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Il cosiddetto “allevamento etico” nasce come risposta alle esigenze del consumatore umano che – pur non volendo assolutamente rinunciare al consumo di prodotti animali – voglia rivolgere i propri acquisti verso prodotti ottenuti con metodi diversi da quelli industriali. Purtroppo, oggi, sono molte le associazioni che propongono questa tipologia di sfruttamento come alternativa valida all’allevamento industriale perché, a loro dire, questa garantirebbe non solo un minor impatto ambientale e una maggiore qualità del prodotto ottenuto ma, addirittura, un maggiore rispetto delle esigenze etologiche e comportamentali degli Animali.
Si legge sul portale web dedicato (www.allevamento-etico.eu) che «ALLEVAMENTO ETICO significa crescere gli animali nel rispetto delle loro abitudini etologiche, evitandone sofferenze ingiustificate» e viene da chiedersi quali siano, invece, le sofferenze “giustificate”, quali quelle “tollerabili” e – addirittura – in linea con l’etologia degli Animali. Il sito web Ansa.it parla di un vero e proprio boom del consumo di corpi di Animali sacrificati in aziende definite “cruel free”; parla di «acquirenti più coscienti (…) ma non per questo degli estremisti», perché attenti al rispetto di quello che loro ritengono un rapporto equilibrato fra Umani e altri Animali; non mettendo chiaramente in discussione il fatto che l’Umano debba nutrirsi proprio di quegli Animali che dice di rispettare.
Giustificazioni etologiche e scientifiche a parte – di dubbio valore fra l’altro – è chiaro che tale posizione non intende in alcun modo criticare il paradigma dello sfruttamento animale ma, al contrario, lo alimenta, lo affina, rendendolo maggiormente accettabile.
Questa tendenza, è perfettamente in linea con la riconversione del consumo che vede oggi il capitalismo sfruttare l’onda verde della nuova “coscienza” del consumatore sostenibile e va da sé che non si possa essere in alcun modo d’accordo.
Se è estremista considerare sfruttamento alla stessa stregua di quello industriale l’allevamento “etico”, allora estremisti dobbiamo considerarci se riteniamo che allevare degli Animali privandoli della loro libertà e nutrirsene sia sempre e comunque sbagliato: l’allevamento etico non esiste.
Di seguito l’articolo pubblicato dal sito web Ansa.it.
Cruel free, cresce l’allevamento etico e conquista i consumatori consapevoli
Con-Vivere: uomo, animale, ambiente in una società che (finalmente) cambia
Non sono vegani. Anzi, a formaggi e bistecca non rinunciano. Ma con una consapevolezza che mette il rispetto per animali, ambiente e salute in primo piano. E’ il nuovo popolo del ”cruel free”, che avanza anche tra i consumatori italiani. Una nuova classe di acquirenti più coscienti, spesso già votati al biologico, vicini alla natura, magari frequentatori di rimedi naturali e omeopatici, attenti a un’alimentazione sana. Ma non per questo degli estremisti. Semplicemente sostenitori di forme di allevamento etico, ben consci di ciò che può nascondersi dietro una confezione di pollo al supermercato e dei rischi che può comportare. Perché tutto si può fare anche in un ”altro” modo.
(di Daniela Giammusso)
”In un nuovo concetto di economia solidale il termine ‘consumatore’ è riduttivo”, spiegano Carla De Benedictis, Francesca Pisseri e Pietro Venezia, di professione medici veterinari e omeopati, autori di ”Con-Vivere. L’allevamento del futuro” (ed. Arianna Editrice). ”La persona che ha bisogno di cibo per nutrire se stessa, la propria famiglia e la propria comunità – spiegano – fa un investimento economico sul proprio territorio, sulla socialità, sulla sostenibilità delle produzioni. Il consumatore diventa fruitore: destinatario quindi di un bene o di un servizio. E il diritto alla nostra salute passa anche attraverso il diritto di acquistare cibo che abbia reali proprietà nutritive e non sia tossico”.
La parola chiave è ”Con-vivere”: uomo, animale, ambiente. Perché, i risultati sorprenderebbero molti, allevare l’animale rispettandolo nelle sue esigenze e nei suoi istinti non migliora solo la sua vita, ma porta a un minor impatto sull’ambientale, a ”produzioni” migliori e di conseguenza anche a grande risparmio in termini di sanità e contenimento dell’inquinamento.
Non un’utopia, assicurano gli esperti. Spesso basta anche solo guardarsi indietro e ritrovare usi e comportamenti utilizzati fino a qualche decennio fa.
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“cruel free” proprio perchè non si può parlare di “cruelty free”, visto che non possono negare la crudeltà necessaria allo sfruttamento animale. ma “cruel free” che vuol dire? cruel è un aggettivo! è un non-sense anche dal punto di vista sintattico.
mah…non ho parole di fronte a cotanta demenzialità e ipocrisia.
Allevamento etico = pillola blu
La dissoluzione del linguaggio, forse per deperimento, inedia. Il significato delle parole si scioglie lentamente e scivola via nelle fessure, sparisce in profondità inquietanti come crepacci di ghiacciaio, per morire, non visto. E questo accade se lo lasciamo accadere. Accade perché lo lasciamo accadere.
Uno schiavo che viene “trattato bene” resta comunque uno schiavo.
Il concetto di “etico” è di gran moda e trova spazio ovunque. Qui si parla di “Macellazione: che avvenga in azienda, così da rispettare fino alla fine l’animale e garantirgli la tranquillità di un ambiente familiare” Non dicono che è macellazione “etica” ma di fatto intendono quella perché la macellazione etica esiste certificata da ICEA.
Ci sono allevamenti in cui gli animali vivono liberi, sono molto ben tenuti e, se non sapessimo che quegli animali saranno macellati, probabilmente scambieremmo quei posti per santuari per animali. In campagna ho visto animali in libertà, non libertà totale come è quella dei selvatici, ma per lo meno come quella degli animali nei santuari.
Ciò che stride è che, mentre nei santuari gli animali ci stanno perché salvati, negli allevamenti ci stanno perché fabbricati.
L’allevamento etico è una gran frottola perché fabbrica la morte eppure adesso ce lo rifilano in tutte le salse per farci sentire meno colpevoli nel mangiare animali.
La zootecnia usa sempre di più un linguaggio che non le è mai appartenuto: etica, benessere animale, dignità, rispetto, esseri senzienti…
Allevatori, macellai, aziende ci affrontano con il nostro stesso linguaggio per dimostrarci che hanno una sensibiltà al passo coi tempi ma secondo me hanno la terra che trema sotto i piedi.
Bisogna vedere se è più astuto il pubblico nel percepire le frottole o se sono più astute le aziende a vendersi. Adesso è troppo presto per dirlo perché questa moda è ancora fresca.
….l’essere vivente avendo il privilegio di esser legato ad una catena d’oro è pur sempre legato ad una catena…
La perversione di queste discriminazioni che hanno esclusivamente una valenza semantica sono raccapriccianti.
Non esistono cibi animali etici, come non esistono cibi animali sani. Sono giochi di parole per far accettare alle masse la loro assuefazione, la loro dipendenza; dipendenza che ha un costo inestimabile in vite recise, sofferenze inferte e, in fine, in sofferenze subite da chi esso stesso subisce, senza interrogarsi, l’assuefazione e la dipendenza da cibi malsani che si rivelano mortali per l’intero globo terracqueo.