte a rubinetti da cui scende latte tirato da mungitrici meccaniche. Le galline, usate per carne e uova, sono il risultato di un’invasiva manipolazione genetica.
Le femmine animali aspettano di essere liberate da tanta violenza. Il paradosso di questa situazione è che neppure le femmine umane sfruttate, picchiate, violentate, schiavizzate, vendute, deturpate, emarginate, umiliate, discriminate, mercificate, uccise, riescono a comprendere le simili condizioni delle loro compagne di genere e continuano a nutrirsi dei loro corpi martoriati in vita e in morte in nome di un’economia sanguinaria che calpesta anche la solidarietà femminile.
Grazie Paola per il tuo commento interessante e stimolante.
Chiaramente l’uxoricidio è un concetto legato alla donna e al concetto patriarcale di donna inserita nel contesto sociale e familiare. Il femminicidio nella sua pura accezione letterale, come tu giustamente fai notare, dovrebbe invece superare la barriera di specie e riguardare tutte le femmine degli Animali.
A riguardo c’è anche molta letteratura in ambito femminista, ma è evidente che non è un pensiero condiviso, considerando i fatti.
Per qualcuna/o potrebbe sembrare incredibile, ma la quasi totalità dei femminicidi avviene nei confronti di soggetti non umani, che indubbiamente sebbene non appartengano alla società umana, hanno un loro preciso ruolo e una loro precisa funzione all’interno della piramide sociale umana.
La decisione dell’azione di copertura della scritta contro la carne, preventivamente deturpata da qualcuno contrario al diritto all’aborto in Italia, è stata presa in assemblea.
Di seguito un link che riporta al post contenente il comunicato di NUDM Treviso a riguardo, e una vignetta pubblicata in un commento (critico) allo stesso comunicato sulla pagina social del gruppo locale.
https://www.facebook.com/nonunadimenoTreviso/posts/2264912773588577?hc_location=ufi