Libri: Il versante animale


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Copertina del libro "Il versante animale"

Si propone una recensione del libro “Il versante animale” di Jean-Christophe Bailly a cura della Redazione AEF (Associazione Eco-Filosofica).


Fonte: Quaderno dell’Associazione Eco-Filosofica n. 71 – settembre/ottobre 2023

Il Versante animale secondo Jean-Christophe Bailly: elogio dello sguardo animale

L’agile volumetto di Bailly, piccolo per mole ma denso di contenuti, lancia messaggi e spunti di riflessione che risuonano come un pesante atto d’accusa contro la civiltà antropocentrica e la schiavizzazione del mondo animale e dell’intera natura.

A queste accuse non sfugge nemmeno Martin Heidegger: nonostante le sue critiche alla tecnologia e all’umanismo, Heidegger in realtà resta posizionato all’interno del paradigma antropocentrico, almeno là dove egli si confronta, troppo sbrigativamente, con l’animale, sentenziando che esso è “povero di mondo”; a questa povertà intrinseca, intrascendibile, egli contrappone la dignità e la grandezza dell’umano in quanto essere virtualmente pensoso. Heidegger, per certi versi ammiratore della poesia di Rilke, nella quale riscontra significative affinità con la propria visione, se ne distanzia proprio per quanto concerne l’ottava Elegia duinese (valorizzata invece da Bailly): Heidegger non accetta la soluzione fornita da Rilke, là dove il grande poeta fornisce la chiave per ovviare alle meschinerie umanocentriche volte a banalizzare il rapporto uomo-animale in modo da privilegiare il primo sul secondo, con argomentazioni ben poco profonde. Di contro a queste ultime, Rilke propone una pensosa meditazione sui modi di essere del mondo animale, e a questo riguardo Bailly, suo estimatore, si sofferma sulla ottava delle Elegie duinesi del poeta:

“Con tutti gli occhi vede la creatura l’aperto”
“O che un animale, muto, alza lo sguardo, che quieto ci traversa”

In questa elegia veramente straordinaria, il tema dello sguardo animale è intimamente connesso a quello dell’Aperto, inteso come esperienza del non-vincolato, esente da schemi, costrizioni e limitazioni: lo sguardo animale, considerato nella sua purezza primigenia, è come lo sguardo innocente del bimbo da poco nato; l’occhio che si apre al mondo non è calcolante/progettante, non è predirezionato verso qualche ente in vista di uno scopo particolare… è pura meraviglia, pura apertura verso l’essere in generale, comunque esso si presenti, nel mentre ciò che si fa incontro non è sperimentato come oggetto di fronte al soggetto, poiché questa scissione oppositiva non è ancora sorta, e il sentimento di appartenenza è quello prevalente, se non l’unico.

Di contro alla svalutazione heideggeriana, “lo sguardo animale ci attraversa e ci supera” proprio perché spontaneamente rivolto all’Aperto, esperienza di cui gli umani adulti non sono più capaci: l’occhio umano, persa l’innocenza, “guarda all’indietro in modo rovesciato”. Con tale acuta metafora, il poeta suggerisce che è lo sguardo umano ad essere “povero di mondo”, parziale, selettivo e riduttivo, in quanto costantemente condizionato da piccineria, progetti, preoccupazioni, pretese meschine che gli vietano di accedere alla libertà senza forma dell’Aperto (cioè dell’Illimitato o dell’Aformale, come suggeriscono antiche metafisiche).

Certo, gli umani sono fisicamente capaci di esercitare violenza e dominio sugli animali: gli allevamenti sono lì a testimoniare nel modo più cruento le aberrazioni terribili cui conducono gli occhi umani che guardano “in modo rovesciato”.
All’animale cacciato, confinato e umiliato resta un solo potere: quello, nonostante tutto, di “alzare gli occhi”; e ancora una volta, quando incrociamo lo sguardo animale, esso “ci attraversa e ci supera”, quasi un atto d’accusa silenzioso e insopprimibile verso i misfatti della civilizzazione, verso la pochezza aggressiva dello sguardo umano, troppo umano.

Vi è un sottofondo comune al quale tutti attingono, animali e umani: ma questi ultimi l’hanno dimenticato o ne hanno preso le distanze, dando forma a presenze inquietanti, violente, degradanti, che si credono superiori in nome dei feticci della Civiltà, della Bildung, della Formazione scolastica/universitaria, delle Scienze, dell’Economia… Ma l’evento insopprimibile dello “sguardo animale” è lì a suggerire ben altra grandezza, ben altra dignità: il “Versante animale”, che pur si vorrebbe conculcare, narra di un altro modo di essere nel mondo, anzi, nell’Aperto, da cui molto ci sarebbe da imparare.

Questo è il tema essenziale che pervade le meditazioni di Bailly dall’inizio alla fine, e su questo se ne innestano altri, cui qui accenniamo in modo cursorio e in ordine sparso, solo per darne un’idea.

Plotino e la contemplazione: il rimando alla metafisica plotiniana offre l’occasione per puntualizzare che ogni animale, ed anzi ogni essere della natura è esso stesso, in certo qual modo, “contemplazione”, e basterebbe questa sentenza delle Enneadi per riabilitare il versante animale e l’intero poema della natura. Un abisso separa questa visione cosmocentrica dalla pretesa aristotelica della superiorità dell’uomo in quanto “animale razionale”.

Gli allevamenti come negazione della “bestia” e della prodigiosa diversità del mondo vivente: si tratta di un lungo processo, iniziato in tempi remoti, assieme all’agricoltura; l’industrializzazione degli allevamenti ha portato questo processo alle conseguenze più estreme e detestabili, che mettono in pericolo la meravigliosa diversità del mondo vivente, immaginabile come le gocce infinite della pioggia dell’Uno dei Neoplatonici, illimitata accoglienza. Bisogna riconoscere “ il diritto di esistere per tutto ciò che esiste”: un diritto che l’attuale civilizzazione vorrebbe sopprimere.

Che cosa sarebbe un mondo senza animali selvatici? Il volumetto termina con l’elogio del gatto selvatico di Vernazza, nelle Cinque Terre: con portamento nobile e fiero, dall’alto di una sporgenza rocciosa, sembra custodire il luogo, come un nume tutelare d’altri tempi. Nei pressi, le ciotole e appositi cartelli segnalano che gli abitanti non sono ostili ed anzi in qualche modo se ne prendono cura, senza alcuna pretesa di addomesticamento: se si cerca di avvicinarlo, sia pure con le migliori intenzioni, svanisce nel nulla. Bailly vi percepisce la memoria di una sacra amicizia, di un’atmosfera sacrale di tempi lontani, quando la presenza nel paesaggio dell’animale selvatico era la norma, e anche gli umani sapevano riconoscere, quanto a certi luoghi speciali, una sovranità discreta che non era quella degli uomini.

A cura della Redazione AEF (Associazione Eco-Filosofica)


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