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Non è rischioso parlare di “coerenza”?
Cosa si intende esattamente con “coerenza”?
Si può essere vegani “coerenti” pur facendo parte di una società capitalista come la nostra, oppure non basta?
I miei sono semplici dubbi, niente di più.
Caro Lorenzo,
Questa è una bella domanda.
Come tutto ciò che riguarda l’Umano, la coerenza ha un valore relativo e non assoluto. Del resto quando si definisce una persona onesta, sincera, educata, gentile, cosa si intende? Si tratta di qualità del tutto relative: nessuno è gentile in assoluto, non per mancanza di volontà, ma per il semplice fatto che siamo Umani, e in quanto tali limitati nel nostro pensiero e nelle nostre azioni (involontariamente potremmo uccidere degli Animali di piccole dimensioni, dimostrandoci poco “gentili” nei loro confronti, ma ciò sfugge al nostro controllo).
Lo stesso discorso vale per la coerenza. Chiaramente non si può pretendere una coerenza assoluta, ma se è possibile compiere o non compiere un’azione in base a un principio che seguiamo e se tale atto, o non atto, non ha conseguenze insostenibili per noi, perché non farlo? Per coerenza con i principi vegani etici si intente questo: un quotidiano confronto con le nostre idee calate nella pratica.
Nella società capitalistica attuale ci siamo nate/i, da essa abbiamo ricevuto un'”educazione”, meglio sarebbe dire l’imprinting. Non è facile affrancarsene, ma chi intende farlo deve agire con il massimo della coerenza possibile, tenuto conto che tutto è perfettibile. Facendo parte di questa struttura sociale possiamo operare dal suo interno per cambiarla. Una sorta mediazione data la situazione attuale è d’obbligo (e non deve divenire un facile alibi per sgravarsi dalle responsabilità), da questo ad abbracciare in toto la visione capitalistica e consumistica ce ne passa.
Grazie Veganzetta, aspettavo proprio il tuo parere!
Quindi, secondo te, possiamo rifiutare parti del sistema attuale (astensionismo, veganismo) accettandone allo stesso tempo altre (lavoro, consumi)?
La nostra condizione di antispeciste/i all’interno della società specista attuale, è per alcuni versi paragonabile (anche se più complessa) a quella delle persone attiviste antirazziste in una società razzista (si pensi alla Germania nazista, o l’Italia fascista o il Sudafrica). Il problema è che nel nostro caso è l’impianto ideologico stesso della società che viene messo in discussione, e non delle sue aberrazioni o degenerazioni. Non si può quindi dire che si possa accettare o rifiutare qualcosa: il problema va affrontato a 360° e mediante le capacità e possibilità individuali e collettive. Ad oggi non abbiamo un’alternativa strutturata alla società del dominio e dei consumi, ma possiamo agire mediante pratiche quotidiane virtuose, progetti, iniziative, attività e realtà locali mediante le quali confrontarci, crescere e trovare soluzioni sostitutive. La disobbedienza civile, il boicottaggio, l’autoproduzione, le attività di sussistenza alternative etc.. sono tutti metodi utili per lo scopo che ci siamo prefissi, è chiaro che quando materialmente non è possibile cambiare radicalmente la propria vita, si debba scendere a compromessi, senza mai perdere di vista il cammino intrapreso, cercando pertanto di affrancarsi il più possibile dal modello di cittadino imposto da questa società (rimanendo quindi marginali ma senza porsi al di fuori dell’ambito sociale). In conclusione non esiste un metodo ortodosso per compiere questo immane lavoro: ciascuna/o secondo le proprie capacità troverà il proprio metodo partendo da principi e idee comuni.
Capito. Un’ultimissima cosa (porta pazienza ma ho mille domande che mi frullano per la testa).
Tornando al discorso lavoro (inteso come lavoro salariato), pensi che sia sempre un compromesso accettabile oppure l’etica dovrebbe imporci una riflessione? (Penso a quei lavori che direttamente o indirettamente comportano sfruttamento animale).
