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Quarta e ultima parte dell’articolo “a puntate” La lontananza uccide? Diritti animali e compassione di Filippo Trasatti. Buona lettura (leggi parte 1, parte 2, parte 3).
Emozioni e compassione
Proviamo a vedere in che modo le emozioni e in particolare la compassione possano convergere con l’elaborazione di un diritto interspecifico e quindi rafforzarne la possibile attuazione.
Innanzitutto bisogna forse partire dal superamento di una distinzione netta tra emozione e ragione, una distinzione che in qualche modo è parallela a quella tra umanità e animalità (razionalità/irrazionalità). Fino a un certo punto si è disposti a riconoscere che molti animali hanno certamente emozioni e le manifestano chiaramente.
Ora ci sono tutti gli strumenti teorici per pensare in modo diverso le emozioni e tra queste la compassione
1) Innanzitutto esse hanno un carattere cognitivo e fungono da guide per far cogliere al soggetto il suo rapporto con l’ambiente, ci aiutano a valutare il rapporto tra noi e il mondo. Le emozioni forniscono agli animali (homo sapiens incluso) la nozione di come il mondo si rapporta al suo complesso di scopi e progetti. Se la comunicazione razionale e verbale tende all’oggetto, quella delle emozioni è in realtà una metacomunicazione che dice qualcosa di essenziali sul rapporto tra il soggetto e il mondo.
2) Le emozioni non solo sono altrettanto cognitive quanto altre percezione, ma ci dicono qualcosa di essenziale quanto al nostro essere-al-mondo e lo dicono in un modo forte e autorevole (addirittura troppo forte spesso) e in questo senso è chiaro il loro valore adattivo.
3) Una delle tesi di Damasio1 è che l’oggetto di tutte le emozioni è una condizione del corpo del soggetto. Le emozioni usano il corpo come strumento di mediazione col mondo ecco perché nelle emozioni tocchiamo più facilmente quella carne del mondo a cui co-apparteniamo con gli altri animali.
Possiamo riassumere dicendo che ben lungi dall’essere egoistiche e irrazionali, le emozioni ci dicono attraverso il corpo qualcosa del nostro essere-nel-mondo, nel rapporto con un oggetto, permettendoci di valutare una situazione globale all’interno della quale acquistano senso le nostre decisioni e le nostre azioni2.
Se questo vale in generale per le emozioni, che cosa accade nella compassione? Nussbaum ha analizzato in modo approfondito le caratteristiche della compassione, confrontando diverse teorie filosofiche3.
Innanzitutto c’è4 una questione terminologica che riguarda in generale in campo delle emozioni,
sentimenti, affetti: com-passione indica evidentemente un condividere una passione.
Ma ancor prima per condividere qualcosa bisogna riconoscerla, sentirla, percepirla. Allora si può dire che l’empatia è una premessa necessaria della compassione?
L’empatia, come esperienza del “sentire l’altro nelle sue molteplici manifestazioni (amicizia, amore, aiuto, rispetto, riconoscimento fiducia, cura, compassione), ognuna delle quali modula in maniera sempre diversa il rapporto tra corpo, emozioni, conoscenza e volontà”5.
Il movimento empatico, secondo Boella, si articola fenomenologicamente in tre momenti fondamentali:
1) l’emozione dell’incontro (…)
2)Immaginare e comprendere (…)
3)Trasformazione di sé (…)6.
Ora è proprio a partire da questi movimenti che ci rivelano e ci mettono in relazione con il corpo vivo che riusciamo anche a provare l’emozione della com-passione.
Di solito quando parliamo di compassione ci soffermiamo soltanto su un aspetto, la condivisione del dolore, mentre nulla vieta di com-patire la joie de vivre e questo appare evidente a chiunque sia in un rapporto vitale e profondo con un animale.
Ma la domanda è: quale contributo positivo possono dare le emozioni, e in particolare la compassione, alle decisioni etiche e politiche7?
Per Nussbaum la compassione è quell’emozione che fa da ponte tra la naturale e fisiologica dipendenza di ogni essere da altri, tra la vulnerabilità di ognuno nei confronti del dolore fisico, della fame, della miseria, dei rovesci della sorte, e una morale e una politica della solidarietà e della giustizia.
