Il dovere nello sguardo


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Assistendo alla presentazione del libro Fenomenologia della compassione di R. Acampora a cura di Massimo Filippi e Marco Maurizi tenutasi al Veganch’io 2008, è stato interessante constatare come Acampora consideri la questione della cessione dei diritti acquisiti ad altri che ne sono privi (nel nostro caso gli Animali). I curatori infatti parlavano della concessione dei diritti come atto intrinsecamente specista, una considerazione assolutamente condivisibile. La posizione di dominanza di chi concede dei diritti acquisiti ad altri è indubitabile. Si può infatti affermare che il concedere un diritto non equivale ad un atto permeato dalla vicinanza all'”altro” e/o d’immedesimazione (com-passione), ma appare piuttosto più vicino ad una concessione del vincitore sul vinto, forse addirittura, per molti versi, un atto autoreferenziale che reca in sé ampi conflitti di interesse, ma soprattutto l’avallo del concetto di conquista e di rielaborazione della Natura in chiave umana.

In sunto: il diritto umano, e la sua eventuale dilatazione anche a soggetti non umani, è da ascriversi in una prospettiva chiaramente antropocentrica. Queste considerazioni ci spingono ancora di più a considerare il concetto di dovere morale, come il più adeguato al pensiero antispecista, e realmente compassionevole. Ma quali possono essere le differenze tra chi è disposto a concedere diritti e chi invece ad assumere doveri nei confronti degli Animali? Ci viene in aiuto ancora la presentazione del libro di Acampora in cui si è parlato del corpo dell’Umano, dei suoi confini, o meglio della sua spazialità . Il corpo umano non ha solo confini fisici, ma grazie ai suoi sensi amplia spazialmente i propri orizzonti fino a dove la mente può giungere.

Le considerazioni che tale constatazione fa sorgere sono due: la prima è che l’Umano vuole tutto ciò che vede, sente, tocca, percepisce, e su di esso riversa il proprio concetto di proprietà  arrivando a costruire addirittura un soggetto giuridico* che gli permette di catalogare, schematizzare ciò che lo circonda – e se stesso – per meglio razionalizzare e controllare. In quest’ottica la nostra specie, rielaborando e reinterpretando la realtà  secondo i propri interessi specie-specifici, ha partorito il concetto di diritto del più forte, che sfocia nella possibilità  di fare qualsiasi cosa, anche la più crudele e riprovevole, riuscendo a fornire una giustificazione morale. La seconda considerazione, è che grazie alla percezione corporea dell’Umano, egli avrebbe la possibilità di ripristinare un rapporto paritario con gli altri esseri senzienti e con la natura attraverso la compassione e l’empatia. I nuovi orizzonti della nostra specie ridisegnati dal proprio senso di dovere nei confronti degli altri. Non più limiti derivanti dalla condizione umana (quindi subiti e non decisi), ma margini ponderati in base ad una nuova morale che consideri le altrui necessità, che si fonda con esse in un tutt’uno.

Non più volontà colonizzatrice per possedere e dominare, ma compassione, emozionalità  ed empatia come nuovi strumenti dell’intersoggettività, per stabilire fino a dove la nostra influenza di specie possa giungere per non sovrapporsi – per quanto possibile – ad altre società animali ed al mondo vivente. Lo spazio fisico allargato dovrebbe servire per giungere alla percezione dell’altro, sfiorarlo, entrarne in contatto, per capire come rimanerne alla giusta distanza per non influenzarlo. La vicinanza per stabilire una giusta distanza, questo potrebbe essere il principio utilizzabile. Solo giungendo a percepire – e quindi concepirne le esigenze – l’altro, potremmo seriamente incamminarci lungo la via della com-passione e sfruttarne a fondo le potenzialità  che ci permetterebbero svincolarci finalmente dal concetto di proprietà (del corpo umano, degli altri corpi reificati e ridotti a patrimonio da gestire, della Terra e delle risorse della natura). La percezione dell’altro indurrebbe alla nascita di una coscienza basata su nuovi rapporti esclusivamente paritari, orizzontali, non filtrati dal concetto di proprietà  o di diritto, ma dal senso di dovere morale, di autocontrollo, che potrebbe divenire il solo ed unico vincolo (autogenerato dalla coscienza individuale assurta a coscienza collettiva) di una nuova società umana.

A chi obietta che tutto ciò potrebbe divenire innaturale o persino dogmatico o limitante, noi rispondiamo che l’autocontrollo lo applichiamo già  quotidianamente, e senza alcun problema: la nostra mente ha il controllo – per quanto possibile – del corpo, le nostre mani possono divenire strumenti di tortura o di piacere. Se tale volontà  individuale divenisse volontà  collettiva – agire seguendo una morale condivisa – potremmo realmente costruire una società  capace di autocontrollarsi senza imposizioni, schematismi o leggi, ma solo grazie alla profonda empatia, alla solidarietà  ed al senso di giustizia. Non più sovrastrutture sociali, ma solo la replicazione di comportamenti etici dei singoli che con il loro operato contribuiscono a formare una coscienza collettiva. Ciò conferirebbe grandi responsabilità  al singolo che diverrebbe una cellula completa di un vastissimo tessuto chiamato società  umana libera. E tutto ciò che abbiamo creato sino ad oggi? “Ogni cosa alla sua stagione. Mentre alcune cose crescono, altre devono diminuire.

Come la decomposizione delle foglie cadute l’anno scorso fornisce sostanze nutritive per la nuova crescita di questa primavera, così certe istituzioni devono essere lasciate al loro declino e decadimento (…) di modo che il loro capitale e i loro talenti umani possano essere liberati e riciclati per creare nuove organizzazioni”**. Ce la faremo?

Adriano Fragano

Note:

* Filippo Trasatti al Veganch’io 2008, Verso un’eticità della compassione, definendo il soggetto giuridico come l’estensione del concetto di corpo Umano nell’ambito del diritto per divenire proprietà  di cui disporre. Parimenti il soggetto giuridico non è più corporeo, fisico, ma un soggetto inesistente, non Umano.
** Fritjof Capra, Ecoalfabeto l’orto dei bambini, Stampa Alternativa, 2005


Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno II / n° 3 del 15 giugno 2008, p. 2


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