Grandi opere: un aspetto della guerra planetaria contro Animali e Natura


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Il caso della Superstrada Pedemontana Veneta

Di solito, la preoccupazione per gli impatti delle grandi opere è finalizzata al mondo umano: questo è il motivo di fondo per cui gli ambienti animalisti trascurano il problema o comunque lo pongono in secondo o terzo piano, come se non li riguardasse più di tanto. Così facendo, si trascura il dato di gran lunga più importante e significativo: l’aggressione spietata delle grandi opere colpisce in primo luogo gli Animali, gli ecosistemi e i loro innumerevoli abitatori non umani (che da esse, per giunta, non possono trarre alcun vantaggio); ciò vale in particolar modo per le grandi arterie stradali e dunque anche per la Superstrada Pedemontana Veneta (SPV).
Un’arteria di cemento lunga 95 km, da Montecchio Maggiore (VI) a Spresiano (TV), cui bisogna aggiungere le numerose opere complementari che si renderanno necessarie (altri 65 km o forse più), non meno impattanti e insidiose dell’opera principale: il progetto (attualmente fermo al 23-25% dei lavori), è stato approvato dal CIPE nel 2006, nel silenzio totale degli amici degli Animali, che hanno tacitamente delegato il problema agli ambientalisti, gli unici ad aver avanzato dubbi e critiche, tentando di costruire un fronte di resistenza, sia pure antropocentricamente orientato. E proprio qui sta il problema: la mentalità sostanzialmente antropocentrica che quasi sempre condiziona le proteste contro le cementificazioni e la devastazione ambientale, costituisce un limite intrinseco che banalizza le lotte, impedisce di allargare lo sguardo e di radicalizzare la critica stessa, eventualità che conferirebbe ad essa un respiro molto più ampio e dunque una maggiore autorevolezza. Così, nel caso della SPV, i media e molti comitati si soffermano principalmente sugli aspetti “antropocentrici” della questione: quanto ci costerà? Chi metterà i soldi? Verranno compensati gli espropriati? I tempi di percorrenza saranno più favorevoli? Ci saranno i pedaggi? E l’impatto sulla salute?… Naturalmente, è perfettamente lecito affrontare questi argomenti, ma non è né lecito né lungimirante ridurre in questi termini una tematica i cui contorni sono immensamente più vasti, poiché coinvolgono il nostro rapporto con l’intera vita planetaria, e non solo con il portafoglio e la cartella clinica (che pur restano cose importanti).

Le grandi opere le fa la Natura

Nel nostro tempo, l’attenzione per il mondo non umano è nata essa stessa da una prospettiva originariamente antropocentrica: gli scienziati hanno avvertito che il degrado ambientale diventava una minaccia crescente anche per la vita umana, per cui era conveniente assumere un atteggiamento di maggiore rispetto e cura verso la natura nel suo complesso. Questo appello, pur gravato dal suo peccato d’origine, è stato raccolto dalle minoranze più sensibili, e ha contribuito a promuovere un minimo di ecoalfabetizzazione e una qualche etica della responsabilità, con contraccolpi positivi anche a livello istituzionale: insomma, ha comportato alcune conseguenze promettenti, che andrebbero potenziate e valorizzate. In questo contesto, per esempio, sono nate le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di incidenza ambientale (VINCA) che una volta non c’erano; per arginare l’avanzata del cemento e della devastazione, sono state istituite aree protette, tra queste la più importante è Rete Natura 2000, una rete ecologica a livello europeo che comprende circa 26.000 siti naturalistici di pregio (per dare un’idea, occupa un’area più estesa di Germania e Polonia insieme). Pur con i loro limiti, che meritano una riflessione a parte, queste iniziative hanno contribuito ad ostacolare la cementificazione, che prima avanzava senza freni. Contemporaneamente, sono stati istituiti lodevoli programmi di ricerca su scala europea e mondiale che, pur con varie ambiguità (che qui non possiamo discutere), hanno contribuito a focalizzare l’importanza della biodiversità, degli ecosistemi, degli esseri non umani per l’intera vita planetaria: è d’obbligo ricordare almeno gli studi di R. Costanza e collaboratori sul valore dei servizi ecosistemici (1997 e aggiornamenti successivi); il Millennium Ecosystem Assessment (lanciato verso il 2001); in parte il TEEB (L’Economia degli ecosistemi e della biodiversità), varato nel 2007… A seguito di svariati contributi (questi e molti altri) provenienti da fonti diverse, è stato indotto (al di là del convincimento dei singoli autori) un epocale cambio di paradigma, rivolto al superamento del riduzionismo antropocentrico, la cui arroganza è stata sconfessata: possiamo sintetizzare questa nuova consapevolezza nell’espressione “Le grandi opere le fa la natura”, formula che implicitamente ammonisce sul fatto che quelle umane, invece, raramente sono grandi ed anzi spesso sono distruttive. Così è anche per la Pedemontana Veneta (SPV).