Non dovremmo rifiutarci (scusa se ripeto il termine) di svolgere determinate mansioni?
Per poter vivere in questa società è necessario possedere denaro, già questo è un grandissimo problema etico, se si aggiunge il fatto che come individui vendiamo il nostro tempo e le nostre capacità in cambio di tale denaro da poter spendere, si può ben capire quale sia la nostra condizione e cosa significhi “lavoro salariato”. Il lavoro dovrebbe avere caratteristiche diverse, essere utile alla collettività, intercambiabile, di sussistenza, spontaneo e condiviso. Tornando alla tua domanda è chiaro che anche svolgendo un lavoro salariato ci sono mansioni e mansioni, alcune sono ovviamente inaccettabili, altre solo “tollerabili” se inserite in una logica di contingenza di una fase di passaggio a un sistema diverso. Una persona vegana etica non potrebbe mai lavorare in un macello, o fare sperimentazione sugli Animali, o servire animali morti dietro a un bancone. Diciamo quindi che se si accetta il concetto di lavoro come lo intende la società in cui viviamo, anche tra le mansioni a pagamento c’è molta differenza.
Grazie di tutto.
Grazie a te Lorenzo.
Sì Lorenzo, dovremmo rifiutarci. Almeno per quanto compete noi direttamente. Potrei farti un esempio personale: io, che sono antiquaria e mi occupo di arredamento, non ho mai proposto manufatti che implicassero sfruttamento animale, tipo tappeti in lana o seta. Certo è che il legno con il quale sono stati costruiti i mobili antichi sarà stato di alberi che avranno costituito l’habitat degli Animali selvatici…quindi non è facile essere proprio esenti dallo sfruttamento in generale, a meno di non vivere isolati da tutto e tutti. Detto ciò, sarebbe nostro dovere, se siamo individui responsabili, cercare di limitare al massimo le pratiche che arrecano danno ad altri, rifiutando quello causato direttamente e riducendo quasi allo zero quello indiretto. E’ una fatica quotidiana, ma è anche una bella soddisfazione!
Grazie Cristina, quello che fai credo sia comunque apprezzabile. Io sono attualmente disoccupato, da tre anni lavoro stagionalmente (3/4 mesi) in una officina. Forse mi chiudo tante porte e possibilità lavorative, il fatto è che aspetto sempre quel “compromesso accettabile” di cui si parlava prima. E non so se possa essere tale un supermercato o un ristorante.
Per me essere vegani non significa semplicemente mangiare tofu e seitan ma qualcosa di più, e quel “di più” si ripercuote nella vita di tutti i giorni. Dovremmo prenderne atto.
Ciao Lorenzo,
I compromessi accettabili sono relativi come tutto il resto. Fai le tue scelte in coscienza e vedrai che riuscirai a trovare delle soluzioni.
Se lavori in un’officina puoi lavorare anche nel reparto frutta di un negozio o di un mercato, o in ambito agricolo.
Grazie, cercherò di seguire il tuo consiglio.
Grazie a te. Se vuoi puoi inviare a Veganzetta le tue esperienze e considerazioni a riguardo.
Attualmente non ho molto da raccontare, mi sono avvicinato alla “questione animale” da un paio di anni, ho ancora un sacco di cose da imparare (e capire). Per questo mi siete molto d’aiuto.
Bravo Lorenzo! Vedrai che troverai la soluzione giusta, o perlomeno accettabile. Per quanto riguarda la coerenza antispecista, dobbiamo renderci conto che, essendo la nostra una società pervasivamente specista, noi siamo obbligati al compromesso. Consideriamo infatti che: anche l’inchiostro dei volantini usati per i presidi antivivisezione sarà stato probabilmente testato su Animali, ma noi dobbiamo comunque usarlo proprio per chiedere l’abolizione di quei test !