Si legge in circa: 6 minuti
Lontano dalla paura
“…uomo forte e intelligente,
dimmi, che cos’è questa follia?”
Il cinghiale Miguel distese le ali e planò dolcemente, spingendo lo sguardo oltre l’orizzonte di dune rosse infuocate del deserto di Sahara; il vento tra le grandi penne gli diede un brivido di sabbia rovente. Miguel in quel momento si sentì, lui stesso, deserto di Sahara. Un istante dopo era diventato una distesa infinita di colline color del tramonto. Mosse con voluttà un’immensa duna scoprendo alla luce il letto di un fiume dimenticato; gli parve allora di conoscere intimamente ogni proprio granello di sabbia. Non era mai stato, prima, un deserto africano e la novità lo fece sorridere di gioia.
Sotto il sole del pomeriggio avanzato avvertì il formicolio di passi leggeri: prima che scendesse la notte, un geco del deserto correva sul deserto-Miguel, con due zampe alla volta, verso la tana. Il cinghiale Miguel decise allora di diventare quel geco e subito cominciò a zampettare sulle dita palmate, tra gli sbuffi di sabbia. Camminando senza meta verso il sole calante, il geco-Miguel si accorse che un tramonto non gli era mai parso bello come quello che si accendeva davanti a lui, appena sopra le dune.
Desiderare di essere il sole e diventarlo fu questione di un momento.
I pianeti con i loro satelliti! Le nebulose piatte ed evanescenti! Le stelle: nane bianche, giganti, supernove, stelle a grappoli e riunite in costellazioni, stelle luminose come spilli di luce, luccichii lontani indistinti. Tutto questo si presentò intorno al cinghiale Miguel, divenuto improvvisamente sole, così egli decise che non sarebbe mai diventato nient’altro. Essere il sole! Cosa poteva esistere di più grande e meraviglioso del sole, a parte… una galassia! Sarebbe diventato una galassia e poi…
“Miguel! Sveglia, Miguel!”
Un brusio lontano, come il rombo subsonico dei buchi neri, si fece strada nelle orecchie del cinghiale Miguel, poi arrivò al cervello e, sempre più insistente, bussò alla sua fantasia finché Miguel non si svegliò.
“Mi senti? Svegliati, sognatore!”
Il cinghiale Miguel mise a fuoco lo sguardo e disse: “Oh, sei tu, Zia. Che c’è?”
“C’è che sei di nuovo partito per uno dei tuoi viaggi, ecco che c’è,” disse la Zia. “Vorrei sapere dove vai, vorrei proprio saperlo.”
“ Oh, Zia, non ti so spiegare! Sono stato un condor, un deserto africano, un geco, sono stato perfino il sole! Se tu avessi visto quello che ho visto io!”
“Mi piacerebbe. Magari un giorno porterai anche me, eh?”
Andava avanti ormai da molti anni. Fin da piccolo, Miguel possedeva il dono di scivolare tra il suo corpo di cinghiale e la sua fantasia, viaggiando nel tempo e nello spazio. Tutti gli altri cinghiali, e soprattutto la Zia, lo consideravano un sognatore, ma essi non avevano capito: la verità è che Miguel viaggiava davvero in groppa alla sua fantasia di cinghiale, e visitava veramente i luoghi del suo sogno ad occhi aperti.
Nei cieli immensi sopra l’oceano Atlantico, Miguel aveva davvero seguito le rotte estive delle procellarie; poi era stato oceano; sotto le distese di ghiaccio dell’Artico era stato foca leopardo dai baffi nervosi; quindi si era fatto lastra di ghiaccio lattiginosa; si era veramente lanciato, torrente gelido degli altopiani del Nepal, intorno ai sassi levigati e tra i denti degli yak assetati; aveva borbottato e fumato per giorni minacciando un’eruzione e seminando il panico tra gli uccelli delle isole del Sud; era stato uccello delle isole del Sud col terrore dei vulcani; come pulce curiosa aveva percorso veramente le distanze misteriose delle savane assolate, invisibilmente abbarbicato a un pelo di criniera di leone; era stato savana, onda, liana, corallo, pietra, pipistrello.
