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GOD IS GOOD
recita la lamiera del contenitore di vittime sacrificali.
In un flusso interminabile percorre la traccia d’asfalto retta al punto di fuga.
Punto di NON-fuga. Ironia dei termini. Punto di NON-fuga, di NON-esistenza,
banale dirlo, ridotta a parti utilizzabili e (minimo) scarto.
GOD IS GOOD
Materiale sacrificale dell’era moderna, moltiplica le quantità nelle dovute proporzioni.
In corsa su fiumi di cemento in flussi regolari, regolati, verso altari indecenti e riti sincronizzati.
Una voracità del tutto umana divora l’oggetto del sacrificio, incorpora vite che furono,
avida di catturare quell’alito d’anima di corpi altrui, sogna vita eterna, in corpi vuoti.
Quel vuoto singolo e collettivo, senza forma né fondo, incessantemente prodotto
per contenere infinita voglia e infinito divorare. Infinito, così dev’essere.
GOD IS GOOD
Lui ci ha dato queste bestie, mangiatene tutti.
E rendiamo grazie e costruiamo templi, qualcosa che si conservi, che abbia in sé quell’eternità.
Maestosi templi sacri e profani, ciascuno contenente un piccolo altare, così da poter riprodurre il necessario sacrificio, ogni giorno, in rituale devozione, il rito non ha alternative, può solo svolgersi, e così dev’essere.
Imponenti città moltiplicano se stesse, pietre su pietre e ferro e cemento, attraggono materiale inerte e biologico. Di questo si nutrono e accrescono. “Corpi” fuori controllo, per ogni flusso in essi diretto, un altro flusso scorre in direzione inversa, meno gradevole agli occhi.
GOD IS GOOD
E così si raccontava di Londra, nel 1710, e di alcuni suoi fiumi1.
Jonathan Swift scriveva del Fleet, ricolmo di sterco, budella e sangue, scarto di macellerie.
Scarti copiosi di ciò che è stato incorporato dagli uomini e dal loro prodotto, la città stessa.
Così in quantità da non essere più sopportabile. Ciò che veniva orribilmente vomitato doveva essere nascosto.
Così ad un fiume che aveva avuto il vanto di trasportare sulle sue acque le pietre della cattedrale, fu negato il cielo e reso buio tunnel viscerale. Ironia dei termini, ancora una volta.
Quelle stesse pietre sono sorrette da ciò che hanno rigettato.
Quelle e altre pietre, quelli e altri prodotti.
GOD IS GOOD
E’ cosa buona e giusta il sacrificio offerto, e il nostro stesso corpo immolato, nel tentativo disperato di reggere ciò che il rito prevede.
Ogni piccola bocca divorante e l’enorme bocca vuota della società che abbiamo eretto.
Parte identica del prodotto e rappresentazione fedele. Guidata dalla parola buona e giusta,
pervasiva e onnipresente della moderna divinità, tangibile e intangibile allo stesso tempo.
Rivelazione e conferma, grembo ovattato accogliente, rassicurante remissione.
GOD IS GOOD
sacrifice is good
slaughter is good
The Piper
GOD IS GOOD
says the metal sheet wrapping up the the sacrificial victims container.
In an endless flow, it runs the straight line towards the vanishing point.
A vanishing point where they can’t escape from vanishing. How ironic. A vanishing point from where they can’t escape from vanishing — seems banal, I know — like a non-existent existence. Reduced to mere re-usable parts and (minimal) waste.
GOD IS GOOD
Sacrificial stuff for the modern era, multiplying itself in the right given proportion.
Running over concrete rivers, following a regular flow, strictly ruled, towards nasty altars and synchronised rituals.
A totally human voraciousness devours the sacrificial lamb, embedding lives that used to be, eager to grab every last breath from the soul of other creatures’ carcasses.
A voraciousness arrogant to the point of dreaming about eternal life, within the void of dead bodies. That same single, yet collective void, shapeless, constantly produced to fill the constant urge of devouring. Infinite, that is.
GOD IS GOOD
The Lord gave us all these animals, let’s eat them.
For we thank thee, we have built temples where we can preserve them, in all eternity. Majestic, sacred and profane temples, each one of them with its own altar, so that we can reproduce the necessary sacrifice — every day, with ritual devotion. We don’t have an alternative, we must follow the ritual, and that must be repeated as it is.
Grand cities spread everywhere, stone above stone, above iron and concrete, incorporating either biological or inert stuff. They eat all of this material, and keep growing, like bodies out of control. For each and every inward flow, there’s an outward flow, much less nice.
GOD IS GOOD
And this is how London, along with some of its rivers, was described, in 1710.
Jonathan Swift used to write about the Fleet, filled with “the sweepings from butchers’ stalls, dung, guts and blood”. The abundant waste of what have been incorporated by the humans and their byproduct, the city itself. Everything that was horribly expelled had to be hidden.
So, the sky was denied to a river that used to be proud of transporting the stones to the Cathedral. That same river was made a dark visceral tunnel. Again, the irony.
Those very same stones are kept together by what had been rejected.
Those stones, those products.
GOD IS GOOD
The sacrifice is good, the sacrifice is righteous, so is our own body, victimised in a desperate attempt to hold on the ritual’s requirements.
Each and every small mouth, along with the huge empty mouth of the society we have built. A society that keeps mirroring the same product, like a faithful representation of itself.
Driven by the same righteous word of the same modern divinity, tangible and intangible at the same time. Both revelation and corroboration, cosy and muffled womb, reassuring forgiveness.
GOD IS GOOD,
sacrifice is good
slaughter is good
Note:
Fotografia in apertura di / photo by Jo-Anne McArthur
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