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Noi esseri umani spesso esitiamo a definirci “Umani”, il che denota quantomeno che come specie siamo culturalmente molto confusi rispetto a ciò che siamo e ciò che vorremo essere. Utilizziamo spesso l’aggettivo “disumano” per definire il comportamento di nostri simili che commettono atti di sopruso o violenza. Dimenticandoci evidentemente che costoro sono in tutto e per tutto Umani come noi. In casi estremi poi sosteniamo quasi con naturalezza che certe persone umane sono degli “animali”, delle “bestie”, sempre a causa di loro comportamenti inaccettabili.
E’ da notare con grande interesse come anche queste “bestie” di solito attuino i loro soprusi, a loro dire, non su degli Umani ma su degli “animali”, come ad esempio delle”scimmie negre”, dei “vermi ebrei”, delle “luride troie”, dei “cani infedeli” e via dicendo. Infatti si sente spesso dire che “i nazisti che uccisero gli ebrei come animali, non erano umani ma bestie”. Se ci si sforza di uscire dai limiti del linguaggio comune ci si rende conto della confusione tremenda, quasi paradossale di tali espressioni. In sostanza pare che ci sia una tendenza a considerare come “umano” uno stato evolutivo della nostra specie ancora al di là dal venire compiutamente, ovverosia una situazione in cui gli Umani non avranno più comportamenti, detti “disumani”, quali la violenza, la crudeltà , lo stupro, il genocidio, la tortura, l’assassinio, la caccia, la vivisezione…
Questo pare denotare una certa tal coscienza collettiva Umana che riconosce la propria inadeguatezza e incompiutezza “morale”. Ci si muove semanticamente tra due estremi: il termine “animale” come summa di tutti i comportamenti e le caratteristiche disprezzate (violenza, crudeltà, sporcizia…) ed il termine “umano” ad indicare quello che ci piacerebbe fosse l’animale Homo sapiens. Nella nostra ansia antropocentrica e megalomane di distaccarci dal resto del regno animale, noi che ci riteniamo gli unici custodi e padroni di quella potentissima arma che è il linguaggio, abbiamo coniato il termine “umano” per descrivere qualcosa che non siamo…e per autoilluderci (consensualmente ovviamente) di esserlo.
Andrea Furlan
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno III / n° 1 del 1 Aprile 2009, p. 1
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