Il Paradosso legato al consumo di carne


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Di seguito è possibile leggere un’interessante ricerca sul “paradosso legato al consumo di carne” e sul concetto di “dissonanza cognitiva“.
Il testo è sicuramente di stimolo per quanto riguarda alcune questioni tipiche del dibattito antispecista, come il concetto di “specismo” e le sue motivazioni psicologiche e sociali, ma le persone umane autrici del testo arrivano a conclusioni probabilmente errate. Infatti affermano che “esistono diversi modi per risolvere il paradosso legato al consumo di carne”: non mangiarla come fanno le persone umane vegetariane, o mangiarla abbassando il concetto che abbiamo degli Animali che finiscono nel nostro piatto. In realtà non si tratta di soluzioni né in uno, né nell’altro caso. Le persone umane vegetariane operano una rimozione o quantomeno un abbassamento del concetto che hanno di alcuni Animali, per poter continuare a consumare alcuni prodotti da loro derivati (si pensi per esempio ai Bovini che forniscono il latte, o alle Galline che forniscono le uova per i latto-ovo-vegetariani), quindi operano lo stesso stratagemma delle persone umane carnivore, anche se con grado diverso.
Gli Umani carnivori d’altro canto non possono e non devono essere categorizzati (come del resto anche le altre persone umane che non mangiano carne, e i viventi in generale), c’è infatti chi consuma carne senza alcuna remora, e senza alcun senso di colpa.
Il paradosso legato al consumo di carne non è quindi solo di natura psicologica, ma anche sociologica e culturale. Lo stesso discorso è applicabile anche a chi è vegan, infatti, anche se in misura molto ridotta rispetto alle persone umane vegetariane (e enormemente meno rispetto ai carnivori!), anche le persone umane vegane contribuiscono direttamente o indirettamente allo sfruttamento e alla morte degli Animali (si pensi solo all’uso dell’automobile o di altri mezzi di trasporto, ecc.).
In conclusione si può affermare che il “paradosso legato al consumo di carne” non ha una soluzione, ma mediante una serie di stratagemmi giustificazionisti (per chi vuole continuare a mangiare gli altri Animali), o pratiche di vita (per chi giustamente non vuole mangiarli) può essere mitigato.


Fonte: https://it.in-mind.org/article/il-paradosso-legato-al-consumo-di-carne-ovvero-come-possiamo-amare-gli-animali-e-al-contempo

Il paradosso legato al consumo di carne: come possiamo amare gli Animali e al contempo mangiarli?

Steve Loughnan, Boyka Bratanova, e Elisa Puvia
University of Kent, e Université Libre de Bruxelles

