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Terza parte dell’articolo “a puntate” La lontananza uccide? Diritti animali e compassione di Filippo Trasatti. Buona lettura (leggi parte 1 e parte 2).
Il dispositivo del diritto
Quel che avviene è che il diritto, sulla base di spinte sociali, di mutamenti di paradigma, di ripartizione di interessi e rapporti di potere, attraverso alcune operazioni soggettivizza e oggettivizza alcuni enti del mondo.
Il diritto, nel senso moderno, si fonda sul potere sotto un duplice aspetto:
1) il potere dell’individuo su se stesso (libertà) e sul suo ambiente (il diritto soggettivo) jus
2) il potere (divino o umano che sia ) di produrre regole che vincolano, che sono dei comandi (diritto
oggettivo) lex
I due aspetti di questo potere sono come due facce della stessa medaglia: la legge che vincola e comanda non sopprime un diritto soggettivo, ma lo concede o almeno lo protegge contro altri possibili soggetti in competizione.
Come può un diritto emanare da un comando? Perché si considera che il diritto d’agire concesso a un soggetto è l’altra faccia dell’interdizione verso altri che potrebbero impedire quella azione. Così facciamo un esempio: se una gallina avesse un diritto soggettivo alla libertà di movimento, ciò sarebbe allo stesso tempo un vincolo o un comando rivolto verso tutti coloro, e sono tanti, che vorrebbero impedire il suo giusto godimento di quel diritto. Questo ci fa capire subito perché dietro alla questione del diritto ci sia una questione di poteri, poteri forti e bilanciamento degli interessi. Diritto e obbligazione sono due facce
della stessa medaglia. Inoltre quando parliamo di diritti soggettivi abbiamo compiuto già una serie di operazioni di separazione,
le quali a loro volta si basano su operazioni antropologiche di classificazione e categorizzazione essenziali per il nostro approccio al mondo.
Proviamo per un momento a considerare il diritto come un’istituzione con un suo specifico modo di funzionamento.
Secondo l’interessante prospettiva proposta dall’antropologa Mary Douglass le istituzioni sono organizzatrici di informazioni sulla base di classificazioni e categorizzazioni in base alle quali conferiscono identità: ripartiscono l’insieme delle cose del mondo in insiemi diversi, creano contrapposizioni (dentro/fuori, noi/loro), le organizzano in gerarchie in funzione di certi interessi e di certe conoscenze.
Il principio stabilizzante delle istituzioni è la naturalizzazione delle classificazioni.
“Gli individui quando selezionano e scelgono tra analogie naturali, selezionano e scelgono anche i loro alleati e nemici e il modello delle loro reazioni future costruiscono una macchina per pensare e prendere decisioni”1.
Questa prospettiva insieme a quella di Bruno Latour, che invece ci mostra la nascita di collettivi a partire dalla separazione tra cultura e natura e dunque tra soggetto e oggetto, ci fa vedere all’opera quel meccanismo interno del dispositivo del diritto che permette appunto quella che abbiamo chiamato soggettivazione e oggettivazione2.
Ecco allora, per riassumere, cosa accade con la soggettività giuridica3:
*il diritto soggettivo è voluto e imposto da un legislatore attraverso una norma che ratifica una sfera di interessi, in seguito a una serie di processi complessi che hanno essenzialmente a che fare con rapporti di potere e di forza;
* il soggetto portatore di interessi è al contempo liberato e legato ad altri interessi soggettivi (l’intersoggettività di sfondo è quella borghese): è in altre parole un soggetto individualizzato, un soggetto proprietario con l’estensione delle sue proprietà come interessi garantiti dalle leggi;
* il dispositivo del diritto, come effetto del potere, si incide sui corpi, li ripartisce, li organizza4;
* La costruzione del diritto presuppone un’ontologia e operazioni di classificazione, ripartizione.
Per sintetizzare:
“La cosiddetta persona fisica, scrive Kelsen, non è un uomo bensì l’unità personificata delle norme giuridiche che attribuiscono doveri e diritti al medesimo uomo. Non è una realtà naturale bensì una costruzione giuridica creata dalla scienza del diritto”5.
E’ chiaro dunque il carattere del tutto artificioso della formazione del soggetto e della persona giuridica e dei meccanismi di inclusione/esclusione dalla sfera dei diritti.