Lui stesso era convinto che si trattasse solo di un sogno, ma si sbagliava: Miguel era stato davvero questi luoghi e queste vite. Quando la Zia lo svegliava, di solito sul più bello, il cinghiale Miguel si guardava intorno e per un attimo faticava a credere di non essersi mai mosso dal pascolo, in cui viveva con la Zia e con gli altri quarantadue cinghiali. Ma i suoni di spari, in lontananza, confermavano sempre alla sua ragione che si trovava ancora sopra il Bosco delle Pigne dove, quasi ogni giorno, i Trucidi venivano a portare la paura. Il viaggio, pensava allora Miguel, era solo immaginario. Tutti i cinghiali del branco conoscevano Miguel e i suoi viaggi ad occhi aperti. Non sapendo in cuor loro se Miguel usciva davvero con la mente dalla sua testa di cinghiale o era solo un po’ strano, erano per lo più divisi tra la compassione e l’invidia.
La Zia finì di masticare l’ultimo rimasuglio di radice dal sapore di patata, sperando che i rumori di spari rimanessero lontani. Quindi scosse la testa e lanciò al nipote uno sguardo rassegnato. Miguel lasciò che la Zia si appisolasse; poi, per sfuggire al rumore degli spari che si facevano più vicini e insistenti, cominciò a pensare a montagne di un altro continente, che non aveva mai visto.
In perfetto equilibrio sulle pietre rese viscide dalla brina del mattino, una renna dalle corna larghe era immobile sulla cresta di roccia. L’estate inoltrata aveva respinto le falde del ghiacciaio verso le cime più alte, scoprendo lembi di prato che nessuno zoccolo aveva ancora calpestato. La renna-Miguel abbracciò con lo sguardo la vallata in cui il fiume lontano era ridotto dalla distanza a una linea bianca, per poi spostare gli occhi sui boschi di larici che ornavano le pendici più basse, fino a incontrare la luce insopportabile delle nevi perenni assolate. Miguel desiderò di essere ghiacciaio: immediatamente scintillò e balenò sotto il sole vicino, nell’aria sottile. Non appena avvertì la sua pelle più esterna liquefarsi e divenire fiume, si lasciò trasportare a valle tra le radici e i muschi. Senza fermare la sua corsa verso il basso, desiderò d’essere pesce e nuotò nell’acqua trasparente, su cui le fronde dei lecci gettavano ombre, riflessi e foglie. Divenuto foglia di leccio, fu vorticosamente piroettato attraverso le rapide e gettato sui sassi grigi. Per un tempo difficile da stabilire fu un sasso di fiume. Ascoltò la carezza del vento e fu vento. Trasportò semi di frutta, impollinò girasoli, fece decollare fiori di pioppo e fece danzare rami secchi; fu ramo secco e turbinò e volò e planò portato dal vento. Poi fece in tempo soltanto a divenire profumo di fragole, quando a un tratto si svegliò.
L’odore che lo colpì, appena tornato nel suo corpo di cinghiale, fu quello dei Trucidi.
Questi erano esseri difficili da immaginare, molto più improbabili delle creature che popolavano i viaggi del cinghiale Miguel. Alti e dritti, dai colori cangianti, quasi ogni giorno i Trucidi attraversavano il Bosco delle Pigne e si spingevano fino al pascolo soprastante. Dopo avere impugnato certi bastoni neri, essi prendevano a inseguire con ferocia i cinghiali, accompagnando le loro urla con tuoni spaventosi.
Allora, senza una ragione, qualcuno dei cinghiali si colorava di rosso e stramazzava a terra con lamenti disperati, tra gli sguardi impotenti dei famigliari e degli amici. Quindi i Trucidi trascinavano via il poveretto e di lui non si sapeva più nulla. Se gli adulti, poi, vedevano i loro figli cadere e perdere la luce degli occhi, le grida di lamento della tribù diventavano quasi più alte degli scoppi e dei grugniti dei Trucidi.