La relazione tra esseri umani e animali è moralmente complessa. Tale complessità deriva dal nostro comportamento ambivalente nei confronti degli animali ed è esemplificata al meglio nel consumo di carne. Mangiare carne è moralmente problematico perché contrappone il nostro desiderio di non far del male agli animali con il nostro appetito per le loro carni. Questa tensione – amare gli animali e consumare carne – rappresenta l’essenza del paradosso legato al consumo di carne.
La carne costituisce una parte importante della dieta dei paesi occidentali.
Un italiano medio consuma all’incirca 90 kg di carne l’anno, con un incremento di circa il 200% dagli anni ’60 (WRI, 2010). Per soddisfare questa crescente richiesta è necessario produrre una gran quantità di carne. Prendendo in considerazione la sola produzione interna, nel 2001 l’Italia ha prodotto 4.1 milioni tonnellate di carne (WRI, 2010). La produzione di questa gran quantità di carne richiede la macellazione di un gran numero di animali. Nei soli Stati Uniti il numero di animali uccisi ha raggiunto il tetto di 9 miliardi di animali per anno (Joy, 2010). Questa cifra non comprende il consumo dei paesi europei, il crescente consumo di carne nei paesi non-occidentali e l’allevamento e consumo di pesce. In breve, mangiamo sempre più carne e questo significa che un maggior numero di animali è destinato a essere ucciso.
Queste statistiche potrebbero indurci a pensare che viviamo in un epoca in cui non ci si cura affatto degli animali. Macelliamo un numero sempre crescente di animali per soddisfare il nostro crescente appetito di carne. Tuttavia, ci sono buone ragioni per sostenere che la società in cui viviamo mostra un interesse sempre crescente per il benessere degli animali. Secondo la American Pet Association, un terzo degli americani possiede un cane (39%) oppure un gatto (33%) e i proprietari di animali da compagnia spendono complessivamente 43 miliardi di dollari l’anno per i loro animali (APPA, 2009). Possedere un numero crescente di animali fa si che in generale ci si prenda maggiormente cura di loro. In Italia, atti di crudeltà nei confronti degli animali possono portare a una condanna fino a tre anni di reclusione (Gazzetta Ufficiale, 2004). Il fatto che il possesso di animali sia così diffuso e la presenza di leggi così severe contro atti di crudeltà nei loro confronti, sembra contrastare con il nostro crescente consumo di carne. Come può una società da una parte uccidere miliardi di animali per cibo e dall’altra farli entrare nelle proprie case e approvare leggi per proteggerli? Come possono le persone amare al contempo gli animali e le loro carni? In altre parole, come fanno le persone a gestire il paradosso legato al consumo di carne?
Nel presente contributo suggeriamo che esistono due possibili percorsi per uscire da questo paradosso. Il primo implica la cessazione del consumo di carne. Poiché i vegetariani non mangiano carne, non provano questa tensione tra l’amore per gli animali ed il consumo della loro carne. Tuttavia, la stragrande maggioranza delle persone opta per un’altra soluzione. Proponiamo che questo secondo percorso abbia a che fare con la diminuzione dei diritti morali degli animali. Fare del male agli animali risulta problematico solo se si pensa che anche gli animali possiedono dei diritti morali. Attraverso la riduzione di tali diritti, ferirli risulta meno problematico. Nel presente lavoro, presenteremo evidenze a favore di entrambi questi percorsi. Nello specifico, presenteremo risultati di ricerche che mostrano come i vegetariani vedono gli animali in modo veramente molto diverso rispetto agli onnivori, e che gli onnivori mettano in atto una serie di meccanismi cognitivi e motivazionali per eludere il paradosso legato al consumo di carne.

Non magiare carne: I vegetariani ed il paradosso legato al consumo di carne

Una soluzione al paradosso legato al consumo di carne, è quello di smettere di mangiare carne. Il riconoscimento dei diritti degli animali non è messo a rischio quando si mangiano verdure. Le persone diventano vegetariane per molteplici motivi legati alla salute, la fede religiosa e ragioni di carattere morale. Le persone che scelgono di diventare vegetariane per ragioni morali, considerano l’uccisione degli animali per il consumo della loro carne una violazione inaccettabile dei loro diritti (Ruby, in press). Di conseguenza, potremmo aspettarci che questa tipologia di vegetariani riconosca i diritti degli animali in maggior grado rispetto agli onnivori. Infatti, una recente ricerca ha mostrato che effettivamente vegetariani e onnivori percepiscono gli animali in modo veramente diverso. Bilewicz e collaboratori (Bilewicz, Imhoff, & Drogosz, 2011) hanno mostrato che, rispetto agli onnivori, i vegetariani hanno un’idea molto diversa riguardo le capacità emotive degli animali.
In una serie di tre studi, hanno mostrato che gli onnivori – ma non i vegetariani – tendono a negare agli animali la capacità di provare emozioni complesse o, detto altrimenti, li infra-umanizzano. Inoltre, gli onnivori distinguono in maniera netta tra le emozioni che possono provare gli animali destinati al consumo e gli animali la cui carne non è destinata al consumo alimentare ; una distinzione, questa, che i vegetariani non fanno. La negazione di emozioni è importante perché queste sono tipicamente caratteristiche attribuite a gruppi umani considerati importanti. Negare agli animali la capacità di provare emozioni rappresenta un modo subdolo attraverso il quale vengono esclusi da preoccupazioni di ordine morale. Da una diversa prospettiva, Loughnan e Bastian (2011) hanno indagato come vegetariani e onnivori attribuiscono capacità mentali agli animali destinati al consumo alimentare (i.e., mucche, pecore), quando viene fatto pensare loro che questi animali verranno uccisi. Quando viene ricordato loro che un animale è destinato a morire per il consumo di carne, i vegetariani non cambiano la loro attribuzione di stati mentali agli animali. Diversamente, quando lo stesso pensiero viene reso saliente a coloro che mangiano carne, essi riducono l’ attribuzione di stati mentali agli animali.
Queste due recenti linee di ricerca suggeriscono dunque che vegetariani e onnivori hanno modi profondamente diversi di percepire gli animali. Nello specifico, i vegetariani attribuiscono agli animali la capacità di provare una ricca gamma di emozioni così come di esperire stati mentali complessi. Tali emozioni e stati mentali dotano gli animali di diritti morali che i vegetariani proteggono rifiutandosi di mangiare carne. Per chi consuma carne, invece, negare emozioni e stati mentali complessi, può rappresentare un modo difensivo per continuare a mangiare carne.

