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Yuri Bautta, vegano, attivista per la liberazione animale, scrittore e amico di Veganzetta, propone una versione fino ad oggi inedita di uno dei racconti che fanno parte del suo libro “Fuoco sulla collina. Piccolo viaggio nel mondo di Ivan Graziani“.
Il racconto è una variante di Lontano dalla paura presente nel libro e già pubblicato su Veganzetta.
Il protagonista è Miguel, un giovane Maiale prigioniero in un allevamento. Miguel che sogna di avere le ali e di volare visitando terre lontane solcando cieli infiniti, lontano dalla paura. Probabilmente la stessa paura che hanno provato i Maiali del rifugio di Progetto Cuori Liberi mentre venivano uccisi pochi giorni fa.
A loro Yuri ha voluto dedicare questo racconto.
Buona lettura.
Miguel (2)
Il maiale Miguel distese le ali e planò dolcemente, spingendo lo sguardo oltre l’orizzonte di dune rosse infuocate del deserto di Sahara; il vento tra le grandi penne gli diede un brivido di sabbia rovente e Miguel in quel momento si sentì, lui stesso, deserto di Sahara. Un istante dopo, era diventato una distesa infinita di colline color del tramonto. Mosse stancamente un’immensa duna scoprendo alla luce il letto di un fiume dimenticato, e sentì di conoscere intimamente ogni proprio granello di sabbia. Non era mai stato, prima di allora, un deserto africano, e la novità lo fece sorridere di gioia.
Sotto il sole del pomeriggio avanzato avvertì il formicolìo di passi leggeri: prima che scendesse la notte un geco del deserto correva sul deserto-Miguel, con due zampe alla volta, verso la tana. Il maiale Miguel decise allora di diventare quel geco, e subito cominciò a zampettare sulle dita palmate, tra gli sbuffi di sabbia. Camminando senza mèta verso il sole calante, il geco-maiale Miguel si accorse che non aveva mai visto un tramonto bello come quello che si accendeva davanti a lui, appena sopra le dune.
Desiderare di essere il sole e diventarlo fu questione di un momento.
I pianeti con i loro satelliti! Le nebulose piatte ed evanescenti! Le stelle: nane bianche, giganti, supernove, stelle a grappoli e riunite in costellazioni, stelle luminose come spilli di luce, luccichii lontani indistinti. Tutto questo si presentò intorno al maiale Miguel, divenuto improvvisamente sole, ed egli decise che non sarebbe mai diventato nient’altro. Essere il sole! Cosa poteva esistere di più grande e meraviglioso del sole, a parte… una galassia! Sarebbe diventato una galassia, e poi…
“Miguel! Sveglia, Miguel!”
Un brusìo lontano, come il rombo subsonico dei buchi neri, si fece strada nelle orecchie del maiale Miguel, poi arrivò al cervello e, sempre più insistente, bussò alla fantasia di Miguel finchè Miguel non si svegliò.
“Mi senti? Svegliati, sognatore!”
Il maiale Miguel mise a fuoco lo sguardo e disse: “Oh, sei tu, Zia. Che c’è?”
“C’è che sei di nuovo partito per uno dei tuoi viaggi, ecco che c’è,” disse la Zia “Vorrei sapere dove vai, di bello.”
“Oh, Zia, se tu sapessi! Sono stato un Condor, un Deserto africano, un Geco, e sono stato perfino il Sole! Se tu avessi visto quello che ho visto io!”
“Mi piacerebbe. Magari un giorno porterai anche me, eh?”
Andava avanti ormai da molti anni. Da quando era nato, il maiale Miguel possedeva il dono di scivolare tra il suo corpo di maiale e la sua fantasia, e viaggiare nel tempo e nello spazio. Per tutti gli altri maiali, e soprattutto per la Zia, Miguel era un sognatore, ma essi non avevano capito: la verità è che il maiale Miguel viaggiava davvero in groppa alla sua fantasia di maiale, e visitava veramente i luoghi del suo sogno ad occhi aperti.
Nei cieli immensi sopra l’oceano atlantico, Miguel aveva davvero seguito le rotte estive delle procellarie; poi era stato oceano; sotto le distese di ghiaccio dell’Artico era stato foca leopardo dai baffi nervosi; quindi si era fatto lastra di ghiaccio lattiginosa; si era veramente lanciato, torrente gelido degli altopiani del Nepal, intorno ai sassi levigati e tra i denti degli yak assetati; aveva borbottato e fumato per giorni minacciando un’eruzione e seminando il panico tra gli uccelli delle isole del Sud; era stato uccello delle isole del Sud col terrore dei vulcani; come pulce curiosa aveva percorso veramente le distanze misteriose delle savane assolate, invisibilmente abbarbicato ad un pelo di criniera di leone; era stato savana, onda, liana, corallo, pietra, pipistrello.
Lui stesso era convinto che fosse solo un sogno, ma si sbagliava: Miguel era stato davvero questi luoghi e queste vite.
Quando la Zia lo svegliava, di solito sul più bello, il maiale Miguel si guardava intorno e credeva di non essersi mai mosso dal capannone di cemento che divideva con la Zia e con gli altri centomila maiali. Il ronzare sempre uguale delle pale e il calore soffocante confermavano ai suoi occhi l’illusione che il viaggio fosse stato immaginario. Tutti i maiali conoscevano Miguel e i suoi viaggi ad occhi aperti. Non sapendo in cuor loro se Miguel usciva davvero con la mente dal capannone o se era solo un po’ strano, erano per lo più divisi tra la compassione e l’invidia.