Non appena Miguel si rese conto del pericolo, istintivamente raggiunse la Zia e con lei cominciò a correre verso il bosco. Dietro di loro, un Trucido che impugnava il bastone nero emetteva forti urli e grugniti. La Zia, alla sua età, non poteva più correre velocemente, così con due salti il Trucido le fu molto vicino. Tanto che lei, sentendo ormai prossima la fine, si voltò verso il mostro che la inseguiva.
Miguel sentì il respiro farsi ancora più affannoso. Tutto davanti a lui divenne rosso. Il Trucido brandiva il bastone nero verso la Zia che piangeva in silenzio. Gli altri cinghiali borbottavano e piangevano, i cuccioli correvano a nascondersi.
La mente di Miguel, allora, fece la cosa che gli riusciva meglio: cominciò a viaggiare.
Fu aquila e strinse una noce di cocco tra gli artigli; fece cadere la noce di cocco che si fracassò al suolo; fu orso polare e diede una zampata ad un iceberg; l’iceberg si spaccò; fu rinoceronte e di corsa cozzò contro una montagna; la montagna si aprì; fu capodoglio e agitò la coda sui coralli; i coralli si sbriciolarono. Stavolta il cinghiale Miguel lottò, si divincolò, sbuffò e colpì. Stavolta il sogno non fu realtà soltanto per Miguel, ma dilagò come un incendio d’estate, si espanse come l’acqua della cascata nel fiume, eruttò come lava oppressa dal peso dei millenni.
La fantasia si allargò a tal punto che il Trucido vi cadde dentro. Risucchiato di colpo nel sogno di Miguel, senza avere né il tempo né il cervello per capire, il Trucido fu noce di cocco, iceberg, montagna, corallo. Si fracassò, si spaccò, si aprì, si sbriciolò.
Il cinghiale Miguel si risvegliò di soprassalto, con un tremore nelle zampe e il naso sudato. Del Trucido restavano un berretto sbruciacchiato e uno scarpone di cuoio: tutto il resto era rimasto intrappolato nel sogno di Miguel.
“Zia!” esclamò Miguel. “Tutto bene?”
“Fammi riprendere fiato, caro,” rispose la Zia ansimando. “Oh, ma cosa può essere successo? Che paura ho avuto! Prima il Trucido era lì davanti a me, poi c’è stato quel grande lampo! Ma dove sarà finito, il Trucido? Dove si è nascosto, mi chiedo! Chi ci capisce qualcosa? Eh, Miguel?”
Il cinghiale Miguel non rispose.
“Miguel!”
La Zia si guardò intorno con una smorfia esasperata. “Possibile che, anche in un momento come questo, quel cinghiale sia capace di perdersi nelle sue fantasticherie?”
“Miguel! Miguel!” gli gridò in un orecchio.
Ma il cinghiale Miguel non poteva rispondere: con il becco proteso, il vento tra le piume e le zampe penzoloni, stava migrando verso sud.
Racconto tratto da
Fuoco sulla collina
Piccolo viaggio nei mondi di Ivan Graziani
Autore: Yuri Bautta
Illustrazioni: Adriano Fragano
ISBN: 8890903155
180 pagine
Amazon
anno: 2014
Illustrazione in apertura di Adriano Fragano
Se hai letto fin qui vuol dire che questo testo potrebbe esserti piaciuto.
Dunque per favore divulgalo citando la fonte.
Se vuoi Aiuta Veganzetta a continuare con il suo lavoro. Grazie.
Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.
Ho letto il libro: questo è il mio racconto preferito.
Adriano è un talentuoso illustratore: questa è la mia illustrazione preferita.
Veganzetta ha centrato i miei gusti.
Grazie di cuore cara Paola
Sì, Adriano è davvero un illustratore talentuoso! Complimenti
Cara Daniela, grazie per i complimenti che sono molto graditi.