Mangiare carne e amare gli animali: Gli onnivori e il paradosso legato al consumo di carne

Un aspetto dell’essere vegetariani sembra essere il riconoscimento che gli animali possiedono le capacità mentali che li rendono degni di rispetto morale. Nello specifico, provano emozioni (possono soffrire) e hanno una mente (pensieri e sentimenti). Provare emozioni e possedere una mente in grado di esperire la sofferenza rappresentano prerequisiti fondamentali per acquisire considerazione morale (Gray, Gray, & Wegner, 2007). Considerare la mente degli animali come elementare o semplice, permette forse agli onnivori di attribuire loro una minor considerazione morale e dunque considerare la loro sofferenza meno importante. Questo può essere vero in particolare per gli animali le cui carni sono generalmente destinate al consumo, rispetto agli animali non destinati al consumo. Per esempio, prendiamo in considerazione la falsa credenza secondo la quale i cani sarebbero più intelligenti dei maiali, oppure che i pesci non sarebbero in grado di provare dolore (Joy, 2010). Di seguito, presenteremo una serie di studi che mostrano come in letteratura vi sia un’emergente riconoscimento del fatto che, attraverso diversi meccanismi motivazionali e non, gli onnivori sono in grado di continuare a mangiare carne nonostante ciò implichi il riconoscimento che tale abitudine comporta la morte di animali.