La Zia finì di masticare l’ultimo rimasuglio di pastone dal sapore di aria fritta, guardò Miguel per qualche secondo, poi scosse la testa e gli lanciò uno sguardo pieno di affetto, tristezza e rassegnazione.
Miguel lasciò che la Zia si appisolasse, poi volle sfuggire al buio del capannone e al ronzare delle pale, e cominciò a pensare alle montagne.
In perfetto equilibrio sulle pietre rese viscide dalla brina del mattino, un camoscio dalle corna esili era immobile sulla cresta di roccia. L’estate inoltrata aveva respinto le falde del ghiacciaio verso le cime più alte, scoprendo lembi di prato che nessuno zoccolo aveva ancora calpestato. Il camoscio-Miguel abbracciò con lo sguardo la vallata in cui il fiume lontano era ridotto dalla distanza a rigagnolo sottile, per poi spostare gli occhi sui boschi di larici che ornavano le pendici più basse, fino a incontrare la luce insopportabile delle nevi perenni assolate. Miguel desiderò di essere ghiacciaio, e immediatamente scintillò e balenò sotto il sole vicino, nell’aria sottile. Non appena avvertì la sua pelle più esterna liquefarsi e divenire fiume, si lasciò trasportare a valle tra le radici e i muschi. Senza fermare la sua corsa verso il basso, desiderò d’essere pesce e nuotò nell’acqua trasparente, su cui le fronde dei lecci gettavano ombre riflessi e foglie. Divenuto foglia di leccio, fu vorticosamente piroettato attraverso le rapide e gettato sui sassi grigi. Per un tempo difficile da stabilire fu un sasso di fiume. Ascoltò la carezza del vento e fu vento. Trasportò semi di frutta, impollinò girasoli, fece decollare fiori di pioppo e fece danzare rami secchi, fu ramo secco e piroettò e volò e planò portato dal vento. Poi fece in tempo soltanto a divenire profumo di fragole, e si svegliò.
L’odore che lo colpì, appena fu tornato nel suo corpo di maiale, fu quello del Trucido.
Il Trucido era un essere difficile da immaginare, molto più improbabile delle creature che popolavano i viaggi del maiale Miguel. Alto e dritto, dai colori cangianti, ogni giorno il Trucido entrava nel capannone, preceduto dal suo puzzo inconfondibile. Dopo aver gettato intorno il pastone dal sapore di aria fritta, l’essere dalla testa pelosa entrava nelle tane-di-rete dei cuccioli e, ogni giorno, ne rapiva uno. Quando una madre vedeva il suo cucciolo rapito dal Trucido si disperava e piangeva a lungo, tra gli sguardi impotenti delle altre madri.
Qualche volta capitava che il Trucido trascinasse via un maiale adulto, tra le grida dei parenti. Nessuno sapeva dove fossero portati tutti i cuccioli e gli adulti rapiti dal Trucido, e molti si rifiutavano perfino di parlarne. Chi era rapito dal Trucido scompariva, e non tornava più. Meglio non farsi troppe domande.
Ma quel giorno accadde ciò che Miguel non poteva immaginare: il Trucido, quel giorno, tra tutti i maiali decise di trascinare con sé proprio la Zia!
Miguel sentì il suo respiro farsi affannoso, e tutto davanti a lui divenne rosso e nero mentre il Trucido trascinava la Zia che urlava disperata, e gli altri maiali borbottavano e piangevano, e i cuccioli correvano a nascondersi.
La mente di Miguel, allora, fece la cosa che gli riusciva meglio, e cominciò a viaggiare.
Fu aquila e strinse una noce di cocco tra gli artigli; fece cadere la noce di cocco che si fracassò al suolo; fu orso polare e diede una zampata ad un iceberg; l’iceberg si spaccò; fu rinoceronte, e di corsa cozzò contro una montagna; la montagna si aprì; fu capodoglio e agitò la coda sui coralli; i coralli si sbriciolarono. Stavolta il maiale Miguel lottò, si divincolò, sbuffò e colpì.
Stavolta il sogno non fu realtà soltanto per Miguel, ma dilagò come un incendio d’estate, si espanse come l’acqua della cascata sul fiume, eruttò come lava oppressa dal peso dei millenni.
La fantasia si allargò a tal punto che il Trucido vi cadde dentro.
Risucchiato di colpo nel sogno di Miguel, senza avere né il tempo né il cervello per capire, il Trucido fu noce di cocco, iceberg, montagna, corallo e si fracassò, si spaccò, si aprì, si sbriciolò.
Il maiale Miguel si risvegliò di soprassalto, con un tremore nelle zampe e il naso sudato. Del Trucido restava uno stivale di gomma: tutto il resto era rimasto intrappolato nel sogno di Miguel.
“Zia!” esclamò Miguel. “Tutto bene?”
“Fammi riprendere fiato, caro,” rispose la Zia ansimando. “Oh, ma cosa può essere successo? Che paura ho avuto! Prima il Trucido voleva portarmi via, poi quel grande lampo! Ma dove sarà finito, il Trucido? Dove si è nascosto, mi chiedo! Chi ci capisce qualcosa? Eh, Miguel?”
Il maiale Miguel non rispose.
“Miguel!”
La Zia si guardò intorno con una smorfia esasperata. “Possibile che anche in un momento come questo, quel maiale sia capace di perdersi nelle sue fantasticherie?”
“Miguel! Miguel!” gli gridò in un orecchio.
Ma il maiale Miguel non poteva rispondere: con il becco proteso, il vento tra le piume e le zampe penzoloni, stava migrando verso sud.
Illustrazione in apertura di Adriano Fragano
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