L’impatto della SPV sugli esseri non umani e sugli ecosistemi

Che un impatto vi sia, lo ammettono perfino i valutatori di parte, cioè i tecnici appositamente pagati per elaborare studi di impatto e di incidenza ambientale favorevoli ai megaprogetti proposti: ovviamente, tali esperti di parte cercano sistematicamente di minimizzare la portata antiecologica delle grandi opere e dunque anche l’impatto sugli Animali.

Nei documenti della controparte (cioè dei costruttori, dei tecnici e dei burocrati accondiscendenti) riguardanti la Pedemontana, si ammette apertamente che “le infrastrutture stradali lineari sono tra quelle che maggiormente arrecano danno all’integrità biotica degli ecosistemi terrestri ed acquatici. Gli effetti ecologici delle strade sugli ecosistemi limitrofi possono estendersi anche per qualche centinaio di metri, introducendo quindi il concetto della road effect zone nell’intorno della rete stradale” (Studio di Impatto Ambientale, luglio 2012, riferito al progetto definitivo). E ancora: “Laddove inoltre la nuova infrastruttura dovesse affiancarsi ad altre preesistenti (rete viaria, aree urbane, reti ferroviarie, ecc.), così da creare grandi sistemi infrastrutturali complessi, soprattutto in aree vallive, si sviluppa una barriera difficilmente penetrabile ai movimenti di molte specie”.

Anche la Commissione Speciale V.I.A. (Parere ufficiale del 13-02-2006) rileva impatti molteplici dovuti alle attività di cantiere e/o all’entrata in esercizio della SPV: sottrazione di habitat, disturbi all’ittiofauna, all’avifauna e in particolare ad anfibi protetti, inquinamento delle acque dei torrenti […], ostacoli alle migrazioni di fauna protetta…

Come se non bastasse, lo Studio di Incidenza Ambientale della controparte, riferito ai siti protetti di Rete Natura 2000 toccati dalla SPV, è costretto ad ulteriori ammissioni, tra cui: “[…]emissioni sonore che potrebbero comportare un allontanamento delle specie verso ambienti limitrofi; mortalità per investimenti; collisione degli Uccelli con le barriere antirumore trasparenti […] perdita di habitat di specie di interesse comunitario […] l’opera rappresenta una barriera che penalizzerà lo spostamento degli individui [non umani] sul territorio”.

In condizioni normali, tutte queste ammissioni di per sé dovrebbero esser più che sufficienti per decretare la non fattibilità della SPV, e di opere similari: invece ci troviamo in un contesto anormale, culturalmente deformato da un rozzo antropocentrismo specista e sviluppista nello stesso tempo, che agisce sistematicamente per occultare o minimizzare il carattere devastatore delle grandi opere, in nome della crescita e del profitto di pochi. Cosicché, in plateale contrasto con le ammissioni di cui sopra, il progetto della SPV è stato comunque approvato dalle autorità competenti [?!], utilizzando un dispositivo normativo ad hoc, incentrato su espedienti pretestuosi come la decretazione di “opera strategica di utilità nazionale” e di “stato di emergenza”, con il fine dichiarato di aggirare la legislazione e le procedure ordinarie! Per quanto riguarda le obiezioni relative agli impatti su animali e ambiente, si risponde con la strategia della minimizzazione degli impatti, magari per il tramite delle cosiddette compensazioni ambientali, che nella maggior parte dei casi si rivelano ridicole e non certo funzionali alla fauna e agli ecosistemi: le presunte compensazioni ambientali servono più che altro per verniciare di verde gli aspetti più sgradevoli dell’opera, al fine di simularne la sostenibilità e la compatibilità ambientale a buon mercato. Qualche esemplificazione potrà essere utile, previa contestualizzazione.