Aspetti motivazionali

Il consumo di carne pone un problema da un punto di vista morale e anche il più accanito consumatore di carne probabilmente non desidera pensare ad un vitellino mentre sta mangiando una bistecca. Perché coloro che mangiano carne dovrebbero sentirsi a disagio? La maggior parte delle persone ritiene che gli animali non dovrebbero essere trattati male – uccisi – dall’industria alimentare. Il riconoscimento che le loro credenze (gli animali non dovrebbero essere trattati male) non coincidono con le loro azioni (mangio carne), crea una tensione insopportabile. In psicologia questa tensione viene definita ‘dissonanza cognitiva’ ed è caratterizzata da uno stato di disagio dal quale le persone vogliono liberarsi. Un modo per superare questo stato di tensione è cambiare modo di comportarsi e infatti i vegetariani evitano questo sentimento di disagio evitando di mangiare carne. Un altro modo è cambiare le proprie credenze.
Trovare un modo per minimizzare o negare che agli animali venga fatto del male a causa del nostro consumo di carne serve ad evitare l’occorrenza di questa tensione negativa tra credenze e comportamento. In anni recenti, diversi studi hanno suggerito che coloro che consumano carne agisco proprio in questo modo, cioè modificano le loro credenze riguardo agli animali, adattandoli al proprio palato. In un studio, Loughnan e colleghi (Loughnan, Haslam, & Bastian, 2010) hanno chiesto ai partecipanti di prendere parte ad uno compito inerente ‘le scelte dei consumatori’. Ai partecipanti veniva chiesto di mangiare o una barretta di carne essiccata oppure una banana essiccata. Dopo aver mangiato la carne oppure la banana, i partecipanti erano invitati a prendere parte ad un secondo studio, apparentemente non legato al precedente: i partecipanti dovevano riportare quali erano secondo loro gli animali degni di un trattamento morale e le loro credenze riguardo ai diritti morali di una mucca. I partecipanti che avevano precedentemente mangiato carne riportavano un ristretto numero di animali degni di rispetto morale e ritenevano che una mucca meriti un trattamento morale in minor grado rispetto a chi aveva mangiato la banana. Questi risultati sono stati replicati anche nel caso in cui ai partecipanti veniva ricordato l’origine animale della carne oppure veniva chiesto loro di scrivere un breve paragrafo riguardo al processo di produzione della carne (Bastian et al., in press). Questi risultati suggeriscono che una prima risposta al paradosso legato al consumo di carne è quella di minimizzare i diritti morali degli animali.
In una serie successiva di studi, Bastian e colleghi (Bastian, Loughnan, Haslam, & Radke, in press) hanno indagato se la negazione dei diritti morali degli animali faccia effettivamente sentire meglio coloro che mangiano la carne rispetto alla loro scelta alimentare. Una volta arrivati in laboratorio, ai partecipanti veniva chiesto di mangiare o del roast beef oppure delle fette di mela. Prima di mangiare il cibo, ai partecipanti veniva chiesto di valutare i diritti morali delle mucche. I partecipanti che sceglievano il roast beef e non attribuivano diritti morali alle mucche, riportavano di sentirsi meno in colpa e di provare meno vergogna riguardo al consumo di carne. Questi risultati offrono una visione critica del processo psicologico legato al consumo di carne. Quando viene ricordata l’origine animale della carne, le persone sembrano degradare lo status morale degli animali al fine di ridurre i sentimenti di colpa e di vergogna. Tale svilimento degli animali da parte di coloro che consumano carne è motivata dai sentimenti negativi provocati dal mangiare un’altra creatura vivente.