Questo perché nell’analisi della compassione individua i seguenti elementi:
a) la gravità della sofferenza dell’altro
b) l’ingiustizia della sofferenza dell’altro (innocenza)
c) l’analogia tra quello che accade all’altro e ciò che potrebbe accadere a me. Ciò dipende dalla mia
capacità di cogliere analogie tra me e gli altri animali e stabilire a partire da ciò una comunanza
nel dolore e nella vulnerabilità.
d) Lo stupore
“Anche quando proviamo compassione per quegli aspetti della sofferenza che sono differenti dalla nostra – per esempio per la mancanza di diritti giuridici, per la loro mancanza di potere di dar forma alle leggi che riguardano la loro vita o (in alcuni casi) per la mancanza di comprensione di ciò che accade – è molto spesso sulla base di un senso di comune vulnerabilità al dolore che estendiamo la nostra simpatia. Pensiamo a quanto sarebbe orribile soffrire in quel modo e senza alcuna speranza di cambiamento”8.
A partire da quest’analisi e rovesciando i singoli elementi si può capire che cosa blocchi invece la com-passione.
Potremmo definirle così: l’indifferenza (vera o apparente) si fonda su una serie di categorizzazioni che rimuovono la sofferenza dell’altro considerandola irrilevante, fanno ricorso a un’idea trascendente di giustizia (l’ha ordinato dio), pongono barriere ontologiche invalicabili tra le specie e infine ottundono la percezione dell’altro. In altre parole trasformano l’altro in un oggetto senza vita, mero elemento indifferente di una serie, cosa animata.
Sicuramente la lontananza uccide: riprendendo l’osservazione iniziale di Diderot, sul mandarino cinese (il mandarino cinese può essere ucciso solo pigiando un bottone), “aeroplani e missili hanno provato l’esattezza della congettura di Diderot secondo cui sarebbe stato molto più facile uccidere un essere umano che apparisse grande come una rondine. Il progresso burocratico si è mosso nella stessa direzione, creando la possibilità di trattare grandi quantità di individui come se fossero puri numeri: un altro modo efficace di considerarli a distanza”9.
Ma cosa accade quando all’improvviso si apre un varco che in cui viene riconosciuta e rivelata la sofferenza dell’altro? Che cosa catalizza questo “varco”? La prossimità fisica, il ricordo o l’immaginazione di un’analogia di condizione.
* A questo proposito un esempio straordinario lo troviamo in una lettera di Rosa Luxemburg del 1917, quando si trovava in prigione10.
Nel cortile della prigione Luxemburg vede arrivare un carro trainato da bufali, anziché cavalli. Sfiancati dal peso, i bufali non riuscivano ad avanzare e il soldato che li accompagna comincia a frustarli senza pietà, tanto che la guardiana lo rimprovera chiedendogli se non ha almeno un po’ di compassione per quei poveri animali. E il soldato: ”’Neanche per noi uomini c’è compassione’ rispose quello con un sorriso maligno e batté ancora più forte”11.
C’è in questa risposta un’intera antropologia (criminale): l’autoassoluzione della crudeltà, sulla base delle infinite e interminabili crudeltà già commesse e subite; la giustificazione dei mattatoi sulla base che la storia è un grande mattatoio.
Sono quegli istanti in cui, come diceva Benjamin, brilla la costellazione di un’intera epoca: ecco qui il nesso tra il bufalo sanguinante, le masse sanguinanti in trincea.
Quando i bufali si fermano stremati, l’attenzione si concentra su uno in particolare, quello sanguinante.
“Guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo”. Attraverso un’antropomorfizzazione scatta l’immedesimazione ed è lo sguardo che l’innesca.
“l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime-erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io davanti a quella silenziosa sofferenza”12.
Dopo questa prima rivelazione del dolore dell’altro, che al tempo stesso è il mio e non è il mio, si apre uno spazio all’interno del quale può crescere la consapevolezza della condizione comune.
E la lettera si conclude con “e tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti ali occhi”13.
Qui si è aperto nella com-passione quel varco che conduce all’essere-in-comune.
Ma questo è solo un istante, il problema è poi che quel varco ci apra anche a un altro tempo, c’è bisogno anche di un principio speranza che guidi questa scoperta di una comunanza nella differenza.
Solo a queste condizioni la compassione può diventare qualcosa di più stabile e lavorare a rafforzare la convinzione che la cessazione di quella sofferenza è possibile.
Compassione e vita pubblica
Nussbaum presenta la questione del rapporto tra compassione e vita pubblica all’interno di una visione di tipo liberale.
Anche se non si accetta la sua impostazione politica, la sua analisi presenta diversi elementi di interesse.
“Il rapporto tra compassione e istituzioni sociali è e dev’essere duplice: gli individui compassionevoli costruiscono delle istituzioni che incarnano ciò che immaginano e le istituzioni, a loro volta, influenzano lo sviluppo della compassione negli individui”14.
