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Le citazioni riportate di seguito sono liberamente tratte da una lettera inviata da Paola Re (che ringraziamo pubblicamente) in occasione della strage di agnelli a causa delle feste pasquali.
Buona lettura.
Il premio Nobel Salvatore Quasimodo, che nelle sue poesie racconta l’orrore della guerra, sa che la sofferenza che essa comporta non si limita agli esseri umani. Ne è prova la sua poesia: “O miei dolci animali”, facente parte della raccolta “Giorno dopo giorno”. Ogni anno, nel periodo antecedente la Pasqua, mi torna in mente un’altra sua poesia della stessa raccolta: “Alle fronde dei salici”. Per indicare il pianto dei bambini nel clima di terrore e di oppressione, Quasimodo scrive “il lamento d’agnello dei fanciulli” e ha ragione perché bambini e agnelli hanno un pianto simile e sono entrambi simbolo di innocenza e sacrificio. Sono cuccioli: gli uni umani, gli altri non umani.
La scrittrice Susanna Tamaro ha spiegato questa analogia di condizione esistenziale in un celebre articolo in occasione della Pasqua 2010 www.corriere.it/cultura/10_marzo_28/pianto-agnelli-dolore-mondo-tamaro_5a1f6106-3a40-11df-87c6-00144f02aabe.shtml
Anche Gandhi, nella sua autobiografia “La mia vita per la libertà” rivolge un pensiero a queste creature:“Sarei restio ad ammazzare un agnello per sostenere il corpo umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini.”
Curzio Malaparte, in “Maledetti Toscani” va oltre l’agnello e ci fornisce un quadro dolente della Pasqua in un angolo della Toscana:
“Spingo la porta, è Pasqua. Entro nella macelleria, è Pasqua a San Gimignano. E’ Pasqua e la testa del toro sul davanzale della finestra, il bue squartato appeso ai ganci, l’agnello sgozzato disteso sul banco di marmo. Quest’odore di sangue, di carne rossa è Pasqua. Anche il ciuffo di viole di Santa Fina, lassù in vetta a quella torre è Pasqua. Dalla finestra della macelleria si vedono le rosse torri lucenti nel mattino, i tetti di corallo antico, gli olivi che s’alzano dai poggi come una lieve nebbia argentea, e i campi, i vigneti, i boschi dorati della Montagnola, laggiù verso Volterra, e il cielo sulla Val d’Elsa del colore delle foglie dei verzi… Su quel paesaggio riposa la testa del toro, librata sull’azzurro davanzale di pietra serena contro la trasparenza verdina del grano, sotto la nuvola bianca. L’occhio morto mi guarda feroce, con un occhio quasi umano. Eppure io riconosco quell’occhio. Mi muovo per la bottega, tocco le coltella, l’affilatoio, i mazzuoli, le accette, la mannaia. Il legno del ceppo, sul quale la mannaia spezza e squarcia le ossa, è tutto bucherellato come un bugno, un bugno pieno di sangue nero di sego bianco. Volto la schiena alla finestra e sento che il toro mi guarda. La testa del toro è Pasqua… E’ Pasqua il sangue raggrumato sul marmo, la segatura rossa sparsa per terra”.
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