Aspetti cognitivi

La discussione precedente sul consumo di carne, svilimento e colpa potrebbe far sembrare il lettore onnivoro eccessivamente complesso. La maggior parte delle persone non pensa agli animali o avverte disagio quando mangia carne, dal momento che questo comportamento fa parte della vita di tutti giorni. Questo può essere in parte vero e noi suggeriamo che i modi in cui spontaneamente tendiamo a pensare agli animali possa servire ad evitare il paradosso legato al consumo di carne. In altre parole, il modo in cui le persone generalmente percepiscono gli animali è funzionale a mantenere la credenza che mangiarli non rappresenta un problema da un punto di vista morale. Quando pensiamo ad uno specifico animale spesso abbiamo in mente un preciso ‘schema di riferimento’, cioè abbiamo un preciso schema riguardo al modo in cui vediamo l’animale: il mio cane è un animale da compagnia, il mio cavallo rappresenta un mezzo di trasporto, e il mio maiale rappresenta un pasto. Questi schemi di riferimento non sono necessariamente dettati dai miei bisogni: ad esempio riconosco che anche il maiale del mio vicino di casa non è un animale da compagnia e rappresenta carne destinata al consumo.
Questa tendenza a collocare gli animali in differenti categorie può avere importanti implicazioni per il modo in cui vengono trattati (Herzog, 2010). La psicologia cognitiva ha da tempo mostrato che appartenere ad una certa categoria evidenzia le caratteristiche rilevanti di tale appartenenza. Applicato agli animali, essere categorizzato come animale da consumo può rendere saliente la quantità e qualità della carne, mentre essere un animale da compagnia può rendere salienti i tratti di personalità. Un recente studio mostra come questi processi di categorizzazione spontanea, non-motivata, siano importanti per il modo in cui le persone percepisco gli animali destinati al consumo. Bratanova e colleghi (Bratanova, Loughnan, & Bastian, 2011), hanno mostrato ai partecipanti un animale che non avevano mai incontrato: il canguro arboricolo. Oltre a informazioni di base riguardo l’animale, ai partecipanti veniva detto che i canguri arboricoli sono considerati animali da consumo, oppure non veniva fatto alcun riferimento alla possibilità di cibarsi di questi animali.
Aspetto importante: nessuno dei partecipanti aveva mai mangiato in precedenza un canguro arboricolo, escludendo così la possibilità che qualcuno di essi potesse essere spinto da motivazioni personali a negare lo status morale di questi animali. Tuttavia, i partecipanti ai quali veniva detto che l’animale era commestibile, attribuivano significativamente meno diritti morali all’animale in confronto a quei partecipanti ai quali non era stata fatta menzione della possibilità di cibarsi di questo animale. Questi risultati suggeriscono che credere il semplice fatto di considerare un animale una possibile fonte di cibo porti a sopprimere i suoi diritti morali, anche in assenza di un’esplicita motivazione ad evitare sentimenti di disagio. Anche il processo di categorizzazione riveste un ruolo importante quando pensiamo alla relazione umano-animale. Prendere in considerazione le differenze fra esseri umani e animali è importante per comprendere la psicologia di coloro che consumano carne dal momento che gli esseri umani – nonostante siano fatti di carne – generalmente non sono considerati commestibili. È stato recentemente mostrato come modi diversi di inquadrare le categorie umano-animale influenzi il modo di pensare delle persone riguardo ai diritti morali degli animali. In una serie di studi, Bastian e colleghi (Bastian, Costello, Loughnan, & Hodson, in press) hanno mostrato come le persone impegnate a pensare a ciò che rende gli animali simili agli esseri umani mostravano una maggiore preoccupazione per i diritti degli animali. Tuttavia, questo non succedeva quando le persone si focalizzavano su ciò che rende gli esseri umani simili agli animali. In altre parole, quando gli aspetti umani degli animali vengono enfatizzati la nostra preoccupazione per i loro diritti morali aumenta e la nostra disponibilità a mangiarli diminuisce. In maniera differente, enfatizzare gli aspetti animali degli esseri umani non provoca simili effetti.
Questi risultati suggeriscono che, destreggiandoci fra i diversi modi in cui tendiamo a vedere il divario umano-animale, possiamo aumentare o diminuire la nostra preoccupazione per i diritti degli animali e la nostra disponibilità a mangiarli. Le due precedenti linee di ricerca mostrano come sia possibile negare lo status morale degli animali in virtù dei modi in cui generalmente li categorizziamo. Riconoscere che un animale è destinato al consumo, oppure focalizzarsi sulle caratteristiche che rendono gli esseri umani simili agli animali rendono lo sfruttamento degli animali ed il consumo della loro carne accettabile, poiché in entrambi i casi i loro diritti morali vengono sminuiti. In breve, gli onnivori mostrano di possedere una serie di meccanismi consolidati attraverso i quali categorizzano gli animali e inquadrano la separazione umano-animale. Tali meccanismi agiscono automaticamente per sopprimere i diritti morali degli animali.

Conclusioni

Esistono diversi modi per risolvere il paradosso legato al consumo di carne. Interrompere il consumo di carne rappresenta un metodo efficace. I vegetariani non vedono alcuna tensione tra la loro dieta alimentare e la protezione dei diritti morali degli animali. Tuttavia, la grande maggioranza delle persone non è destinata a diventare vegetariana e invece troverà il modo per continuare a consumare carne. Per gli onnivori, esistono diverse scorciatoie mentali per continuare a consumare carne. Alcune di queste sembrano essere motivate: minimizziamo i diritti morali degli animali quando vogliamo mangiare carne e facendo questo ci sentiamo meglio (o almeno meno in colpa). Tuttavia, il consumo di carne non è del tutto un processo cinico.
Il modo in cui generalmente pensiamo agli animali e li categorizziamo – commestibili o non commestibili – e il modo in cui pensiamo alla differenziazione umano-animale giocano un ruolo importante nella nostra decisione di mangiare carne. Non ci sono evidenze empiriche a favore del fatto che questi processi siano motivati, suggerendo che il paradosso legato al consumo di carne raramente sia consapevole. Dato che queste credenze sono profondamente radicate, sembra probabile che negli anni a venire un gran numero di persone continuerà a trovare modi per mangiare gli animali.