Diritti e intersoggettività
E’ abbastanza chiaro che se nel mondo ci fosse un solo individuo, non avrebbe bisogno di diritto né di diritti. Il diritto è legato alla questione dell’intersoggettività. La forma originaria del diritto sta nel legame, nel vincolo, nel nesso intersoggettivo che può assumere ovviamente una miriade di forme diverse, ma che diventa “diritto” quando viene codificato, inscritto (anche qui in modi diversi). In altre parole quando si tratta di diritto, nel duplice senso di legge e diritti, è sempre questione di soggetti e si tratta di imperativi, ma questi imperativi e obbligazioni si basano sull’assunzione dei vincoli e dei legami tra soggetti e tra soggetti e oggetti. Se non c’è obbligazione possibile, non c’è diritto, non solo nel senso che il diritto non viene rispettato, ma che tra i soggetti non c’è legame.
D’altra parte il diritto si esercita su beni che possono essere anche astratti (come appunto la libertà di muoversi), ma sempre e comunque a partire dall’iscrizione di regole sui corpi.
Le pratiche del diritto “soggettivistico” lavorano incidendo sul corpo dei significati. Un primo es. evidente ci viene da Locke a proposito della proprietà a partire dal corpo e dell’estensione del corpo nel lavoro e nei suoi prodotti.
“Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato di natura le ha prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro e cioè unito qualcosa che gli è proprio e con ciò lo rende proprietà sua (…) Chi si nutre di ghiande che coglie sotto una quercia o delle mele che raccoglie dagli alberi di una foresta certamente se le è appropriate. Nessuno può negare che questo cibo sia suo. Domando quando hanno cominciato a essere sue? (….) E’ stato l’atto di raccoglierle quello che le rende sue”6.
Ecco, se Locke ha ragione anche gli scoiattoli hanno un diritto di proprietà. Quello che non li rende titolari di tale diritto è la loro impotenza rispetto alla strapotere dell’uomo in primo luogo; e secondo l’incapacità di inscrivere e codificare nei corpi questo diritto. Il che significa che solo noi possiamo farlo in vece loro.
Diritto interspecifico
Ma il diritto che è creazione umana, insieme alla filosofia e a molte altre pratiche culturali, può realmente e in che modo, liberarsi dall’antropocentrismo? Esiste cioè un diritto che superi lo specismo, in direzione all’orizzonte, di un diritto interspecifico? Ossia certo non esiste ancora, ma su quali fondamenti può porsi? Che senso ha un “diritto comunitario interspecifico”?
* In primo luogo sarebbe necessario passare dal soggetto costruito come individuo proprietario a un individuo comunitario, sullo sfondo di un diritto comunitario.
* In secondo luogo questa comunità dovrebbe essere intesa non come comunità meramente umana, ma come “collettivo” (per usare un’espressione di Latour) come rete di relazioni.
* Ma perché il padrone dovrebbe concedere dei diritti? In questo senso è evidente che senza un superamento del paradigma del dominio antropocentrico, con tutto quel che ne consegue, non si può arrivare a un diritto interspecifico.
Con questo si crea una sorta di circolo vizioso in un ragionamento come quello di Pocar: “l’estensione della sfera dei diritti a tutti gli esseri senzienti potrebbe recidere alla radice il paradigma della giustificabilità della discriminazione che si costruisce tramite la deduzione, irrazionale, di una gerarchia di dignità dalla constatazione di una differenza”7 ossia dello specismo; ma appunto l’estensione dei diritti a tutti gli esseri senzienti non presuppone già il superamento del paradigma del dominio?
E un’ulteriore domanda: può la compassione, uno sviluppo e un’estensione della compassione portare nella direzione di un altro diritto?
(continua nel prossimo numero…)
Filippo Trasatti
Note:
1) Mary Douglas, Come pensano le istituzioni, trad. di Carla Caprioli e Pier Paolo Giglioli, Bologna, Il Mulino 1999.
Il tema dell’analogia tra l’altro è importante, perché permette di costruire l’altro sulla base di somiglianze e differenze.
2) Bruno Latour, Politiche della natura, trad. di Gregorio M., Milano, Cortina 2000.
3) Bisognerebbe distinguere tra interpretazione giusnaturalistica e giuspositivistica, ma lasciamo andare in questo contesto.
4) Si veda a questo proposito Michel Foucault, Sorvegliare e punire, trad. di Alcesti Tarchetti, Torino, Einaudi, 1976.
5) Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto, cit. in A. Dal Lago, op.cit., p. 216.
6) John Locke, Saggio sul governo civile, cap.V § 46.
7) Valerio Pocar, op.cit., p. 126.
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Estate 2010 / n° 1 del 30 maggio 2010, pp. 3,4
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