Devastazioni ecologiche e compensazioni ambientali a buon mercato

Praticamente tutta la letteratura scientifica concorda sul fatto che le arterie stradali non solo sostituiscono aree verdi con cemento, ma in più comportano inevitabilmente quella enorme sciagura denominata “frammentazione ecosistemica”, che agisce su una scala molto più ampia: gli ambienti naturali preesistenti vengono ridotti in superficie, e quelli che rimangono vengono insularizzati. Le infrastrutture che sempre accompagnano o seguono le grandi arterie stradali, fanno il resto, concorrendo a incrementare progressivamente il grado di isolamento e i livelli di disturbo che gravano su frammenti sempre più ridotti. Il degrado degli ecosistemi e degli habitat è quasi sempre connesso a processi di frammentazione, che segnano l’inizio della fine, e non è un’esagerazione. Cominciano a diminuire e poi a scomparire le specie “chiave”, tipiche dei contesti preesistenti, gli ecosistemi residui perdono le loro funzionalità, la biodiversità diminuisce, il paesaggio viene alterato e semplificato… L’effetto “occlusione” dovuto alla viabilità e all’antropizzazione si configura, per gli esseri non umani, come la minaccia più terribile e devastante: impedisce od ostacola gli spostamenti e la dispersione della fauna sul territorio, indebolisce la vitalità delle popolazioni animali, rende sempre più problematica la loro sopravvivenza… Al cospetto di quanto rappresentato, risultano ignobili e decontestualizzate le lamentele di allevatori e agricoltori contro i danni causati dalla fauna selvatica, considerando che essa è compressa in ambiti sempre più angusti e difficili, proprio perché l’antropizzazione ha continuamente spostato in avanti i propri confini, oltre ogni limite, erodendo massicciamente gli spazi vitali degli esseri non umani (Animali ma non solo).

La SPV è un aspetto notevole di questa sottrazione spietata e indebita di spazi vitali agli esseri non umani, connessa alla enorme frammentazione ecosistemica da essa generata.

I valutatori al soldo del capitalismo sviluppista, cercano di reagire a queste pesanti obiezioni, sia minimizzando l’importanza degli impatti sul mondo non umano (sono solo animali!), sia ricorrendo alla retorica delle compensazioni/mitigazioni ambientali, declinabili in vari modi.