Per far questo dice Nussbaum bisogna promuovere un’educazione civica che metta a contatto con casi e storie che promuovono l’estensione dell’immaginazione e in questo senso l’arte e la letteratura acquistano un valore particolare (ritorniamo qui alla tesi di Elisabeth Costello di cui abbiamo parlato all’inizio).
Qualche minima conclusione per ripartire
Quelle che seguono più che una risposta alla serie di domande che ci siamo posti, è piuttosto un programma di ricerca.
• Poiché come abbiamo detto all’inizio l’idea conflittuale del diritto comporta il peso non solo degli interessi in gioco, ma dello sfondo culturale su cui tali pratiche si basano, è più che mai necessario un programma di ricerca interdisciplinare etnografico delle relazioni tra umani e altri animali nella nostra cultura che ci porti al di là della mera descrizione dei rapporti con gli animali d’affezione e del protezionismo specialistico. In questo senso la via tracciata dalla zooantropologia è promettente.
• Se come dice Levi-Strauss il cibo non serve solo ad appagare un fabbisogno calorico, ma prima di tutto a soddisfare un appetito simbolico, ossia che deve essere in primo luogo “buono da pensare”, la ricerca sul simbolico attuale degli animali è necessaria per vedere i fondamenti nascosti dell’alimentazione carnivora. Facile non è perché si tratta semplicemente di ritrovare il ritorno del rimosso di migliaia di anni di predazione e domesticazione che poi si sono tradotte in strutture sociale gerarchiche.
• D’altra parte l’uso di quella che Latour chiama “antropologia simmetrica” permette di ampliare la nozione di collettivo, unendo umani e altri animali in una rete che ha specificità diverse rispetto a quelle dei meri soggetti, umani altri animali e cose.
• Se la lontananza uccide e tanto più ci allontaniamo dall’altro tanto meno forte si fa la compassione, è allora necessario avvicinarsi agli animali fin da piccoli, perché la mucca non si compri al supermercato, ma sia un individuo che ci guarda negli occhi. I rifugi per gli animali da reddito diventano allora luoghi per un incontro e per un avvicinamento che è il presupposto per la compassione.
• Per quanto concerne il diritto mi sembra fondamentale cercare di scavare più a fondo per chiarire come le pratiche del diritto “soggettivistico” lavorino incidendo significati sui corpi e legandoli l’uno agli altri con vincoli prestabiliti.
• Il terreno comune per un’elaborazione di convergenze tra diritto e compassione è quello del corpo vivente da una parte e dell’essere in comune dall’altra. Non il corpo inteso come proprietà, come una delle tante merci che è possibile acquistare, anche a pezzi secondo una logica meramente strumentale , ma il corpo vissuto. Ancora Elisabeth Costello: “Essere un essere nella sua pienezza significa vivere in quanto corpo-anima. Un modo per indicare l’esperienza della pienezza dell’essere è la gioia”15. E la fondazione di questa comunanza può trovare un ambito rilevante nell’analisi fenomenologia dell’intersoggettività e dello sguardo.
• Infine un altro ambito interessante è quello dell’ampliamento del concetto di interesse. Come dice Vinciane Despret si può rielaborare la questione dell’interesse, ma dandole una dimensione epistemologica, etica, estetica e ontologica. L’interesse come condizione e premessa del sapere, come estensione della sensibilità, come modo creativo e creatore d’esistenza.
(fine)
Filippo Trasatti
Note:
1) Antonio Damasio, L’errore di Cartesio, tr.it, Adelphi, Milano 1995.
2) A questo proposito può essere prezioso riprendere la teoria delle passioni che Spinoza sviluppa nell’Etica. Passioni tristi e passioni liete in Spinoza: aumento e diminuzione dell’essere.
3) Martha Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, tr.it., Il Mulino, Bologna 2004.
4) Ma quando non c’è in filosofia?
5) Laura Boella, Sentire l’altro, Cortina, Milano 2008, p. XXXI.
6) Ibidem, 28-29.
7) Nussbaum, op.cit., p. 360s.
8) Ibidem, p. 385.
9) Carlo Ginzburg, op.cit., p. 202. Ginzsburg si spinge oltre mostrando come distanza e prossimità siano nozioni ambivalenti, come la lontananza e prossimità vadano articolate non solo su scala spaziale, ma anche su scala temporale (riprendendo Hume sostiene che quella temporale sia molto più efficace nell’indebolire la compassione).
10) Rosa Luxemburg, Un po’ di compassione, tr. It, Adelphi, Milano 2007.
11) Ibidem, 20.
12) Ibidem, 20.
13) Ibidem,21.
14) Nussbaum, op.cit., p. 484.
15) J. M. Coetzee, La vita degli animali, cit. p.44
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Inverno 2010 / n° 2 del 31 dicembre 2010, p. 4
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