Glossario

Infra-umanizzazione. Tendenza implicita ad attribuire un minor grado di essenza umana a gruppi sociali esterni rispetto al proprio gruppo di appartenenza (Leyens et al., 2001)
(de-)Mentalizzazione. L’attribuzione di mente ad altri; la credenza che altre persone o gruppi possono esperire determinati stati mentali (ad es., ragionare, pianificare, desiderare). La negazione di questi stati mentali ad un entità che dovrebbe in realtà possedere una mente viene definita de-mentalizzazione (Kozak, Marsh, & Wegner, 2006).
Dissonanza cognitiva. Stato emotivo indesiderabile che proviene dal possedere due credenze in conflitto tra loro (Harmon-Jones & Mills, 1999).

Riferimenti bibliografici

APPA. (2009). U.S. pet ownership statistics – American Pet Products Association: Retrieved 5.10, 2010, from http://www.americanpetproducts.org/.
Bastian, B., Costello, K., Loughnan, S., & Hodson, G. (in press). When closing the human-animal divide expands moral concern: The importance of framing. Social Psychological and Personality Science.
Bastian, B., Loughnan, S., Haslam, N., & Radke, H. (in press). Don’t mind meat? The denial of mind to animals used for human consumption. Personality and Social Psychology Bulletin.
Bilewicz, M., Imhoff, R., & Drogosz, M. (2011). The humanity of what we eat: Conceptions of human uniqueness among vegetarians and omnivores. European Journal of Social Psychology, 41, 201-209.
Bratanova, B., Loughnan, S., & Bastian, B. (2011). The effect of categorization as food on the perceived moral standing of animals. Appetite, 57, 193-196.
Gazzetta Ufficiale. (2004). Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate: http://gazzette.comune.jesi. an.it/2004/178/1.htm. Rome, Italy: Gazzetta Ufficiale.
Gray, H., Gray, K., & Wegner, D. (2007). Dimensions of mind perception. Science, 315, 619.
Harmon-Jones, E., & Mills, J. (1999). Cognitive Dissonance: Progress on a pivotal theory in social psychology. Washinton, DC: American Psychological Association.
Herzog, H. (2010). Some we love, some we hate, some we eat: Why it’s so hard to think straight about animals. New York: Harper Collins.
Joy, M. (2010). Why we love dogs, eat pigs, and wear cows: An introduction to carnism. San Francisco: Conari Press.
Kozak, M., Marsh, A., & Wegner, D. (2006). What do I think you’re doing? Action identification and mind attribution. Journal of Personality and Social Psychology, 90, 543-555.
Leyens, J., Rodriguez, A., Rodriguez, R., Gaunt, R., Paladino, M.-P., Vaes, J., & Demoulin, S. (2001). Psychological Essentialism and the Differential Attribution of  Uniquely Human Emotions to Ingroups and Outgroups. European Journal of Social Psychology(31), 395-411.
Loughnan, S., & Bastian, B. (2011). Perceptions of meat animals by Vegetarians and Non-Vegetarians. University of Melbourne, Unpublished Work.
Loughnan, S., Haslam, N., & Bastian, B. (2010). The role of meat consumption in the denial of mind and moral status to meat animals. Appetite, 55, 156-159.
Ruby, M. (in press). Vegetarianism: A blossoming field of study. Appetite.
WRI. (2010). Per capita meat consumption by nation – World Resource Institute: Retrieved 15.10, 2011, from http://www.wri.org/

Traduzione di Elisa Puvia


Steve Loughnan è Assegnista di ricerca Presso l’Università del Kent. I suoi interessi di ricerca includono la de-umanizzaizone e l’attribuzione di mente e status morale a umani e nonumani.

Boyka Bratanova è Assegnista di ricerca presso la Libera Università di Bruxelles. I suoi attuali interessi di ricerca riguardano gli aspetti psicologici legati a stili di vita sostenibili, incluso il consumo di carne

Elisa Puvia è Assegnista di ricerca presso l’Università del Kent. I suoi attuali interessi di ricerca includono il fenomeno di oggettivazione femminile e i contesti in cui tale fenomeno diventa moralmente problematico (de-umanizzazione) ed è vegetariana.


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