Per esempio, il progetto della SPV è stato approvato e dichiarato compatibile ambientalmente, nonostante il gigantesco effetto-occlusione da essa generato, poiché quest’ultimo verrebbe neutralizzato da apposite contromisure, previste nelle prescrizioni che accompagnano le delibere di approvazione del progetto. A ben vedere, le previste contromisure consistono in “passaggi faunistici”, cioè, prevalentemente, in “sottopassaggi con tubi 1, eventualmente con delle strutture ausiliarie di invito, ad esempio per gli anfibi”, oppure in sovrapassaggi, sottopassaggi e passerelle larghe almeno 2.50 m (adatti anche per animali di piccola e media taglia). I sottopassaggi con tubazioni verrebbero posti ogni 800 metri, là dove possibile; complessivamente “il progetto prevede 92 passaggi faunistici” di varia conformazione, finalizzati all’inserimento ambientale-faunistico dell’opera2: ampi margini di discrezionalità vengono lasciati di fatto agli esecutori, e sui controlli istituzionali è lecito nutrire serissimi dubbi (dubbi macroscopici confermati anche nelle delibere della Corte dei Conti3). In ogni caso, è facilmente intuibile l’abissale discrepanza tra l’abnorme occlusione dovuta a un corridoio di asfalto lungo 95 km, e la pochezza delle mitigazioni, tra cui predominano le tubazioni di cemento o altro poste ogni 800 metri, nella migliore delle ipotesi e quando possibile. Evidentemente, si tratta di palliativi dal valore molto circoscritto, a maggior ragione considerando il contesto in cui vengono inseriti : lo stesso Studio di Impatto Ambientale (luglio 2012) ammette che “gli effetti ecologici delle strade sugli ecosistemi limitrofi possono estendersi anche per qualche centinaio di metri, introducendo quindi il concetto della road effect zone nell’intorno della rete stradale” (citando Forman, 2000). Questo significa che l’infrastruttura in oggetto esercita comunque un notevole effetto impattante che si prolunga per varie centinaia di metri, allontanando o disturbando la fauna selvatica, con intensità diversificate in rapporto alle caratteristiche delle diverse specie, rendendo scarsamente appetibile il ricorso obbligato ai cosiddetti “passaggi faunistici” in un quadro di elevato disturbo. Inoltre, tali espedienti nulla possono contro l’accentuato degrado ecosistemico dovuto all’insieme dell’opera in quanto tale, che peggiora enormemente la qualità degli habitat per innumerevoli specie. D’altronde, è la stessa controparte a darci ragione, confermando su più punti le obiezioni di cui sopra: infatti, riferendosi a un’area prossima a Rete Natura 2000, dichiara testualmente che la nuova opera “determinerà un elemento di ostacolo agli scambi biologici in confronto alla situazione attuale. Anche gli ecosistemi registreranno dei disturbi. Sebbene la ZPS non sia direttamente interferita dalla SPV, gli effetti indiretti correlati al fenomeno della frammentazione potranno ripercuotersi sullo stesso sito. La previsione dei passaggi faunistici almeno in parte potrà attenuare questa alterazione garantendo un minimo di permeabilità dell’opera”4. Come si fa, subito dopo un’ammissione del genere (che si aggiunge ad altre simili), a esibire una conclusione totalmente illogica di “Incidenza non significativa”?

Forse avevano ragione Schopenhauer e gli antichi poeti greci, quando sentenziavano che nell’età del ferro “Pudore” è una tra le figure divine che fuggono dalla Terra, abbandonandola a un fosco destino?

Neutralizzare i progetti di nuove infrastrutture viarie, dovrebbe essere un obiettivo prioritario nell’agenda degli amici degli Animali, senza delegare questo compito agli ambientalisti (che tendono ad affrontarlo, come si è detto, in una prospettiva antropocentrica e quindi limitata). Se si contesta – giustamente – il circo con Animali, o la caccia, a maggior ragione occorre contrastare le grandi infrastrutture lineari, che devastano in modo irreversibile gli habitat e la vita di miliardi di Animali ed altri esseri non umani. Nel loro insieme, le grandi infrastrutture (più quelle piccole connesse) comportano un ecocidio sistematico, tendenzialmente irreversibile, di gran lunga superiore a quello dovuto alla caccia e ai circhi insieme. Per questo vi invitiamo ad agire di conseguenza.

Paolo Scroccaro (AEF – Associazione Eco-Filosofica)

Per maggiori informazioni sulla lotta contro la SPV visitate:
www.facebook.com/Comitato-No-Pedemontana-Provincia-di-Treviso–1901943950023593


Note:

1) “[…] tubazioni di alcune decine di decimetri di diametro (specialmente per gli anfibi e per i piccoli mammiferi)” ( Valutazione di Incidenza Ambientale – Progetto esecutivo, agosto 2012).
2) Valutazione di Incidenza Ambientale – Progetto esecutivo, agosto 2012, p. 196.
3) Nella Circolare datata 10 maggio 2017, la Corte dei Conti riassume in 13 punti le criticità della SPV: al punto 10 osserva che non è stata effettuata la “verifica di ottemperanza alle prescrizioni”; al punto 11 si sottolinea che il Ministero dell’Ambiente ha lamentato l’impossibilità di procedere al monitoraggio ambientale!
4) Valutazione di Incidenza Ambientale – Progetto esecutivo, agosto 2012, p. 195.


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